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<b>Attenzione: la recensione contiene lievi spoiler</b>

Mi piacerebbe iniziare questa recensione partendo da un piccolo e simpatico aneddoto. Nulla di epocale, sia chiaro, solo una piccola anticipazione prima della portata principale.
E' domenica, l'ultimo giorno in cui le sale cinematografiche nostrane trasmettono il chiacchieratissimo "Si alza il vento". Io, da buon ritardatario cronico, mi accingo ad assistere all'ultimo spettacolo disponibile. Seduto bello comodo sul mio posto, preparato mentalmente alla visione del film, capto per casualità (si fa per dire) l'accesa discussione tra una coppia sposata. Sono seduti nei posti accanto ai miei. Lui, evidentemente adirato, continua a lamentarsi del fatto che non volesse assolutamente vedere un "cartone animato per bambini"; lei, adirata almeno quanto lui, gli ripete altrettante volte di "darsi una benedetta calmata". La cosa continua per un po' fino a quando le luci si spengono e, finalmente, il film comincia.
Piccolo salto temporale, quasi due ore e mezza dopo, sempre la stessa coppia. Luci accese, titoli di coda. Il marito si gira verso la moglie e guardandola sorridente le dice: "Bellissimo."

Ora, c'è un perché ho scelto proprio questo aneddoto per dare vita alla mia recensione; quale sia? Ci arriverò tra un po'.
Prendiamo invece un giro largo e parliamo di Hayao Miyazaki. Certo, perché senza di lui le cose sarebbero molto diverse. Non ci sarebbero i suoi film, non ci sarebbe lo studio Ghibli, non ci sarebbero le colonne sonore dei suoi film, non ci sarebbero dibattiti riguardo alla bellezza delle sue pellicole, insomma, il mondo sarebbe sicuramente più povero senza la sua presenza. Sulla sua intera produzione cinematografica non mi esprimerò in questo luogo, non è su quello che verte la mia recensione. Eppure, vi pongo una semplice domanda: "Sareste contenti di vivere in un mondo in cui "Mononoke Hime", "Laputa", "Porco rosso", "Kiki", "La città incantata", "Il castello errante di Howl", "Ponyo", "Nausicaa", "Lupin III", "Totoro" non esistono? Chiedetevi solamente questo.
In ogni caso, tornando a noi, nel 2013 il bianco e barbuto regista annuncia alla Mostra di Venezia che il suo ultimo film, "Si alza il vento", segnerà il suo addio al palcoscenico. Il suo addio al grande schermo, il suo ultimo regalo al mondo. E, a mio parere, non poteva esserci saluto migliore.
Sì, perché "Kaze Tachinu" racchiude in sé tutta l'essenza delle opere di Miyazaki, tutti quei temi che il regista ha sempre cercato di inserire e sviluppare nei propri film.

L'ultima fatica di Miyazaki parte proprio con la sua più grande passione: il volo. Già dalla primissima scena, nella quale assistiamo a uno dei tanti sogni ad occhi (aperti) chiusi di Jiro, sarà il desiderio di volare a farla da padrona.
Da misteriose isole fluttuanti a biciclette aereodinamiche, da scope stregate ad ali piumate, la volontà di librarsi in aria ha sempre accompagnato tutti lungometraggi di Miyazaki. Ed è proprio in "Si alza il vento" che questo leitmotiv avrà la sua massima espressione. Qui non verrà più usato come tematica sognatrice, come uno dei tanti desideri che riempivano i cuori delle sue passate creazioni. La vita di Jiro si basa proprio su questo; il suo obbiettivo è quello di creare un suo areoplano perfetto (certo, gli aerei preferirebbe guidarli, ma la miopia non gli dà scampo), di poter finalmente rendere quello che fino ad ora era un semplice desiderio realtà. "Si alza il vento" rappresenta in un certo senso la concretizzazione dell'immaginazione. Finalmente il volo verrà realizzato con qualcosa di attendibile, un aeroplano, e tutta quella sfera che da sempre faceva una sua comparsa nelle pellicole di Miyazaki ha finalmente raggiunto una sua dimensione concreta e reale. Non più un sogno, ma (dura) realtà.
In generale, tutto il film è concreto. Non fraintendetemi, non sto dicendo che sia una storia in tutto e per tutto realistica e realizzabile, ha sicuramente le sue parti oniriche e cariche di simbolismi; va però ammesso che rispetto a tutto ciò che di Miyazaki abbiamo potuto vedere, "Si alza il vento" è senza ombra di dubbio l'opera più realistica. Un realismo che giova moltissimo alla pellicola; sin dall'inizio della sua avventura Jiro sarà costretto ad affrontare avversità che non provengono da esseri incantati o da chissà cosa, ma dalla Terra e dall'uomo. Splendida la scena che fa rivivere il Grande Terremoto del Kanto, altrettanto suggestivi i brevi passaggi in cui ci vengono mostrati bombardamenti aerei, bombardamenti che non sono altro che la conseguenza del duro lavoro dei progettisti come Jiro. Sì, perché il sogno del protagonista non è tutto luccicante, ma nasconde anche i suoi lati oscuri. Gli effetti che gli aeroplani portarono alla guerra furono devastanti, migliaia e migliaia di morti, e tutti coloro che li creavano erano ben consapevoli di cosa stessero facendo. E allora ecco che la dimensione del sogno e della vita si scontra con quella malvagia della guerra, in un mondo crudele in cui anche perseguire il proprio obiettivo può causare morte e distruzione.
E di fatto in tutto il film saranno presenti critiche, come solito del regista, alla società. Dalla povertà dei bambini ai lati delle strade, dalla mentalità chiusa e ottenebrata dei regimi dittatoriali, dalla discriminazione femminile, in ogni dove Miyazaki inserisce qualcosa su cui lo spettatore deve interrogarsi. E come ho già detto precedentemente, in un'atmosfera decisamente più realistica rispetto alle sue precedenti opere, ciò è reso alla perfezione.

Vi è poi la strana e controversa storia d'amore tra Jiro e la giovane Nahoko; tralasciando per un attimo l'incredibile rapidità con cui i due si innamorano, la cosa più interessante qui è il modo in cui viene raccontata la storia tra i due protagonisti. Oltre ad essere carica di una tragicità palpabile, dovuta alla malattia incurabile di Nahoko, è pregna di quella inevitabilità del destino così dura da accettare e che mai prima d'ora era affiorata nelle opere del regista. In tutte le sue pellicole i personaggi, soprattutto i bambini, erano sempre riusciti con le proprie capacità, con la propria anima, a cambiare la loro vita e il mondo che li circondava. Qui invece Jiro è inerme di fronte all'ostacolo della malattia, e anche quando riuscirà finalmente a raggiungere il tanto agognato obiettivo, nulla potrà impedire la perdita dell'amata. Il destino, per Jiro e Nahoko, non può essere modificato.

Ora, se il film raccoglie tutti i punti forti di Miyazaki, per controbilanciare va detto che ne è anche ricettacolo di tutti i suoi persistenti difetti.
Prima su tutte la noia che assale in certe sequenze: troppo allungate, a volte ci sono attimi di silenzio che avrebbero anche un loro perché se posti in un momento di riflessione, ma invece se ne abusa, e il tutto diventa solo più snervante.
Ci sono poi le situazioni troppo affrettate, come il già citato innamoramento tra Jiro e Nahoko, che sicuramente alleggeriscono la storia ma che la privano di moltissimo appeal e che negano ai personaggi una loro caratterizzazione approfondita. Perché sono tutti personaggi accattivanti, certo, poetici, ma sono i loro pensieri e i loro obbiettivi ad essere i veri protagonisti, non loro in quanto persone. Una maggior introspezione non avrebbe certo guastato; effettivamente va anche considerato che si tratta di un lungometraggio e non di una serie lunga, quindi è un difetto accettabile tutto sommato.

Ma allora, come lo valuto questo film?
Ed ecco che mi riallaccio al piccolo aneddoto che vi ho raccontato all'inizio di questo sproloquio. Per me "Si alza il vento" è la giusta conclusione della carriera di Miyazaki. E' un film con tantissimi pregi e qualche difetto, è un film che in due ore e mezza racconta il regista, è un film che nel suo realismo riesce a far sognare anche noi. E' un film che, nonostante tu non voglia guardarlo, nonostante tu stia urlando a tua moglie che i "cartoni animati per bambini" non fanno per te, apprezzerai. Perché è una storia di vita, una storia di mondo, una storia di volo, d'amore, di malattia, una bella storia. Ed è quello che basta per farti sorridere, dentro e fuori.