Evangelion: 3.0+1.01: Thrice Upon A Time
"Back to the real world..."
Se dovessi trovare una frase paradigmatica che possa descrivere l'ultimo atto della saga di "Rebuild of Evangelion" ossia "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time", l'incipit di questa recensione rappresenterebbe la summa del film e in generale della fine della tetralogia del "Rebuild" che, tra alti e bassi, ha chiuso nel 2021 la nuova saga iniziata nel 2007 con il primo film "Evangelion: 1.11 You Are (Not) Alone" e proseguito nel 2009 con "Evangelion: 2.22 - You Can (Not) Advance" e "Evangelion: 3.33 You Can (Not) Redo" del 2012. Quattordici anni dal primo atto per portare a compimento la rivisitazione di un "mostro sacro" dell'animazione nipponica (e non solo), con la quale Hideaki Anno, a mio avviso, più che raccontare una storia di fantascienza e robot, ha raccontato soprattutto se stesso e il suo più o meno doloroso percorso di elaborazione della sofferenza patita: un percorso di solitudine, smarrimento, fuga dalla realtà per trovare rifugio in una dimensione virtuale o semplicemente nell'oblio dell'incapacità di affrontare la vita.
Attenzione: questa parte contiene spoiler
Ho avuto la fortuna di poter visionare tutte le opere su Evangelion in un'unica sessione, senza interruzioni e attese infinite di anni. Ho anche beneficiato dell'opportunità di leggere parecchi commenti, recensioni, interpretazioni, riletture, ecc. e di farmi un'idea complessiva del progetto "Evangelion" in modo più o meno complessivo... Ebbene sì, lo ammetto: alla mia veneranda età ho iniziato a recuperare ciò che ho perso in giovinezza, e devo ammettere che certi anime (di qualità) visti da adulti acquistano un sapore diverso grazie anche alle esperienze vissute che tendono a farci comprendere e apprezzare alcune sfumature che probabilmente da "giovane" non sarei riuscito a cogliere...
Con "The end of the Evangelion" del 1997, di primo acchito, mi è parso evidente che il film non era risolutivo del percorso intrapreso da Anno; la battuta finale di Asuka sulla spiaggia a Shinji mi era parsa paradigmatica: "Che schifo!"... Shinji era ancora la zattera in mezzo ai marosi dell'oceano della vita... Ma anche nei tre successivi film non ho trovato un messaggio forte da parte dell'autore in merito ad un possibile "compimento" del significato della saga e del suo percorso, che invece sono riuscito a percepire in modo abbastanza chiaro, al di là delle metafore, richiami visivi e di dialoghi ai film e alla serie precedenti, sul percorso di maturazione di Shinji-Anno (anche se mi sembra che proprio la triade dei "chosen children" - Shinji, Rei e Asuka - a rappresentare la sfaccettata personalità di H. Anno) e degli altri protagonisti.
La novità vera di "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" è rappresentata dall'evoluzione (definibile positiva) di Shinji e l'epifania di Gendo, il terribile padre-orco, assente, duro, inflessibile e insensibile, di Shinji.
A questi si aggiunge una miglior trattazione e introspezione degli altri personaggi principali della serie: da Asuka a Rei, da Misato agli amici di Shinji. Tutti, e finalmente aggiungo, vengono sviluppati e trattati realisticamente e non come le solite tormentate anime che non riescono a trovare un loro posto nel mondo...
Rispetto alla trilogia del 2007-2012, "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" è del 2021. Sono trascorsi nove anni in cui Anno sembra dimostrare di aver raggiunto un punto di equilibrio più maturo e adulto, e lo dimostra in un film di oltre due ore il cui inizio è contraddistinto da un ritmo narrativo lento, quasi slice of life, in cui Shinji si ritrova a confrontarsi con i suoi amici delle superiori che nel frattempo sono diventati adulti ma anche con Asuka, che come Shinji è rimasta "imprigionata" in un fisico da adolescente...
La vita è andata avanti, per tutti i personaggi, ad eccezione di Shinji, Rei e Asuka: il timeskip attuato nel terzo film ha lasciato Shinji immutato e ancora incapace di uscire dal loop della solitudine in cui è imprigionato...
E' inutile evidenziare che la scelta narrativa attuata da Anno è metaforica. E se il terzo capitolo della saga "rebuild" non mi aveva particolarmente impressionato (tutt'altro: l'ho ritenuto il peggiore dei tre film, ritenendolo ampiamente insufficiente per le scelte narrative e registiche ripetitive e noiose), con "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" si arriva a capire (almeno credo) il perché del plot twist del timeskip e di come Shinji tenta di superarlo...
L'ambientazione bucolica post-apocalittica in cui i sopravvissuti si riorganizzano in una sorta di "comune" o "kibbutz" per vivere in un modo naturale senza eccessive complicazioni organizzative, sociali e tecnologiche, costituisce il sostrato da cui Anno documenta la "trasformazione" di Shinji e Rei, ma non di Asuka. Quest'ultima, sebbene sempre a disposizione della comunità per combattere rimane sostanzialmente la stessa personalità già conosciuta in precedenza: aggiunge solo la malinconia della rassegnazione ad essere la maschera di se stessa, un mix di aggressività non solo per proteggere la propria fragilità ma anche per sfogare la propria rabbia repressa per ciò che non è, né riuscirà mai ad essere. Una caricatura grottesca di una ragazza che non si pone alcun problema a mostrarsi nuda sia a Shinji e a Kensuke e a continuare a massacrare Shinji sempre e solo nell'unico modo a lei noto fin dalla sua apparizione nella saga e che non la porterà da alcuna parte se non nel sublimarsi e realizzarsi nella guida dell'Eva02 (che poi rappresenta semplicemente la metafora del voler vivere in una dimensione "virtuale").
L'arco narrativo sulla terra per Shinji e Rei origina il punto di inizio della loro evoluzione. Rei, il clone definibile con tutti gli aggettivi possibili preceduti dall'"alfa" privativo (atarassica, anaffettiva, ecc.) inizia a provare emozioni per le cose più semplici dell'esistenza e, una volta realizzato che è senza la manutenzione-rigenerazione che le garantiva Gendo Ikari, prova anche la paura della morte... in lei nelle ultime fasi mi è parso di rivedere un po' l'atteggiamento tanto umano degli androidi Nexus6 di "Blade Runner" e la loro lotta contro il tempo e la morte per affermare la loro umanità...
Shinji dopo l'ennesimo "trauma" (la sparizione di Rei dopo il suo lento processo di "umanizzazione") si scuote dal torpore e matura la convinzione di affrontare il proprio destino: tornare in guerra a fianco di Misato, farsi di nuovo impedire di guidare l'Eva e, soprattutto, affrontare il padre... Pur nella sua semplice e un po' forzata rappresentazione, Shinji cambia "d'emblée" il suo atteggiamento: da ameba piagnucolosa perennemente rannicchiata in posizione fetale in un angolino remoto della realtà, si trasforma in una persona all'apparenza normale in attesa del momento appropriato per procedere. Verso chi o cosa a dire il vero non lo sa nemmeno lui, l'unica ad accorgersi immediatamente del suo cambiamento è il personaggio meno sviluppato e trattato del "rebuild" ossia Mari Makinami, che sebbene eccessiva, provocante e "meow" (sigh!...), afferma annusando Shinji appena rientrato sulla nave dei resistenti contro la Nerv, che sentiva profumo di "adulto"...
Ometto la descrizione del combattimento finale col padre. Mi limito a citare una battuta del padre a Shinji: "E' inutile usare la forza, non si vince con la forza"... e il film diventa nuovamente allegoria della vita di Anno attraverso Shinji e il dialogo psicotico con il padre che diventa finalmente protagonista e messo in grado di raccontare la "sua versione" per consentire a Shinji questa volta di compiere la scelta di cosa vorrà essere senza fuggire da tutti e tutto.
Il finale liberatorio e reale in cui spariscono angeli, robot, evangelion attraverso l'ascolto e la probabile comprensione di tutte le questioni irrisolte del passato (in primis: gli errori fatti dal padre, i suoi sacrifici e il senso di responsabilità verso di lui; il rapporto con la madre "assente-vittima" ma comprensiva e protettiva; la fuga senza fine da ciò che non comprendeva e non voleva affrontare) porta non solo Shinji-Anno a re-iniziare a vivere (il collare che viene tolto da Mari in stazione ad uno Shinji questa volta cresciuto e la corsa assieme a lei verso la vita e il futuro dalla stazione ferroviaria con l'animazione che si trasforma in immagini reali...) ma anche ad elaborare una visione più completa del suo percorso. Nel dialogo con Gendo a me è parso che, seppur timidamente, Anno si sia posto "dalla parte opposta", quella avversata nei 30 anni precedenti... quella del padre, come se tutti gli aspetti che Shinji non ha compreso nell'immediato, li ha acquisiti solo crescendo.
E allora mi piacerebbe chiudere un po' "contro corrente" e citare la parte finale di una bella canzone di qualche tempo fa su un ipotetico dialogo tra padre e figlio che riassumerebbe bene il senso del conflitto generazionale: "io ti dirò che un uomo/può anche sbagliare sai/[...]/Ma tu non mi ascolterai/Già so che tu non mi capirai/E non mi crederai/Piangendo tu mi stringerai" ("Un giorno mi dirai" - Stadio -2016).
Se dovessi trovare una frase paradigmatica che possa descrivere l'ultimo atto della saga di "Rebuild of Evangelion" ossia "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time", l'incipit di questa recensione rappresenterebbe la summa del film e in generale della fine della tetralogia del "Rebuild" che, tra alti e bassi, ha chiuso nel 2021 la nuova saga iniziata nel 2007 con il primo film "Evangelion: 1.11 You Are (Not) Alone" e proseguito nel 2009 con "Evangelion: 2.22 - You Can (Not) Advance" e "Evangelion: 3.33 You Can (Not) Redo" del 2012. Quattordici anni dal primo atto per portare a compimento la rivisitazione di un "mostro sacro" dell'animazione nipponica (e non solo), con la quale Hideaki Anno, a mio avviso, più che raccontare una storia di fantascienza e robot, ha raccontato soprattutto se stesso e il suo più o meno doloroso percorso di elaborazione della sofferenza patita: un percorso di solitudine, smarrimento, fuga dalla realtà per trovare rifugio in una dimensione virtuale o semplicemente nell'oblio dell'incapacità di affrontare la vita.
Attenzione: questa parte contiene spoiler
Ho avuto la fortuna di poter visionare tutte le opere su Evangelion in un'unica sessione, senza interruzioni e attese infinite di anni. Ho anche beneficiato dell'opportunità di leggere parecchi commenti, recensioni, interpretazioni, riletture, ecc. e di farmi un'idea complessiva del progetto "Evangelion" in modo più o meno complessivo... Ebbene sì, lo ammetto: alla mia veneranda età ho iniziato a recuperare ciò che ho perso in giovinezza, e devo ammettere che certi anime (di qualità) visti da adulti acquistano un sapore diverso grazie anche alle esperienze vissute che tendono a farci comprendere e apprezzare alcune sfumature che probabilmente da "giovane" non sarei riuscito a cogliere...
Con "The end of the Evangelion" del 1997, di primo acchito, mi è parso evidente che il film non era risolutivo del percorso intrapreso da Anno; la battuta finale di Asuka sulla spiaggia a Shinji mi era parsa paradigmatica: "Che schifo!"... Shinji era ancora la zattera in mezzo ai marosi dell'oceano della vita... Ma anche nei tre successivi film non ho trovato un messaggio forte da parte dell'autore in merito ad un possibile "compimento" del significato della saga e del suo percorso, che invece sono riuscito a percepire in modo abbastanza chiaro, al di là delle metafore, richiami visivi e di dialoghi ai film e alla serie precedenti, sul percorso di maturazione di Shinji-Anno (anche se mi sembra che proprio la triade dei "chosen children" - Shinji, Rei e Asuka - a rappresentare la sfaccettata personalità di H. Anno) e degli altri protagonisti.
La novità vera di "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" è rappresentata dall'evoluzione (definibile positiva) di Shinji e l'epifania di Gendo, il terribile padre-orco, assente, duro, inflessibile e insensibile, di Shinji.
A questi si aggiunge una miglior trattazione e introspezione degli altri personaggi principali della serie: da Asuka a Rei, da Misato agli amici di Shinji. Tutti, e finalmente aggiungo, vengono sviluppati e trattati realisticamente e non come le solite tormentate anime che non riescono a trovare un loro posto nel mondo...
Rispetto alla trilogia del 2007-2012, "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" è del 2021. Sono trascorsi nove anni in cui Anno sembra dimostrare di aver raggiunto un punto di equilibrio più maturo e adulto, e lo dimostra in un film di oltre due ore il cui inizio è contraddistinto da un ritmo narrativo lento, quasi slice of life, in cui Shinji si ritrova a confrontarsi con i suoi amici delle superiori che nel frattempo sono diventati adulti ma anche con Asuka, che come Shinji è rimasta "imprigionata" in un fisico da adolescente...
La vita è andata avanti, per tutti i personaggi, ad eccezione di Shinji, Rei e Asuka: il timeskip attuato nel terzo film ha lasciato Shinji immutato e ancora incapace di uscire dal loop della solitudine in cui è imprigionato...
E' inutile evidenziare che la scelta narrativa attuata da Anno è metaforica. E se il terzo capitolo della saga "rebuild" non mi aveva particolarmente impressionato (tutt'altro: l'ho ritenuto il peggiore dei tre film, ritenendolo ampiamente insufficiente per le scelte narrative e registiche ripetitive e noiose), con "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice upon a time" si arriva a capire (almeno credo) il perché del plot twist del timeskip e di come Shinji tenta di superarlo...
L'ambientazione bucolica post-apocalittica in cui i sopravvissuti si riorganizzano in una sorta di "comune" o "kibbutz" per vivere in un modo naturale senza eccessive complicazioni organizzative, sociali e tecnologiche, costituisce il sostrato da cui Anno documenta la "trasformazione" di Shinji e Rei, ma non di Asuka. Quest'ultima, sebbene sempre a disposizione della comunità per combattere rimane sostanzialmente la stessa personalità già conosciuta in precedenza: aggiunge solo la malinconia della rassegnazione ad essere la maschera di se stessa, un mix di aggressività non solo per proteggere la propria fragilità ma anche per sfogare la propria rabbia repressa per ciò che non è, né riuscirà mai ad essere. Una caricatura grottesca di una ragazza che non si pone alcun problema a mostrarsi nuda sia a Shinji e a Kensuke e a continuare a massacrare Shinji sempre e solo nell'unico modo a lei noto fin dalla sua apparizione nella saga e che non la porterà da alcuna parte se non nel sublimarsi e realizzarsi nella guida dell'Eva02 (che poi rappresenta semplicemente la metafora del voler vivere in una dimensione "virtuale").
L'arco narrativo sulla terra per Shinji e Rei origina il punto di inizio della loro evoluzione. Rei, il clone definibile con tutti gli aggettivi possibili preceduti dall'"alfa" privativo (atarassica, anaffettiva, ecc.) inizia a provare emozioni per le cose più semplici dell'esistenza e, una volta realizzato che è senza la manutenzione-rigenerazione che le garantiva Gendo Ikari, prova anche la paura della morte... in lei nelle ultime fasi mi è parso di rivedere un po' l'atteggiamento tanto umano degli androidi Nexus6 di "Blade Runner" e la loro lotta contro il tempo e la morte per affermare la loro umanità...
Shinji dopo l'ennesimo "trauma" (la sparizione di Rei dopo il suo lento processo di "umanizzazione") si scuote dal torpore e matura la convinzione di affrontare il proprio destino: tornare in guerra a fianco di Misato, farsi di nuovo impedire di guidare l'Eva e, soprattutto, affrontare il padre... Pur nella sua semplice e un po' forzata rappresentazione, Shinji cambia "d'emblée" il suo atteggiamento: da ameba piagnucolosa perennemente rannicchiata in posizione fetale in un angolino remoto della realtà, si trasforma in una persona all'apparenza normale in attesa del momento appropriato per procedere. Verso chi o cosa a dire il vero non lo sa nemmeno lui, l'unica ad accorgersi immediatamente del suo cambiamento è il personaggio meno sviluppato e trattato del "rebuild" ossia Mari Makinami, che sebbene eccessiva, provocante e "meow" (sigh!...), afferma annusando Shinji appena rientrato sulla nave dei resistenti contro la Nerv, che sentiva profumo di "adulto"...
Ometto la descrizione del combattimento finale col padre. Mi limito a citare una battuta del padre a Shinji: "E' inutile usare la forza, non si vince con la forza"... e il film diventa nuovamente allegoria della vita di Anno attraverso Shinji e il dialogo psicotico con il padre che diventa finalmente protagonista e messo in grado di raccontare la "sua versione" per consentire a Shinji questa volta di compiere la scelta di cosa vorrà essere senza fuggire da tutti e tutto.
Il finale liberatorio e reale in cui spariscono angeli, robot, evangelion attraverso l'ascolto e la probabile comprensione di tutte le questioni irrisolte del passato (in primis: gli errori fatti dal padre, i suoi sacrifici e il senso di responsabilità verso di lui; il rapporto con la madre "assente-vittima" ma comprensiva e protettiva; la fuga senza fine da ciò che non comprendeva e non voleva affrontare) porta non solo Shinji-Anno a re-iniziare a vivere (il collare che viene tolto da Mari in stazione ad uno Shinji questa volta cresciuto e la corsa assieme a lei verso la vita e il futuro dalla stazione ferroviaria con l'animazione che si trasforma in immagini reali...) ma anche ad elaborare una visione più completa del suo percorso. Nel dialogo con Gendo a me è parso che, seppur timidamente, Anno si sia posto "dalla parte opposta", quella avversata nei 30 anni precedenti... quella del padre, come se tutti gli aspetti che Shinji non ha compreso nell'immediato, li ha acquisiti solo crescendo.
E allora mi piacerebbe chiudere un po' "contro corrente" e citare la parte finale di una bella canzone di qualche tempo fa su un ipotetico dialogo tra padre e figlio che riassumerebbe bene il senso del conflitto generazionale: "io ti dirò che un uomo/può anche sbagliare sai/[...]/Ma tu non mi ascolterai/Già so che tu non mi capirai/E non mi crederai/Piangendo tu mi stringerai" ("Un giorno mi dirai" - Stadio -2016).
Ci sono tante, troppe cose che non vanno in questo film e in generale nel progetto Rebuild. I capitoli che lo compongono, complici sicuramente i 14 anni di gestazione, vivono di anime diverse, contesti diversi ed idee in continua ebollizione per una storia che arranca nel trovare una sua coerenza narrativa e tematica. La narrazione è piena di situazioni pretestuose e i personaggi, soprattutto alcuni (Mari), non trovano una reale e sensata collocazione all'interno di un mondo già saldo nei suoi canoni rodati. Eppure, nonostante tutto, quest'ultimo "pezzo" di Evangelion riesce a dire qualcosa in più di quanto fatto dall'epilogo più epilogo possibile che fu The End of Evangelion. Al netto dei brutti fanservice "oppai fiesta" che comunque non risultano troppo fastidiosi; di quelli belli da "otaku" tra astronavi Matsumotiane, lance improbabili, pistoni rotanti, robot mecha - divini e tanti, tanti Evangelion che si avvitano e massacrano in scene dalla bellezza allucinante a dir poco pornografica; 3.0+1.0 comunque riesce nell'emozionare soprattutto chi ama davvero la storica saga del 1995. Che si voglia dare adito alla teoria del loop, che si decida di leggere tutto attraverso il metatesto o che si abbia il coraggio (forse) di non applicare nessuna chiave interpretativa, chi conosce Eva riesce a intravedere il filo che lega il Rebuild allo spirito originale dell'opera, anche solo attraverso ai continui rimandi fatti di immagini, suoni, inquadrature, disegni e disegni non disegnati. E allora pur storcendo il naso alle tante superflue storture, pur soprassedendo al gravoso compito di non cercare una vera coerenza in quel che vedo, non posso che emozionarmi di fronte a quello spirito sincero che già tanti anni or sono riuscì a scuotermi dentro. Il Rebuild è tutto fuorchè perfetto. Non sono neanche sicuro ce ne fosse davvero bisogno, ma sono felice di averlo visto, nonostante tutto; per il sottoscritto la bellezza dello spirito dell'opera supera e, anzi, oscura totalmente i suoi numerosi difetti.
E allora non posso che dire anche io, insieme a tutti voi
"Sayonara, subete no Evangelion"
E allora non posso che dire anche io, insieme a tutti voi
"Sayonara, subete no Evangelion"
Attenzione: la recensione contiene spoiler
È finito.
Dopo venti anni ho l'impressione che il cerchio si chiuda definitivamente: il cerchio di Shinji, di Misato, di Gendo, di Rei, di Asuka e forse anche il mio, il nostro.
Insieme a loro, forse, è il momento di andare avanti.
Evangelion è un racconto di formazione e insegna tanto sui sentimenti, su se stessi, sul racconto e sul raccontare: il racconto di noi stessi, quello che ci facciamo e quello che facciamo agli altri, e il racconto che ascoltiamo dagli altri. La vita è proprio quel racconto.
Evangelion ci ha mostrato come la realtà possa essere interpretata: è solo questione di interpretazione e l'interpretazione cambia con l'esperienza. E l'esperienza si matura con il tempo e gli eventi. Ma soprattutto, l'esperienza si matura senza "fuggire dalle cose spiacevoli".
Shinji è stato l'antieroe perfetto e forse, proprio in ragione di ciò, è l'eroe perfetto: umano, egoista, meschino; di quelle meschinità che ciascuno di noi ha e alle quali nessuno può sottrarsi, ma anche coraggioso e pronto all'amore.
Pieno di ripianti come tutti.
Tutti sono un po' Shinji.
Perché Shinji è una metafora.
Non mi interessa descrivere la storia in sé, cosa accade, come, perché: credo che non abbia importanza che venga analizzato ogni passaggio di questo ultimo film.
Ho le mie idee, sul loop temporale, su chi lo abbia innescato (la madre di Shinji), su Asuka Shikinami, ecc. Ma non faccio la blogger e/o la youtuber e non pretendo di indottrinare qualcuno. Ritengo che ciascuno debba darsi le proprie risposte, perché le risposte ci sono questa volta: eccome se ci sono.
Quello che ho compreso negli ultimi anni è che questa nuova storia è una continuazione di Neon Genesis Evangelion e The End of Evangelion.
Ho potuto ri-apprezzare i film precedenti (che in primo momento avevo detestato dal profondo del cuore), vederli in continuità, comprendere la maturazione dei personaggi.
Ho potuto apprezzare la nuova Rei, che vuole vivere e vuole la felicità di Shinji: rappresentazione fortissima che, forse, essere madre è una cosa che hai nella carne, nel tuo DNA e alla quale non puoi sottrarti. Rei piange quelle "Lacrime" (episodio 23) non nella consapevolezza della miseria della propria esistenza, ma nella realizzazione della solitudine come ultimo passo della sua nuova esperienza umana.
Ho apprezzato l'altruismo di Asuka ormai libera dei suoi fantasmi non più "Almeno essere umano" (episodio 22) ma capace finalmente di riconoscere un valore agli altri oltre che a sé stessa. Ammettere ciò che provava per Shinji e diventare, su quella spiaggia, un'adulta.
Ho amato, come sempre, la Misato finalmente libera raccontata in questo film: libera dalla vendetta, dai rimpianti e dalla autocommiserazione, che accoglie l'amore con Kaji e ne da' alla luce il frutto; anche lei finalmente, davvero, adulta. Il sesso non più strumento di annullamento personale e rifugio dalle proprie frustrazioni ma sesso che consente di generare una nuova vita, compimento dell'amore. Soprattutto verso sé stessi.
Dispiace per Ritsuko che non trova spazio a sufficienza: o forse sì?
Questa volta non si fa' più fregare da Gendo e lo combatte con coerenza fino alla fine senza 'rinunciare' alla propria vita e all'amor proprio, senza deprimere il suo essere.
Ma è Shinji quello che ci insegna di più: in quella "Battaglia da uomo" e nell'innesco di quel third impact, near ad essere precisi.
Perché questa volta non è "perché muoiano tutti" ma per salvare Rei: non per porre fine alla propria sofferenza ma per salvare l'altro dalla sofferenza.
Questo ultimo film è potentissimo: Shinji è alla fine di questa storia, di questo ciclo, finalmente una persona risolta.
Riesce ad andare avanti.
Questa volta ci riesce, provando e riprovando finalmente ci riesce: va' avanti come i brani dell' SDAT, prima fermi sempre agli stessi pochi numeri; l' SDAT dal quale prima si separa in un moto di rifiuto e che, infine, riaccoglie una volta riconciliato con sé stesso e con il proprio vissuto.
Naturalmente, ribadisco che il film va visto e rivisto, sovrapposto alla serie principale, a The End Of, poiché molte sono le allusioni e gli episodi che sono stati ri-contestualizzati in una nuova chiave: penso, ad esempio, al "Valore di un miracolo" oppure a "L'ultimo messaggero sacrificale". Prendiamo le teste mozzate di Rei che si vedono: ma sono quelle dell'episodio 23 della serie originale? Oppure "le sei Rei" che vengono nominate: ma le Rei nel nuovo ciclo sono due. E nel vecchio erano 3. Quindi è chiaro che dobbiamo contarle insieme. Ma sommandole sono solo cinque. A meno che non si debba contare anche la Rei del ventiseiesimo episodio, quella con il toast in bocca che corre (del quale vediamo anche il maglioncino nello scatolone fuori dalla stanza di Rei nella Nerv ormai distrutta), la Rei del mondo, di una realtà, in cui 'Shinji non è un pilota di Evangelion'.
Ma un mondo così non va bene, quella realtà non può andare bene, perché Shinji È un pilota di Evangelion e lo deve accettare per poter crescere, smettendo di fuggire: infatti nel suo ultimo finale, quello che appare come definitivo, Shinji rimane un pilota di Evangelion e non cancella ciò che è stato. Ma cancella gli Eva dal mondo, che è ben diverso. Infatti, il DSS Choker gli rimane al collo.
Ed è tramite questo passaggio che si comprende la forza del messaggio di questo film: Shinji alla fine si perfeziona, ma non diventa un dio, semplicemente accetta e va avanti.
Cresce e diventa adulto.
Infine, potentissima la scena finale: Mari toglie a Shinji il DSS Chocker (da notare che non è Shinji che se lo toglie o lo fa semplicemente scomparire durante 'la nuova genesi' ma è un altro che glielo toglie proprio perché lui non ha voluto dimenticare di essere un pilota di EVA) e dopo averglielo tolto e esserselo messo in tasca, gli tende la mano e gli dice "Dai, forza, andiamo Shinji!" e lui, per la prima volta in assoluto, non viene trascinato o tirato o guidato dalla mano di qualcuno, ma per la prima volta stringe quella mano e sceglie di andare avanti, stringe quella mano e di sua iniziativa corre portando lui con sé Mari.
È una scena commovente, meravigliosa, che rappresenta alla perfezione il lieto fine del personaggio, guidata da una colonna sonora perfetta e da immagini del mondo reale che sono bellissime.
Non posso che dare 10.
È finito.
Dopo venti anni ho l'impressione che il cerchio si chiuda definitivamente: il cerchio di Shinji, di Misato, di Gendo, di Rei, di Asuka e forse anche il mio, il nostro.
Insieme a loro, forse, è il momento di andare avanti.
Evangelion è un racconto di formazione e insegna tanto sui sentimenti, su se stessi, sul racconto e sul raccontare: il racconto di noi stessi, quello che ci facciamo e quello che facciamo agli altri, e il racconto che ascoltiamo dagli altri. La vita è proprio quel racconto.
Evangelion ci ha mostrato come la realtà possa essere interpretata: è solo questione di interpretazione e l'interpretazione cambia con l'esperienza. E l'esperienza si matura con il tempo e gli eventi. Ma soprattutto, l'esperienza si matura senza "fuggire dalle cose spiacevoli".
Shinji è stato l'antieroe perfetto e forse, proprio in ragione di ciò, è l'eroe perfetto: umano, egoista, meschino; di quelle meschinità che ciascuno di noi ha e alle quali nessuno può sottrarsi, ma anche coraggioso e pronto all'amore.
Pieno di ripianti come tutti.
Tutti sono un po' Shinji.
Perché Shinji è una metafora.
Non mi interessa descrivere la storia in sé, cosa accade, come, perché: credo che non abbia importanza che venga analizzato ogni passaggio di questo ultimo film.
Ho le mie idee, sul loop temporale, su chi lo abbia innescato (la madre di Shinji), su Asuka Shikinami, ecc. Ma non faccio la blogger e/o la youtuber e non pretendo di indottrinare qualcuno. Ritengo che ciascuno debba darsi le proprie risposte, perché le risposte ci sono questa volta: eccome se ci sono.
Quello che ho compreso negli ultimi anni è che questa nuova storia è una continuazione di Neon Genesis Evangelion e The End of Evangelion.
Ho potuto ri-apprezzare i film precedenti (che in primo momento avevo detestato dal profondo del cuore), vederli in continuità, comprendere la maturazione dei personaggi.
Ho potuto apprezzare la nuova Rei, che vuole vivere e vuole la felicità di Shinji: rappresentazione fortissima che, forse, essere madre è una cosa che hai nella carne, nel tuo DNA e alla quale non puoi sottrarti. Rei piange quelle "Lacrime" (episodio 23) non nella consapevolezza della miseria della propria esistenza, ma nella realizzazione della solitudine come ultimo passo della sua nuova esperienza umana.
Ho apprezzato l'altruismo di Asuka ormai libera dei suoi fantasmi non più "Almeno essere umano" (episodio 22) ma capace finalmente di riconoscere un valore agli altri oltre che a sé stessa. Ammettere ciò che provava per Shinji e diventare, su quella spiaggia, un'adulta.
Ho amato, come sempre, la Misato finalmente libera raccontata in questo film: libera dalla vendetta, dai rimpianti e dalla autocommiserazione, che accoglie l'amore con Kaji e ne da' alla luce il frutto; anche lei finalmente, davvero, adulta. Il sesso non più strumento di annullamento personale e rifugio dalle proprie frustrazioni ma sesso che consente di generare una nuova vita, compimento dell'amore. Soprattutto verso sé stessi.
Dispiace per Ritsuko che non trova spazio a sufficienza: o forse sì?
Questa volta non si fa' più fregare da Gendo e lo combatte con coerenza fino alla fine senza 'rinunciare' alla propria vita e all'amor proprio, senza deprimere il suo essere.
Ma è Shinji quello che ci insegna di più: in quella "Battaglia da uomo" e nell'innesco di quel third impact, near ad essere precisi.
Perché questa volta non è "perché muoiano tutti" ma per salvare Rei: non per porre fine alla propria sofferenza ma per salvare l'altro dalla sofferenza.
Questo ultimo film è potentissimo: Shinji è alla fine di questa storia, di questo ciclo, finalmente una persona risolta.
Riesce ad andare avanti.
Questa volta ci riesce, provando e riprovando finalmente ci riesce: va' avanti come i brani dell' SDAT, prima fermi sempre agli stessi pochi numeri; l' SDAT dal quale prima si separa in un moto di rifiuto e che, infine, riaccoglie una volta riconciliato con sé stesso e con il proprio vissuto.
Naturalmente, ribadisco che il film va visto e rivisto, sovrapposto alla serie principale, a The End Of, poiché molte sono le allusioni e gli episodi che sono stati ri-contestualizzati in una nuova chiave: penso, ad esempio, al "Valore di un miracolo" oppure a "L'ultimo messaggero sacrificale". Prendiamo le teste mozzate di Rei che si vedono: ma sono quelle dell'episodio 23 della serie originale? Oppure "le sei Rei" che vengono nominate: ma le Rei nel nuovo ciclo sono due. E nel vecchio erano 3. Quindi è chiaro che dobbiamo contarle insieme. Ma sommandole sono solo cinque. A meno che non si debba contare anche la Rei del ventiseiesimo episodio, quella con il toast in bocca che corre (del quale vediamo anche il maglioncino nello scatolone fuori dalla stanza di Rei nella Nerv ormai distrutta), la Rei del mondo, di una realtà, in cui 'Shinji non è un pilota di Evangelion'.
Ma un mondo così non va bene, quella realtà non può andare bene, perché Shinji È un pilota di Evangelion e lo deve accettare per poter crescere, smettendo di fuggire: infatti nel suo ultimo finale, quello che appare come definitivo, Shinji rimane un pilota di Evangelion e non cancella ciò che è stato. Ma cancella gli Eva dal mondo, che è ben diverso. Infatti, il DSS Choker gli rimane al collo.
Ed è tramite questo passaggio che si comprende la forza del messaggio di questo film: Shinji alla fine si perfeziona, ma non diventa un dio, semplicemente accetta e va avanti.
Cresce e diventa adulto.
Infine, potentissima la scena finale: Mari toglie a Shinji il DSS Chocker (da notare che non è Shinji che se lo toglie o lo fa semplicemente scomparire durante 'la nuova genesi' ma è un altro che glielo toglie proprio perché lui non ha voluto dimenticare di essere un pilota di EVA) e dopo averglielo tolto e esserselo messo in tasca, gli tende la mano e gli dice "Dai, forza, andiamo Shinji!" e lui, per la prima volta in assoluto, non viene trascinato o tirato o guidato dalla mano di qualcuno, ma per la prima volta stringe quella mano e sceglie di andare avanti, stringe quella mano e di sua iniziativa corre portando lui con sé Mari.
È una scena commovente, meravigliosa, che rappresenta alla perfezione il lieto fine del personaggio, guidata da una colonna sonora perfetta e da immagini del mondo reale che sono bellissime.
Non posso che dare 10.
Penso sia un'altra occasione sprecata da Anno per concludere decentemente Evangelion. Delle tre, non ne ha azzeccata una.
Il film ha dei momenti interessanti ed avvincenti, ma non sono sufficienti a contrastare l'infinito minutaggio di noia mortale. Questo film è decisamente troppo lungo e troppo pieno di scene che riescono soltanto a strappare sbadigli, come ad esempio
Attenzione: questa parte contiene spoiler
tutto il periodo "bucolico" nella cittadina dei sopravvissuti, che poteva durare tranquillamente 5 dei suoi oltre 30 inutili minuti passati ad ascoltare la signorina Sosia a chiedere cosa fosse qualunque cosa e a rivedere lo Shinji muto e dal capo chinato visto nella prima parte di "The End of Evangelion". È un intermezzo che non emoziona, non diverte, non intrattiene, non induce riflessioni interessanti. Fallisce su tutta la linea.
Fine della parte contenente spoiler
Ma veniamo ora alla vera, imperdonabile pecca di questo film. Il finale. E quando dico "finale" mi riferisco a quasi tutta l'ultima ora, non agli ultimi 10 minuti.
Tornano qui le mille elucubrazioni mentali che avevano già rovinato la serie e "The End of Evangelion". Torna qui un abbandonare ciò che sta succedendo nel mondo per mostrare ciò che sta succedendo nella testa di Shinji.
Torna qui una serie di eventi di difficilissima comprensione, aggravata da dialoghi che contribuiscono a rendere il tutto ancora più oscuro. Tornano qui una serie di trovate registiche che avevo già detestato in quest'ultimo, come ad esempio l'accompagnare le scene salienti dell'Impact con una banalissima e irritante canzoncina pop sdolcinata, il testone bianco gigante di Rei/Yui che fluttua (ma qui reso orrendo da un'invadentissima CGI), il ridurre a tratti le animazioni a semplici bozze, e l'inclusione di scene non d'animazione, ovvero riprese reali.
Torna qui l'Anno che speravo che dopo 20 anni (e quasi 10 a preparare questo film dopo il terzo capitolo) avesse superato l'esigenza di fare il profondo senza riuscirci, un Anno che speravo avesse districato i propri nodi interiori che l'avevano portato a rendere tanto la conclusione della serie quanto la seconda parte di "The End" dei polpettoni di banalissima introspezione fine a se stessa. Purtroppo, invece, abbiamo che fare con lo stesso e identico Anno, a cui evidentemente dev'essersi bloccata la crescita tanto quanto ai fan che avevano apprezzato tali dinamiche narrative in passato e le hanno riapprezzate oggi.
Visivamente il film sarebbe spettacolare, se spesso non avesse degli eccessi di CGI ben troppo evidenti. Resto comunque fan degli anime non digitali e, quindi, per me dal punto di vista visivo resta 1000 volte superiore l'Evangelion anni 90 rispetto a questo, che è comunque il migliore della Rebuild. Molto bello anche il comparto sonoro, a parte l'orripilante canzoncina di cui sopra.
Insomma, io mi sono guardato tutta la Rebuild, resistendo anche alla noia mortale del primo film e mezzo di cui già sapevo tutto (essendo fedelissimi alla serie originale), perché sapevo che la storia poi avrebbe preso una piega tutta nuova e speravo in un degno finale. Purtroppo, la storia ha sì preso una piega tutta nuova e anche molto interessante, ma solo per poi schiantarsi nuovamente in un finale orrendo e che sa di riciclato (mi riferisco alle dinamiche narrative, non all'esito che è chiaramente diverso).
Per me Evangelion aveva solo bisogno di un remake della seconda metà di "The End Of Evangelion" che ne rimuovesse tutte le trovate orrende, per poter essere un capolavoro di anime (ovviamente ignorando l'esistenza degli episodi 25 e 26). Fare il remake/reboot di tutta la serie per poi ricadere esattamente in quelle stesse trovate, è esattamente l'opposto di ciò che avrei auspicato.
Il film ha dei momenti interessanti ed avvincenti, ma non sono sufficienti a contrastare l'infinito minutaggio di noia mortale. Questo film è decisamente troppo lungo e troppo pieno di scene che riescono soltanto a strappare sbadigli, come ad esempio
Attenzione: questa parte contiene spoiler
tutto il periodo "bucolico" nella cittadina dei sopravvissuti, che poteva durare tranquillamente 5 dei suoi oltre 30 inutili minuti passati ad ascoltare la signorina Sosia a chiedere cosa fosse qualunque cosa e a rivedere lo Shinji muto e dal capo chinato visto nella prima parte di "The End of Evangelion". È un intermezzo che non emoziona, non diverte, non intrattiene, non induce riflessioni interessanti. Fallisce su tutta la linea.
Fine della parte contenente spoiler
Ma veniamo ora alla vera, imperdonabile pecca di questo film. Il finale. E quando dico "finale" mi riferisco a quasi tutta l'ultima ora, non agli ultimi 10 minuti.
Tornano qui le mille elucubrazioni mentali che avevano già rovinato la serie e "The End of Evangelion". Torna qui un abbandonare ciò che sta succedendo nel mondo per mostrare ciò che sta succedendo nella testa di Shinji.
Torna qui una serie di eventi di difficilissima comprensione, aggravata da dialoghi che contribuiscono a rendere il tutto ancora più oscuro. Tornano qui una serie di trovate registiche che avevo già detestato in quest'ultimo, come ad esempio l'accompagnare le scene salienti dell'Impact con una banalissima e irritante canzoncina pop sdolcinata, il testone bianco gigante di Rei/Yui che fluttua (ma qui reso orrendo da un'invadentissima CGI), il ridurre a tratti le animazioni a semplici bozze, e l'inclusione di scene non d'animazione, ovvero riprese reali.
Torna qui l'Anno che speravo che dopo 20 anni (e quasi 10 a preparare questo film dopo il terzo capitolo) avesse superato l'esigenza di fare il profondo senza riuscirci, un Anno che speravo avesse districato i propri nodi interiori che l'avevano portato a rendere tanto la conclusione della serie quanto la seconda parte di "The End" dei polpettoni di banalissima introspezione fine a se stessa. Purtroppo, invece, abbiamo che fare con lo stesso e identico Anno, a cui evidentemente dev'essersi bloccata la crescita tanto quanto ai fan che avevano apprezzato tali dinamiche narrative in passato e le hanno riapprezzate oggi.
Visivamente il film sarebbe spettacolare, se spesso non avesse degli eccessi di CGI ben troppo evidenti. Resto comunque fan degli anime non digitali e, quindi, per me dal punto di vista visivo resta 1000 volte superiore l'Evangelion anni 90 rispetto a questo, che è comunque il migliore della Rebuild. Molto bello anche il comparto sonoro, a parte l'orripilante canzoncina di cui sopra.
Insomma, io mi sono guardato tutta la Rebuild, resistendo anche alla noia mortale del primo film e mezzo di cui già sapevo tutto (essendo fedelissimi alla serie originale), perché sapevo che la storia poi avrebbe preso una piega tutta nuova e speravo in un degno finale. Purtroppo, la storia ha sì preso una piega tutta nuova e anche molto interessante, ma solo per poi schiantarsi nuovamente in un finale orrendo e che sa di riciclato (mi riferisco alle dinamiche narrative, non all'esito che è chiaramente diverso).
Per me Evangelion aveva solo bisogno di un remake della seconda metà di "The End Of Evangelion" che ne rimuovesse tutte le trovate orrende, per poter essere un capolavoro di anime (ovviamente ignorando l'esistenza degli episodi 25 e 26). Fare il remake/reboot di tutta la serie per poi ricadere esattamente in quelle stesse trovate, è esattamente l'opposto di ciò che avrei auspicato.
--- Questa recensione è una funerea eulogia, una trenodia dedicata alla morte di Neon Genesis Evangelion - ed alla nostra liberazione, sfociante che sia nella vita o nella morte. Il film in questione è trattato incidentalmente ed il voto risente anche delle tante insoddisfazioni che la Rebuild mi ha dato nel corso degli ultimi 9 anni, da quando mi ci sono avvicinato la prima volta. ---
"Thrice upon a time". Tre era considerato numero fortunato e magico nell'antichità.
Davanti al male gli antichi Romani sputavano tre volte con intenti apotropaici. Il tre li avrebbe aiutati.
Eppure il 2021, l'anno che viviamo, ha visto la tentata morte di una persona a me vicina, la morte di Kentarou Miura e la conseguente fine prematura di Berserk - e ora la fine di Evangelion, l'unica vera fiamma nella produzione di Hideaki Anno.
Evangelion era in realtà morto tanto tempo fa. Non per una questione nostalgica e misoneista, di rifiuto di questa novità "ricostruttrice", misconoscendola e riconoscendo unicamente la serie animata classica (1995-96). Evangelion era effettivamente morto, oggettivamente morto. La parabola di crescita interiore di Shinji, questo anti-eroe rappresentante il popolo giapponese rimasto agli occhi di Anno infante e immaturo, senza punti di riferimento e modelli di vita e morale adulta (https://archive.ph/FQFuh), si concludeva degnamente con la sua rinascita - con l'applauso finale che lo riconosceva come degno cittadino e amico, come non-più-bambino ("a tutti i bambini del mondo: congratulazioni"). Anno non aveva, probabilmente, tenuto in considerazione il fatto di aver creato un'opera non meramente introspettiva, ma anche mistica, ergentesi su di un piano più elevato rispetto alla media, mescolante gli stilemi classici di mecha e kaiju con fin troppo altro, seppure in un modo agli occhi dei più arguti troppo caotico e dilettantescamente esoterico. Una ricetta esplosiva che creò una esplosiva fanbase sostanzialmente insaziabile. Le minacce di morte, all'epoca ancora prese sul serio (siamo lontani dalla desensibilizzazione odierna), colpirono vivamente Anno, che si rivolse anche verso l'estremo gesto (https://www.youtube.com/watch?v=mCkeQIAOuBg). Il disgusto di Anno per la comunità a cui lui aveva rivolto la sua opera, che aveva spronato a rialzarsi, a maturare, ma che aveva risposto con un ritorno di fiamma, si condensa nel 1997 nel film "The end of Evangelion" (EoE), agli occhi di molti la focaccia soporifera data in pasta a Cerbero. Anno inserì nella parte finale di EoE piccole riproduzioni di queste minacce e questi insulti che ricevette e che lo portarono, pochi anni dopo (2002-04), ad ammettere che "after Eva, there was a time when I wanted to stop being an otaku. I was sick of the stagnation of the anime industry and fans. I was filled with self-hatred back then. I was desperate." Queste dichiarazioni, inserite nei capitoli extra del manga "Insufficient direction" co-prodotto da Anno stesso e la sua neo-moglie (2002), si inseriscono in una nuova fase di vita dell'autore. Il matrimonio cambia Hideaki Anno e cambia il suo modo pessimista di vedere l'esistenza, introversa e chiusa, incurante.
Eppure, nel mentre, nella vita reale avveniva più o meno ciò che avveniva nel mondo immaginario di NeoTokyo-3. La community, come l'Idra di Lerna, più passava il tempo e più accresceva il numero delle proprie teste e la propria temibilità nutrendosi di accessori, giochi da tavolo e digitali, fumetti - tutto targato NGE – esattamente come nella serie originale ad un Angelo ne seguiva un altro ed un altro ancora, senza requie. La fama degli Eva si nutriva di sé stessa, ma la responsabilità non poteva che ricadere sul creatore stesso. Hideaki Anno, non so se più nolente che volente o viceversa, si imbarca perciò nel 2006 in questa "storia che si ripete" (come dichiarato in un pamphlet pre-Rebuild: https://archive.ph/ReFyB): la ricostruzione di Neon Genesis Evangelion, ma in realtà la sua esorcizzazione.
Per quanto Neon Genesis Evangelion fosse già di per sé, come detto sopra, terminato - morto non era però il suo lascito. Il Rebuild non è altro che la critica di Anno alla sua stessa creatura. Un lungo e goffo "addio" che ha impiegato 15 anni per poter esser pronunciato. Il liberarsi del masso da parte di Sisifo. Come sottolineato da M. Zucchi (https://archive.ph/ReFyB), il Rebuild ha sofferto di una sovrabbondanza di finanziamenti, cosa che ha portato al dedicarsi in modo pleonastico alla sua façade action e mecha, spesso - anche qui, nel quarto capitolo - assolutamente sfacciata, insulsa nella sua gigantografia. In modo similare il costante fan service e le nudità prima d'ora mai così impudentemente ostentate. Inizio a ritenere, però, che questi tratti - da me tanto criticati e disprezzati - consistano, in realtà, nell'ultimo sfregio di chi ha il potere di avere l'ultima parola, ovverossia Anno in persona. Siamo stati tutti innamorati di Rei e siamo stati tutti attratti di Asuka. In balia e ostaggio della deformazione (in parte per colpa di Anno stesso, che da "primo" otaku ha impresso la sua visione delle sue protagoniste su di noi) della sua opera d'arte e dei personaggi della sua opera d'arte, l'autore decide di dare alla community quello che la community avrebbe sempre voluto, per quanto infimo potesse essere. I tronfi e lunghi scontri aerei, le nudità e gli accenni sessuali ripetuti, il nuovo ruolo di Rei (ed in parte di Asuka) di adolescente innamorata di Shinji - tutto ciò è quello che nella nostra giovinezza avevamo sognato accadesse, ma che Anno si era rifiutato di concederci.
Non avremmo sempre voluto ritrovare una Rei che aspettasse Shinji a casa come una fedele fidanzata ed un'Asuka i cui contorni potessero essere raddolciti dalla parvenza dell'amore? Non avremmo sempre voluto osservare più carnalità espressa e non repressa? Non avremmo voluto, alla fine, che tutto ciò non finisse mai? Nel terzo capitolo della ricostruzione di NGE, il più bistrattato dalla critica (e anche da me), il parossismo di tutto ciò diventa talmente immane da rinchiudere i nostri idoli, Asuka e Shinji, in corpi adolescenziali vita natural durante: 14 anni sono passati, ma loro sono incapaci di crescere, compressi dalla cornice della loro stessa fama, dal franchise. Primo, secondo, terzo, persino quarto "impact". Tutto ricomincia sempre, senza mai evolversi se non nella laboriosità di nomi, acronimi, modelli di Evangelion - i quali diventano miriadi, infiniti come le centinaia di migliaia di copie di pupazzi, portachiavi e quant’altro sono state prodotte. La linearità primitiva, ossia lo sconfiggere un Angelo dopo l'altro fino ad arrivare alla fine del Progetto di perfezionamento dell'uomo, si perde tra i rivoli di sottotrame mai chiarite e di molteplicità allucinanti. Evangelion, costretto ad una vita più lunga del dovuto, diventa un prodotto senile le cui cellule cominciano a impazzire, esplodendo in una esasperante complicatezza alla fine vacua ed inspiegabile, tumorale.
Attenzione: questa parte contiene spoiler!
La bellezza del quarto capitolo di questa saga sta proprio nel modo delicato e nello stesso tempo schizoide che ha di porre un freno a questa metastasi. I nostri protagonisti, visibilmente stanchi, si ritrovano in un anonimo e calmo villaggio sulle montagne nipponiche. La calma bucolica e miyazakiana (leggere sempre Zucchi per un paragone al riguardo: https://archive.ph/ReFyB) della vita di Rei, che impara a coltivare il riso e a sorridere, mentre Toji e Kensuke vivono la propria vita adulta nel modo più accettabile possibile per sé stessi e per il prossimo, è comunque accompagnata dal dramma infinito e faustiano di Shinji ed Asuka, intrappolati nel proprio inferno, ed è geograficamente ubicata ai lati di un contaminato cimitero di Evangelion - dei tanti Evangelion che negli anni sono nati e morti e rinati, appestando l'ambiente e l'idea originale. La melma può esondare da un momento all'altro - ed è quel che avviene. L'umanizzazione e la pace interiore ed esteriore di Rei, il personaggio più bistrattato e desolante dell'intera serie, quello per cui molti di noi han provato emozioni più sincere e forti, “scoppia” improvvisamente: Rei non può esistere fuori dal suo stesso mito e ruolo. È in quel momento che il "modo delicato" di risolvere la peste viene abbandonato per il "modo schizoide", per autocitarmi. Un ultimo scontro finale ed apocalittico che ripercorre l'ultimo scontro finale ed apocalittico di The End of Evangelion in modo pedissequo, anche graficamente, si snoda in vie oscure a livello di trama, ma non nello spirito: se nel film del 1997 Shinji era guerriero in una lunga battaglia con sé stesso, questa volta invece la guerra è rivolta al proprio creatore, quasi come il Satana di “Paradise Lost” o il Maldoror di Lautréamont. Sotto la patina edipica si ritrova il ribellarsi del protagonista non al proprio stesso padre, ma ad Hideaki Anno in persona (Anno stesso ha ammesso una sua vicinanza al personaggio di Gendou, oramai. "Now I feel closer to Gendou than Shinji": https://evangelion.fandom.com/wiki/Evangelion_3.0%2B1.0_Assorted_Translations) - sino all'ammissione di colpa, allo sfogo, al primo sfogo che Gendou non trattiene in 30 anni. L'abbraccio finale e la riappacificazione tanto agognata col padre; il placido scambio, sull’apocalittica spiaggia di 24 anni fa, di complimenti tra Asuka e Shinji e la triste ammissione di un amore che non è mai sbocciato, per cui ora è troppo tardi ("grazie per aver detto che ti piacevo. Anche a me piacevi" - ma anche la esorcizzazione dell'ipersessualizzazione di questo povero personaggio, ora libero di essere donna e non oggetto sessuale: https://archive.md/jO7Q4); il saluto a Kaworu, il rappresentante del tutto, l'ultimo Angelo, la colla che teneva tutto assieme. A questo punto tutto crolla e la quarta parete vien giù. Ci ritroviamo in uno studio cinematografico. Rimane una sola persona con cui fare i conti, colei che rappresentava la madre, la sorella e l'amante: Rei/Yuki. L'ultima ad essere salutata.
La bolla è scoppiata e l'anime stesso crolla. Shinji, seduto sull'arena dinnanzi ad un mare azzurro, purificato dalla "morte rossa" di Evangelion, si deforma e destruttura graficamente sino a divenire una bozza di disegno - ma il risveglio è alle porte. Mari, questo personaggio iniettato apparentemente senza una motivazione valida da Anno nel secondo film, diventa la catalizzatrice della rinascita in e di un mondo nuovo. Una "neon genesis" senza Evangelion. Rei con Kaworu, Asuka presumibilmente con Kensuke - e Mari con uno Shinji adulto. La speranza finale di molti di noi, ossia di vedere il trio Rei-Asuka-Shinji ancora assieme si scioglie, un po' come i corpi umani durante il Third Impact. Mari, chiamata in una scena di questo film "Iscariota" da Fuyutsuki, ci "tradisce" e "tradisce" i nostri sogni ancora debolmente attaccati a questi 30 anni di mitologia evangelioniana. Come spesso, o anzi sempre, accade nella vita reale, le persone che tanto credevamo fossero le nostra colonne portanti verranno perse e nuovi legami umani si formeranno, per quanto ciò possa essere desolante. Questa è la vita, quella vera che i personaggi di NGE hanno tanto tardato ad assaporare, anche nella sua amarezza, per essere stati intrappolati per ben tre decenni nel “sogno del cacciatore” dello spettatore medio – spettatore intrappolato anch’esso nel proprio stesso onirismo.
Fine parte contenente spoiler
Si spera, a questo punto, dopo tanto soffrire, tanto invecchiare, tanto discettare – si spera che finalmente sia finita.
E che possiamo tutti morire in pace, o vivere in pace.
Molti di noi, purtroppo o per fortuna, si erano risvegliati dal sogno tanto, tanto tempo fa - e l'effetto che questo film provoca è più o meno solamente nostalgico. Come ricordi de "le mie prigioni".
Da leggere: https://archive.md/Wa7X6
"Thrice upon a time". Tre era considerato numero fortunato e magico nell'antichità.
Davanti al male gli antichi Romani sputavano tre volte con intenti apotropaici. Il tre li avrebbe aiutati.
Eppure il 2021, l'anno che viviamo, ha visto la tentata morte di una persona a me vicina, la morte di Kentarou Miura e la conseguente fine prematura di Berserk - e ora la fine di Evangelion, l'unica vera fiamma nella produzione di Hideaki Anno.
Evangelion era in realtà morto tanto tempo fa. Non per una questione nostalgica e misoneista, di rifiuto di questa novità "ricostruttrice", misconoscendola e riconoscendo unicamente la serie animata classica (1995-96). Evangelion era effettivamente morto, oggettivamente morto. La parabola di crescita interiore di Shinji, questo anti-eroe rappresentante il popolo giapponese rimasto agli occhi di Anno infante e immaturo, senza punti di riferimento e modelli di vita e morale adulta (https://archive.ph/FQFuh), si concludeva degnamente con la sua rinascita - con l'applauso finale che lo riconosceva come degno cittadino e amico, come non-più-bambino ("a tutti i bambini del mondo: congratulazioni"). Anno non aveva, probabilmente, tenuto in considerazione il fatto di aver creato un'opera non meramente introspettiva, ma anche mistica, ergentesi su di un piano più elevato rispetto alla media, mescolante gli stilemi classici di mecha e kaiju con fin troppo altro, seppure in un modo agli occhi dei più arguti troppo caotico e dilettantescamente esoterico. Una ricetta esplosiva che creò una esplosiva fanbase sostanzialmente insaziabile. Le minacce di morte, all'epoca ancora prese sul serio (siamo lontani dalla desensibilizzazione odierna), colpirono vivamente Anno, che si rivolse anche verso l'estremo gesto (https://www.youtube.com/watch?v=mCkeQIAOuBg). Il disgusto di Anno per la comunità a cui lui aveva rivolto la sua opera, che aveva spronato a rialzarsi, a maturare, ma che aveva risposto con un ritorno di fiamma, si condensa nel 1997 nel film "The end of Evangelion" (EoE), agli occhi di molti la focaccia soporifera data in pasta a Cerbero. Anno inserì nella parte finale di EoE piccole riproduzioni di queste minacce e questi insulti che ricevette e che lo portarono, pochi anni dopo (2002-04), ad ammettere che "after Eva, there was a time when I wanted to stop being an otaku. I was sick of the stagnation of the anime industry and fans. I was filled with self-hatred back then. I was desperate." Queste dichiarazioni, inserite nei capitoli extra del manga "Insufficient direction" co-prodotto da Anno stesso e la sua neo-moglie (2002), si inseriscono in una nuova fase di vita dell'autore. Il matrimonio cambia Hideaki Anno e cambia il suo modo pessimista di vedere l'esistenza, introversa e chiusa, incurante.
Eppure, nel mentre, nella vita reale avveniva più o meno ciò che avveniva nel mondo immaginario di NeoTokyo-3. La community, come l'Idra di Lerna, più passava il tempo e più accresceva il numero delle proprie teste e la propria temibilità nutrendosi di accessori, giochi da tavolo e digitali, fumetti - tutto targato NGE – esattamente come nella serie originale ad un Angelo ne seguiva un altro ed un altro ancora, senza requie. La fama degli Eva si nutriva di sé stessa, ma la responsabilità non poteva che ricadere sul creatore stesso. Hideaki Anno, non so se più nolente che volente o viceversa, si imbarca perciò nel 2006 in questa "storia che si ripete" (come dichiarato in un pamphlet pre-Rebuild: https://archive.ph/ReFyB): la ricostruzione di Neon Genesis Evangelion, ma in realtà la sua esorcizzazione.
Per quanto Neon Genesis Evangelion fosse già di per sé, come detto sopra, terminato - morto non era però il suo lascito. Il Rebuild non è altro che la critica di Anno alla sua stessa creatura. Un lungo e goffo "addio" che ha impiegato 15 anni per poter esser pronunciato. Il liberarsi del masso da parte di Sisifo. Come sottolineato da M. Zucchi (https://archive.ph/ReFyB), il Rebuild ha sofferto di una sovrabbondanza di finanziamenti, cosa che ha portato al dedicarsi in modo pleonastico alla sua façade action e mecha, spesso - anche qui, nel quarto capitolo - assolutamente sfacciata, insulsa nella sua gigantografia. In modo similare il costante fan service e le nudità prima d'ora mai così impudentemente ostentate. Inizio a ritenere, però, che questi tratti - da me tanto criticati e disprezzati - consistano, in realtà, nell'ultimo sfregio di chi ha il potere di avere l'ultima parola, ovverossia Anno in persona. Siamo stati tutti innamorati di Rei e siamo stati tutti attratti di Asuka. In balia e ostaggio della deformazione (in parte per colpa di Anno stesso, che da "primo" otaku ha impresso la sua visione delle sue protagoniste su di noi) della sua opera d'arte e dei personaggi della sua opera d'arte, l'autore decide di dare alla community quello che la community avrebbe sempre voluto, per quanto infimo potesse essere. I tronfi e lunghi scontri aerei, le nudità e gli accenni sessuali ripetuti, il nuovo ruolo di Rei (ed in parte di Asuka) di adolescente innamorata di Shinji - tutto ciò è quello che nella nostra giovinezza avevamo sognato accadesse, ma che Anno si era rifiutato di concederci.
Non avremmo sempre voluto ritrovare una Rei che aspettasse Shinji a casa come una fedele fidanzata ed un'Asuka i cui contorni potessero essere raddolciti dalla parvenza dell'amore? Non avremmo sempre voluto osservare più carnalità espressa e non repressa? Non avremmo voluto, alla fine, che tutto ciò non finisse mai? Nel terzo capitolo della ricostruzione di NGE, il più bistrattato dalla critica (e anche da me), il parossismo di tutto ciò diventa talmente immane da rinchiudere i nostri idoli, Asuka e Shinji, in corpi adolescenziali vita natural durante: 14 anni sono passati, ma loro sono incapaci di crescere, compressi dalla cornice della loro stessa fama, dal franchise. Primo, secondo, terzo, persino quarto "impact". Tutto ricomincia sempre, senza mai evolversi se non nella laboriosità di nomi, acronimi, modelli di Evangelion - i quali diventano miriadi, infiniti come le centinaia di migliaia di copie di pupazzi, portachiavi e quant’altro sono state prodotte. La linearità primitiva, ossia lo sconfiggere un Angelo dopo l'altro fino ad arrivare alla fine del Progetto di perfezionamento dell'uomo, si perde tra i rivoli di sottotrame mai chiarite e di molteplicità allucinanti. Evangelion, costretto ad una vita più lunga del dovuto, diventa un prodotto senile le cui cellule cominciano a impazzire, esplodendo in una esasperante complicatezza alla fine vacua ed inspiegabile, tumorale.
Attenzione: questa parte contiene spoiler!
La bellezza del quarto capitolo di questa saga sta proprio nel modo delicato e nello stesso tempo schizoide che ha di porre un freno a questa metastasi. I nostri protagonisti, visibilmente stanchi, si ritrovano in un anonimo e calmo villaggio sulle montagne nipponiche. La calma bucolica e miyazakiana (leggere sempre Zucchi per un paragone al riguardo: https://archive.ph/ReFyB) della vita di Rei, che impara a coltivare il riso e a sorridere, mentre Toji e Kensuke vivono la propria vita adulta nel modo più accettabile possibile per sé stessi e per il prossimo, è comunque accompagnata dal dramma infinito e faustiano di Shinji ed Asuka, intrappolati nel proprio inferno, ed è geograficamente ubicata ai lati di un contaminato cimitero di Evangelion - dei tanti Evangelion che negli anni sono nati e morti e rinati, appestando l'ambiente e l'idea originale. La melma può esondare da un momento all'altro - ed è quel che avviene. L'umanizzazione e la pace interiore ed esteriore di Rei, il personaggio più bistrattato e desolante dell'intera serie, quello per cui molti di noi han provato emozioni più sincere e forti, “scoppia” improvvisamente: Rei non può esistere fuori dal suo stesso mito e ruolo. È in quel momento che il "modo delicato" di risolvere la peste viene abbandonato per il "modo schizoide", per autocitarmi. Un ultimo scontro finale ed apocalittico che ripercorre l'ultimo scontro finale ed apocalittico di The End of Evangelion in modo pedissequo, anche graficamente, si snoda in vie oscure a livello di trama, ma non nello spirito: se nel film del 1997 Shinji era guerriero in una lunga battaglia con sé stesso, questa volta invece la guerra è rivolta al proprio creatore, quasi come il Satana di “Paradise Lost” o il Maldoror di Lautréamont. Sotto la patina edipica si ritrova il ribellarsi del protagonista non al proprio stesso padre, ma ad Hideaki Anno in persona (Anno stesso ha ammesso una sua vicinanza al personaggio di Gendou, oramai. "Now I feel closer to Gendou than Shinji": https://evangelion.fandom.com/wiki/Evangelion_3.0%2B1.0_Assorted_Translations) - sino all'ammissione di colpa, allo sfogo, al primo sfogo che Gendou non trattiene in 30 anni. L'abbraccio finale e la riappacificazione tanto agognata col padre; il placido scambio, sull’apocalittica spiaggia di 24 anni fa, di complimenti tra Asuka e Shinji e la triste ammissione di un amore che non è mai sbocciato, per cui ora è troppo tardi ("grazie per aver detto che ti piacevo. Anche a me piacevi" - ma anche la esorcizzazione dell'ipersessualizzazione di questo povero personaggio, ora libero di essere donna e non oggetto sessuale: https://archive.md/jO7Q4); il saluto a Kaworu, il rappresentante del tutto, l'ultimo Angelo, la colla che teneva tutto assieme. A questo punto tutto crolla e la quarta parete vien giù. Ci ritroviamo in uno studio cinematografico. Rimane una sola persona con cui fare i conti, colei che rappresentava la madre, la sorella e l'amante: Rei/Yuki. L'ultima ad essere salutata.
La bolla è scoppiata e l'anime stesso crolla. Shinji, seduto sull'arena dinnanzi ad un mare azzurro, purificato dalla "morte rossa" di Evangelion, si deforma e destruttura graficamente sino a divenire una bozza di disegno - ma il risveglio è alle porte. Mari, questo personaggio iniettato apparentemente senza una motivazione valida da Anno nel secondo film, diventa la catalizzatrice della rinascita in e di un mondo nuovo. Una "neon genesis" senza Evangelion. Rei con Kaworu, Asuka presumibilmente con Kensuke - e Mari con uno Shinji adulto. La speranza finale di molti di noi, ossia di vedere il trio Rei-Asuka-Shinji ancora assieme si scioglie, un po' come i corpi umani durante il Third Impact. Mari, chiamata in una scena di questo film "Iscariota" da Fuyutsuki, ci "tradisce" e "tradisce" i nostri sogni ancora debolmente attaccati a questi 30 anni di mitologia evangelioniana. Come spesso, o anzi sempre, accade nella vita reale, le persone che tanto credevamo fossero le nostra colonne portanti verranno perse e nuovi legami umani si formeranno, per quanto ciò possa essere desolante. Questa è la vita, quella vera che i personaggi di NGE hanno tanto tardato ad assaporare, anche nella sua amarezza, per essere stati intrappolati per ben tre decenni nel “sogno del cacciatore” dello spettatore medio – spettatore intrappolato anch’esso nel proprio stesso onirismo.
Fine parte contenente spoiler
Si spera, a questo punto, dopo tanto soffrire, tanto invecchiare, tanto discettare – si spera che finalmente sia finita.
E che possiamo tutti morire in pace, o vivere in pace.
Molti di noi, purtroppo o per fortuna, si erano risvegliati dal sogno tanto, tanto tempo fa - e l'effetto che questo film provoca è più o meno solamente nostalgico. Come ricordi de "le mie prigioni".
Da leggere: https://archive.md/Wa7X6
Attenzione: la recensione contiene spoiler!!
La conclusione di un'opera è sempre difficile da valutare, soprattutto se si tratta di "Evangelion" e del suo regista.
La trama riprende da dove il capitolo precedente si era concluso e come altri diranno è fondamentalmente divisa in tre parti: un inizio che ci mostra il lato più umano dei protagonisti e la loro crescita (quando presente), una parte centrale degna di nota per coreografie ed effetti speciali, infine un lungo finale dove la quarta parete viene bucata più volte per parlare direttamente allo spettatore, e forse anche al regista.
Come in tutti gli "Evangelion" che si rispettino ci sono cose non spiegate, termini complessi buttati a casaccio, necessità di dare una motivazione a ciò che succede sullo schermo e di cui poi non viene più fatta menzione, ma l'intreccio di fondo resta ed è solito... ed è lo stesso di "The End of Evangelion".
La sola differenza è che qui anziché un lungo monologo interiore con schermo fisso, ci vengono mostrate tutte le circostanze che conducono alle scelte finali, tanto di Shinji, tanto di Gendo e degli altri.
Il comparto tecnico e audio si mantiene su standard molto elevati, forse avrei preferito delle tracce audio più impattanti a parte la canzone finale, ma sono piccolezze.
Le uniche due note di demerito vanno alla Rei gigante, terribile da vedere e per quanto si dica che "era voluta" è comunque brutta e il personaggio di Mari.
Chiariamoci, la critica non è sulla scena finale, ma nel ruolo che questo personaggio ricopre nell'arco di tutti i film, ovvero quello di un deus ex machina vivente per mandare avanti la trama... o concluderla.
Parlando poi degli ultimi secondi, quella scena finale l'ho particolarmente apprezzata, perché me la sono immaginata come un addio dell'autore alla sua opera ed un "guardare avanti", o oltre, reso a schermo con la crescita di Shinji ormai adulto ed il suo allontanarsi con Mari, un personaggio "estraneo" a quelli che abbiamo conosciuto nell'opera.
La conclusione di un'opera è sempre difficile da valutare, soprattutto se si tratta di "Evangelion" e del suo regista.
La trama riprende da dove il capitolo precedente si era concluso e come altri diranno è fondamentalmente divisa in tre parti: un inizio che ci mostra il lato più umano dei protagonisti e la loro crescita (quando presente), una parte centrale degna di nota per coreografie ed effetti speciali, infine un lungo finale dove la quarta parete viene bucata più volte per parlare direttamente allo spettatore, e forse anche al regista.
Come in tutti gli "Evangelion" che si rispettino ci sono cose non spiegate, termini complessi buttati a casaccio, necessità di dare una motivazione a ciò che succede sullo schermo e di cui poi non viene più fatta menzione, ma l'intreccio di fondo resta ed è solito... ed è lo stesso di "The End of Evangelion".
La sola differenza è che qui anziché un lungo monologo interiore con schermo fisso, ci vengono mostrate tutte le circostanze che conducono alle scelte finali, tanto di Shinji, tanto di Gendo e degli altri.
Il comparto tecnico e audio si mantiene su standard molto elevati, forse avrei preferito delle tracce audio più impattanti a parte la canzone finale, ma sono piccolezze.
Le uniche due note di demerito vanno alla Rei gigante, terribile da vedere e per quanto si dica che "era voluta" è comunque brutta e il personaggio di Mari.
Chiariamoci, la critica non è sulla scena finale, ma nel ruolo che questo personaggio ricopre nell'arco di tutti i film, ovvero quello di un deus ex machina vivente per mandare avanti la trama... o concluderla.
Parlando poi degli ultimi secondi, quella scena finale l'ho particolarmente apprezzata, perché me la sono immaginata come un addio dell'autore alla sua opera ed un "guardare avanti", o oltre, reso a schermo con la crescita di Shinji ormai adulto ed il suo allontanarsi con Mari, un personaggio "estraneo" a quelli che abbiamo conosciuto nell'opera.
Ed eccoci infine arrivati alla conclusione di una leggenda, ed è stata una conclusione di grande impatto, ma che, almeno a mio parere, non riesce a diventare leggendaria. Il film è diviso in tre parti ben distinte, ossia un segmento 'bucolico', poi un pezzo 'full action' e quindi il tratto finale, tutto riflessione e visionarietà.
Nella prima parte, che si può considerare quella più originale, ho avuto modo di apprezzare in particolare l'abilità di Anno nel saper intrattenere rinunciando all'azione propriamente detta e concentrandosi sul rilancio di cosa significhi essere umani, affidandosi ad una descrizione della vita contadina semplice e insieme efficace, mai retorica, il tutto accompagnato da alcuni riusciti tocchi di dolcezza.
La parte successiva, molto avvincente, si distingue non solo per la spettacolarità delle immagini, ma anche per il modo in cui il regista ha saputo coniugare immagini grandiose, ritmo e coreografie d'azione, sapendo riunire complessità e chiarezza.
Infine la terza parte è quella che ci offre le tipiche riflessioni interiori e meta-cinematografiche alla Evangelion, e che ritengo essere però anche il principale punto debole del film. Avverto comunque che in questo giudizio oggettività e soggettività si mescolano parecchio. Infatti il problema, per me, è che nella terza parte Anno ha riciclato troppo dal finale televisivo e soprattutto da quello del The End of, a livello di contenuti e anche di immagini (però rispetto al passato gigantismo ed effetti speciali sono triplicati). D'accordo che anche la parola 'riciclato' è impropria, probabilmente perché il nostro non era a corto di idee, ma ha voluto semmai riassumere NGE per poi superarlo, come mostra il bel finale distensivo, nato da un Hideaki Anno che ha finalmente superato i suoi demoni da otaku incallito. Tuttavia non nascondo che dopo aver atteso questo film per 11 anni, mi aspettavo molti più elementi nuovi, e penso pure che l'aver attinto così tanto dalle opere degli anni '90 per la terza parte possa rivelarsi come un boomerang, perché l'impatto di questi concetti, di queste idee visive (di per sé affascinanti e ben raccontate, anche in questo film), può variare a seconda di quando si comincia a guardare NGE: se si inizia dai Rebuild, allora lo spettatore resterà incantato davanti a tale ricchezza di contenuti e immagini, ma se si comincia dalla serie tv e dai film classici, allora è forte il rischio di trovarsi davanti a del materiale così 'già visto' che potrebbe pure risultare in qualche modo noioso.
Volendo poi cercare dei difetti più oggettivi, è da notare che il film ha una struttura narrativa piuttosto semplice e anche prevedibile, le animazioni sono grandiose, tuttavia ogni tanto qualche CG troppo vistosa e finta c'è, come pure qualche tocco di fan service fine a se stesso. Inoltre il regista ha esagerato abbastanza con i dettagli misteriosi: una caratteristica della terza parte è il suo essere piena di termini tecnici, biblici e cabalistici poco comprensibili, e anche se questo non impedisce di capire il senso generale di ciò che accade, se qualcuno prova invece a capire tutto nei dettagli, rischia di concludere con un grosso 'boh!'. D'accordo che la tendenza a non spiegare tutto c'era pure nelle precedenti versioni della saga, però qui Anno mi sembra essersi divertito un po' troppo.
In definitiva, l'ho trovato comunque un bel film, da 8+, ma sarebbe stato ancora più bello, anche da 8 e mezzo, se l'autore avesse cercato nuove prospettive per i contenuti, più novità visive e un andamento della storia meno telefonato (oltre che un po' più chiaro).
Comunque, sayonara Evangelion, e grazie per averci fatto capire l'importanza di riflettere su noi stessi.
Nella prima parte, che si può considerare quella più originale, ho avuto modo di apprezzare in particolare l'abilità di Anno nel saper intrattenere rinunciando all'azione propriamente detta e concentrandosi sul rilancio di cosa significhi essere umani, affidandosi ad una descrizione della vita contadina semplice e insieme efficace, mai retorica, il tutto accompagnato da alcuni riusciti tocchi di dolcezza.
La parte successiva, molto avvincente, si distingue non solo per la spettacolarità delle immagini, ma anche per il modo in cui il regista ha saputo coniugare immagini grandiose, ritmo e coreografie d'azione, sapendo riunire complessità e chiarezza.
Infine la terza parte è quella che ci offre le tipiche riflessioni interiori e meta-cinematografiche alla Evangelion, e che ritengo essere però anche il principale punto debole del film. Avverto comunque che in questo giudizio oggettività e soggettività si mescolano parecchio. Infatti il problema, per me, è che nella terza parte Anno ha riciclato troppo dal finale televisivo e soprattutto da quello del The End of, a livello di contenuti e anche di immagini (però rispetto al passato gigantismo ed effetti speciali sono triplicati). D'accordo che anche la parola 'riciclato' è impropria, probabilmente perché il nostro non era a corto di idee, ma ha voluto semmai riassumere NGE per poi superarlo, come mostra il bel finale distensivo, nato da un Hideaki Anno che ha finalmente superato i suoi demoni da otaku incallito. Tuttavia non nascondo che dopo aver atteso questo film per 11 anni, mi aspettavo molti più elementi nuovi, e penso pure che l'aver attinto così tanto dalle opere degli anni '90 per la terza parte possa rivelarsi come un boomerang, perché l'impatto di questi concetti, di queste idee visive (di per sé affascinanti e ben raccontate, anche in questo film), può variare a seconda di quando si comincia a guardare NGE: se si inizia dai Rebuild, allora lo spettatore resterà incantato davanti a tale ricchezza di contenuti e immagini, ma se si comincia dalla serie tv e dai film classici, allora è forte il rischio di trovarsi davanti a del materiale così 'già visto' che potrebbe pure risultare in qualche modo noioso.
Volendo poi cercare dei difetti più oggettivi, è da notare che il film ha una struttura narrativa piuttosto semplice e anche prevedibile, le animazioni sono grandiose, tuttavia ogni tanto qualche CG troppo vistosa e finta c'è, come pure qualche tocco di fan service fine a se stesso. Inoltre il regista ha esagerato abbastanza con i dettagli misteriosi: una caratteristica della terza parte è il suo essere piena di termini tecnici, biblici e cabalistici poco comprensibili, e anche se questo non impedisce di capire il senso generale di ciò che accade, se qualcuno prova invece a capire tutto nei dettagli, rischia di concludere con un grosso 'boh!'. D'accordo che la tendenza a non spiegare tutto c'era pure nelle precedenti versioni della saga, però qui Anno mi sembra essersi divertito un po' troppo.
In definitiva, l'ho trovato comunque un bel film, da 8+, ma sarebbe stato ancora più bello, anche da 8 e mezzo, se l'autore avesse cercato nuove prospettive per i contenuti, più novità visive e un andamento della storia meno telefonato (oltre che un po' più chiaro).
Comunque, sayonara Evangelion, e grazie per averci fatto capire l'importanza di riflettere su noi stessi.
Hideaki Anno è un genio.
Questo, per me, è stato confermato anche la “terza volta” con «Evangelion 3.0+1.01 Thrice Upon a Time», il quarto e ultimo rebuild di «Evangelion».
Il film uscito a nove anni e mezzo dopo il terzo si è dimostrato all’altezza dell’attesa. A livello grafico è un vero capolavoro. A livello sonoro è un vero capolavoro. A livello di personaggi è un vero capolavoro. Insomma è un capolavoro su tutti i punti. Il film inizia in modo abbastanza tranquillo (apparentemente) per poi culminare piano piano in un crescendo di eventi surreali e simbolici come solo Anno sa fare. Ammetto che a tratti si è rivelato meno confusionario dell’originale, ma con un messaggio dello stesso identico valore: il continuo fuggire non porterà mai a nulla. Il mondo non funziona come noi vogliamo, ma bisogna tenerselo così perché nessuno ha la forza di cambiarlo. Ci basta impegnarci un po’ per viverci bene.
Attenzione: la recensione contiene spoiler su tutta la saga!
La teoria del loop ciclico viene confermata esplicitamente in questo finale. Infatti il film si chiama “Terza Volta”, per indicare la terza volta che «Evangelion» finisce. Il primo finale in «Neon Genesis Evangelion» , dove Shinji ha la vittoria su se stesso, e capisce che il mondo non funzionerà mai come vuole lui, ma allo stesso tempo capisce che può viverci benissimo. Il secondo invece è quella in «The End of Evangelion», dove a causa della scelta di Shinji il mondo rinasce, lasciando soli lui e Asuka. Infine il terzo a causa della scelta di Shinji, il mondo diventa un “Neon Genesis”, che richiama il ciclo dell’originale, che non è nient’altro che un mondo privo di Eva.
I finali sono tutti ben distinti ovviamente: il finale originale della serie è una vittoria di Shinji su se stesso, un “neutral ending”; quello di «The End of Evangelion» in cui Shinji non presenta una vittoria su se stesso, ma solo l’oblio, un vuoto cosmico, è un “bad ending”; infine quello dei Rebuild mostra un dialogo tra Shinji e Gendo per la prima volta, in cui entrambi per la prima volta capiscono l’altro, la cui causa è l’accettazione di Shinji del mondo, il suo diventare adulto e la nascita di un mondo complementare, senza Evangelion, un “good ending” in poche parole. Gli ultimi minuti del film inoltre ci mostrano questo Neon Genesis, che non è altro che il nostro mondo in tutta la sua normalità. Personalmente mi sono sentito molto soddisfatto da questo quarto Rebuild, ma in questo momento sto avvertendo una forte nostalgia. Vorrei vedere la vita tranquilla e serena di tutti i personaggi in questo mondo complementare privo di Eva. Inoltre la prima parte del film, quella del villaggio, è stata una fantastica riflessione sull'essere di Rei che capisce cos'è il significato di vita.
C’è chi definisce questi Rebuild inutili, buoni solo per far conoscere l’opera alla nuova generazione, ed essenzialmente lo scopo di Anno era questo, creare dei remake. Tuttavia Anno non è riuscito a starsene con le mani in mano, e quindi con il 2.0 (che a causa delle varie modifiche apportate da Anno, è diventato 2.02 e poi 2.22) decide di cambiare la storia con un finale folle, arrivando così al 3.33 che presenta nuovi personaggi e una nuova storia. Nei Rebuild la caratterizzazione di alcuni personaggi è approfondita meglio rispetto a quella superficiale dell’originale, basti pensare a Asuka, a Rei, a Gendo e Misato. E’ inutile poi aggiungere che il comparto grafico e sonoro è stato impeccabile (chiudete un occhio sulla CGI). Secondo me questo finale non è apprezzato da molti per il fatto di essere “buono”, di dare una speranza a tutti, mentre in «The End of Evangelion» rimane solo la disperazione e il risentimento. In conclusione questi Rebuild li ho adorati quanto la serie originale, proprio perché hanno dato un finale "piacevole", piuttosto che uno "deprimente".
Questo, per me, è stato confermato anche la “terza volta” con «Evangelion 3.0+1.01 Thrice Upon a Time», il quarto e ultimo rebuild di «Evangelion».
Il film uscito a nove anni e mezzo dopo il terzo si è dimostrato all’altezza dell’attesa. A livello grafico è un vero capolavoro. A livello sonoro è un vero capolavoro. A livello di personaggi è un vero capolavoro. Insomma è un capolavoro su tutti i punti. Il film inizia in modo abbastanza tranquillo (apparentemente) per poi culminare piano piano in un crescendo di eventi surreali e simbolici come solo Anno sa fare. Ammetto che a tratti si è rivelato meno confusionario dell’originale, ma con un messaggio dello stesso identico valore: il continuo fuggire non porterà mai a nulla. Il mondo non funziona come noi vogliamo, ma bisogna tenerselo così perché nessuno ha la forza di cambiarlo. Ci basta impegnarci un po’ per viverci bene.
Attenzione: la recensione contiene spoiler su tutta la saga!
La teoria del loop ciclico viene confermata esplicitamente in questo finale. Infatti il film si chiama “Terza Volta”, per indicare la terza volta che «Evangelion» finisce. Il primo finale in «Neon Genesis Evangelion» , dove Shinji ha la vittoria su se stesso, e capisce che il mondo non funzionerà mai come vuole lui, ma allo stesso tempo capisce che può viverci benissimo. Il secondo invece è quella in «The End of Evangelion», dove a causa della scelta di Shinji il mondo rinasce, lasciando soli lui e Asuka. Infine il terzo a causa della scelta di Shinji, il mondo diventa un “Neon Genesis”, che richiama il ciclo dell’originale, che non è nient’altro che un mondo privo di Eva.
I finali sono tutti ben distinti ovviamente: il finale originale della serie è una vittoria di Shinji su se stesso, un “neutral ending”; quello di «The End of Evangelion» in cui Shinji non presenta una vittoria su se stesso, ma solo l’oblio, un vuoto cosmico, è un “bad ending”; infine quello dei Rebuild mostra un dialogo tra Shinji e Gendo per la prima volta, in cui entrambi per la prima volta capiscono l’altro, la cui causa è l’accettazione di Shinji del mondo, il suo diventare adulto e la nascita di un mondo complementare, senza Evangelion, un “good ending” in poche parole. Gli ultimi minuti del film inoltre ci mostrano questo Neon Genesis, che non è altro che il nostro mondo in tutta la sua normalità. Personalmente mi sono sentito molto soddisfatto da questo quarto Rebuild, ma in questo momento sto avvertendo una forte nostalgia. Vorrei vedere la vita tranquilla e serena di tutti i personaggi in questo mondo complementare privo di Eva. Inoltre la prima parte del film, quella del villaggio, è stata una fantastica riflessione sull'essere di Rei che capisce cos'è il significato di vita.
C’è chi definisce questi Rebuild inutili, buoni solo per far conoscere l’opera alla nuova generazione, ed essenzialmente lo scopo di Anno era questo, creare dei remake. Tuttavia Anno non è riuscito a starsene con le mani in mano, e quindi con il 2.0 (che a causa delle varie modifiche apportate da Anno, è diventato 2.02 e poi 2.22) decide di cambiare la storia con un finale folle, arrivando così al 3.33 che presenta nuovi personaggi e una nuova storia. Nei Rebuild la caratterizzazione di alcuni personaggi è approfondita meglio rispetto a quella superficiale dell’originale, basti pensare a Asuka, a Rei, a Gendo e Misato. E’ inutile poi aggiungere che il comparto grafico e sonoro è stato impeccabile (chiudete un occhio sulla CGI). Secondo me questo finale non è apprezzato da molti per il fatto di essere “buono”, di dare una speranza a tutti, mentre in «The End of Evangelion» rimane solo la disperazione e il risentimento. In conclusione questi Rebuild li ho adorati quanto la serie originale, proprio perché hanno dato un finale "piacevole", piuttosto che uno "deprimente".