Recensione
Rurouni Kenshin
4.0/10
Recensione di TheDemon8719
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Ah, Kenshin, un nome che riporta nella mia mente tanti di quei ricordi adolescenziali estivi che mi permetto di commuovermi un attimo. Okay, a posto così.
"Kenshin - Samurai Vagabondo" (Rurouni Kenshin) è un manga degli anni '90 creato dal signor Nobuhiro Watsuki, celebre per essere stato - proprio in quel periodo - il maestro di Oda, Mishima e Takei, tre autori che dopo pochi anni se ne sarebbero venuti fuori con delle hit spaventose (uno di sicuro). In Italia abbiamo potuto goderne prima dal 1998 al 2000 su Express, mitica rivista della Star Comics, e poi dal 2001 al 2003 in monografico su 28 tankobon.
La storia è quella di Kenshin Himura, samurai vagabondo che si aggira per il Giappone del 1878 (agli albori del periodo Meiji) per espiare il suo passato di sangue, violenza e morte. Durante il suo peregrinare incontrerà Kaoru Kamiya, proprietaria di un dojo caduto in rovina a causa della malavita: Kenshin la aiuterà a rimettere in piedi la palestra e rimarrà al suo fianco per tutta la storia, con conseguente nascita dell'ammmore.
Se c'è una cosa che non era Kenshin, era l'essere un manga storico e di samurai: dopo un buon inizio infatti, Watsuki ha deciso di passare ad una narrazione più da videogame (scontri di vari boss), accompagnata da dialoghi, tecniche e personaggi al limite del puerile, come un bambino quando gioca con i pupazzetti. Se nei primi sette numeri il dramma di Kenshin (proteggere gli innocenti, sconfiggere gli avversari senza causare spargimenti di sangue) era intrigante e affrontato anche in maniera interessante, dall'ottavo in poi si è fatto di tutto per disperdere quanto di buono era stato fatto inizialmente, dando spazio a melensità varie (incarnate da Kaoru) e banalità. Dici "e vabbè, che pretendi da uno shonen?": pretendo un minimo di dignità, e che delle buone basi non vengano demolite da 21 numeri di niente.
Ma porca miseria, non siamo qui a recensire manga, bensì pellicole uscite al cinematografo (nel Bel Paese chiaramente nisba, nada). Quindi. Nel 2012 fa capolino nelle sale "Rurouni Kenshin", prodotto nientemeno che dalla Warner Bros, e diretto da Keishi Ohtomo, uno che ti dirige drama per tutta la carriera e poi decide di fare il grande salto al cinema adattando personalmente il materiale.
<b>Il seguente paragrafo contiene spoiler</b>
La trama è identica alla parte iniziale del fumetto (quella di Kanryu, per intendersi), se non per alcuni dettagli non di chissà quale rilevanza. Ciò che viene effettivamente cambiato è il modo di gestire misteri e identità: se nel fumetto tutto accade in medias-res, nel film viene spiattellata ogni cosa, senza possibilità di lasciarti un attimo sorpreso da questo o quel fatto. Esempio: nel manga non sappiamo nulla di Kenshin se non che è un samurai errante, ha una misteriosa cicatrice a forma di croce sulla guancia sinistra e che porta con se una sakabato (katana dalla lama invertita), mentre sul suo passato sappiamo ben poco; dovremo andare avanti con la lettura per scoprire che Kenshin è il leggendario hitokiri Battosai. Nel film lo veniamo a sapere praticamente nella sequenza iniziale ambientata nel 1868, alla conclusione del conflitto che pose fine allo shogunato Tokugawa.
E questo è solo un esempio. Nelle due ore e un quarto che compongono la pellicola, sappiamo tutto subito, chi è chi, cosa fa, il suo passato, eccetera. Una svista che crea un forte handicap al film, risultando spesso noioso e prolisso.
Ecco, a proposito di noia. Voglio dirvi che la parte centrale è la cosa più noiosa che abbia visto negli ultimi tempi. Mi sono appisolato con tanti film (di azione), ma questo è diverso, questo è qualcosa che va oltre, un film che annoia ma che non ti abbiocca, così sei costretto a vedere tutto il secondo atto in un atto di forza notevole, perché si chiacchiera, si chiacchiera troppo e non succede nulla, perché tu spettatore in realtà già sai di cosa stanno parlando. E non c'è cosa peggiore dello spiegone dopo che hai visto quanto ti stanno dicendo.
Chiaramente un fatto del genere risulta criminale non solo nella gestione dello spettacolo, ma anche nell'economia del film, contribuendo a danneggiarlo. E lo dico in un certo senso "a malincuore", perché ci sono diverse cose da salvare in questo lungometraggio: per prima cosa i duelli all'arma bianca, ben coreografati, lunghi e appassionati (in una parola, soddisfacenti), senza poi cadere nell'oceano di cacchiate che è il manga, andando a denominare una tecnica ogni qualvolta venga usata. Poi la ricostruzione storica, niente di stupefacente in realtà, ma in grado di immergere i personaggi nel Giappone dell'800, senza tra l'altro risultare fasullo, nonostante la fedeltà visiva con la controparte cartacea (altro punto a favore). Voglio menzionare anche Takeru Sato, ovvero colui che interpreta Kenshin, che regge il ruolo del protagonista senza risultare fuori parte. In più, sempre a proposito di Kenshin, l'ho trovato molto meglio sviluppato rispetto al manga, dove il personaggio sembrava un attimo schizofrenico, mentre questa versione cinematografica lo rende più tridimensionale, un essere umano che ha provato nuovamente delle emozioni dopo averle represse e cancellate in favore di un futuro migliore. Nota: ricordo bene le motivazione del personaggio nel manga, ma l'ho sempre trovato non forzato, di più, e in ogni caso il Kenshin iniziale è da manicomio.
Insomma, una trasposizione fedele, una volta tanto anche meno fumettosa del solito, con delle gustose intuizioni, ma minata da una linearità troppo facilona, di quelle che ti scade potente la noia.
"Kenshin - Samurai Vagabondo" (Rurouni Kenshin) è un manga degli anni '90 creato dal signor Nobuhiro Watsuki, celebre per essere stato - proprio in quel periodo - il maestro di Oda, Mishima e Takei, tre autori che dopo pochi anni se ne sarebbero venuti fuori con delle hit spaventose (uno di sicuro). In Italia abbiamo potuto goderne prima dal 1998 al 2000 su Express, mitica rivista della Star Comics, e poi dal 2001 al 2003 in monografico su 28 tankobon.
La storia è quella di Kenshin Himura, samurai vagabondo che si aggira per il Giappone del 1878 (agli albori del periodo Meiji) per espiare il suo passato di sangue, violenza e morte. Durante il suo peregrinare incontrerà Kaoru Kamiya, proprietaria di un dojo caduto in rovina a causa della malavita: Kenshin la aiuterà a rimettere in piedi la palestra e rimarrà al suo fianco per tutta la storia, con conseguente nascita dell'ammmore.
Se c'è una cosa che non era Kenshin, era l'essere un manga storico e di samurai: dopo un buon inizio infatti, Watsuki ha deciso di passare ad una narrazione più da videogame (scontri di vari boss), accompagnata da dialoghi, tecniche e personaggi al limite del puerile, come un bambino quando gioca con i pupazzetti. Se nei primi sette numeri il dramma di Kenshin (proteggere gli innocenti, sconfiggere gli avversari senza causare spargimenti di sangue) era intrigante e affrontato anche in maniera interessante, dall'ottavo in poi si è fatto di tutto per disperdere quanto di buono era stato fatto inizialmente, dando spazio a melensità varie (incarnate da Kaoru) e banalità. Dici "e vabbè, che pretendi da uno shonen?": pretendo un minimo di dignità, e che delle buone basi non vengano demolite da 21 numeri di niente.
Ma porca miseria, non siamo qui a recensire manga, bensì pellicole uscite al cinematografo (nel Bel Paese chiaramente nisba, nada). Quindi. Nel 2012 fa capolino nelle sale "Rurouni Kenshin", prodotto nientemeno che dalla Warner Bros, e diretto da Keishi Ohtomo, uno che ti dirige drama per tutta la carriera e poi decide di fare il grande salto al cinema adattando personalmente il materiale.
<b>Il seguente paragrafo contiene spoiler</b>
La trama è identica alla parte iniziale del fumetto (quella di Kanryu, per intendersi), se non per alcuni dettagli non di chissà quale rilevanza. Ciò che viene effettivamente cambiato è il modo di gestire misteri e identità: se nel fumetto tutto accade in medias-res, nel film viene spiattellata ogni cosa, senza possibilità di lasciarti un attimo sorpreso da questo o quel fatto. Esempio: nel manga non sappiamo nulla di Kenshin se non che è un samurai errante, ha una misteriosa cicatrice a forma di croce sulla guancia sinistra e che porta con se una sakabato (katana dalla lama invertita), mentre sul suo passato sappiamo ben poco; dovremo andare avanti con la lettura per scoprire che Kenshin è il leggendario hitokiri Battosai. Nel film lo veniamo a sapere praticamente nella sequenza iniziale ambientata nel 1868, alla conclusione del conflitto che pose fine allo shogunato Tokugawa.
E questo è solo un esempio. Nelle due ore e un quarto che compongono la pellicola, sappiamo tutto subito, chi è chi, cosa fa, il suo passato, eccetera. Una svista che crea un forte handicap al film, risultando spesso noioso e prolisso.
Ecco, a proposito di noia. Voglio dirvi che la parte centrale è la cosa più noiosa che abbia visto negli ultimi tempi. Mi sono appisolato con tanti film (di azione), ma questo è diverso, questo è qualcosa che va oltre, un film che annoia ma che non ti abbiocca, così sei costretto a vedere tutto il secondo atto in un atto di forza notevole, perché si chiacchiera, si chiacchiera troppo e non succede nulla, perché tu spettatore in realtà già sai di cosa stanno parlando. E non c'è cosa peggiore dello spiegone dopo che hai visto quanto ti stanno dicendo.
Chiaramente un fatto del genere risulta criminale non solo nella gestione dello spettacolo, ma anche nell'economia del film, contribuendo a danneggiarlo. E lo dico in un certo senso "a malincuore", perché ci sono diverse cose da salvare in questo lungometraggio: per prima cosa i duelli all'arma bianca, ben coreografati, lunghi e appassionati (in una parola, soddisfacenti), senza poi cadere nell'oceano di cacchiate che è il manga, andando a denominare una tecnica ogni qualvolta venga usata. Poi la ricostruzione storica, niente di stupefacente in realtà, ma in grado di immergere i personaggi nel Giappone dell'800, senza tra l'altro risultare fasullo, nonostante la fedeltà visiva con la controparte cartacea (altro punto a favore). Voglio menzionare anche Takeru Sato, ovvero colui che interpreta Kenshin, che regge il ruolo del protagonista senza risultare fuori parte. In più, sempre a proposito di Kenshin, l'ho trovato molto meglio sviluppato rispetto al manga, dove il personaggio sembrava un attimo schizofrenico, mentre questa versione cinematografica lo rende più tridimensionale, un essere umano che ha provato nuovamente delle emozioni dopo averle represse e cancellate in favore di un futuro migliore. Nota: ricordo bene le motivazione del personaggio nel manga, ma l'ho sempre trovato non forzato, di più, e in ogni caso il Kenshin iniziale è da manicomio.
Insomma, una trasposizione fedele, una volta tanto anche meno fumettosa del solito, con delle gustose intuizioni, ma minata da una linearità troppo facilona, di quelle che ti scade potente la noia.