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Avete visto “Sliding Doors”? L’idea di base è la stessa: universi paralleli.

Cosa succederebbe se ad un certo punto della tua vita mangi un takoyaki al posto di un onigiri?
Uno potrebbe dire “Niente”, ma sappiamo per intuizione che questo è falso: ad ogni decisione che prendiamo, il futuro cambia, e qui si innesta l’idea dell’autrice del romanzo da cui è tratta quest’opera (“Yomoji Otono”), la quale sostiene che ad ogni nostra scelta la realtà si biforca in due o più universi immaginari, tanti quanti sono le scelte che possiamo compiere. Di conseguenza, esistono allo stesso tempo infiniti universi immaginari.
L’idea non è nuova, ma per chi diversamente da me non ci ha mai riflettuto può sembrare campata in aria, anche se tentano nel film di dare una parvenza di possibilità teorica alla cosa. E come la maggior parte delle teorie funziona finché non è messa alla prova, cosa che dal punto di vista attuale non si può fare.

Ma passiamo al film, che non brilla né in bellezza né in bruttura, è un film intermedio dove tutto ha la sufficienza (teoria, sceneggiatura, personaggi, musiche...), ma che non ti dà il senso di compiutezza: esiste però un film gemello che io non ho visto e non so se, visti insieme, si completino.

Attenzione: la parte seguente contiene spoiler

Tutto parte dagli esperimenti di una coppia di genitori separati, i quali portano i rispettivi figli nel loro laboratorio specializzato in studi sulle realtà immaginarie. I due, in una di queste realtà, diventano amici (Hidaka e Shiori) e si vogliono sposare, ma lei muore... parte in questo universo il tentativo di Hidaka di salvarla, che dura tutta la sua vita. Esiste però un altro universo in cui il ragazzo si innamora e sposa Kazune.
Si hanno dunque a disposizione due storie diverse in base alle azioni di Shiori, una in cui lei è sullo sfondo, artefice di tutto, e una in cui lei compare all’inizio e poi non fa nulla, tranne scappare una volta da Kazune.

Il mio voto è un sette: non pieno, ma ho apprezzato il tentavo del regista Kenichi Kasai che, dopo aver debuttato con “Mirmo”, ha diretto opere diverse, a volte brutte come “Wolf Girl & Black Prince”, a volte più interessanti.