Mary e il fiore della strega
"Mary to Majo no Hana" (メアリと魔女の花), tradotto in "Mary e il fiore della strega", è un film dell'estate del 2017.
L'anime ci racconta la storia di Mary, la nostra protagonista, mentre passa le vacanze estive nella casa della prozia, in completa solitudine e immersa nella noia, e di come grazie a un gatto, una scopa e un magico fiore in un attimo tutto possa cambiare.
Senza andare troppo nel dettaglio, la trama si svolge in un mondo magico dove la nostra protagonista dovrà affrontare ostacoli e riuscire a sfuggire da una strega e da uno scienziato interessati solo a impadronirsi del fiore magico, per i loro esperimenti.
La storia scorre via che è un piacere, divisa tra la trama principale e scene divertenti capaci di lasciarti sorridere con estrema e gradita facilità.
Mary durante l'estate fa la conoscenza di un ragazzo, Peter, e appena si incontrano i due danno subito un esempio della parte più divertente presente nel film, fatta di battute e simpatiche scenette: infatti il ragazzo "prende in giro" Mary per i suoi capelli rossi, facendola arrabbiare, e lei risponde, alla fine, con una buffa quanto divertente espressione, "salutandolo".
D'altronde, tornando all'episodio, sappiamo tutti che, parlando di streghe, capelli rossi uniti a un gatto nero e ad una scopa magica... beh, direi che fanno un trio perfetto al quale è impossibile rinunciare.
La storia è molto interessante e ha tutte quelle caratteristiche che la portano ad avere una trama avvincente e quindi a renderla intrigante; la trama ci lascia più di una volta, senza fatica e con estrema naturalezza, impazienti aspettando la scena successiva con la voglia di vedere e scoprire l'evolversi della narrazione e la prossima mossa dei nostri protagonisti.
La sceneggiatura è forte e ben caratterizzata, e non mancherà di intrattenerci anche con qualche inseguimento "magico" all'ultimo respiro.
Sfondi e background sono molto, molto belli, con delle ombre veramente degne di nota; ho apprezzato soprattutto le vedute "aeree", quando Mary se ne va "svolazzando" di qua e di là sulla sua scopa magica, alle volte intenta ad andare più dove vuole lei che secondo la guida di Mary. A tal proposito, anche le animazioni le ho trovate in linea con gli sfondi, dalle magie al volo sembra quasi di essere lì presenti a gustarsi la scena.
Un bel tocco è stato dato soprattutto dalla ending "Rain", che conclude il film insieme a delle immagini di Mary che ritorna alla sua estate, quasi mettendo quella ciliegina che mancava per un finale perfetto.
Per concludere, "Mary e il fiore della strega" è un film che riesce a trasportarti completamente e letteralmente in un altro mondo, per poi far ritorno come se nulla fosse accaduto e come se nessuno si fosse accorto di nulla.
Consiglio veramente la visione e non posso che indicare il mio voto che, secondo me, non può che essere il massimo per rappresentare questo grande film.
L'anime ci racconta la storia di Mary, la nostra protagonista, mentre passa le vacanze estive nella casa della prozia, in completa solitudine e immersa nella noia, e di come grazie a un gatto, una scopa e un magico fiore in un attimo tutto possa cambiare.
Senza andare troppo nel dettaglio, la trama si svolge in un mondo magico dove la nostra protagonista dovrà affrontare ostacoli e riuscire a sfuggire da una strega e da uno scienziato interessati solo a impadronirsi del fiore magico, per i loro esperimenti.
La storia scorre via che è un piacere, divisa tra la trama principale e scene divertenti capaci di lasciarti sorridere con estrema e gradita facilità.
Mary durante l'estate fa la conoscenza di un ragazzo, Peter, e appena si incontrano i due danno subito un esempio della parte più divertente presente nel film, fatta di battute e simpatiche scenette: infatti il ragazzo "prende in giro" Mary per i suoi capelli rossi, facendola arrabbiare, e lei risponde, alla fine, con una buffa quanto divertente espressione, "salutandolo".
D'altronde, tornando all'episodio, sappiamo tutti che, parlando di streghe, capelli rossi uniti a un gatto nero e ad una scopa magica... beh, direi che fanno un trio perfetto al quale è impossibile rinunciare.
La storia è molto interessante e ha tutte quelle caratteristiche che la portano ad avere una trama avvincente e quindi a renderla intrigante; la trama ci lascia più di una volta, senza fatica e con estrema naturalezza, impazienti aspettando la scena successiva con la voglia di vedere e scoprire l'evolversi della narrazione e la prossima mossa dei nostri protagonisti.
La sceneggiatura è forte e ben caratterizzata, e non mancherà di intrattenerci anche con qualche inseguimento "magico" all'ultimo respiro.
Sfondi e background sono molto, molto belli, con delle ombre veramente degne di nota; ho apprezzato soprattutto le vedute "aeree", quando Mary se ne va "svolazzando" di qua e di là sulla sua scopa magica, alle volte intenta ad andare più dove vuole lei che secondo la guida di Mary. A tal proposito, anche le animazioni le ho trovate in linea con gli sfondi, dalle magie al volo sembra quasi di essere lì presenti a gustarsi la scena.
Un bel tocco è stato dato soprattutto dalla ending "Rain", che conclude il film insieme a delle immagini di Mary che ritorna alla sua estate, quasi mettendo quella ciliegina che mancava per un finale perfetto.
Per concludere, "Mary e il fiore della strega" è un film che riesce a trasportarti completamente e letteralmente in un altro mondo, per poi far ritorno come se nulla fosse accaduto e come se nessuno si fosse accorto di nulla.
Consiglio veramente la visione e non posso che indicare il mio voto che, secondo me, non può che essere il massimo per rappresentare questo grande film.
Così così. Un vero peccato, disegni e animazioni sono certamente molto belli. Presenza di gatti fluffy e adorabili (in fondo si tratta di gatti british)...
Non che fosse brutto, però mi è sembrato un prodotto incompleto, la storia si capiva, ma è stata trattata in modo frettoloso. Per come strutturato, sarebbe stato meglio svilupparlo come serie animata, anziché come lungometraggio.
Secondo me si può guardare senza pretese e senza aspettative. Un bambino lo apprezzerebbe di sicuro, un adulto può, perlomeno, rifarsi gli occhi.
Non che fosse brutto, però mi è sembrato un prodotto incompleto, la storia si capiva, ma è stata trattata in modo frettoloso. Per come strutturato, sarebbe stato meglio svilupparlo come serie animata, anziché come lungometraggio.
Secondo me si può guardare senza pretese e senza aspettative. Un bambino lo apprezzerebbe di sicuro, un adulto può, perlomeno, rifarsi gli occhi.
No, non ci siamo proprio. Nessuna traccia di imperizia, tuttavia non basta una sequenza d'apertura ripresa in multipiano per farmi abbandonare a lodi sperticate. I fondali, per quanto belli siano e seppur realizzati da gente in gamba come Kazuo Oga e Yoji Takeshige (ovvero il top, l'élite, la crème della crème), non mi fanno raggiungere lo stato di beatitudine e le stesse vibrazioni che mi davano quelli abbozzati da tutti sappiamo chi.
Aggiunge poco di nuovo al genere delle streghette terrestri e sento di poter enunciarvi che a me ha trasmesso poco o nulla, se vogliamo ancora meno del bistrattato "Quando c'era Marnie" (che vantava diversi colpi di scena). Non è un'avversione per l'infanzia, perché di anime, film e telefilm con protagonisti bambini ne ho visti a bizzeffe. Primo, i villain non sono individui odiosi e arroganti con manie dittatoriali come lo sono stati il Conte di Cagliostro o Lepka. Secondo, vi sono poche testimonianze di quel pizzico di autoironia e del proverbiale spirito sorgivo nipponico presenti in ogni titolo dei due registi co-fondatori di Ghibli, i quali hanno comunque dato il loro beneplacito (tanto da comparire nei ringraziamenti nei titoli di coda). Insomma, Takahata era un grande poeta e Miyazaki un eccelso prosatore. Al momento Yonebayashi non è né una né l'altra cosa, e il suo ultimo lavoro non sa né di carne né di pesce.
La partenza di Studio Ponoc non è stata proprio sfolgorante e i produttori dovranno rimboccarsi le maniche per raggiungere i fasti dei grandi classici come "Il mio vicino Totoro" o "Kiki - Consegne a domicilio". Le distanze sono siderali e, secondo me, la mente del buon Hiromasa è ancora priva di un'ideologia radicata, forse succube della sceneggiatrice Riko Sakaguchi e complice del fatto di vivere in un'epoca dove la spensieratezza è talmente passata di moda da risultare offensiva. Una sorta di Medioevo moderno al limite del delirio paranoide. Bisogna però limare alcuni magheggi eccessivi e cercare di evitare personaggi e situazioni già visti in passato, andando a solleticare un po' di sana curiosità nello spettatore annoiato. Ripeto, non posso proprio dargli una sufficienza, poiché non mi sono piaciuti nemmeno fotografia e montaggio. La colonna sonora fa il verso alle melodie di Jo Hisaishi, ma non l'ho trovata così avvolgente. Posso aggiungere che pure la scelta dei colori mi ha entusiasmato poco, anche se la fase di harmony treatment è stata gestita ottimamente da Noriko Takaya (forse l'unica che ha partecipato a tutti i film dello Studio Ghibli, "Nausicaä" compreso). Per dipingere le caratteristiche nuvole, gli artisti hanno fatto tesoro delle precedenti esperienze e, conoscendo la pignoleria di Miyazaki, in passato avranno dovuto - come minimo - studiarsi a memoria l'Atlante Internazionale delle Nubi. Insomma, i richiami all'universo ghibliano sono davvero tanti. Forse troppi, tanto da sfociare in un convulsivo copia e incolla. È pur vero che il chara design di Yasuji Mori non si può cancellare con un colpo di spugna. Un cammeo ci sarebbe calzato a pennello, e in definitiva non sto dicendo di fare una damnatio memoriae, ma almeno di provare a mettere qualche idea personale in più. Infine, non mi ha dato l'idea di essere un film d'animazione concepito per un pubblico dai zero ai novantanove anni, ma di un prodotto transmediale dedicato a un target in fase di prepubertà. In pratica, ho avuto l'impressione di assistere a un film Disney/Pixar realizzato in 2D. Anche il finale, ahimè, non è di quelli che ti fanno venire i lucciconi agli occhi e quella sensazione di groppo alla gola.
È arrivato il momento di reinventare l'animazione giapponese, anche a costo di modificarne le fondamenta. Non si può pensare di tenere in piedi la baracca basandosi sulla weltanshaung dell'esimio Miya-san, schietta e pungente, pregna di valori patriarcali, non allineata al conformismo progressista dilagante di cui invece la piccola Mary "pel di carota" Smith si erge portabandiera.
Aggiunge poco di nuovo al genere delle streghette terrestri e sento di poter enunciarvi che a me ha trasmesso poco o nulla, se vogliamo ancora meno del bistrattato "Quando c'era Marnie" (che vantava diversi colpi di scena). Non è un'avversione per l'infanzia, perché di anime, film e telefilm con protagonisti bambini ne ho visti a bizzeffe. Primo, i villain non sono individui odiosi e arroganti con manie dittatoriali come lo sono stati il Conte di Cagliostro o Lepka. Secondo, vi sono poche testimonianze di quel pizzico di autoironia e del proverbiale spirito sorgivo nipponico presenti in ogni titolo dei due registi co-fondatori di Ghibli, i quali hanno comunque dato il loro beneplacito (tanto da comparire nei ringraziamenti nei titoli di coda). Insomma, Takahata era un grande poeta e Miyazaki un eccelso prosatore. Al momento Yonebayashi non è né una né l'altra cosa, e il suo ultimo lavoro non sa né di carne né di pesce.
La partenza di Studio Ponoc non è stata proprio sfolgorante e i produttori dovranno rimboccarsi le maniche per raggiungere i fasti dei grandi classici come "Il mio vicino Totoro" o "Kiki - Consegne a domicilio". Le distanze sono siderali e, secondo me, la mente del buon Hiromasa è ancora priva di un'ideologia radicata, forse succube della sceneggiatrice Riko Sakaguchi e complice del fatto di vivere in un'epoca dove la spensieratezza è talmente passata di moda da risultare offensiva. Una sorta di Medioevo moderno al limite del delirio paranoide. Bisogna però limare alcuni magheggi eccessivi e cercare di evitare personaggi e situazioni già visti in passato, andando a solleticare un po' di sana curiosità nello spettatore annoiato. Ripeto, non posso proprio dargli una sufficienza, poiché non mi sono piaciuti nemmeno fotografia e montaggio. La colonna sonora fa il verso alle melodie di Jo Hisaishi, ma non l'ho trovata così avvolgente. Posso aggiungere che pure la scelta dei colori mi ha entusiasmato poco, anche se la fase di harmony treatment è stata gestita ottimamente da Noriko Takaya (forse l'unica che ha partecipato a tutti i film dello Studio Ghibli, "Nausicaä" compreso). Per dipingere le caratteristiche nuvole, gli artisti hanno fatto tesoro delle precedenti esperienze e, conoscendo la pignoleria di Miyazaki, in passato avranno dovuto - come minimo - studiarsi a memoria l'Atlante Internazionale delle Nubi. Insomma, i richiami all'universo ghibliano sono davvero tanti. Forse troppi, tanto da sfociare in un convulsivo copia e incolla. È pur vero che il chara design di Yasuji Mori non si può cancellare con un colpo di spugna. Un cammeo ci sarebbe calzato a pennello, e in definitiva non sto dicendo di fare una damnatio memoriae, ma almeno di provare a mettere qualche idea personale in più. Infine, non mi ha dato l'idea di essere un film d'animazione concepito per un pubblico dai zero ai novantanove anni, ma di un prodotto transmediale dedicato a un target in fase di prepubertà. In pratica, ho avuto l'impressione di assistere a un film Disney/Pixar realizzato in 2D. Anche il finale, ahimè, non è di quelli che ti fanno venire i lucciconi agli occhi e quella sensazione di groppo alla gola.
È arrivato il momento di reinventare l'animazione giapponese, anche a costo di modificarne le fondamenta. Non si può pensare di tenere in piedi la baracca basandosi sulla weltanshaung dell'esimio Miya-san, schietta e pungente, pregna di valori patriarcali, non allineata al conformismo progressista dilagante di cui invece la piccola Mary "pel di carota" Smith si erge portabandiera.
Lo studio Ponoc è stato fondato nel 2015, e due anni dopo fa uscire nei cinema questo lungometraggio diretto da Hiromasa Yonebayashi, un veterano dell’animazione che ha collaborato anche - e tanto! - con lo studio Ghibli.
E ghibliano è il background che si può sentire in temi come l’ecologia (la critica al dottor Dee per i suoi esperimenti di metamorfosi) e nei disegni. Per carità, anche i cattivi avrebbero nobili scopi, ma sono così presi dai loro esperimenti e sogni, che non capiscono più qual è il limite invalicabile tra ciò che si può fare e ciò che è meglio evitare. La protagonista Mary è invece una bambina annoiata, piena di buona volontà e con qualche complesso (non sopporta i suoi capelli rossi); dopo questa avventura supererà la cosa, farà amicizia con Peter (personaggio secondario ma non troppo) e capirà che la normalità non è così brutta.
Infine, una nota: la magia. Dopo il successo di “Harry Potter” della Rowling ci sembra scontata, ma in realtà il film è tratto da un romanzo per bambini di circa cinquant’anni fa della defunta (è morta nel 2014) Mary Stewart, intitolato “La piccola scopa”, e sarà proprio una scopa magica, il cui potere verrà risvegliato dal fiore della strega, il primo motore di questa avventura.
Ammetto comunque di essere stato fregato: avvicinatomi ignaro al prodotto, dopo le prime scene (la distruzione di un edificio tra le fiamme) lo avevo preso per un anime basato su una guerra fra streghe e altri esseri magici, invece la trama andrà in un’altra direzione.
E ghibliano è il background che si può sentire in temi come l’ecologia (la critica al dottor Dee per i suoi esperimenti di metamorfosi) e nei disegni. Per carità, anche i cattivi avrebbero nobili scopi, ma sono così presi dai loro esperimenti e sogni, che non capiscono più qual è il limite invalicabile tra ciò che si può fare e ciò che è meglio evitare. La protagonista Mary è invece una bambina annoiata, piena di buona volontà e con qualche complesso (non sopporta i suoi capelli rossi); dopo questa avventura supererà la cosa, farà amicizia con Peter (personaggio secondario ma non troppo) e capirà che la normalità non è così brutta.
Infine, una nota: la magia. Dopo il successo di “Harry Potter” della Rowling ci sembra scontata, ma in realtà il film è tratto da un romanzo per bambini di circa cinquant’anni fa della defunta (è morta nel 2014) Mary Stewart, intitolato “La piccola scopa”, e sarà proprio una scopa magica, il cui potere verrà risvegliato dal fiore della strega, il primo motore di questa avventura.
Ammetto comunque di essere stato fregato: avvicinatomi ignaro al prodotto, dopo le prime scene (la distruzione di un edificio tra le fiamme) lo avevo preso per un anime basato su una guerra fra streghe e altri esseri magici, invece la trama andrà in un’altra direzione.
Grazioso e forse un po' troppo criticato, semplicemente perché, libero dal nome Ghibli, lo si vede per quello che è: un prodotto imperfetto, come era "Arrietty", di cui condivide il regista.
La storia narra di Mary Smith, una ragazzina dai rossi capelli arruffati, educata e volenterosa, che, trasferitasi dalla sua prozia Charlotte, e in attesa dei genitori, passa gli ultimi giorni estivi tra la noia e i tentativi di rendersi utile in casa. Un giorno, grazie a due gatti, Mary troverà una strana pianta nella foresta, che, stando alle leggende, pare fosse particolarmente preziosa per i rituali delle streghe. Da lì in poi una serie di "fortuite" coincidenze le permetteranno di scoprire una realtà alternativa fatta di accademie magiche e nuove esperienze.
Dopo la riscoperta del genere fantasy e una generazione e mezza cresciuta a pane e J.K. Rowling, la storia, tratta da un romanzo breve per l'infanzia, scritto quarantasette anni fa da Mary Stewart e intitolato "La piccola scopa/The Little Broomstick", non potrà evitare di sembrarci oggi un tantino banale e scontata. Il problema maggiore del film è che ci sono vari elementi poco approfonditi, e la magia non sembra desiderata dalla protagonista, nemmeno all'inizio, quando ottiene le lodi tanto desiderate; inoltre, il modo in cui funziona questa forza misteriosa appare poco curato, principalmente per colpa della scopa volante e secondariamente di un libro di incantesimi. La scopa, nel suo funzionamento, non sembra legata saldamente alla situazione fisica della piccola Mary, mentre il bignami magico, nel suo funzionamento, appare per quello che è, una trovata per risolvere la situazione in modo rapido, ma la cui presenza appare forzata, dato che la sua veterana proprietaria non dovrebbe averne più il minimo bisogno, e, in teoria, nella scuola, dovrebbero esserci parecchi tomi che trattano quegli argomenti in modo migliore. Nonostante questo, viene considerato un oggetto prezioso, neanche l'azione si stesse svolgendo nel mondo umano.
Anche per via di questo, durante il film, la scuola e i suoi studenti/docenti rimarranno solo sullo sfondo, evitando da un lato un inevitabile sapore "potteriano", ma rendendo un tantino più fredda l'intera avventura. Stessa cosa accadrà per il paesino di campagna in cui vive la piccola Mary, praticamente deserto per motivi stagionali e ancor meno utilizzato nella vicenda. La storia si concentrerà solo sullo scontro per il possesso del fiore tra Mary, la direttrice dell'accademia e un professore di scienze magiche, questi due pericolosamente ossessionati dalla ricerca sulla trasmutazione, ma mossi in questo da intenti nobili. Degli antagonisti grigi, insomma, per quanto disposti quasi a tutto. Vi è poi un personaggio femminile, le cui origini avrebbero dovuto consentire alla coraggiosa "scimmietta pel di carota" una maggiore autonomia dal punto di vista magico, e di questo legame di sangue non si può dubitare, vista l'estrema somiglianza tra le due. Si sarebbe voluto sapere qualcosina in più sul passato di questo personaggio, se non addirittura vederle avere una maggiore partecipazione, dato che, al contrario di ciò che essa afferma, qualche potere ancora lo dovrebbe possedere. La sua identità comunque era prevedibile, forse era il caso di evitare un pezzo introduttivo e lasciare tutto al breve racconto svolto attraverso lo specchio.
Tra gli elementi resi meglio vi è Mr. Flanagan, il buffo coboldo custode delle scope, e soprattutto l'amicizia tra Mary e Peter, un legame affrontato e consolidato con la giusta gradualità, durante cui Mary esprime adeguatamente, ma senza scadere nel pesante, il suo disagio, tipicamente giovanile, per non piacersi sul piano estetico.
Il film alla fine tenta, come molti altri prodotti prima di lui, di mettere in guardia l'essere umano dal giocare con forze troppo pericolose, invita lo spettatore più giovane a contare sulle sue sole forze con la frase "La magia non ci serve!", e vi si può trovare anche un intento ecologista con: gli esperimenti sugli animali, che possono rivelarsi (in modo poco sensato) alleati validi e stranamente intelligenti; la natura che quasi come moto di ribellione diviene più rigogliosa in certi frangenti; l'aver accostato l'energia elettrica alla magia.
Insomma, "Mary e il fiore della strega" appare un prodotto a tratti confuso e condensato, ma di buone intenzioni. Tecnicamente è di buon livello, con rimandi inevitabili allo Studio Ghibli, visto il suo stile grafico. Per quel che mi riguarda, come primo, acerbo tentativo, pur non riuscendo a risaltare per originalità, rimane un lavoro discreto, del resto l'opera di riferimento era indirizzata a un pubblico giovane e avrà avuto il suo peso sul risultato.
Vedremo da qui in poi cosa lo studio Ponoc saprà sfornare con "Modest Heroes" e successivi lavori. C'è da essere ottimisti.
La storia narra di Mary Smith, una ragazzina dai rossi capelli arruffati, educata e volenterosa, che, trasferitasi dalla sua prozia Charlotte, e in attesa dei genitori, passa gli ultimi giorni estivi tra la noia e i tentativi di rendersi utile in casa. Un giorno, grazie a due gatti, Mary troverà una strana pianta nella foresta, che, stando alle leggende, pare fosse particolarmente preziosa per i rituali delle streghe. Da lì in poi una serie di "fortuite" coincidenze le permetteranno di scoprire una realtà alternativa fatta di accademie magiche e nuove esperienze.
Dopo la riscoperta del genere fantasy e una generazione e mezza cresciuta a pane e J.K. Rowling, la storia, tratta da un romanzo breve per l'infanzia, scritto quarantasette anni fa da Mary Stewart e intitolato "La piccola scopa/The Little Broomstick", non potrà evitare di sembrarci oggi un tantino banale e scontata. Il problema maggiore del film è che ci sono vari elementi poco approfonditi, e la magia non sembra desiderata dalla protagonista, nemmeno all'inizio, quando ottiene le lodi tanto desiderate; inoltre, il modo in cui funziona questa forza misteriosa appare poco curato, principalmente per colpa della scopa volante e secondariamente di un libro di incantesimi. La scopa, nel suo funzionamento, non sembra legata saldamente alla situazione fisica della piccola Mary, mentre il bignami magico, nel suo funzionamento, appare per quello che è, una trovata per risolvere la situazione in modo rapido, ma la cui presenza appare forzata, dato che la sua veterana proprietaria non dovrebbe averne più il minimo bisogno, e, in teoria, nella scuola, dovrebbero esserci parecchi tomi che trattano quegli argomenti in modo migliore. Nonostante questo, viene considerato un oggetto prezioso, neanche l'azione si stesse svolgendo nel mondo umano.
Anche per via di questo, durante il film, la scuola e i suoi studenti/docenti rimarranno solo sullo sfondo, evitando da un lato un inevitabile sapore "potteriano", ma rendendo un tantino più fredda l'intera avventura. Stessa cosa accadrà per il paesino di campagna in cui vive la piccola Mary, praticamente deserto per motivi stagionali e ancor meno utilizzato nella vicenda. La storia si concentrerà solo sullo scontro per il possesso del fiore tra Mary, la direttrice dell'accademia e un professore di scienze magiche, questi due pericolosamente ossessionati dalla ricerca sulla trasmutazione, ma mossi in questo da intenti nobili. Degli antagonisti grigi, insomma, per quanto disposti quasi a tutto. Vi è poi un personaggio femminile, le cui origini avrebbero dovuto consentire alla coraggiosa "scimmietta pel di carota" una maggiore autonomia dal punto di vista magico, e di questo legame di sangue non si può dubitare, vista l'estrema somiglianza tra le due. Si sarebbe voluto sapere qualcosina in più sul passato di questo personaggio, se non addirittura vederle avere una maggiore partecipazione, dato che, al contrario di ciò che essa afferma, qualche potere ancora lo dovrebbe possedere. La sua identità comunque era prevedibile, forse era il caso di evitare un pezzo introduttivo e lasciare tutto al breve racconto svolto attraverso lo specchio.
Tra gli elementi resi meglio vi è Mr. Flanagan, il buffo coboldo custode delle scope, e soprattutto l'amicizia tra Mary e Peter, un legame affrontato e consolidato con la giusta gradualità, durante cui Mary esprime adeguatamente, ma senza scadere nel pesante, il suo disagio, tipicamente giovanile, per non piacersi sul piano estetico.
Il film alla fine tenta, come molti altri prodotti prima di lui, di mettere in guardia l'essere umano dal giocare con forze troppo pericolose, invita lo spettatore più giovane a contare sulle sue sole forze con la frase "La magia non ci serve!", e vi si può trovare anche un intento ecologista con: gli esperimenti sugli animali, che possono rivelarsi (in modo poco sensato) alleati validi e stranamente intelligenti; la natura che quasi come moto di ribellione diviene più rigogliosa in certi frangenti; l'aver accostato l'energia elettrica alla magia.
Insomma, "Mary e il fiore della strega" appare un prodotto a tratti confuso e condensato, ma di buone intenzioni. Tecnicamente è di buon livello, con rimandi inevitabili allo Studio Ghibli, visto il suo stile grafico. Per quel che mi riguarda, come primo, acerbo tentativo, pur non riuscendo a risaltare per originalità, rimane un lavoro discreto, del resto l'opera di riferimento era indirizzata a un pubblico giovane e avrà avuto il suo peso sul risultato.
Vedremo da qui in poi cosa lo studio Ponoc saprà sfornare con "Modest Heroes" e successivi lavori. C'è da essere ottimisti.
"Mary e il Fiore della Strega" è il primo lungometraggio animato dello Studio Ponoc, nato da un mix di animatori provenienti dal ben più noto e mitico Studio Ghibli. Uscito nell'estate 2017 in Giappone, è arrivato da noi un anno dopo, al cinema e non direttamente in home video. E' sceneggiato e diretto da Hiromasa Yonebayashi, e i fan Ghibli lo ricorderanno per aver diretto "Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento" e "Quando c'era Marnie". Il film è tratto dal romanzo "La piccola scopa" della scrittrice Mary Stewart, nota autrice britannica per le sue opere per ragazzi.
Durante le vacanze estive, la piccola Mary si annoia tremendamente nella nuova casa in cui si è trasferita, e, quando cerca di aiutare qualcuno, finisce col provocare solo danni. E' altrettanto stufa dei suoi capelli crespi pel di carota, per i quali non mancano le derisioni del giovane Peter, un conoscente della prozia di Mary. Un giorno decide di fare un pic-nic, e incontra due gattini, uno nero e uno grigio, che si lasciano inseguire nel cuore della foresta, dove rimane ammaliata da uno splendido fiore blu che porta a casa con sé. La curiosità della ragazza è qualsivoglia fortuita, visto che quello che ha raccolto è un fiore magico che le permetterà di salire in groppa a una "piccola scopa" e conoscere il mondo magico. Non ci saranno sventolii di bacchette magiche né chissà quali eventi sbalorditivi, Mary si ritrova in una magi-università alquanto dubbia.
Qual è il messaggio di questo film? Sinceramente non lo trovo... Forse è "Non mentire altrimenti ti si ritorce contro"? Forse "Non usare gli animali come cavie da esperimento"? Infatti, nella magi-università lo strambo Dott. Dee cerca in tutti i modi di usare la magia come alchimia per metamorfizzare gli animali. Temi come l'ambientalismo e l'animalismo sono cari al maestro Miyazaki, e non vedo perché "copiarli" di sana pianta. La trama lascia veramente a desiderare, e si svolge tutto in fretta, nell'arco di pochissimi giorni. Non si ha nemmeno il tempo di elaborare l'esistenza della magia, che subito succede l'irrimediabile. Fortunatamente un aspetto positivo c'è: le animazioni (e ci mancherebbe, visto chi c'è dietro). Ci sono bei colori, bei fondali per un film pensato per un pubblico giovane. La colonna sonora segue le vicende in modo repentino e mirato, mi è piaciuta. Quindi, un comparto tecnico validissimo che però non basta a salvare questo film. I colpi di scena finali sono abbastanza prevedibili, c'è più pathos in "Ponyo sulla scogliera", e lì i protagonisti sono bambini di cinque anni. Ero carica di aspettative, ma ho fatto male, capita.
In conclusione? E' un film che, visto una volta, non lo rivedi più... Non mi ha lasciato molto, se non il piacere di avere i poteri magici per un giorno, e volare su una scopa. Non riesco a capire dove il regista volesse andare a parare... Eppure Hiromasa Yonebayashi ha lavorato ai più grandi successi Ghibli, come disegnatore de "La città incantata", "Il castello errante di Howl"; come regista ad "Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento", bellissimo, stupendo, ma sceneggiato dal maestro Miyazaki, e come regista/sceneggiatore al ben più riuscito "Quando c'era Marnie", ultimo film targato "Totoro" a cui ha lavorato. Già "Marnie" ha molto più senso e spunti su cui riflettere. Purtroppo "Mary" è una storia con un buon incipit che non è stato sviluppato del tutto, sarà colpa addirittura dell'originale romanzo da cui è tratto? Non lo so dire questo, a onor del vero. Indecisa sul voto, mi tengo bassa, e assegno un 6.5. Lo Studio Ponoc ha sicuramente del potenziale altissimo, visti i grandi animatori che lo compongono, ma devono trovare una loro identità, la strada è lunga, ma ce la possono fare. Questo film possiede troppe referenze disordinate dei lungometraggi dello Studio Ghibli, ed è tutto - o quasi - già visto e per niente originale. "Mary e il Fiore della Strega" è un film per bambini/ragazzi, quindi lo consiglio a chi ha quella fascia d'età. I più grandi, come me, non credo riusciranno a farselo piacere. Buona fortuna, Studio Ponoc!
Durante le vacanze estive, la piccola Mary si annoia tremendamente nella nuova casa in cui si è trasferita, e, quando cerca di aiutare qualcuno, finisce col provocare solo danni. E' altrettanto stufa dei suoi capelli crespi pel di carota, per i quali non mancano le derisioni del giovane Peter, un conoscente della prozia di Mary. Un giorno decide di fare un pic-nic, e incontra due gattini, uno nero e uno grigio, che si lasciano inseguire nel cuore della foresta, dove rimane ammaliata da uno splendido fiore blu che porta a casa con sé. La curiosità della ragazza è qualsivoglia fortuita, visto che quello che ha raccolto è un fiore magico che le permetterà di salire in groppa a una "piccola scopa" e conoscere il mondo magico. Non ci saranno sventolii di bacchette magiche né chissà quali eventi sbalorditivi, Mary si ritrova in una magi-università alquanto dubbia.
Qual è il messaggio di questo film? Sinceramente non lo trovo... Forse è "Non mentire altrimenti ti si ritorce contro"? Forse "Non usare gli animali come cavie da esperimento"? Infatti, nella magi-università lo strambo Dott. Dee cerca in tutti i modi di usare la magia come alchimia per metamorfizzare gli animali. Temi come l'ambientalismo e l'animalismo sono cari al maestro Miyazaki, e non vedo perché "copiarli" di sana pianta. La trama lascia veramente a desiderare, e si svolge tutto in fretta, nell'arco di pochissimi giorni. Non si ha nemmeno il tempo di elaborare l'esistenza della magia, che subito succede l'irrimediabile. Fortunatamente un aspetto positivo c'è: le animazioni (e ci mancherebbe, visto chi c'è dietro). Ci sono bei colori, bei fondali per un film pensato per un pubblico giovane. La colonna sonora segue le vicende in modo repentino e mirato, mi è piaciuta. Quindi, un comparto tecnico validissimo che però non basta a salvare questo film. I colpi di scena finali sono abbastanza prevedibili, c'è più pathos in "Ponyo sulla scogliera", e lì i protagonisti sono bambini di cinque anni. Ero carica di aspettative, ma ho fatto male, capita.
In conclusione? E' un film che, visto una volta, non lo rivedi più... Non mi ha lasciato molto, se non il piacere di avere i poteri magici per un giorno, e volare su una scopa. Non riesco a capire dove il regista volesse andare a parare... Eppure Hiromasa Yonebayashi ha lavorato ai più grandi successi Ghibli, come disegnatore de "La città incantata", "Il castello errante di Howl"; come regista ad "Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento", bellissimo, stupendo, ma sceneggiato dal maestro Miyazaki, e come regista/sceneggiatore al ben più riuscito "Quando c'era Marnie", ultimo film targato "Totoro" a cui ha lavorato. Già "Marnie" ha molto più senso e spunti su cui riflettere. Purtroppo "Mary" è una storia con un buon incipit che non è stato sviluppato del tutto, sarà colpa addirittura dell'originale romanzo da cui è tratto? Non lo so dire questo, a onor del vero. Indecisa sul voto, mi tengo bassa, e assegno un 6.5. Lo Studio Ponoc ha sicuramente del potenziale altissimo, visti i grandi animatori che lo compongono, ma devono trovare una loro identità, la strada è lunga, ma ce la possono fare. Questo film possiede troppe referenze disordinate dei lungometraggi dello Studio Ghibli, ed è tutto - o quasi - già visto e per niente originale. "Mary e il Fiore della Strega" è un film per bambini/ragazzi, quindi lo consiglio a chi ha quella fascia d'età. I più grandi, come me, non credo riusciranno a farselo piacere. Buona fortuna, Studio Ponoc!
Sembra che esista un imperativo nell'esistenza umana. Tutto deve.
Deve essere. Deve essere fatto. Deve essere ottenuto. Tutto sia.
Come se fosse proibito anche solo ipotizzare che esistano orizzonti inviolati.
Cos'è quindi la magia, se non un "sei's gewesen", un imperativo, un richiamo al controllo assoluto?
Questa domanda si presenta nella sua forma più pura ed essenziale nel film "Mary e il fiore della strega".
La storia parte dalle esperienze di Mary, una ragazzina che passa le vacanze presso la casa di una prozia. Annoiata a morte dalla placida vita di campagna, fatta di giardinaggio e sonnolenta routine, la giovane spera di trovare qualcosa che la distragga, per dimenticare il suo essere fuori luogo, l'insicurezza per il suo aspetto, la goffaggine che la porta a combinare guai e l'irritazione che le suscita Peter, un ragazzo conosciuto da poco. Un fiore dai misteriosi poteri e una scopa abbandonata nella foresta porteranno Mary a scoprire l'esistenza della magia, di un mondo alternativo, dove le arti occulte sono trattate come materie di studio nell'università di Endor gestita dalla rettrice Madama Mumblechook, e dove vivono e insegnano alchimisti come il dottor Dee. Tutto sembra allo stesso tempo luminoso ma ambiguo. Vero e falso si mescolano in una formula seducente ma pericolosa. E quando la ragazza commetterà un errore fatale, tutte le ombre di quel mondo riveleranno la loro vera natura.
Tratto dal romanzo per l'infanzia di Mary Stewart "La piccola scopa" del 1971, il film è il primo lavoro del neonato Studio Ponoc, composto da molti autori e animatori provenienti dallo Studio Ghibli. Il regista Hiromasa Yonebayashi ha già alle spalle lavori come "Arrietty" e "Quando c'era Marnie", e a suo tempo lo si era indicato come un possibile erede di Miyazaki.
I richiami alle tecniche, alle atmosfere e allo stile del maestro sono evidenti al punto che appare chiaro l'intento di non voler attuare un "divorzio" da quel modello. Sfondi, inquadrature, character design, colori, musiche... tutto parla un linguaggio troppo noto, per non presumere che l'idea è fondamentalmente quella di suggerire allo spettatore di non trovarsi di fronte a qualcosa di diverso da un film Ghibli.
I richiami e le suggestioni sono appositamente costruiti per far correre la mente ad altre produzioni, ma con l'espediente di condire il tutto grazie a una trama canonica, favorita dal ricorso a un canovaccio "classico", unito a un gusto che però non risulta un semplice aggiornamento fine a sé stesso, come spesso avviene per adattamenti di opere di pubblicazione non recente.
La realtà espressa dal film vive nel segno delle percezioni del mondo com'era al tempo del romanzo di riferimento. Nessun sito web informa più di un grimorio, nessun iphone connette meglio di uno specchio magico. Tutto ciò che è magico deve essere scoperto, non viene vissuto come un trend social. In questo è coerente la visione di un mondo parallelo (più che immanente) lontano dall'esperienza comune. Maghi, creature mitologiche, homuncoli ecc. si avvicinano più agli archetipi delle favole tradizionali dei Grimm che alle espressioni wicca o alle successive elaborazioni alla Rowling.
Se non si può non notare il ricorso ai perni più semplici delle narrazioni, come la queste, l'artefatto, il salvataggio, l'agnizione ecc. si percepisce anche la volontà di non farli reggere da soli, affiancandoli a scambi di ruolo e di prospettiva che rendono questi stilemi più vicini al sentire odierno.
Indicativi in tal senso i richiami ai temi e ai problemi d'attualità. Si pensi al rovesciamento dei ruoli di genere nel modello salvatore/salvato o al dislivello prometeico che confonde volutamente i piani fra magia, scienza e tecnica.
Questo è forse l'elemento più interessante fra quelli proposti dal film. La magia del mondo di Mary è una forza che chi la pratica tratta come un elemento alla sua portata, nell'illusione di dominarla.
Il tema dell'apprendista stregone di goethiana memoria è un altro elemento non nuovo, ma attualizzato nel discorso del rapporto dell'Uomo con la techne. Interessanti le figure di Madama Mumblechook e del dottor Dee, emblemi del delirio di onnipotenza che strumentalizza ogni cosa e deforma in maniera fisica corpo e anima. Evidente il sottotesto che suggerisce un parallelismo fra scienza e magia nera, grazie alle combinazioni quasi osmotiche di Endor tra stregoneria e tecnologia.
La manipolazione genetica, l'energia nucleare, i danni ambientali, troppi i riferimenti a problemi quotidiani per non cogliere le citazioni.
Così, se la rettrice ci conferma che l'elettricità è anch'essa classificabile come magia (marcando una precisa relazione fra le materie oscure e la tecnologia), la stessa trasale nel momento in cui perde il controllo del suo esperimento, che provoca la percolante fuoriuscita di un potere devastante e incontenibile, secondo dinamiche che non possono non ricordare gli eventi di Fukushima.
L'invito è esplicito. Nulla di buono viene dal cedere alle lusinghe delle nostre eccedenze, che finiscono col dominarci. Diventa imperativo riportare la narrazione su noi stessi, l'Uomo nelle sue limitazioni. La protagonista trova così il suo percorso di formazione nello scoprire che non è sola nelle sue incertezze, nel suo condividere i difetti della mortalità. Riesce alla fine a trovare quella connessione con gli altri (perfino con Peter) che pensava di non possedere.
C'è una netta separazione tra il potente e il potere. Confondere quella separazione o tentare di annullarla coincide col passo fatale che, nel tentativo di abbattere gli orizzonti, abbatte la capacità di orizzontarsi. L'ansia reificante di ciò che "deve" essere diviene la condanna a non vedere ciò che "può" essere.
Assieme a Mary scopriamo che tutto nel mondo è magico. Tranne il mago.
Deve essere. Deve essere fatto. Deve essere ottenuto. Tutto sia.
Come se fosse proibito anche solo ipotizzare che esistano orizzonti inviolati.
Cos'è quindi la magia, se non un "sei's gewesen", un imperativo, un richiamo al controllo assoluto?
Questa domanda si presenta nella sua forma più pura ed essenziale nel film "Mary e il fiore della strega".
La storia parte dalle esperienze di Mary, una ragazzina che passa le vacanze presso la casa di una prozia. Annoiata a morte dalla placida vita di campagna, fatta di giardinaggio e sonnolenta routine, la giovane spera di trovare qualcosa che la distragga, per dimenticare il suo essere fuori luogo, l'insicurezza per il suo aspetto, la goffaggine che la porta a combinare guai e l'irritazione che le suscita Peter, un ragazzo conosciuto da poco. Un fiore dai misteriosi poteri e una scopa abbandonata nella foresta porteranno Mary a scoprire l'esistenza della magia, di un mondo alternativo, dove le arti occulte sono trattate come materie di studio nell'università di Endor gestita dalla rettrice Madama Mumblechook, e dove vivono e insegnano alchimisti come il dottor Dee. Tutto sembra allo stesso tempo luminoso ma ambiguo. Vero e falso si mescolano in una formula seducente ma pericolosa. E quando la ragazza commetterà un errore fatale, tutte le ombre di quel mondo riveleranno la loro vera natura.
Tratto dal romanzo per l'infanzia di Mary Stewart "La piccola scopa" del 1971, il film è il primo lavoro del neonato Studio Ponoc, composto da molti autori e animatori provenienti dallo Studio Ghibli. Il regista Hiromasa Yonebayashi ha già alle spalle lavori come "Arrietty" e "Quando c'era Marnie", e a suo tempo lo si era indicato come un possibile erede di Miyazaki.
I richiami alle tecniche, alle atmosfere e allo stile del maestro sono evidenti al punto che appare chiaro l'intento di non voler attuare un "divorzio" da quel modello. Sfondi, inquadrature, character design, colori, musiche... tutto parla un linguaggio troppo noto, per non presumere che l'idea è fondamentalmente quella di suggerire allo spettatore di non trovarsi di fronte a qualcosa di diverso da un film Ghibli.
I richiami e le suggestioni sono appositamente costruiti per far correre la mente ad altre produzioni, ma con l'espediente di condire il tutto grazie a una trama canonica, favorita dal ricorso a un canovaccio "classico", unito a un gusto che però non risulta un semplice aggiornamento fine a sé stesso, come spesso avviene per adattamenti di opere di pubblicazione non recente.
La realtà espressa dal film vive nel segno delle percezioni del mondo com'era al tempo del romanzo di riferimento. Nessun sito web informa più di un grimorio, nessun iphone connette meglio di uno specchio magico. Tutto ciò che è magico deve essere scoperto, non viene vissuto come un trend social. In questo è coerente la visione di un mondo parallelo (più che immanente) lontano dall'esperienza comune. Maghi, creature mitologiche, homuncoli ecc. si avvicinano più agli archetipi delle favole tradizionali dei Grimm che alle espressioni wicca o alle successive elaborazioni alla Rowling.
Se non si può non notare il ricorso ai perni più semplici delle narrazioni, come la queste, l'artefatto, il salvataggio, l'agnizione ecc. si percepisce anche la volontà di non farli reggere da soli, affiancandoli a scambi di ruolo e di prospettiva che rendono questi stilemi più vicini al sentire odierno.
Indicativi in tal senso i richiami ai temi e ai problemi d'attualità. Si pensi al rovesciamento dei ruoli di genere nel modello salvatore/salvato o al dislivello prometeico che confonde volutamente i piani fra magia, scienza e tecnica.
Questo è forse l'elemento più interessante fra quelli proposti dal film. La magia del mondo di Mary è una forza che chi la pratica tratta come un elemento alla sua portata, nell'illusione di dominarla.
Il tema dell'apprendista stregone di goethiana memoria è un altro elemento non nuovo, ma attualizzato nel discorso del rapporto dell'Uomo con la techne. Interessanti le figure di Madama Mumblechook e del dottor Dee, emblemi del delirio di onnipotenza che strumentalizza ogni cosa e deforma in maniera fisica corpo e anima. Evidente il sottotesto che suggerisce un parallelismo fra scienza e magia nera, grazie alle combinazioni quasi osmotiche di Endor tra stregoneria e tecnologia.
La manipolazione genetica, l'energia nucleare, i danni ambientali, troppi i riferimenti a problemi quotidiani per non cogliere le citazioni.
Così, se la rettrice ci conferma che l'elettricità è anch'essa classificabile come magia (marcando una precisa relazione fra le materie oscure e la tecnologia), la stessa trasale nel momento in cui perde il controllo del suo esperimento, che provoca la percolante fuoriuscita di un potere devastante e incontenibile, secondo dinamiche che non possono non ricordare gli eventi di Fukushima.
L'invito è esplicito. Nulla di buono viene dal cedere alle lusinghe delle nostre eccedenze, che finiscono col dominarci. Diventa imperativo riportare la narrazione su noi stessi, l'Uomo nelle sue limitazioni. La protagonista trova così il suo percorso di formazione nello scoprire che non è sola nelle sue incertezze, nel suo condividere i difetti della mortalità. Riesce alla fine a trovare quella connessione con gli altri (perfino con Peter) che pensava di non possedere.
C'è una netta separazione tra il potente e il potere. Confondere quella separazione o tentare di annullarla coincide col passo fatale che, nel tentativo di abbattere gli orizzonti, abbatte la capacità di orizzontarsi. L'ansia reificante di ciò che "deve" essere diviene la condanna a non vedere ciò che "può" essere.
Assieme a Mary scopriamo che tutto nel mondo è magico. Tranne il mago.
Mi dispiace dirlo, avevo grandi aspettative sul nuovo film di Hiromasa Yonebayashi, in fondo ha partecipato a numerosi successi; purtroppo, però, questo film non è tra quelli.
Ora, io non ho letto il libro da cui la storia è tratta, quindi parlerò solo del film.
Non mi è piaciuto per niente, a iniziare dalla trama scontata e poco coinvolgente, con i personaggi che hanno mostrato l'inizio di uno sviluppo in certi momenti ma che poi sono rimasti piatti per tutto il resto del film, gli antagonisti che non sono antagonisti perché non sono poi così cattivi, anche perché il loro piano non è malvagio - hanno cercato di renderli cattivi con qualche esperimento sugli animali qua e là, ma non mi hanno fatto né caldo né freddo, sinceramente.
I disegni non sono nulla di che, ma non sono neanche da buttare, e le musiche non mi sono piaciute; i film dello Studio Ghibli, per esempio, a confronto le battono 10 a 0.
Ecco, questo confronto è perfetto e inevitabile, perché in fondo questo lungometraggio è una copia, o almeno ne è un tentativo, dei classici Ghibli: l'ambientazione, i personaggi, la trama, i disegni, questo film trasuda di già visto, e, sebbene per i film Ghibli sia un pregio, perché questo aspetto è gestito molto bene, qui si trasforma in un difetto, e la mancanza di originalità si sente, ed è pesante, e rende il film lento e noioso.
In conclusione, qual è lo scopo di questo film? Perché chiunque non sia un marmocchio dovrebbe guardarlo? Quindi, qual è il perché di questa pellicola? Beh, non ne ho idea, io non ne ho trovato neanche uno, quando con i film Ghibli ci sono infinite chiavi di lettura.
Ora, io non ho letto il libro da cui la storia è tratta, quindi parlerò solo del film.
Non mi è piaciuto per niente, a iniziare dalla trama scontata e poco coinvolgente, con i personaggi che hanno mostrato l'inizio di uno sviluppo in certi momenti ma che poi sono rimasti piatti per tutto il resto del film, gli antagonisti che non sono antagonisti perché non sono poi così cattivi, anche perché il loro piano non è malvagio - hanno cercato di renderli cattivi con qualche esperimento sugli animali qua e là, ma non mi hanno fatto né caldo né freddo, sinceramente.
I disegni non sono nulla di che, ma non sono neanche da buttare, e le musiche non mi sono piaciute; i film dello Studio Ghibli, per esempio, a confronto le battono 10 a 0.
Ecco, questo confronto è perfetto e inevitabile, perché in fondo questo lungometraggio è una copia, o almeno ne è un tentativo, dei classici Ghibli: l'ambientazione, i personaggi, la trama, i disegni, questo film trasuda di già visto, e, sebbene per i film Ghibli sia un pregio, perché questo aspetto è gestito molto bene, qui si trasforma in un difetto, e la mancanza di originalità si sente, ed è pesante, e rende il film lento e noioso.
In conclusione, qual è lo scopo di questo film? Perché chiunque non sia un marmocchio dovrebbe guardarlo? Quindi, qual è il perché di questa pellicola? Beh, non ne ho idea, io non ne ho trovato neanche uno, quando con i film Ghibli ci sono infinite chiavi di lettura.