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"Midnight Diner" è una serie del 2009 suddivisa in tre stagioni (fino al 2014) che ha avuto un successo piuttosto elevato in Estremo Oriente tanto da ricevere anche un film nel 2015.
Nel 2016 la nota piattaforma streaming mondiale ha prodotto con l'emittente giapponese la quarta stagione rendendola disponibile in tutto il mondo ed è stata seguita da una ulteriore serie del 2019 con il titolo di "Midnight Diner: Tokyo Stories".
Da quanto appreso la serie è tratta dal manga di Yarō Abe che ad oggi non ho ancora letto e pertanto non posso esprimermi in merito ad eventuali confronti e commenti a riguardo.

In "Midnight Diner: Tokyo Stories" gli elementi per appassionarmi potenzialmente sono in gran parte presenti: l'ambientazione cittadina (Tokyo) notturna; un Izakaya (locale tipico giapponese in cui si servono bevande accompagnate da cibo simil osteria o pub britannico) con un titolare del locale che serve da bere e pietanze ai suoi avventori ascoltandone le classiche storie di vita di tutti i giorni di gente "semplice" alle prese con le tipiche difficoltà di come sbarcare il lunario o interagire con familiari e conoscenti; storie, anche malinconiche, con un grande fondo di verità e verosimiglianza con ciò che uno spettatore può vivere. Il tutto narrato in quell'atmosfera "rarefatta" e "sospesa" della notte in cui sembra più semplice mettere a nudo pensieri, emozioni, sensazioni, sentimenti davanti ad una buona bevanda o ad un gustoso piatto tradizionale.

Vedendo i vari episodi, ho potuto apprezzare quanto una realtà così lontana come il Giappone, con le sue tradizioni e visione della vita così lontane e diverse dalle nostre, sia invece così simile nell'approccio alla esistenza una volta tolta la "maschera" che ciascuno dei personaggi deve indossare nelle normali interazioni sociali e lavorative "diurne" (che in Giappone sono molto formali al limite dell'ipocrisia).

Molto apprezzabile il tono e il ritmo "rilassato" della tavola calda, che oltre a mettere a suo agio gli avventori, trasmette un senso di relax in cui il caos e la frenesia della vita quotidiana resta chiuso al di fuori della porta scorrevole del locale che rappresenta un vero e proprio "porto franco", una specie di oasi in cui gli avventori fanno una sorta di decompressione e condividono, oltre ai piaceri della tavola, anche le proprie storie, frustrazioni, momenti di gioia e dolore, le questioni irrisolte, eccetera...
E il cibo rappresenta il "trait d'union" perfetto tra le storie di vita e la realtà: non a caso i piatti piuttosto semplici serviti dallo chef-master del locale richiamano i ricordi legati all'infanzia, ad una persona cara o amata, e ciò rappresenta sicuramente il maggior punto di forza della serie che unisce la storia ad un piatto tipico in ogni episodio, inclusa la spiegazione minuziosa della relativa preparazione. E sfido chiunque a non aver mai avuto un ricordo o mai vissuto una situazione che sia collegata ad un evento e ad un piatto apprezzato che rammentiamo ciclicamente come deja-vu in modo molto nostalgico.

A livello recitativo spicca in tutta la sua bravura l'attore interprete del titolare dell'Izakaya: un viso da personaggio "periferico", con quella cicatrice che gli solca il viso dalla fronte alla guancia passando per l'occhio sinistro, un'espressività molto nipponica carica di quella composta e comunque umana comprensione e gentilezza tanto lontana dalla chiassosa affabilità, tutta mediterranea, cui siamo abituati noi italiani nell'accedere ad un locale simile dalle nostre parti.
Livello attoriale che invece contrasta con quello dei vari personaggi che, episodio dopo episodio, popolano l'Izakaya anche a causa delle storie raccontate che, in alcuni casi, mi sono sembrate un po' sopra le righe e, tutto sommato, banali e sciocche per il livello dei live action giapponesi che ho avuto modo di vedere fino ad oggi.
La loro recitazione l'ho percepita come eccessivamente caricaturale, a causa di personaggi dalle reazioni puerili, grottesche e sconfinanti spesso anche nel demenziale. Non entro nel merito per non creare il minimo spoiler, ma in più di un episodio mi sono infastidito ad assistere a scene e a recitazioni che in un certo senso non riesco a concepire neanche in una commedia demenziale tipo i nostri b-movie anni 70 e 80.
Non riesco a credere che certi personaggi possano essere reali: mi sta bene il classico personaggio dello "scemo del paese", ma vederne così tanti, e tutti concentrati in una serie, rende il tutto un po' troppo surreale.

In ogni caso è una serie che merita la visione per l'atmosfera che fa respirare, per le storie tipo "di paese", "slice of life", così lontane da drammoni o da situazioni fin troppo filosofiche intrise di dolce tristezza e intimismo cui la cultura giapponese ci ha abituato con tante opere cinematografiche.
Sicuramente si tratta di una serie che va vista con il cosiddetto "mood e approccio" corretti per non incorrere in una cocente delusione.