Recensione
Ponyo sulla scogliera
9.0/10
Recensione di joseph1111
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Ogni volta che uno dei tuoi miti, che si tratti di musica, cinema, pittura o animazione, decide di scendere nuovamente in campo bisogna prodursi in uno sforzo non indifferente per cercare di non giudicare il nuovo lavoro sotto la lente di inevitabile benevolenza frutto del passato.
Allo stesso tempo sappiamo quanto sia difficoltoso e raro riuscire a ripetersi e a mantenere certi livelli di eccellenza precedentemente raggiunti.
Detto questo cercherò di essere il più obiettivo possibile nell’analisi dell’ultima creazione del Maestro Miyazaki , Ponyo.
Innanzi tutto è un piacere constatare come l’adattamento italiano sia finalmente a livelli consoni al livello di eccellenza del film. In più di un’occasione traspare l’attenzione e la competenza con la quale è stata realizzata. Ad esempio per chi avesse anche solo un’infarinatura di giapponese non potrebbe non notare alcune chicche a riguardo come la pronuncia di Sosuke, Sòske, o la presenza del suffisso –chan, che implica maggiore affetto tra due persone rispetto a –san.
Altra nota di merito per il doppiaggio italiano che mantiene standard qualitativi molto buoni, anche grazie alla partecipazione di elementi quali Massimo Corvo (il padre di Ponyo), voce, ad esempio, di Gendo Hikari in Evangelion.
Entrando nel merito del giudizio del film bisogna premettere che esso,come più volte dichiarato da Miyazaki, è nato e cresciuto con la finalità di riuscire a creare una storia che potesse essere compresa in toto anche, e soprattutto, da un bambino di 5 anni, la stessa età cioè dei protagonisti: Sosuke e, ovviamente, la nostra Ponyo.
Per questo motivo il film presenta una trama molto semplice e lineare. Sostanzialmente Ponyo è la storia di una ragazzina/pesce, una sorta di rivisitazione della sirenetta di Andersen, che dopo essere entrata in contatto in maniera fortuita con Sosuke, un bambino che abita in una casa su una scogliera con la madre Risa, decide di volere diventare una ragazzina a tutti gli effetti.
Grazie a dei suoi poteri innati Ponyo riesce a trasformarsi e a raggiungere Sosuke sulla terraferma, dove viene accolta con amore e gentilezza.
Nonostante le inevitabili vicissitudini che si succedono, il film non punta la propria attenzione sull’azione pura, bensì pone in primo piano le relazioni tra i protagonisti e i loro sentimenti reciproci che vengono descritti in maniera esemplare nonostante la semplicità inevitabile dei dialoghi.
La caratteristica principale di Ponyo è appunto quella di trattare temi profondi con assoluta semplicità,intento nel quale, come è ben noto, solo i grandi Maestri possono riuscire.
Quella che infatti potrebbe essere facilmente confusa come un’involuzione nel modo di trattare temi classici della poetica di Miyazaki, come il tema ambientale ad esempio, deve essere al contrario vista come la volontà di far giungere certi messaggi oltre che a tutti noi, soprattutto ad un bambino, e cioè a colui che scriverà il suo ed il nostro futuro.
Ponyo sembra trarre molti, se non tutti, gli elementi e le esperienze delle precedenti creazioni di Miyazaki per distillarne, alla stessa stregua delle pozioni magiche presenti nel film, poche gocce concentrate di saggezza, che solo l’infinita onestà intellettuale e l’innata coerenza che da sempre caratterizzano i lavori del Maestro possono dare.
I parallelismi e gli spunti che si possono notare infatti con i precedenti film non sono pochi. Ad esempio del lontano Conan si ritrova lo stesso amore innocente tra due bambini. Da Nausicaa arrivano gli echi del monito sullo sfruttamento indiscriminato della natura e la figura della Madre del Mare (Gran Mammare) richiama in maniera esplicita il Dio della Foresta della principessa Mononoke.
Ma come detto precedentemente Ponyo riesce a farci percepire quelli stessi temi con pochi accenni, con una semplice frase o semplicemente tramite il solo disegno.
E proprio il disegno rappresenta uno dei punti di forza di questo film: dopo le mirabolanti e scintillanti realizzazioni grafiche de “La città Incantata” e de “Il Castello errante di Howl”, delle vere e proprie “prove di forza” in tal senso ottenute anche grazie all’implementazione digitale, seppur ottimamente mascherate, il Dottor Hayao decide di tornare al “manuale”, realizzando un’opera in totale controtendenza, in barba a tutte le produzioni Pixar-mode del momento tese oramai a stupire a livello grafico lasciando sempre più alla banalità le sceneggiature e i dialoghi. (Sono lontani i tempi in cui Toy Story 2 veniva candidato all’oscar come migliore sceneggiatura).
Ciò che colpisce l’occhio dello spettatore fin dalle prime scene sottomarine dense di centinaia di meduse danzanti è il tratto molto più fumettistico e impreciso, quasi appunto a volersi immedesimare nel mondo infantile dei personaggi.
Sfondi indeterminati, quasi schizzati alle volte, fanno da cornice a personaggi sempre e comunque splendidamente realizzati oltre che animati in modo magistrale, come da abitudine dello Studio Ghibli.
Rimarrà per sempre indimenticabile il mare di Ponyo: un mare vivo, tanto da avere gli occhi, con le onde più blu, grosse e avvolgenti che la storia delle animazioni ricordi.
Miyazaki riesce tra l’altro a sviluppare un tema a lui da sempre congeniale, quello del volo, anche in un ambiente totalmente marino riuscendo a muovere le sue fantasiose macchine subacquee, le barche e le creature marine come se stessero “volando” dimostrando per l’ennesima volta la sua proverbiale padronanza nel rendere l’effetto della leggiadria.
In Ponyo però la natura non viene rappresentata solo in maniera idealizzata e bucolica ma, come nelle scene dello tsunami e della tempesta, si racconta anche il suo lato più violento e temibile, di fronte al quale l’uomo è impotente e inerme.
Il messaggio del rispetto della natura e della sua cura da parte dell’uomo potrà forse sembrare datato e scontato, un messaggio di cui non sappiamo che fare chiusi nei nostri uffici supertecnologici, nelle nostre auto con sempre più palloni gonfiabili per sopravvivere agli scontri frontali, nelle nostre case alveari ermeticamente chiuse all’altro, all’estraneo.
Ed invece la semplicità di quel messaggio è disarmante nella sua inconfutabile verità, nel suo invito a tornare a “toccare” la natura, a sentirla nostra, oltre che dei nostri figli.
Ponyo è la riscoperta delle piccole cose e della loro fondamentale importanza del vivere serenamente: è la dolcezza di un bicchiere di tè col miele, è il sapore del prosciutto nel panino, è assaporare l’attesa prima di un ramen bollente, è la bellezza di poter correre e sentire il vento sul viso.
L’ultima creazione di Hayao Miyazaki è una fiaba per bambini, ma una fiaba anche e soprattutto per il mondo dei “grandi” spesso troppo frenetico e stressato per accorgersi di quanto possa essere meraviglioso.
Allo stesso tempo sappiamo quanto sia difficoltoso e raro riuscire a ripetersi e a mantenere certi livelli di eccellenza precedentemente raggiunti.
Detto questo cercherò di essere il più obiettivo possibile nell’analisi dell’ultima creazione del Maestro Miyazaki , Ponyo.
Innanzi tutto è un piacere constatare come l’adattamento italiano sia finalmente a livelli consoni al livello di eccellenza del film. In più di un’occasione traspare l’attenzione e la competenza con la quale è stata realizzata. Ad esempio per chi avesse anche solo un’infarinatura di giapponese non potrebbe non notare alcune chicche a riguardo come la pronuncia di Sosuke, Sòske, o la presenza del suffisso –chan, che implica maggiore affetto tra due persone rispetto a –san.
Altra nota di merito per il doppiaggio italiano che mantiene standard qualitativi molto buoni, anche grazie alla partecipazione di elementi quali Massimo Corvo (il padre di Ponyo), voce, ad esempio, di Gendo Hikari in Evangelion.
Entrando nel merito del giudizio del film bisogna premettere che esso,come più volte dichiarato da Miyazaki, è nato e cresciuto con la finalità di riuscire a creare una storia che potesse essere compresa in toto anche, e soprattutto, da un bambino di 5 anni, la stessa età cioè dei protagonisti: Sosuke e, ovviamente, la nostra Ponyo.
Per questo motivo il film presenta una trama molto semplice e lineare. Sostanzialmente Ponyo è la storia di una ragazzina/pesce, una sorta di rivisitazione della sirenetta di Andersen, che dopo essere entrata in contatto in maniera fortuita con Sosuke, un bambino che abita in una casa su una scogliera con la madre Risa, decide di volere diventare una ragazzina a tutti gli effetti.
Grazie a dei suoi poteri innati Ponyo riesce a trasformarsi e a raggiungere Sosuke sulla terraferma, dove viene accolta con amore e gentilezza.
Nonostante le inevitabili vicissitudini che si succedono, il film non punta la propria attenzione sull’azione pura, bensì pone in primo piano le relazioni tra i protagonisti e i loro sentimenti reciproci che vengono descritti in maniera esemplare nonostante la semplicità inevitabile dei dialoghi.
La caratteristica principale di Ponyo è appunto quella di trattare temi profondi con assoluta semplicità,intento nel quale, come è ben noto, solo i grandi Maestri possono riuscire.
Quella che infatti potrebbe essere facilmente confusa come un’involuzione nel modo di trattare temi classici della poetica di Miyazaki, come il tema ambientale ad esempio, deve essere al contrario vista come la volontà di far giungere certi messaggi oltre che a tutti noi, soprattutto ad un bambino, e cioè a colui che scriverà il suo ed il nostro futuro.
Ponyo sembra trarre molti, se non tutti, gli elementi e le esperienze delle precedenti creazioni di Miyazaki per distillarne, alla stessa stregua delle pozioni magiche presenti nel film, poche gocce concentrate di saggezza, che solo l’infinita onestà intellettuale e l’innata coerenza che da sempre caratterizzano i lavori del Maestro possono dare.
I parallelismi e gli spunti che si possono notare infatti con i precedenti film non sono pochi. Ad esempio del lontano Conan si ritrova lo stesso amore innocente tra due bambini. Da Nausicaa arrivano gli echi del monito sullo sfruttamento indiscriminato della natura e la figura della Madre del Mare (Gran Mammare) richiama in maniera esplicita il Dio della Foresta della principessa Mononoke.
Ma come detto precedentemente Ponyo riesce a farci percepire quelli stessi temi con pochi accenni, con una semplice frase o semplicemente tramite il solo disegno.
E proprio il disegno rappresenta uno dei punti di forza di questo film: dopo le mirabolanti e scintillanti realizzazioni grafiche de “La città Incantata” e de “Il Castello errante di Howl”, delle vere e proprie “prove di forza” in tal senso ottenute anche grazie all’implementazione digitale, seppur ottimamente mascherate, il Dottor Hayao decide di tornare al “manuale”, realizzando un’opera in totale controtendenza, in barba a tutte le produzioni Pixar-mode del momento tese oramai a stupire a livello grafico lasciando sempre più alla banalità le sceneggiature e i dialoghi. (Sono lontani i tempi in cui Toy Story 2 veniva candidato all’oscar come migliore sceneggiatura).
Ciò che colpisce l’occhio dello spettatore fin dalle prime scene sottomarine dense di centinaia di meduse danzanti è il tratto molto più fumettistico e impreciso, quasi appunto a volersi immedesimare nel mondo infantile dei personaggi.
Sfondi indeterminati, quasi schizzati alle volte, fanno da cornice a personaggi sempre e comunque splendidamente realizzati oltre che animati in modo magistrale, come da abitudine dello Studio Ghibli.
Rimarrà per sempre indimenticabile il mare di Ponyo: un mare vivo, tanto da avere gli occhi, con le onde più blu, grosse e avvolgenti che la storia delle animazioni ricordi.
Miyazaki riesce tra l’altro a sviluppare un tema a lui da sempre congeniale, quello del volo, anche in un ambiente totalmente marino riuscendo a muovere le sue fantasiose macchine subacquee, le barche e le creature marine come se stessero “volando” dimostrando per l’ennesima volta la sua proverbiale padronanza nel rendere l’effetto della leggiadria.
In Ponyo però la natura non viene rappresentata solo in maniera idealizzata e bucolica ma, come nelle scene dello tsunami e della tempesta, si racconta anche il suo lato più violento e temibile, di fronte al quale l’uomo è impotente e inerme.
Il messaggio del rispetto della natura e della sua cura da parte dell’uomo potrà forse sembrare datato e scontato, un messaggio di cui non sappiamo che fare chiusi nei nostri uffici supertecnologici, nelle nostre auto con sempre più palloni gonfiabili per sopravvivere agli scontri frontali, nelle nostre case alveari ermeticamente chiuse all’altro, all’estraneo.
Ed invece la semplicità di quel messaggio è disarmante nella sua inconfutabile verità, nel suo invito a tornare a “toccare” la natura, a sentirla nostra, oltre che dei nostri figli.
Ponyo è la riscoperta delle piccole cose e della loro fondamentale importanza del vivere serenamente: è la dolcezza di un bicchiere di tè col miele, è il sapore del prosciutto nel panino, è assaporare l’attesa prima di un ramen bollente, è la bellezza di poter correre e sentire il vento sul viso.
L’ultima creazione di Hayao Miyazaki è una fiaba per bambini, ma una fiaba anche e soprattutto per il mondo dei “grandi” spesso troppo frenetico e stressato per accorgersi di quanto possa essere meraviglioso.