Recensione
Inuyashiki Last Hero
5.0/10
Attenzione: la recensione contiene spoiler
Ora, cominciare un anime e crederlo meglio di quello che è, per poi finirlo ridendo o commentando scene che poi si avverano con una meccanica prevedibile, è quanto di peggio possa accadere. E vedere in esso ombre di anime migliori e più potenti fa comprendere che, o il manga è stato mal trasposto, o tutto l’impianto sia nato su un’idea controcorrente e tutto sommato non pessima, ma che sia scaduto come una di quelle lattine tutte rugginose che solo un coraggioso può aprire.
La vicenda incrocia i destini di due personaggi all’opposto: da una parte c’è un giovanotto senza scrupoli che, per difendere se stesso e chi ama, non si fa problemi a danneggiare gli altri; dall’altra c’è un uomo che si considera finito a livello umano, lavorativo e famigliare, che non vede più orizzonte davanti a sé, ma solo un baratro atroce. Questi due solitari si incontrano in una collina, ma, a seguito di un’esplosione, succede loro qualcosa di incredibile: muoiono, assumendo un corpo nuovo, potente, con poteri inimmaginabili. Durante la vicenda i due verranno ripresi, descritti, osservati nel loro capire che poteri hanno e riscoprirsi umani a modo loro. E la loro ricerca di sé li porta, com’era ovvio supporre, agli antipodi di una scelta. Purtroppo la parte narrativa non è capace di rendere davvero quanto ho descritto sopra.
Negli episodi si alternano le vicende del primo, portatore dell’idea di eroe puro e vendicatore giusto, capace di commuoversi davanti alle disgrazie delle persone che non può aiutare, e Hiro, un giovanotto che, se ha scrupoli, li ha solo per le persone a lui vicine, e usa quanto sa per il bene solo se guidato da, guarda caso, donne forti mentalmente (anche se l’apparenza inganna). Probabilmente in Hiro c’è un conflitto latente con gli altri, che non lo hanno mai giudicato positivamente o che non hanno mai toccato la sua anima al di la dello snobismo di facciata che lo rendeva desiderabile ma dentro acido e fragilissimo. E la fragilità si può trasformare in aggressività da belva ferita. E c’è da dire, di ferite ne subisce molte. I suoi gesti sono sanguinari, le sue azioni violente, fuori scala, esagerate, megalomani, pure troppo per l’anime stesso, perché lui non ragiona, è una belva assassina e se cambia, lo sa solo diavolo perché lo fa.
Purtroppo, volendo l’anime rimarcare la differente dirittura morale ed etica dei due, tende a santificare il primo, rendendolo a volte oltremodo impotente e sciocco e guida-dipendente (da Ando, un ragazzino pure lui), portatore poi di valori famigliari e di padre, malgrado in famiglia non valesse poi molto a livello umano, mentre Hiro figura come un anti-eroe alla Light Yagami, ma senza la folle profondità del celebre protagonista. Le sue azioni paiono più dettate dalla disperazione di non esistere agli occhi degli altri e, per quanto lo si arrivi ad odiare per la sua fredda capacità di uccidere, si intuisce sempre un moto eccessivo di sangue e pietà nei suoi confronti.
È però un’americanata, un polpettone indigeribile e indigesto, una banalità narrativa e descrittiva dei personaggi patetica e troppo baroccamente prevedibile.
Si intuisce fin da subito che ci sarà uno scontro finale, e che avverrà solo quando Inuyashiki diverrà forte di una giustizia che maturerà in lui sconfiggendo il grigiore dell'impiegato senza giovinezza, quando cioè, abbraccerà l’idea di fare l’eroe. Probabilmente questo scontro avrà luogo per altri due assiomi, americani, per giunta: quando il villain sfugge al controllo delle armi della polizia tipo rambo e se i civili tacciono, serve un eroe e quando minaccia come un sadico qualunque di voler distruggere il paese, così, perché, poverino, si sentiva un cattivo incompreso e vessato.
Lo scontro finale è pietoso, lungo, con una CGI imbarazzante, tragedie, lacrime, un “salvami” patetico, messo là a svegliare l’eroe. E quando termina e pare che siamo alla fine di una via crucis banalissima (non per nulla la Marvel sta perdendo incassi per i suoi film): il cattivo scompare, il buono viene giustamente riconsiderato da una figlia che ha scoperto in maniera fortuita che il suo grigissimo e fallito padre è un’eroe. Mi ricordava, la scena, superman e Lois in un grattacielo americano. E allora la famiglia si fa le gite in allegria perché un padre-macchina-non vivo è comunque un eroe ed è tornato umano! Patetismo a palate!
Se non fosse per il meteorite, che risponde ad una domanda banale sorta da problemi banali dell’anime: che ci facciamo di questi due in una società pacificata? Dato che Inuyashiki ha fatto il suo, Hiro ha dato ma ha perso, ma sono ancora vivi e non è giusto che abbiano il monopolio della forza, come liberarsi di loro? Ebbene, serve un asteroide! La fine è dunque patetica, peggio della parte precedente, con lacrime pilotate, sacrifici dovuti e bla bla bla, una di quelle banalità così potenti da pensare che, se il materiale fosse stato gestito con meno pacchianeria, qualcosa di buono ne sarebbe emerso, ma, è evidente, il mondo ha bisogno di eroi a gettone.
In questo girotondo di santi, peccatori, vittime e carnefici, emergono i personaggi con timidezza e superficialità, come se la narrazione fosse stata a galla fortunatamente, senza riuscire a pescare in profondità in tematiche che potevano essere più toccate, ad esempio il linciaggio mediatico, la solitudine dell’impiegato a lavoro, la considerazione poco rispettosa, che poi ricade sui figli, di un uomo che si è fatto il mazzo tutta la vita ma che a casa vale meno di zero. Immagino che la stessa condotta di Hiro rappresenti la distruttività dolorosa di un giovane che non trova spazio in una società impietosa e che lo rende carnefice, come l’abbandono umano di Inuyashiki possa leggersi come il sintomo della stessa società che getta alla sua periferia, quasi come un rifiuto, colui che più le ha dato, perché non si è tenuto al passo con i tempi. Anche il padre di Hiro pare farne parte, di questa società che provoca nel figlio un malessere esistenziale distruttivo. Purtroppo siamo sulla superficie e tutte le mie belle disquisizioni si perdono in personaggi che sono ritagliati col cartone e messi la in equilibrio su una lingua ripiegata del materiale stesso: se ci giri attorno, c’è il marrone della sagoma e la piattezza mentale, morale, caratteriale.
Partiamo da Inuyashiki: come il ragazzo, parla poco perché la sua famiglia lo considera grigio e invisibile. Il suo unico interlocutore, cane a parte, è l’amico di Hiro, che lo instrada verso l’uso più consapevole dei suoi poteri. Non essendo tecnologico, ma un immigrato digitale, Inuyashiki farà i suoi primi tentativi con tenerezza (cantando astro boy per alzarsi in volo, ad esempio) o dovrà essere guidato da Ando nell’usare quella tecnologia che lui fatica anche solo a concepire. Il suo modo di combattere è altruistico e per nulla sanguinario. Anche quando agirà da vendicatore contro la yakuza, lo farà dopo aver a lungo subìto e agirà senza la violenza che ci si aspetterebbe.
Inuyashiki ha l’idea romantica dell’eroe e quindi ad ogni gatto sull’albero, ad ogni incendio in una casa, ad ogni rapina o rapimento. Il suo obbligo morale è salvare chiunque, purché respiri, altrimenti ci piange. È il classico eroe inflazionato, che aspetta che i cattivi agiscano (e tanto) per mettersi all’opera, pare materia inerme che risponde tardi alle sollecitazioni di un nemico che lui sente acerrimo. Ecco, lui incarna la lentezza della giustizia (seppur corra più che può se uno pensa che ha l’assassino in casa) ed è un movimento così bradipico che Hiro lo riconoscerà come nemico solo molto più tardi, gettando all’aria la tensione del riconoscimento reciproco pure tra l’eroe e il suo villain e generando così un’inutile attesa di una tensione giusta e crescente, vanificando la caccia del gatto (male in arnese) col topo (pericoloso e nevrotico).
Hiro è l’antieroe figo (scusate il francesismo!), che, grazie al suo essere smaliziato e alla tecnologia che invade la sua vita, è perfettamente consapevole dei suoi poteri. È colui che ha pochi legami e deboli, la cui forza è talmente limitata da intaccare poco il suo senso morale, che è tutto un programma: per lui è lecito rubare o guarire, uccidere o proteggere, il tutto dipende dal momento e dalla forza di una situazione, che fa deflagrare nel suo animo tendenze opposte. Uno dei grossi problemi di un villain come Hiro, è che non parla, fatica a comunicare. Se lo fa è quasi impossibile capire le sue motivazioni, schizzato com'è. Sa solo che il mondo lo odia, e, come tale, è suo nemico. È un anti-eroe depresso, bipolare, afasico, che genera rifiuto e pena, le cui colpe si mescolano a quelle di chi non l’ha saputo fermare e quindi, in generale, alla stessa società verso cui si rivolta. Società colpevole di averlo cresciuto nel suo grembo, e male; società colpevole di averlo gettato in pasto ai media e ai social; società, infine, incapace di fermare la furia omicida che ha scatenato e che chiede aiuto ad un altro reietto per fermarlo. È la sconfitta della società giapponese, creare mostri (ma qui sono stati gli alieni! Poco credibile la storia!) e non sapere cosa farsene.
Abbiamo la famiglia voltagabbana di Inuyashiki, pure lei plagiata dalla società che vede nel grigio impiegato il suo fallimento, pure come genitore (non a caso alla figlia importerà l’opinione del padre solo dopo, così come alla moglie) e la madre di Hiro, pure lei uno scarto della società (tanto che sì, la si poteva mettere alla gogna, tanto…) e la ragazza che lo fa “Tornare buono”, con la sua nonna, pure loro reiette e sole, tanto da appoggiarsi senza problemi ad un serial killer. È da dire che, nella sua disperazione verso l’abisso, la ragazza è incredibilmente forte, più forte di Hiro. La stessa ragazza non avrà paura di morire, perché, sentendosi già perduta, si attaccherà come una cozza a Hiro, pure lui condannato al nulla, ormai estraneo alla società che lo bracca, tanto, carogna lei, da prendersela pure con dei civili (sempre donne poi). La stessa forza di polizia si dimostra incapace e pasticciona: prende di mira i civili, gli spara addosso sapendo che non serve. Almeno in Ajin c’era il cervellone che teorizzava come fermare questi super-poterati… qui è il far west o il tiro a segno masochista (per chi spara).
È quindi, per me, un grande affresco tragico, che vede in azione un piccolo teatro dei mostri, che, per una tragica vicenda, vengono elevati come poveri protagonisti. Ma nessuno vince, tutti perdono ma non lo sanno, perché in una società così ingiusta e matrigna, pure starci dentro è morire, come persone e verso le altre persone.
Ando è quel personaggio che fa da trait d’union, l’intoccabile, quel diabolico figuro che, con una moralità giusta, con l’età sbagliata, tradirà il cattivo per aiutare l’incapace buono e pure lui, tanto per ridircela, è un reietto (rischia di diventare un neet), ironia della sorte, che Hiro cerca di difendere, anche da se stesso, senza mai pensare nemmeno di ucciderlo. Deve essere brutto fare così pietà da non essere considerati nemmeno carne da macello o oggetti di vendetta.
L’ambientazione è la grande città, troppo grande per questi due protagonisti, diventati cyborg in una circostanza troppo curiosa e con poteri troppo grandi per restare in “vita”. Il fatto di poter uccidere tramite lo schermo è scenografico, nulla da dire, o quello di far precipitare aerei o risanare miracolosamente le gente… troppo di tutto, davvero.
Grafica dei personaggi dai tratti molto forti e quindi benissimo per la diversa caratterizzazione che viene data, a livello visivo (diversamente da anime in cui cambiano i capelli o gli occhi, ma fondamentalmente sono tutti uguali). La grafica dà inoltre grande espressività ai personaggi, anche fino alla giusta sgradevolezza. Ambientazioni curatissime, con un bell’innesto di CGI (a volte calcano la mano, ma pazienza), cura per i fondali di cieli con scorci ben caratterizzati a livelli di interni e di esterni.
L’opening bella potente, rappata, “My Hero" dei Man with a mission e l’ending, "Ai wo Oshiete Kureta Kimi e" di Qaijff , cantata da una bella voce femminile, dalla sonorità malinconica, graficamente molto caratteristica, in bianco e nero, sono apprezzabili.
Concludendo, quest’anime parte in modo originale ma perde in una narrazione che, cercando di mettere a confronto due improbabili antagonisti senza mai bilanciarli bene, finisce col perdere sullo sfondo sia le persone a loro vicine (che diventano il pretesto per) o i fatti più grandi (e vediamo le forze di polizia incapaci e nemmeno rappresentate), per poi tirare fuori dal cilindro un conigliaccio per liberarsi dei due, diventati troppo scomodi (o l’autore del manga ha fatto meglio o non aveva altre buone idee, ma dopo gli alieni, ci stava pure l'asteroide, no?). Emerge proprio poco, a parte l’americanata dell’eroe che più in profondità non va, con una logica schiacciante e favolistica: il buono resta buono, il cattivo si ravvede. Voto basso per una performance scadente.
Ora, cominciare un anime e crederlo meglio di quello che è, per poi finirlo ridendo o commentando scene che poi si avverano con una meccanica prevedibile, è quanto di peggio possa accadere. E vedere in esso ombre di anime migliori e più potenti fa comprendere che, o il manga è stato mal trasposto, o tutto l’impianto sia nato su un’idea controcorrente e tutto sommato non pessima, ma che sia scaduto come una di quelle lattine tutte rugginose che solo un coraggioso può aprire.
La vicenda incrocia i destini di due personaggi all’opposto: da una parte c’è un giovanotto senza scrupoli che, per difendere se stesso e chi ama, non si fa problemi a danneggiare gli altri; dall’altra c’è un uomo che si considera finito a livello umano, lavorativo e famigliare, che non vede più orizzonte davanti a sé, ma solo un baratro atroce. Questi due solitari si incontrano in una collina, ma, a seguito di un’esplosione, succede loro qualcosa di incredibile: muoiono, assumendo un corpo nuovo, potente, con poteri inimmaginabili. Durante la vicenda i due verranno ripresi, descritti, osservati nel loro capire che poteri hanno e riscoprirsi umani a modo loro. E la loro ricerca di sé li porta, com’era ovvio supporre, agli antipodi di una scelta. Purtroppo la parte narrativa non è capace di rendere davvero quanto ho descritto sopra.
Negli episodi si alternano le vicende del primo, portatore dell’idea di eroe puro e vendicatore giusto, capace di commuoversi davanti alle disgrazie delle persone che non può aiutare, e Hiro, un giovanotto che, se ha scrupoli, li ha solo per le persone a lui vicine, e usa quanto sa per il bene solo se guidato da, guarda caso, donne forti mentalmente (anche se l’apparenza inganna). Probabilmente in Hiro c’è un conflitto latente con gli altri, che non lo hanno mai giudicato positivamente o che non hanno mai toccato la sua anima al di la dello snobismo di facciata che lo rendeva desiderabile ma dentro acido e fragilissimo. E la fragilità si può trasformare in aggressività da belva ferita. E c’è da dire, di ferite ne subisce molte. I suoi gesti sono sanguinari, le sue azioni violente, fuori scala, esagerate, megalomani, pure troppo per l’anime stesso, perché lui non ragiona, è una belva assassina e se cambia, lo sa solo diavolo perché lo fa.
Purtroppo, volendo l’anime rimarcare la differente dirittura morale ed etica dei due, tende a santificare il primo, rendendolo a volte oltremodo impotente e sciocco e guida-dipendente (da Ando, un ragazzino pure lui), portatore poi di valori famigliari e di padre, malgrado in famiglia non valesse poi molto a livello umano, mentre Hiro figura come un anti-eroe alla Light Yagami, ma senza la folle profondità del celebre protagonista. Le sue azioni paiono più dettate dalla disperazione di non esistere agli occhi degli altri e, per quanto lo si arrivi ad odiare per la sua fredda capacità di uccidere, si intuisce sempre un moto eccessivo di sangue e pietà nei suoi confronti.
È però un’americanata, un polpettone indigeribile e indigesto, una banalità narrativa e descrittiva dei personaggi patetica e troppo baroccamente prevedibile.
Si intuisce fin da subito che ci sarà uno scontro finale, e che avverrà solo quando Inuyashiki diverrà forte di una giustizia che maturerà in lui sconfiggendo il grigiore dell'impiegato senza giovinezza, quando cioè, abbraccerà l’idea di fare l’eroe. Probabilmente questo scontro avrà luogo per altri due assiomi, americani, per giunta: quando il villain sfugge al controllo delle armi della polizia tipo rambo e se i civili tacciono, serve un eroe e quando minaccia come un sadico qualunque di voler distruggere il paese, così, perché, poverino, si sentiva un cattivo incompreso e vessato.
Lo scontro finale è pietoso, lungo, con una CGI imbarazzante, tragedie, lacrime, un “salvami” patetico, messo là a svegliare l’eroe. E quando termina e pare che siamo alla fine di una via crucis banalissima (non per nulla la Marvel sta perdendo incassi per i suoi film): il cattivo scompare, il buono viene giustamente riconsiderato da una figlia che ha scoperto in maniera fortuita che il suo grigissimo e fallito padre è un’eroe. Mi ricordava, la scena, superman e Lois in un grattacielo americano. E allora la famiglia si fa le gite in allegria perché un padre-macchina-non vivo è comunque un eroe ed è tornato umano! Patetismo a palate!
Se non fosse per il meteorite, che risponde ad una domanda banale sorta da problemi banali dell’anime: che ci facciamo di questi due in una società pacificata? Dato che Inuyashiki ha fatto il suo, Hiro ha dato ma ha perso, ma sono ancora vivi e non è giusto che abbiano il monopolio della forza, come liberarsi di loro? Ebbene, serve un asteroide! La fine è dunque patetica, peggio della parte precedente, con lacrime pilotate, sacrifici dovuti e bla bla bla, una di quelle banalità così potenti da pensare che, se il materiale fosse stato gestito con meno pacchianeria, qualcosa di buono ne sarebbe emerso, ma, è evidente, il mondo ha bisogno di eroi a gettone.
In questo girotondo di santi, peccatori, vittime e carnefici, emergono i personaggi con timidezza e superficialità, come se la narrazione fosse stata a galla fortunatamente, senza riuscire a pescare in profondità in tematiche che potevano essere più toccate, ad esempio il linciaggio mediatico, la solitudine dell’impiegato a lavoro, la considerazione poco rispettosa, che poi ricade sui figli, di un uomo che si è fatto il mazzo tutta la vita ma che a casa vale meno di zero. Immagino che la stessa condotta di Hiro rappresenti la distruttività dolorosa di un giovane che non trova spazio in una società impietosa e che lo rende carnefice, come l’abbandono umano di Inuyashiki possa leggersi come il sintomo della stessa società che getta alla sua periferia, quasi come un rifiuto, colui che più le ha dato, perché non si è tenuto al passo con i tempi. Anche il padre di Hiro pare farne parte, di questa società che provoca nel figlio un malessere esistenziale distruttivo. Purtroppo siamo sulla superficie e tutte le mie belle disquisizioni si perdono in personaggi che sono ritagliati col cartone e messi la in equilibrio su una lingua ripiegata del materiale stesso: se ci giri attorno, c’è il marrone della sagoma e la piattezza mentale, morale, caratteriale.
Partiamo da Inuyashiki: come il ragazzo, parla poco perché la sua famiglia lo considera grigio e invisibile. Il suo unico interlocutore, cane a parte, è l’amico di Hiro, che lo instrada verso l’uso più consapevole dei suoi poteri. Non essendo tecnologico, ma un immigrato digitale, Inuyashiki farà i suoi primi tentativi con tenerezza (cantando astro boy per alzarsi in volo, ad esempio) o dovrà essere guidato da Ando nell’usare quella tecnologia che lui fatica anche solo a concepire. Il suo modo di combattere è altruistico e per nulla sanguinario. Anche quando agirà da vendicatore contro la yakuza, lo farà dopo aver a lungo subìto e agirà senza la violenza che ci si aspetterebbe.
Inuyashiki ha l’idea romantica dell’eroe e quindi ad ogni gatto sull’albero, ad ogni incendio in una casa, ad ogni rapina o rapimento. Il suo obbligo morale è salvare chiunque, purché respiri, altrimenti ci piange. È il classico eroe inflazionato, che aspetta che i cattivi agiscano (e tanto) per mettersi all’opera, pare materia inerme che risponde tardi alle sollecitazioni di un nemico che lui sente acerrimo. Ecco, lui incarna la lentezza della giustizia (seppur corra più che può se uno pensa che ha l’assassino in casa) ed è un movimento così bradipico che Hiro lo riconoscerà come nemico solo molto più tardi, gettando all’aria la tensione del riconoscimento reciproco pure tra l’eroe e il suo villain e generando così un’inutile attesa di una tensione giusta e crescente, vanificando la caccia del gatto (male in arnese) col topo (pericoloso e nevrotico).
Hiro è l’antieroe figo (scusate il francesismo!), che, grazie al suo essere smaliziato e alla tecnologia che invade la sua vita, è perfettamente consapevole dei suoi poteri. È colui che ha pochi legami e deboli, la cui forza è talmente limitata da intaccare poco il suo senso morale, che è tutto un programma: per lui è lecito rubare o guarire, uccidere o proteggere, il tutto dipende dal momento e dalla forza di una situazione, che fa deflagrare nel suo animo tendenze opposte. Uno dei grossi problemi di un villain come Hiro, è che non parla, fatica a comunicare. Se lo fa è quasi impossibile capire le sue motivazioni, schizzato com'è. Sa solo che il mondo lo odia, e, come tale, è suo nemico. È un anti-eroe depresso, bipolare, afasico, che genera rifiuto e pena, le cui colpe si mescolano a quelle di chi non l’ha saputo fermare e quindi, in generale, alla stessa società verso cui si rivolta. Società colpevole di averlo cresciuto nel suo grembo, e male; società colpevole di averlo gettato in pasto ai media e ai social; società, infine, incapace di fermare la furia omicida che ha scatenato e che chiede aiuto ad un altro reietto per fermarlo. È la sconfitta della società giapponese, creare mostri (ma qui sono stati gli alieni! Poco credibile la storia!) e non sapere cosa farsene.
Abbiamo la famiglia voltagabbana di Inuyashiki, pure lei plagiata dalla società che vede nel grigio impiegato il suo fallimento, pure come genitore (non a caso alla figlia importerà l’opinione del padre solo dopo, così come alla moglie) e la madre di Hiro, pure lei uno scarto della società (tanto che sì, la si poteva mettere alla gogna, tanto…) e la ragazza che lo fa “Tornare buono”, con la sua nonna, pure loro reiette e sole, tanto da appoggiarsi senza problemi ad un serial killer. È da dire che, nella sua disperazione verso l’abisso, la ragazza è incredibilmente forte, più forte di Hiro. La stessa ragazza non avrà paura di morire, perché, sentendosi già perduta, si attaccherà come una cozza a Hiro, pure lui condannato al nulla, ormai estraneo alla società che lo bracca, tanto, carogna lei, da prendersela pure con dei civili (sempre donne poi). La stessa forza di polizia si dimostra incapace e pasticciona: prende di mira i civili, gli spara addosso sapendo che non serve. Almeno in Ajin c’era il cervellone che teorizzava come fermare questi super-poterati… qui è il far west o il tiro a segno masochista (per chi spara).
È quindi, per me, un grande affresco tragico, che vede in azione un piccolo teatro dei mostri, che, per una tragica vicenda, vengono elevati come poveri protagonisti. Ma nessuno vince, tutti perdono ma non lo sanno, perché in una società così ingiusta e matrigna, pure starci dentro è morire, come persone e verso le altre persone.
Ando è quel personaggio che fa da trait d’union, l’intoccabile, quel diabolico figuro che, con una moralità giusta, con l’età sbagliata, tradirà il cattivo per aiutare l’incapace buono e pure lui, tanto per ridircela, è un reietto (rischia di diventare un neet), ironia della sorte, che Hiro cerca di difendere, anche da se stesso, senza mai pensare nemmeno di ucciderlo. Deve essere brutto fare così pietà da non essere considerati nemmeno carne da macello o oggetti di vendetta.
L’ambientazione è la grande città, troppo grande per questi due protagonisti, diventati cyborg in una circostanza troppo curiosa e con poteri troppo grandi per restare in “vita”. Il fatto di poter uccidere tramite lo schermo è scenografico, nulla da dire, o quello di far precipitare aerei o risanare miracolosamente le gente… troppo di tutto, davvero.
Grafica dei personaggi dai tratti molto forti e quindi benissimo per la diversa caratterizzazione che viene data, a livello visivo (diversamente da anime in cui cambiano i capelli o gli occhi, ma fondamentalmente sono tutti uguali). La grafica dà inoltre grande espressività ai personaggi, anche fino alla giusta sgradevolezza. Ambientazioni curatissime, con un bell’innesto di CGI (a volte calcano la mano, ma pazienza), cura per i fondali di cieli con scorci ben caratterizzati a livelli di interni e di esterni.
L’opening bella potente, rappata, “My Hero" dei Man with a mission e l’ending, "Ai wo Oshiete Kureta Kimi e" di Qaijff , cantata da una bella voce femminile, dalla sonorità malinconica, graficamente molto caratteristica, in bianco e nero, sono apprezzabili.
Concludendo, quest’anime parte in modo originale ma perde in una narrazione che, cercando di mettere a confronto due improbabili antagonisti senza mai bilanciarli bene, finisce col perdere sullo sfondo sia le persone a loro vicine (che diventano il pretesto per) o i fatti più grandi (e vediamo le forze di polizia incapaci e nemmeno rappresentate), per poi tirare fuori dal cilindro un conigliaccio per liberarsi dei due, diventati troppo scomodi (o l’autore del manga ha fatto meglio o non aveva altre buone idee, ma dopo gli alieni, ci stava pure l'asteroide, no?). Emerge proprio poco, a parte l’americanata dell’eroe che più in profondità non va, con una logica schiacciante e favolistica: il buono resta buono, il cattivo si ravvede. Voto basso per una performance scadente.