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9.0/10
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La prima cosa che mi ha incuriosito è il significato del titolo, composto da due parole molto semplici ma determinanti all'interno della serie.
"Cowboy" è riferito ai famosi personaggi western che hanno invaso la vita reale americana e poi il cinema con le loro strabilianti imprese. La scelta di riprendere queste figure pare un modo nostalgico di ricordare i pistoleri del far west in un'ambientazione solo in parte futuristica. Si parla del 2071 ma i paesaggi ricordano gli anni trenta del novecento. Soltanto le navicelle spaziali aiutano a focalizzare di più il futuro e meno la polvere del passato.
"Bebop" è un'onomatopea che imita una brevissima frase di due note, segnala la fine di un brano musicale. Da qui il nome di uno stile jazz diffuso in America negli anni '40, non solo musica ma anche stile di vita per i giovani della "beat generation". Per l'appunto l'anime in questione è sfumato da soundtrack jazz, blues, electronic music, realizzate dalla compositrice giapponese Yoko Kanno; inoltre il titolo di ogni episodio è riferito a una canzone o a un genere musicale. Il Bebop, in questo caso la nave spaziale dei protagonisti, vaga da un pianeta all'altro sostenuto da sublimi temi musicali.

Durante la visione della serie la prima impressione è quella di vedere tanti episodi autoconclusivi, mini avventure senza un apparente sviluppo narrativo. Impercettibile è la caratterizzazione dei personaggi che mano a mano aggiunge un tassello alla personalità del singolo che non fa mai gruppo. I cinque membri dell'equipaggio del Bebop sono i personaggi principali: anche se collaborano per incassare le taglie di delinquenti ricercati, in realtà ognuno di loro ha un mondo a sé. Spike, Jet, Faye, Ed e anche il piccolo Ein sono individui separati, con un passato diverso e travagliato che devono risolvere da soli. Sono una squadra esclusivamente per lavoro, ma quello che disarma è la sensazione di solitudine che provano. In loro però risiede la ricerca di affetto, di ritrovare la propria casa, una famiglia... la ricerca della felicità che non è sempre gratuita e scontata, anzi richiede sacrificio e soprattutto il rischio. La scelta di Spike di affrontare la sua vita senza coinvolgere i compagni di viaggio ne è la prova più evidente, come anche Faye che è tormentata da un passato che non riesce a ricordare e cerca, con numerose fughe solitarie, il suo luogo d' origine.

Quello che mi ha lasciato Watanabe è una malinconia esistenziale, attraverso un seguendo di momenti divertenti ma anche tristi. La gioia e la vera felicità, benché si ricerchino disperatamente, non sempre sono realizzabili nel concreto, ma sono più sensazioni di finto appagamento, come l'esperienza di vivere in un sogno.