Recensione
"Karigurashi no Arrietty" è un lungometraggio del celebre Studio Ghibli che narra le vicende della piccola Arrietty e della sua famiglia: essi sono delle piccole persone alte pochi centimetri che vivono "prendendo in prestito" piccole cose dagli umani, come ad esempio una zolletta di zucchero e un po' di cibo. Essi vivono in una casa di campagna ormai quasi del tutto disabitata.
A portare scompiglio ci pensa l'arrivo di Sho, un bambino arrivato dalla città che tra pochi giorni dovrà subire un complicato intervento chirurgico ed è venuto in campagna per respirare l'aria pulita. Dopo qualche peripezia, Arrietty e Sho si incontrano, e tra loro inizia a crearsi un forte sentimento, ma pare proprio che il destino e la differenza di "dimensioni" tra i due facciano di tutto per tenerli lontani...
"Karigurashi no Arrietty" è sicuramente un prodotto d'eccellenza, sia per soggetto che per il comparto tecnico, ma non è (a differenza di altri lavori dello Studio Ghibli) del tutto impeccabile nella sceneggiatura e nei ritmi narrativi.
Partiamo da questo, che forse è l'unico aspetto problematico del film: i tempi non sono del tutto ben gestiti, ci sono dei tempi più morti, più dilatati del necessario e altre parti a cui magari sarebbe servita più attenzione. "Si perde molto tempo" per descrivere la famiglia di Arrietty, che in tutta la vicenda, invece, gioca il ruolo meno interessante, in quanto sono i personaggi più stereotipati: la tipica famiglia che è terrorizzata dal diverso, non vuole, non accetta, non capisce, non si preoccupa neanche di sforzarsi di comprendere la diversità e le buone intenzioni (in questo caso di Sho, che cerca di aiutarli). Ma è pur sempre la sua famiglia, e quindi Arrietty vuole bene comunque ai suoi genitori ottusi, e quest'affetto li colloca in una zona grigia in cui lo spettatore non può né odiarli né apprezzarli, e rimangono confinati lì, a sprecare pellicola e a non maturare durante tutto il film.
D'altro canto, ci sono degli ostacoli oggettivi a separare Arrietty e Sho, come la malattia di quest'ultimo, che è davvero un impedimento insormontabile, ma che fornisce anche al film il suo momento più triste e carico di speranza. Arrietty e Sho, infatti, cambiano, lei da dura, inizia a provare affetto nei confronti del ragazzo, e lui di contro inizia finalmente ad avere delle speranze per il proprio futuro, ma tutti gli altri personaggi restano gretti, immobili, rinchiusi in quelle due cose che per loro sono importanti, senza preoccuparsi degli altri (la domestica di Sho ha come solo obiettivo quello di trovare la famiglia di Arrietty e... Boh, sterminarli? Rinchiuderli? Mentre i genitori della protagonista come dicevo capiscono solo il fatto che devono scappare dagli umani).
<b>Questa parte può contenere qualche spoiler</b>
Il finale è duro, ruvido, la conciliazione che poteva e doveva esserci non sembra arrivare, e viene sprecata un'occasione per mandare un messaggio importante.
La sua durezza sta proprio nel fatto che, se il finale stesso sembra rendere tutto vano (avete presente quei momenti in cui uno pensa "che ho guardato a fare questo film?"), invece è proprio lì quello che è il senso del film, e cioè il cambiamento dei protagonisti, che si avviano ad affrontare la propria vita con rinnovato coraggio.
Una scelta triste, che forse solo un pubblico più adulto e disincantato può accettare pienamente.
A parte questo, il comparto tecnico è di prim'ordine.
I colori sono brillanti e le animazioni ottime, come tipico dello Studio Ghibli. Belli anche i personaggi e tutto il resto.
Ovviamente, la storia e l'ambientazione di per sé non offrono gli spunti per sfondali ricchi come ne "La città incantata", ma non manca la cura maniacale e mai fuori posto per i dettagli a cui lo Studio ci ha abituati.
Bene anche dal punto di vista delle musiche, veramente straordinarie e perfettamente adatte alla storia, soprattutto le parti cantate.
Infine, venendo alle note dolenti, il doppiaggio e l'adattamento italiano.
C'è solo una parola per descrivere l'adattamento della maggior parte dei film dello Studio Ghibli in italiano: raccapricciante.
Trovo davvero raccapricciante la scelta di vocaboli desueti e cacofonici invece che parole di uso comune che rendano i dialoghi veloci e facilmente fruibili da chiunque. Perché questo italiano artefatto? Nessuno parla veramente in questo modo! Perché frapporre tra lo spettatore e il film un'ulteriore barriera (oltre a quella culturale, anche se nel caso specifico di Arrietty i riferimenti alla società giapponese sono quasi inesistenti) con questa patina di italiano stantio e fuori posto?
Per fare un esempio, giuro di aver visto almeno tre volte la scena in cui viene spiegato com'è composta la famiglia di Sho: non sono riuscita a capire le parentele.
Non lo so, se è il voler essere fedeli all'originale (cosa che riesce male), il voler dare una particolarità al prodotto... Non lo so veramente, fatto sta che è il colpo di grazia.
Stesso discorso per "Il castello errante di Howl" e altri film dello Studio Ghibli, che per me diventano davvero faticosi da seguire e risultano penalizzati dall'adattamento italiano.
Certamente non il film più bello dello Studio Ghibli, ma comunque un bellissimo film d'animazione, sicuramente da vedere almeno una volta.
A portare scompiglio ci pensa l'arrivo di Sho, un bambino arrivato dalla città che tra pochi giorni dovrà subire un complicato intervento chirurgico ed è venuto in campagna per respirare l'aria pulita. Dopo qualche peripezia, Arrietty e Sho si incontrano, e tra loro inizia a crearsi un forte sentimento, ma pare proprio che il destino e la differenza di "dimensioni" tra i due facciano di tutto per tenerli lontani...
"Karigurashi no Arrietty" è sicuramente un prodotto d'eccellenza, sia per soggetto che per il comparto tecnico, ma non è (a differenza di altri lavori dello Studio Ghibli) del tutto impeccabile nella sceneggiatura e nei ritmi narrativi.
Partiamo da questo, che forse è l'unico aspetto problematico del film: i tempi non sono del tutto ben gestiti, ci sono dei tempi più morti, più dilatati del necessario e altre parti a cui magari sarebbe servita più attenzione. "Si perde molto tempo" per descrivere la famiglia di Arrietty, che in tutta la vicenda, invece, gioca il ruolo meno interessante, in quanto sono i personaggi più stereotipati: la tipica famiglia che è terrorizzata dal diverso, non vuole, non accetta, non capisce, non si preoccupa neanche di sforzarsi di comprendere la diversità e le buone intenzioni (in questo caso di Sho, che cerca di aiutarli). Ma è pur sempre la sua famiglia, e quindi Arrietty vuole bene comunque ai suoi genitori ottusi, e quest'affetto li colloca in una zona grigia in cui lo spettatore non può né odiarli né apprezzarli, e rimangono confinati lì, a sprecare pellicola e a non maturare durante tutto il film.
D'altro canto, ci sono degli ostacoli oggettivi a separare Arrietty e Sho, come la malattia di quest'ultimo, che è davvero un impedimento insormontabile, ma che fornisce anche al film il suo momento più triste e carico di speranza. Arrietty e Sho, infatti, cambiano, lei da dura, inizia a provare affetto nei confronti del ragazzo, e lui di contro inizia finalmente ad avere delle speranze per il proprio futuro, ma tutti gli altri personaggi restano gretti, immobili, rinchiusi in quelle due cose che per loro sono importanti, senza preoccuparsi degli altri (la domestica di Sho ha come solo obiettivo quello di trovare la famiglia di Arrietty e... Boh, sterminarli? Rinchiuderli? Mentre i genitori della protagonista come dicevo capiscono solo il fatto che devono scappare dagli umani).
<b>Questa parte può contenere qualche spoiler</b>
Il finale è duro, ruvido, la conciliazione che poteva e doveva esserci non sembra arrivare, e viene sprecata un'occasione per mandare un messaggio importante.
La sua durezza sta proprio nel fatto che, se il finale stesso sembra rendere tutto vano (avete presente quei momenti in cui uno pensa "che ho guardato a fare questo film?"), invece è proprio lì quello che è il senso del film, e cioè il cambiamento dei protagonisti, che si avviano ad affrontare la propria vita con rinnovato coraggio.
Una scelta triste, che forse solo un pubblico più adulto e disincantato può accettare pienamente.
A parte questo, il comparto tecnico è di prim'ordine.
I colori sono brillanti e le animazioni ottime, come tipico dello Studio Ghibli. Belli anche i personaggi e tutto il resto.
Ovviamente, la storia e l'ambientazione di per sé non offrono gli spunti per sfondali ricchi come ne "La città incantata", ma non manca la cura maniacale e mai fuori posto per i dettagli a cui lo Studio ci ha abituati.
Bene anche dal punto di vista delle musiche, veramente straordinarie e perfettamente adatte alla storia, soprattutto le parti cantate.
Infine, venendo alle note dolenti, il doppiaggio e l'adattamento italiano.
C'è solo una parola per descrivere l'adattamento della maggior parte dei film dello Studio Ghibli in italiano: raccapricciante.
Trovo davvero raccapricciante la scelta di vocaboli desueti e cacofonici invece che parole di uso comune che rendano i dialoghi veloci e facilmente fruibili da chiunque. Perché questo italiano artefatto? Nessuno parla veramente in questo modo! Perché frapporre tra lo spettatore e il film un'ulteriore barriera (oltre a quella culturale, anche se nel caso specifico di Arrietty i riferimenti alla società giapponese sono quasi inesistenti) con questa patina di italiano stantio e fuori posto?
Per fare un esempio, giuro di aver visto almeno tre volte la scena in cui viene spiegato com'è composta la famiglia di Sho: non sono riuscita a capire le parentele.
Non lo so, se è il voler essere fedeli all'originale (cosa che riesce male), il voler dare una particolarità al prodotto... Non lo so veramente, fatto sta che è il colpo di grazia.
Stesso discorso per "Il castello errante di Howl" e altri film dello Studio Ghibli, che per me diventano davvero faticosi da seguire e risultano penalizzati dall'adattamento italiano.
Certamente non il film più bello dello Studio Ghibli, ma comunque un bellissimo film d'animazione, sicuramente da vedere almeno una volta.