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Certi film possono essere definiti come un viaggio sulle montagne russe, poiché non hanno un significato: semplicemente non si può fare altro che sedersi e guardare il film. Altri, al contrario, rappresentano un giro per il motivo opposto, perché non si capisce proprio quale sia il senso della storia, e si viene spiazzati di continuo, poiché le nostre interpretazioni si rivelano, costantemente, inesatte.

Tale è il caso di “Lupin e la lampada d’Aladino”. Come inizio non ci sono dubbi, con il nostro che galoppa sul cammello alla ricerca della misteriosa lampada da regalare a... non ve lo dico. Ma, trovato il genio, scopriremo come sia di muliebre aspetto e che voglia qualcosa in cambio per realizzare il desiderio! Lupin dovrà rinunciare a metà della propria vita. Peccato che tale metà non sia quello che un fan di “Death Note” penserebbe. Inizia così una serie di scene che sembrano ricordare “Cinderella Boy”. Per poi ritrovarci alla caccia di un feroce scienziato senza scrupoli, deciso a portare la pace nel mondo con le sue ricerche sulla memoria e il condizionamento mentale. Tale è la trama, per sommi capi, e, senza ‘spoilerare’ troppo, di questo film.

La grafica, la regia e il character design sono buoni e le musiche valide. Personalmente, sono rimasto piacevolmente impressionato, dato che i continui cambi di rotta sono stati davvero spiazzanti ma anche molto digeribili, e hanno permesso, a mio avviso, di evitare la monotonia sempre possibile in un film di Lupin. Fujiko, viceversa, sarà doppiogiochista e odiosa come non mai. Personalmente, ho sempre detestato il suo comportamento, ma in questo film è davvero insopportabile. Inoltre non posso non considerare come le tematiche ricordino molto il secondo volume della trilogia eterna di Joe Haldeman, intitolato, appunto, “Pace eterna”. Passare dal classicissimo Aladino alla fantascienza estrema non è certo cosa da poco.

In definitiva, siamo in presenza di un buon film, con discreti spunti filosofici, per cui un sette si può dare tranquillamente.