Recensione
Cowboy Bebop
10.0/10
Nota per i moderatori: questa recensione sostituisce la precedente.
"Non cerco vendetta, è già tanto difficile sopravvivere".
La tradizione letteraria italiana annovera al proprio interno autori di enorme calibro come Dante, Petrarca e Boccaccio, giusto per citarne alcuni, il cui magistero ha influenzato le generazioni future, fino ad arrivare ai giorni nostri. Questi scrittori, la cui fama ha valicato qualsiasi tipo di confine spaziale e temporale, ricoprono un ruolo talmente importante nella cultura italiana e mondiale che tutt'oggi influenzano opere letterarie e cinematografiche. Spesso e volentieri, però, ad essere ancora più determinanti sono quegli autori minori di cui molti ignorano addirittura l’esistenza, come Jacopo Sannazzaro, poeta napoletano la cui opera maggiore è “L'Arcadia", prosimetro pubblicato nel 1504. Il poema è ambientato in un mondo distopico lontano nello spazio e nel tempo, in cui i pastori vivono in totale armonia fra di loro e con la natura. Il protagonista della storia è Sincero, un arcade di origine napoletane che si è rifugiato in questo luogo per sfuggire all'inferno di Napoli, dove aveva amato una donna che lo ha tradito. Ed è proprio qui, in questo spazio in cui conduce una vita tranquilla e solitaria, che Sincero comprende quanto tutto questo non rappresenti ciò che egli realmente desidera; infatti, nel finale dell'opera, mosso dall'impossibilità di lasciar andare il proprio passato, Sincero torna a Napoli, dove viene a sapere che la donna da lui tanto amata è morta. Seguendo questa parabola discendente, si conclude la grande opera di Sannazzaro, che racconta quanto possa essere difficile sganciarsi definitivamente da un passato difficile e come l'unico modo per sconfiggerlo sia affrontarlo "vis à vis". Da queste considerazioni finali, inizia l'opera capolavoro di Shin'ichirō Watanabe, "Cowboy Bebop", serie televisiva animata andata in onda in Giappone tra il 1998 e il 1999 su TV Tokyo.
La storia ci proietta in un mondo futuristico non troppo lontano dal nostro, in cui la Terra non è più abitabile e l'essere umano ha cominciato a colonizzare altri pianeti, rendendo possibile i viaggi tra i corpi celesti grazie allo spazio a differenza di fase. Nonostante il notevole progresso fatto dall'umanità, però, continuano ad esistere organizzazioni mafiose e criminali, che la polizia cerca di tenere a bada anche grazie al lavoro dei cacciatori di taglie, uomini e donne pronti a tutto pur di ottenere la propria ricompensa, come Spike Spiegel e Jet Black. I due, al comando della loro astronave, il BeBop, si spostano di pianeta in pianeta per acciuffare i più pericolosi criminali della galassia e guadagnarsi da vivere. La loro è una vita avventurosa e monotona allo stesso tempo, che viene sferzata da una ventata di aria fresca quando al gruppo si aggiungono alcuni nuovi stravaganti membri: il Welsh Corgi Pembroke iper-intelligente Ein, la sensuale truffatrice indebitata fino al collo Faye Valentine e la geniale hacker Radical Edward. Così composta, la brigata si trova ad affrontare un gran numero di casi, spesso dall'esito deludente, che fanno inesorabilmente riemergere il loro passato oscuro e pieno di ombre. Ed è proprio il passato dei protagonisti, che riaffiora a poco a poco, a tessere il filo conduttore di un'opera dalla forte impronta filosofica, che introduce lo spettatore a temi delicati trattati con profonda saggezza.
Al momento in cui riscrivo – e ripubblico – questa recensione, ho da poco concluso il rewatch di “Cowboy Bebop”, che rientra a mani basse nella mia personalissima top tre anime. Per quel che mi riguarda, Watanabe ha creato un capolavoro assoluto, perfetto nella sua imperfezione. “Cowboy Bebop” è una serie adulta, che non sente la necessità di spiegare tutto per filo e per segno, perché nella vita bisogna anche saper leggere tra le righe. Dell’universo ideato dal geniale regista giapponese, si sa poco o nulla, se non che sono stati colonizzati molti altri pianeti del nostro sistema solare, ciononostante, proprio questo non detto riesce ad esercitare un fascino unico sullo spettatore. I personaggi, grande punto di forza dell’opera, non hanno bisogno di esternare i propri sentimenti, la maggior parte delle volte basta uno sguardo o un atteggiamento per capire cosa li turba o perplime. La stessa scelta di episodi dalla natura autoconclusiva, a mio avviso, eleva maggiormente l’opera, che non si serve di tutti i suoi ventisei episodi per raccontare la propria storia. “Cowboy Bebop” si prende il giusto tempo e numero di puntate per narrare il passato dei protagonisti, mostrare il loro presente e gettare uno sguardo sul futuro, ma allo stesso tempo si concede attimi di pausa, che hanno il grande pregio di riuscire ad esaltare quelli dal maggior impatto emotivo. Sarebbe da sciocchi pretendere una serie di venti e più episodi per raccontare solo ed esclusivamente la ‘lore’ e non accettare la presenza necessaria di episodi “filler”, termine che in alcun modo dovrebbe essere accostato a “Cowboy Bebop” e che, invece, in troppi utilizzano. La maturità di questo anime, però, risiede in tante altre cose. Nella regia impeccabile di Watanabe, che credo possa vantare l’incredibile record di zero inquadrature sbagliate nel computo totale di una serie televisiva animata. Nelle animazioni strabilianti di Toshihiro Kawamoto – padre, anche, del character design dell’opera –, che ha fatto dono ai posteri di un anime in grado di competere, tecnicamente, con quelli usciti a partire dagli anni 2000 in poi, nonostante “Cowboy Bebop” appartenga alla generazione precedente. Nelle musiche stupende di Yoko Anno e nelle OST a dir poco sensazionali dei Seatbelts, capaci di conferire una marcata impronta blues, folk e jazz alla serie, unica nel proprio genere. Soprattutto, però, la maturità è quella con cui i tre protagonisti adulti della serie affrontano i propri problemi, nonostante poi, al termine di questo reawatch, devo ammettere di aver rivalutato in positivo il personaggio di Ed – la cui scena di commiato mi ha incredibilmente emozionato –, che però non vanta il medesimo spessore dei suoi compagni di brigata.
Attenzione: questa parte contiene spoiler
Innanzitutto, c’è Jet Black, il comandante del BeBop e anche il primo a fare i conti con il proprio passato. Jet è un ex-poliziotto che ha finito col diventare cacciatore di taglie in seguito ad un "incidente" che gli ha procurato una vistosa cicatrice sull'occhio destro e la perdita del braccio sinistro, che ha sostituito con uno metallico. Jet è un uomo che credeva nell'amore e nell'amicizia, ma è stato brutalmente tradito, prima dal collega di lavoro e poi dalla compagna, che lo ha abbandonato lasciandogli come unico ricordo di sé un orologio da tasca. Jet conserva con affetto l'oggetto, nonostante non funzioni più, forse con la speranza che le lancette inizino a girare in senso antiorario, in modo da potergli restituire i giorni perduti, ma questa altro non è che una vana speranza. Eppure, durante uno dei suoi casi, Jet incontra finalmente Alisa, questo il nome della donna, e solamente dopo averla rivista per un’ultima volta e aver capito il motivo per cui lei lo aveva lasciato Jet riesce a liberarsi da quelle catene che da troppo tempo lo tenevano imprigionato. Il lancio a mare dell'orologio è la scena che sancisce l’affrancamento di Jet dal proprio passato.
"I nostri affetti sono l'ultima cosa bella che ci rimane".
Poi c'è Faye Valentine, la sensuale giocatrice d'azzardo che, per motivi inizialmente sconosciuti, è indebitata fino all'osso e perseguitata dai creditori. Faye è esuberante e presuntuosa, nonché egoista fino al midollo, e questo la porta a scontrarsi sul piano caratteriale con Spike e Jet. Abituata ad abbandonare prima di essere abbandonata, si rende conto ben presto di essersi affezionata a questi due, oltre che a Ed e Ein, che in questo mondo rappresentano l'unica famiglia che abbia mai avuto, o meglio di cui abbia ricordo. Sul passato di Faye, infatti, aleggia un’aria di mistero molto fitta, perché di quando era adolescente non rammenta nulla. Il passato comincia a riaffiorare nella sua mente nel momento in cui le viene recapitata una videocassetta di cui la lei negli anni dell'adolescenza è il soggetto il principale. Tutto questo le provoca un forte turbamento interiore, tant'è che Faye decide di abbandonare il BeBop per andare alla ricerca del proprio passato, che una volta ritrovato risulta essere più doloroso del previsto. Di quel poco che ricorda non è rimasto nulla e la speranza di un attimo prima deve fare posto ad una forte sensazione di solitudine e tristezza. Dopo avercela messa tutta per perseguire il proprio obiettivo, però, Faye è pronta a lasciar andare il passato, per poter tornare con la mente al presente e all'unica famiglia che riconosce come tale, la ciurma del BeBop.
Infine, impossibile non menzionare Spike Spiegel, ex-affiliato del Red Dragon, che ha deciso di abbandonare il mondo della criminalità organizzata per dedicarsi alla nobile arte del cacciatore di taglie. Spike è uomo che ha reciso i ponti con il proprio passato dopo esser stato tradito dalla donna amata. Egli è la figura perfetta dell'antieroe solo e rassegnato, che vive alla giornata senza preoccuparsi del proprio futuro e ritiene di essere già morto e di star semplicemente vivendo un sogno. Come per gli altri compagni, però, anche per lui il passato torna a galla e, quando quest'ultimo bussa alla sua porta, lui non può far altro che aprirgli. Gli incontri con Vicious prima e Julia poi lo invitano ad una definitiva resa dei conti, consapevole del fatto che potrà sentirsi veramente libero soltanto dopo essersi divincolato da questa morsa che lo tiene stretto da tanto, troppo tempo. L'incontro con Julia è di grande impatto emotivo per entrambi ed è ciò che conferisce a Spike la forza necessaria per affrontare Vicious in un sanguinoso duello finale. Lo scontro con il suo amico-rivale è la dimostrazione lampante di come egli sia ancora vivo, per quanto ancora imprigionato nel suo passato. Spike affronta a testa alta il proprio trascorso da mafioso, consapevole delle conseguenze che questo comporterà. Quel sorriso finale e beffardo stampato in volto è il simbolo di una libertà lungamente agognata e finalmente trovata, che fa piangere allo spettatore lacrime di immensa soddisfazione e profonda tristezza.
Fine parte contenente spoiler
Pet tutto quanto elencato finora, per la grandezza dei protagonisti, per i temi trattati e per la forte impronta filosofica, matura, psicologica ed esistenzialista che riflette sia gli attimi migliori che quelli peggiori della vita di cinque individui sperduti, io ritengo “Cowboy Bebop” un autentico capolavoro dell’animazione giapponese, che tutti quanti dovrebbero vedere almeno una volta nella propria vita.
“See you space cowboy...”
"Non cerco vendetta, è già tanto difficile sopravvivere".
La tradizione letteraria italiana annovera al proprio interno autori di enorme calibro come Dante, Petrarca e Boccaccio, giusto per citarne alcuni, il cui magistero ha influenzato le generazioni future, fino ad arrivare ai giorni nostri. Questi scrittori, la cui fama ha valicato qualsiasi tipo di confine spaziale e temporale, ricoprono un ruolo talmente importante nella cultura italiana e mondiale che tutt'oggi influenzano opere letterarie e cinematografiche. Spesso e volentieri, però, ad essere ancora più determinanti sono quegli autori minori di cui molti ignorano addirittura l’esistenza, come Jacopo Sannazzaro, poeta napoletano la cui opera maggiore è “L'Arcadia", prosimetro pubblicato nel 1504. Il poema è ambientato in un mondo distopico lontano nello spazio e nel tempo, in cui i pastori vivono in totale armonia fra di loro e con la natura. Il protagonista della storia è Sincero, un arcade di origine napoletane che si è rifugiato in questo luogo per sfuggire all'inferno di Napoli, dove aveva amato una donna che lo ha tradito. Ed è proprio qui, in questo spazio in cui conduce una vita tranquilla e solitaria, che Sincero comprende quanto tutto questo non rappresenti ciò che egli realmente desidera; infatti, nel finale dell'opera, mosso dall'impossibilità di lasciar andare il proprio passato, Sincero torna a Napoli, dove viene a sapere che la donna da lui tanto amata è morta. Seguendo questa parabola discendente, si conclude la grande opera di Sannazzaro, che racconta quanto possa essere difficile sganciarsi definitivamente da un passato difficile e come l'unico modo per sconfiggerlo sia affrontarlo "vis à vis". Da queste considerazioni finali, inizia l'opera capolavoro di Shin'ichirō Watanabe, "Cowboy Bebop", serie televisiva animata andata in onda in Giappone tra il 1998 e il 1999 su TV Tokyo.
La storia ci proietta in un mondo futuristico non troppo lontano dal nostro, in cui la Terra non è più abitabile e l'essere umano ha cominciato a colonizzare altri pianeti, rendendo possibile i viaggi tra i corpi celesti grazie allo spazio a differenza di fase. Nonostante il notevole progresso fatto dall'umanità, però, continuano ad esistere organizzazioni mafiose e criminali, che la polizia cerca di tenere a bada anche grazie al lavoro dei cacciatori di taglie, uomini e donne pronti a tutto pur di ottenere la propria ricompensa, come Spike Spiegel e Jet Black. I due, al comando della loro astronave, il BeBop, si spostano di pianeta in pianeta per acciuffare i più pericolosi criminali della galassia e guadagnarsi da vivere. La loro è una vita avventurosa e monotona allo stesso tempo, che viene sferzata da una ventata di aria fresca quando al gruppo si aggiungono alcuni nuovi stravaganti membri: il Welsh Corgi Pembroke iper-intelligente Ein, la sensuale truffatrice indebitata fino al collo Faye Valentine e la geniale hacker Radical Edward. Così composta, la brigata si trova ad affrontare un gran numero di casi, spesso dall'esito deludente, che fanno inesorabilmente riemergere il loro passato oscuro e pieno di ombre. Ed è proprio il passato dei protagonisti, che riaffiora a poco a poco, a tessere il filo conduttore di un'opera dalla forte impronta filosofica, che introduce lo spettatore a temi delicati trattati con profonda saggezza.
Al momento in cui riscrivo – e ripubblico – questa recensione, ho da poco concluso il rewatch di “Cowboy Bebop”, che rientra a mani basse nella mia personalissima top tre anime. Per quel che mi riguarda, Watanabe ha creato un capolavoro assoluto, perfetto nella sua imperfezione. “Cowboy Bebop” è una serie adulta, che non sente la necessità di spiegare tutto per filo e per segno, perché nella vita bisogna anche saper leggere tra le righe. Dell’universo ideato dal geniale regista giapponese, si sa poco o nulla, se non che sono stati colonizzati molti altri pianeti del nostro sistema solare, ciononostante, proprio questo non detto riesce ad esercitare un fascino unico sullo spettatore. I personaggi, grande punto di forza dell’opera, non hanno bisogno di esternare i propri sentimenti, la maggior parte delle volte basta uno sguardo o un atteggiamento per capire cosa li turba o perplime. La stessa scelta di episodi dalla natura autoconclusiva, a mio avviso, eleva maggiormente l’opera, che non si serve di tutti i suoi ventisei episodi per raccontare la propria storia. “Cowboy Bebop” si prende il giusto tempo e numero di puntate per narrare il passato dei protagonisti, mostrare il loro presente e gettare uno sguardo sul futuro, ma allo stesso tempo si concede attimi di pausa, che hanno il grande pregio di riuscire ad esaltare quelli dal maggior impatto emotivo. Sarebbe da sciocchi pretendere una serie di venti e più episodi per raccontare solo ed esclusivamente la ‘lore’ e non accettare la presenza necessaria di episodi “filler”, termine che in alcun modo dovrebbe essere accostato a “Cowboy Bebop” e che, invece, in troppi utilizzano. La maturità di questo anime, però, risiede in tante altre cose. Nella regia impeccabile di Watanabe, che credo possa vantare l’incredibile record di zero inquadrature sbagliate nel computo totale di una serie televisiva animata. Nelle animazioni strabilianti di Toshihiro Kawamoto – padre, anche, del character design dell’opera –, che ha fatto dono ai posteri di un anime in grado di competere, tecnicamente, con quelli usciti a partire dagli anni 2000 in poi, nonostante “Cowboy Bebop” appartenga alla generazione precedente. Nelle musiche stupende di Yoko Anno e nelle OST a dir poco sensazionali dei Seatbelts, capaci di conferire una marcata impronta blues, folk e jazz alla serie, unica nel proprio genere. Soprattutto, però, la maturità è quella con cui i tre protagonisti adulti della serie affrontano i propri problemi, nonostante poi, al termine di questo reawatch, devo ammettere di aver rivalutato in positivo il personaggio di Ed – la cui scena di commiato mi ha incredibilmente emozionato –, che però non vanta il medesimo spessore dei suoi compagni di brigata.
Attenzione: questa parte contiene spoiler
Innanzitutto, c’è Jet Black, il comandante del BeBop e anche il primo a fare i conti con il proprio passato. Jet è un ex-poliziotto che ha finito col diventare cacciatore di taglie in seguito ad un "incidente" che gli ha procurato una vistosa cicatrice sull'occhio destro e la perdita del braccio sinistro, che ha sostituito con uno metallico. Jet è un uomo che credeva nell'amore e nell'amicizia, ma è stato brutalmente tradito, prima dal collega di lavoro e poi dalla compagna, che lo ha abbandonato lasciandogli come unico ricordo di sé un orologio da tasca. Jet conserva con affetto l'oggetto, nonostante non funzioni più, forse con la speranza che le lancette inizino a girare in senso antiorario, in modo da potergli restituire i giorni perduti, ma questa altro non è che una vana speranza. Eppure, durante uno dei suoi casi, Jet incontra finalmente Alisa, questo il nome della donna, e solamente dopo averla rivista per un’ultima volta e aver capito il motivo per cui lei lo aveva lasciato Jet riesce a liberarsi da quelle catene che da troppo tempo lo tenevano imprigionato. Il lancio a mare dell'orologio è la scena che sancisce l’affrancamento di Jet dal proprio passato.
"I nostri affetti sono l'ultima cosa bella che ci rimane".
Poi c'è Faye Valentine, la sensuale giocatrice d'azzardo che, per motivi inizialmente sconosciuti, è indebitata fino all'osso e perseguitata dai creditori. Faye è esuberante e presuntuosa, nonché egoista fino al midollo, e questo la porta a scontrarsi sul piano caratteriale con Spike e Jet. Abituata ad abbandonare prima di essere abbandonata, si rende conto ben presto di essersi affezionata a questi due, oltre che a Ed e Ein, che in questo mondo rappresentano l'unica famiglia che abbia mai avuto, o meglio di cui abbia ricordo. Sul passato di Faye, infatti, aleggia un’aria di mistero molto fitta, perché di quando era adolescente non rammenta nulla. Il passato comincia a riaffiorare nella sua mente nel momento in cui le viene recapitata una videocassetta di cui la lei negli anni dell'adolescenza è il soggetto il principale. Tutto questo le provoca un forte turbamento interiore, tant'è che Faye decide di abbandonare il BeBop per andare alla ricerca del proprio passato, che una volta ritrovato risulta essere più doloroso del previsto. Di quel poco che ricorda non è rimasto nulla e la speranza di un attimo prima deve fare posto ad una forte sensazione di solitudine e tristezza. Dopo avercela messa tutta per perseguire il proprio obiettivo, però, Faye è pronta a lasciar andare il passato, per poter tornare con la mente al presente e all'unica famiglia che riconosce come tale, la ciurma del BeBop.
Infine, impossibile non menzionare Spike Spiegel, ex-affiliato del Red Dragon, che ha deciso di abbandonare il mondo della criminalità organizzata per dedicarsi alla nobile arte del cacciatore di taglie. Spike è uomo che ha reciso i ponti con il proprio passato dopo esser stato tradito dalla donna amata. Egli è la figura perfetta dell'antieroe solo e rassegnato, che vive alla giornata senza preoccuparsi del proprio futuro e ritiene di essere già morto e di star semplicemente vivendo un sogno. Come per gli altri compagni, però, anche per lui il passato torna a galla e, quando quest'ultimo bussa alla sua porta, lui non può far altro che aprirgli. Gli incontri con Vicious prima e Julia poi lo invitano ad una definitiva resa dei conti, consapevole del fatto che potrà sentirsi veramente libero soltanto dopo essersi divincolato da questa morsa che lo tiene stretto da tanto, troppo tempo. L'incontro con Julia è di grande impatto emotivo per entrambi ed è ciò che conferisce a Spike la forza necessaria per affrontare Vicious in un sanguinoso duello finale. Lo scontro con il suo amico-rivale è la dimostrazione lampante di come egli sia ancora vivo, per quanto ancora imprigionato nel suo passato. Spike affronta a testa alta il proprio trascorso da mafioso, consapevole delle conseguenze che questo comporterà. Quel sorriso finale e beffardo stampato in volto è il simbolo di una libertà lungamente agognata e finalmente trovata, che fa piangere allo spettatore lacrime di immensa soddisfazione e profonda tristezza.
Fine parte contenente spoiler
Pet tutto quanto elencato finora, per la grandezza dei protagonisti, per i temi trattati e per la forte impronta filosofica, matura, psicologica ed esistenzialista che riflette sia gli attimi migliori che quelli peggiori della vita di cinque individui sperduti, io ritengo “Cowboy Bebop” un autentico capolavoro dell’animazione giapponese, che tutti quanti dovrebbero vedere almeno una volta nella propria vita.
“See you space cowboy...”
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