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Le storie investigative hanno sempre quel fascino misterioso che incuriosisce lo spettatore e riesce a trasportarlo in un mondo, sì cruento, ma estremamente stimolante, anche solo per cercare di trovare la soluzione del caso prima del protagonista.
Che sia un manga, un anime o un live action, se ben fatto e se rispecchia dei codici precisi, ovvero un protagonista interessante -volendo anche sopra le righe- una buona struttura narrativa, dei casi avvincenti che sanno coinvolgere e un gruppo di comprimari intriganti- il successo è quasi sempre assicurato. Tutti questi elementi, non a caso, sono fattori che sono presenti nel live action di Don't Call it Mystery.

Basato sul manga josei di Yumi Tamura il cui titolo originale è Mystery to Iunakare, ancora in corso di pubblicazione ed edito da noi da J-POP, Don't call it mystery si distingue dagli altri prodotti a tema investigativo proprio grazie al suo “bizzarro” protagonista, lo studente universitario Totono Kuno, oltre ad una peculiarità per nulla banale, anzi definirei anche abbastanza intelligente: una parlantina verbosa che, per l'appunto, non è banale.

Il suo protagonista, Totono Kuno, si distingue così dai suoi “colleghi investigatori” sia per la componente estetica che per quella caratteriale, risultando, agli occhi dello spettatore, un protagonista alquanto singolare.
Dalla folta chioma riccioluta sua peculiare caratteristica, anche se da lui poco amata, questo "buffo" protagonista si ritrova, suo malgrado, sempre coinvolto in vari e misteriosi casi di omicidio, che grazie al suo spiccato intelletto -e alla sua loquace parlantina- riesce sempre a decifrare riuscendo a consegnare sempre il colpevole alla giustizia.

Vedendo le dodici puntate di Don't call it mystery, reperibile da noi sulla piattaforma a pagamento Viki, si intuisce che il nostro giovane protagonista è probabilmente affetto da un disturbo dello spettro autistico, anche se questo aspetto non è stato ancora del tutto chiarito. Tale patologia rende Totono distaccato ma anche molto tenero, diretto, attento e genuino nell’approcciarsi col prossimo.
Lui, infatti, ha una qualità innata tanto semplice quanto sopravvalutata ai più: quella di ascoltare sempre, con attenzione, quello che i suoi interlocutori gli dicono. Questo fa sì che egli riesca ad osservare i vari casi da un punto di vista differente, ragionare fuori dagli schemi, riuscendo in questo modo a notare quei piccoli ma fondamentali dettagli che sono sempre la chiave di volta per chiudere il caso in questione.

Sin dalla prima puntata si entra subito nel vivo dell’investigazione, lo spettatore fa la conoscenza di Totono -interpretato da un bravissimo Masaki Suda- in maniera alquanto bizzarra; cioè con l’arresto del giovane accusato di aver ucciso uno studente del campus che frequenta. Inizia così il suo primo caso da risolvere, in una sorta di botta e risposta che porterà il giovane studente non solo a difendersi ma anche a comprendere meglio tutto quello che lo circonda. Ma la cosa che sorprende maggiorante lo spettatore è quella che la maggior parte della puntata è ambientata nella sola stanza degli interrogatori, risultando comunque avvincente e per nulla noiosa.
Infatti, anche se buona parte dei casi siano svolti in ambienti pressoché chiusi e i dialoghi risultino particolarmente verbosi e veloci, la serie appare comunque estremamente godibile e per nulla difficoltosa. Questo è sicuramente un ulteriore punto a favore di questo live action che ha saputo arricchire la già buona storia del manga, rendendola ancora più dinamica, coinvolgente e “calorosa” -sì, perché risulta impossibile non legarsi ai suoi personaggi.

Le parti dove Totono interagisce con il resto del cast sono il vero punto forte di questo drama. Oltre ai poliziotti, con il quale si interfaccerà di frequente nel corso delle puntate, degni di nota risultano essere altri due importanti personaggi.
La prima è la misteriosa Raika -interpretata dalla bravissima Mugi Kadowaki, che qui davvero lascia lo spettatore a bocca aperta- personaggio con la quale Totono instaura un rapporto speciale e malinconico, mentre l’altro è Garo Inudō -interpretato dal valente Eita- una sorta di nemesi per il protagonista; i due sembrano stranamente legati l’uno all’altro in una sorta di amore/odio reciproco.

Nel corso dei vari episodi si alterneranno casi molto coinvolgenti, spesso anche legati tra loro in più episodi, che hanno davvero un buon ritmo, scandito benissimo sia dalla OST che dal montaggio. Vi sono, però, anche alcuni episodi -mi riferisco soprattutto agli ultimi- che seppur sviluppati egregiamente, posizionati alla fine della serie, tendono a frenare un po’ il ritmo incalzante della serie risultando ahimè “lenti”.
Tale frammentazione del ritmo si percepisce molto durante la visione il che ha reso gli ultimi episodi -almeno per me- non “consoni” a chiudere una serie che, fino a quel momento, coinvolge e lascia col fiato sospeso per tutto il tempo.

Don't call it mystery risulta essere in ogni modo un ottimo live action di tipo investigativo, che incuriosisce e incanta lo spettatore sin da subito grazie al suo atipico protagonista - alla quale ci si affeziona subito- e ad un folto e preparato cast di personaggi secondari che sono veri e propri coprotagonisti.
Ogni episodio è sapientemente narrato - sempre ricchi di colpi di scena e misteriose e imprevedibili rivelazioni- e il lavoro di sceneggiatura -a opera di Tomoko Aizawa- riesce a dare il giusto spazio a tutti i personaggi.
Il ritmo è ottimo, anche se tende a perdersi un poco verso il finale, come lo è anche la OST -che spazia da brani classici a brani moderni proprio come la theme song Chameleon eseguita dai King Gnu- che risultano solenni e dolci allo stesso tempo.

Essendo il manga ancora in corso di conseguenza anche il drama vive la stessa situazione, ma questo non è in assoluto un difetto. La serie, infatti, tende a chiudere tutti i casi presenti, oltre a dare le risposte alle domande che si pone, ma lascia comunque uno spiraglio atto a sviluppare e proseguire la serie in futuro.
Pertanto chi desidera godersi una serie investigativa un po’ diversa da solito dove l’azione non è tutto, non può che approcciarsi a questo live action che sa intrattenere e, a suo modo, far riflettere su temi e situazioni che non sempre sono quello che sembrano e dove la differenza tra bianco e nero non è mai così netta come si vuol far credere.