logo AnimeClick.it


Tutte 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Utente153071

 2
Utente153071

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Manifesto femminista mascherato sotto la copertina di pura arte ispirata ai lavori di Egon Schiele e Gustav Klimt, nonché film che più degli altri ha segnato un netto distacco fra la produzione animata (nonostante di animazione ce ne sia poca ma ben usata) nipponica pensata prevalentemente per un pubblico di bambini e di ragazzi e quella con un target di riferimento ben più maturo e adulto: che altro gli si può dire? Semplicemente, capolavoro consigliato senza riserve di alcun tipo, con una piccola postilla: per capire i messaggi insiti in questo capolavoro, mi sento di consigliare la lettura non tanto de "La Sorcierè", ma dei due libri psicologici del co-creatore del personaggio dei fumetti americani "Wonder Woman", W.M.Marston, "Emotions of Normal People" e "Integrative Psichology: a study of Unit Response". Pur essendo stati scritti molti anni prima della produzione di questo film, noterete parecchie similitudini fra la teoria in essi descritta e il film di Eiichi Yamamoto. Senza di quelli, a mio avviso, ogni discussione su quello che "Kanashimi no Belladonna" vuole restituire allo spettatore risulta sostanzialmente inutile.
Da vedere, ri-vedere, ri-ri-vedere ecc. per finire a piangere ogni volta come se fosse la prima.


 4
Scarlett7

Episodi visti: 1/1 --- Voto 6,5
Attenzione: la recensione contiene spoiler

"Kanashimi no Belladonna", o "Belladonna of Sadness", è un film d’animazione del 1973 scritto e diretto da Eiichi Yamamoto.
Una piccola precisazione: si pensa erroneamente che il film sia opera di Osamu Tezuka. Tuttavia, non solo non prese minimamente parte alla sua realizzazione, ma in quel periodo aveva abbandonato la Mushi, che fallì proprio nel 1973, poco dopo l’uscita di questo film. Pertanto il “merito” va soltanto ad Eiichi Yamamoto.

Nel Medioevo, in un villaggio senza nome della Francia, una giovane coppia di contadini poveri, Jean e Jeanne, decide di sposarsi. Tuttavia, i giovani non possono permettersi di pagare l’ingente “tassa di matrimonio”, perciò la loro felicità si trasforma immediatamente in un orrore macchiato per sempre dalle azioni crudeli di un aristocratico di potere, che sottopone la donna a uno stupro di gruppo la notte della prima luna di miele. Dopo essere stata privata della sua femminilità e dignità, emotivamente abbandonata dal marito, Jeanne è lasciata a raccogliere i cocci, cercando conforto lontano dallo sguardo pietoso della società. È in questo momento di debolezza, disperata e sconfitta, che stringe un patto con il Diavolo per vendicare i torti subiti, e ne diviene l’amante oltre che la fonte di nutrimento. Jeanne ottiene la sua vendetta, ma a un costo che supera di gran lunga quello che si aspettava: ha cercato vendetta da coloro che l'hanno usata solo per ottenere il potere di danneggiarli attraverso l'atto di essere usata. Una crudele ironia.
Per quel che concerne il finale... non c'è un lieto fine qui. Solo un altro capitolo in cui l'umanità perde.

Beh, che dire? Un'animazione sperimentale su una donna che trova la liberazione attraverso il sesso e ispira una rivoluzione tra le persone, inducendole ad accettare i propri desideri sessuali. Alla fine vengono mostrate alcune immagini di rivoluzioni femminili, il che spinge a pensare a questo come un film che dà potere alle donne. Ma, se così fosse, perché è stata violentata dalla fonte del suo potere? Scelta strana.

Per quanto, in principio, fosse stato semplice empatizzare con il personaggio di Jeanne, che subisce una serie di crudeltà immani, dopo poco smetti di compatirla. Da metà film in poi, personalmente, non sono riuscita a condividere le sue scelte.
Jean invece è un codardo dall’inizio alla fine, nessuna pietà per lui, anche se, in un certo senso, coerente fino all’ultimo, un po’ come gli altri personaggi, del resto.

"Kanashimi no Belladonna" riceve una rappresentazione visiva che risulta fin troppo statica per i miei gusti. Le tavole contengono una quantità industriale di erotismo psichedelico che, francamente, sminuisce più spesso di quanto non aggiunga al film. Insomma, più di un’ora di fotogrammi inquietanti.
Il comparto audio è quasi inesistente, per cui nulla da commentare.

Ci sono una serie di domande conclusive che mi pongo. Perché dovrei considerare valido questo film? Ho trovato terribilmente offensivo il paragone tra il grezzo istinto sessuale e il desiderio di emancipazione e rivalsa femminile. Questo film letteralmente usa il sesso come motivo di emancipazione. Quale dovrebbe essere il messaggio? Anche le donne, come gli uomini, sono libere di avere desideri sessuali? Sì, ma questo cosa c’entra con l’emancipazione e la rivalsa femminile? Inserire le immagini della rivoluzione femminile in un film erotico e psichedelico che dà spazio alla pornografia violenta, a Jeanne che viene continuamente brutalizzata e assalita, più che al desiderio di uguaglianza tra uomini e donne mi rende terribilmente perplessa. Tutto in questo film ha lo scopo di offendere, disturbare, stressare o disorientare lo spettatore. Alla fine, qual è il fascino del film? Non so dirlo, perché non mi ha presa affatto, neanche al punto di urlare al capolavoro. Non lo è neanche lontanamente. Per me questo è un film da guardare una sola volta e archiviare, per non rivederlo mai più.


 5
Daddide

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
"Kanashimi no Belladonna", o "Belladonna of Sadness", è una pellicola animata del 1973 facente parte della serie di lungometraggi denominata “Animerama”, iniziata da Osamu Tezuka nel suo studio d’animazione Mushi Production, i cui temi sono l’erotismo e la sperimentazione visiva.
La pellicola è spesso dimenticata non solo a causa della sua età, ma anche per i suoi temi e le sue sequenze erotiche, oltre al fallimento economico che portò allo studio ai tempi. Però tutto ciò è assolutamente ingiustificato, in quanto ci troviamo di fronte a un vero e proprio capolavoro visionario di tecnica.

Il film in questione è ambientato in una Francia medievale, colpita da credo religiosi, nobili tiranni e approfittatori, malattie e l’ipocrisia e il malessere del popolo. La protagonista, Jeanne, vivrà una vita di sconforti proprio a causa di tutto ciò, fino a concedersi al piacere di un essere satanico, il quale la farà affondare nell’erotismo e nella follia.

Ciò che colpisce maggiormente in questo film è l’estetica visiva e il modo in cui è raccontata la storia. A still frame che ricordano dipinti incompleti, in cui i personaggi parlano e la storia avanza, si associano sequenze psichedeliche e sperimentali, in cui si incontrano non solo svariati stili di animazione, ma anche stili di pittura. Ciò che più mi ha sorpreso è vedere un’infinita varietà artistica, che spazia dall’impressionismo di artisti come Klimt ("Giuditta" o "il Fregio di Beethoven), Schiele ("L’abbraccio"), Munch o Matisse ("La Danza"), alle pitture rupestri, alla pop art (molto simile al film “Yellow Submarine”, curato dall’artista Heinz Hedelmann) o alle visioni erotiche di Guido Crepax.
Le sequenze d’animazione hanno in loro una sensualità dolce, ma anche dolorosa, sanguinolenta e miserabile, come la vita di Jeanne, come la vita di ogni donna.

La pellicola è accompagnata da due diversi stili di musica: il primo è rappresentato da canzoni in giapponese, molto lente, come delle ballate lagnose, le quali invocano tristezza, solitudine e tormento; il secondo è un insieme di parti strumentali dallo stile molto vicino al rock progressivo, psichedelico ed elettronico, donando così alle sequenze più movimentate un senso di oppressione sempre maggiore, rendendo il film un’esperienza audio-visiva unica nel suo genere.

Esatto, per tutta la durata del film l’angoscia di ogni vicenda avvolgerà la storia, grazie ad ogni elemento appena descritto, rendendo la visione sempre più affascinante, in un infinito climax di emozioni contrastanti. Lo spettatore rimarrà affascinato dalla messa in scena di ogni sequenza, ma anche assoggettato alla vera natura sporca e villana dell’uomo.
Il film è un importante messaggio di emancipazione diretto non solo ad ogni donna, ma ad ogni persona, poiché chiunque potrebbe vivere ciò che ha vissuto Jeanne e soffrire a causa delle scelte di altre persone, le quali non solo potrebbero trovarsi nella propria casa, ma anche a reggere il proprio stato.

Consiglio caldamente la visione a chi cerca qualcosa di diverso in ogni ambito e che vada ben oltre le semplici apparenze, in un circolo visionario di erotismo e ingiustizie. Ovviamente, a causa dei temi trattati, il film non ha freni nel mostrare orge e violenze di ogni tipo, quindi, sebbene queste scene disturbanti siano contestualizzate e necessarie alla narrazione e al messaggio dell’opera, il modo esplicito in cui vengono presentate potrebbe sconcertare molti. Inoltre, sono presenti molte sequenze psichedeliche, con un continuo e veloce susseguirsi di immagini, colori e suoni, perciò prego di far attenzione a chi è sensibile sotto questo aspetto.


 5
dawnraptor

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8,5
Attenzione: la recensione contiene spoiler

“Belladonna della tristezza” è un film impegnato e impegnativo, che difficilmente può essere visto per passare un’ora e mezzo quando capita, perché non si ha di meglio da fare. È un’opera di difficile visione, prima ancora che di difficile comprensione. Difficile, insomma. L’ho già detto che è difficile? A prescindere da questo, sono però dell’opinione che non si possa pretendere che un ipotetico spettatore faccia ricerche e studi sull’opera, l’autore, il periodo storico e tutto il contorno che ha contribuito a rendere il film quello che è. Non troverete questi riferimenti, qui. Lo spettatore deve comunque avere il diritto di guardare un’opera senza prima documentarsi a morte per avere la speranza di poterci capire qualcosa. D’altro canto, l’eccesso di dietrologia rischia di farci trovare significati dove l’autore non ne aveva nascosti, un po’ come se si trattasse della “Divina Commedia”.

Quella che segue sarà quindi una serie di considerazioni generate dalla visione del film, nulla di più, ma nulla di meno. In realtà la parte importante della visione non è il possibile colpo di scena, che in questo caso è inesistente. La trama in sé è molto semplice e lineare, motivo per cui passerò a raccontare sostanzialmente l’intero film. Chi volesse riservarsi la sorpresa farà meglio a non continuare nella lettura.

Le difficoltà iniziano con il comparto visivo, che è costituito principalmente da quadri fissi, a volte sotto forma di disegni lunghissimi che scorrono lateralmente, come se si stesse srotolando un lungo papiro. Le animazioni sono poche, spesso a sottolineare i momenti più drammatici e, ancora, sovente, riservate ad effetti simili alle ombre cinesi: forme di colore uniforme, a campitura piatta. Si tratta di una scelta stilistica che, con la giusta predisposizione mentale, non appesantisce troppo l’opera, in quanto l’attenzione dello spettatore viene catturata da altri dettagli, come gli splendidi fondali che richiamano gli acquarelli, o certi quadri di Klimt, o la figura di Jeanne, la protagonista, dalla sensualità prorompente e dirompente.

Nel contempo, non si può non farsi rapire da un commento musicale spesso psichedelico, in puro stile anni ‘70, che ha, tra le altre, reminiscenze dei Pink Floyd. Una vera perla, che contribuisce molto alla buona riuscita di questo titolo. I doppiatori fanno un ottimo lavoro, anche se l’effetto finale, giocoforza, risulta poco scorrevole e un po’ datato. Stiamo pur sempre parlando del 1973.

La storia è ambientata in una sorta di Medio Evo europeo, e comincia come una fiaba: una cantastorie ci racconta che c’erano una volta un uomo di buon animo e una bellissima fanciulla uniti dall’amore. Sono Jean e Jeanne, novelli e casti sposi che, per cominciare la loro vita coniugale, devono prima pagare al signore del luogo il prezzo della sposa. Ma Sua Eccellenza vuole molto di più di quanto i due, poverissimi, possano pagare, e quindi decide di esercitare il famigerato ius primae noctis, sostenuto e addirittura spronato dalla moglie che, saputo che la ragazza è pura, la offre a tutti i cortigiani. Si ha l’impressione che la donna si risenta del fatto che i due si amino castamente e voglia distruggere le loro vite normali, ben diverse da quelle dei cortigiani, veri e propri mostri sia in aspetto che in comportamento.

La notte di nozze di Jeanne si trasforma così in un lungo incubo nel quale il signorotto e i suoi sottoposti la violentano ripetutamente in modo bestiale, come sottolineato dalla raffigurazione di questi figuri. I simbolismi usati in queste scene sono sicuramente forti e, pur non essendo particolarmente dettagliati, lasciano poco spazio all’immaginazione: non si può rimanere indifferenti alla tragedia che colpisce la ragazza. Da questa esperienza non potrà che uscire profondamente segnata.

La casta Jeanne, onesta, lavoratrice, che ha sempre creduto nella misericordia di Dio, è stata da questi tradita nel peggiore dei modi. E quando, tornata a casa da un marito poco empatico, viene tentata da un demone dalle forme e movenze ‘strane’, non può resistergli a lungo. Lo farà per salvare il marito, che ama nonostante la sua incapacità di comprenderla e aiutarla, ma, seppur dapprima riluttante, finirà per cedere alle lusinghe del diavolo fallico che la tenta. La storia viene raccontata così, ma si può ben pensare che, sotto l’enorme choc del torto subito, Jeanne perda il senno e venga trascinata in un mondo di propria creazione, in cui realtà e sogno si mescolano in un crescendo di delirante onnipotenza, magari aiutato dall’assunzione di sostanze allucinogene.

Atropa belladonna, si chiama una pianta delle solanacee, una pianta ambigua: cosmetica e fatale. Le bacche, se ingerite, possono essere letali, o provocare allucinazioni e delirio, mentre un tempo le donne usavano instillarsi un collirio a base di questa pianta che, per mezzo dall’atropina e della sua azione sul sistema parasimpatico, dilatava le pupille conferendo attrattiva allo sguardo. Per contro, come dimenticare che Atropo era una delle Parche, deputata al taglio del filo della vita? E, guarda caso, Jeanne è una tessitrice: c’è una lunga scena nella sua dimora, la mattina dopo quella notte fatale, in cui si assiste al continuo girare della ruota di un arcolaio.

Abbiamo detto che Jeanne viene ‘visitata’ da un demonietto fallico, che crescerà in dimensioni man mano che il film procede, e racconta il desiderio di potenza, di libertà e di riscatto femminile della ragazza. È chiaro l’intento didascalico dell’opera: la religione, il patriarcato, il maschilismo, il bigottismo sono essi stessi i ‘diavoli’ da eliminare per far sì che la liberazione sessuale e il progresso spezzino le catene del loro potere sugli uomini e soprattutto sulle donne. E Jeanne inizialmente le spezza eccome, queste catene: in un crescente delirio onirico di erotismo sempre più spinto, reclama la direzione della propria vita, pur continuando ad amare il proprio inetto marito.

Nel film è proprio il diavolo fallico ad insegnare a Jeanne come rendersi indispensabile al villaggio, prendendo e dando denaro in prestito durante una guerra e, più avanti, ricavando dalla belladonna un medicinale per salvare i suoi compaesani dalla peste. Si può ben dire che ci sia una sorta di fondo di verità, in questo: per molti secoli, come anche in questo caso, la donna ‘sapiente’ è sempre stata sospettata di stregoneria, di combutta col diavolo, a maggior ragione se non opera sotto il diretto controllo di un uomo. Gli uomini, e specie gli uomini di chiesa, la temono perché mina il loro ordine costituito, e molte donne la odiano perché non si conforma ad un’idea femminile che ritengono le protegga. O forse sono, semplicemente, livorosamente invidiose. In questa categoria pare rientrare la moglie del signorotto che, in assenza del marito in guerra, fa perseguitare Jeanne come strega, costringendola alla fuga. Perfino il marito, l’imbelle Jean, la rinnega.

Abbandonata da tutti, cede infine a Satana, e nell’amplesso si generano - o meglio, si sognano? - strani mondi, mondi futuri, in una cacofonia che non si comprende se sia creazione o distruzione. Ma con l’uso della belladonna come analgesico, medicinale, e come panacea per tutti i mali del villaggio, ora Jeanne si fa tanti amici fra il popolino, che ne apprezza le doti. Si assiste ad una lunga sequenza orgiastica degna di Hieronymus Bosch, forse a significare la liberazione di coloro che si affidano alla sensuale sapiente. E, forse, un tantino eccessiva, specie là dove indulge nel mostrare scene di bestialità.

Ma Sua Eccellenza, vedendo il pericolo che Jeanne pone alla sua autorità, cerca di attrarla nuovamente nella sua sfera di potere, facendola richiamare dall’ingenuo marito che, per salvarsi la pelle, la sprona a tornare. E lei, furbastra, nonostante sappia che finirà male, lo perdona, e ci va ugualmente. Perché lo ama ancora! Ora, sinceramente, non so quanto la relazione fra i due possa essere foriera di un messaggio positivo. Parlare di femminismo, di liberazione della donna, e poi far comportare Jeanne come uno zerbino mi sembra un controsenso. Ai miei occhi Jean è un bamboccio piagnucoloso e codardo, che l’ha abbandonata nel momento del bisogno e che riappare a mendicare affetto e a ordinarle di tornare al villaggio perché gli è stato, a sua volta, ordinato. Alla fin fine, a mio personalissimo parere, dalle catene tenute in mano dal maschio Jeanne non si è liberata affatto!

Il signorotto, in cambio di informazioni sulle erbe medicinali, le offre in crescendo molte cose, fino ad essere suo secondo. A Jeanne, però, questo non basta. Vuole tutto. Perché dovrebbe essere il secondo violino, se è lei a detenere il sapere? Non può finire bene. E, difatti, finisce malissimo. Ma la sua morte, ci dicono, non sarà inutile: le donne che assistono al suo martirio si identificano tutte con lei. Un seme è stato piantato. Jeanne come Giovanna d’Arco: prima la sfruttano e poi se ne liberano...

Ora, l’opera compie un salto piuttosto ardito quando, sui titoli di coda, offre una chiave di lettura e ci dice che qualche secolo dopo ci sarà la presa della Bastiglia e che la Rivoluzione Francese sarà guidata dalle donne. Ebbene, che le donne abbiano avuto una parte, anche importante, nella Rivoluzione Francese, è innegabile. Che essa sia stata così fondamentale potrebbe essere opinabile. Resta comunque il triste fatto che, di tutte le donne che hanno partecipato agli eventi di quegli anni, l’unica di cui ci si ricordi davvero è Charlotte Corday, che ha ucciso Marat nel bagno, e anche lei probabilmente solo per il celeberrimo dipinto che la ritrae in quel momento. Il loro apporto scompare, offuscato da uomini molto più famosi e molto più rappresentati nei libri di storia. Non dimentichiamo che la prima elezione fu a suffragio universale, sì, ma ‘maschile’.

La denuncia c’è, ed è fortissima, pur se, come detto prima, la relazione tra Jean e Jeanne non è propriamente coerente. Non è però solo un’accusa verso l’oppressione femminile perpetrata dal maschio e dalla Chiesa. Non dimentichiamo che, in quella notte di nozze finita così male, a corte c’era anche il prete che aveva sposato i due giovani, che nulla aveva fatto per salvare la poverina. Il marito di Jeanne, che pure l’ama, come abbiamo visto è fondamentalmente un vigliacco ingenuo, e non esita ad abbandonarla quando viene accusata di stregoneria, per ricomparire anni dopo solo perché costretto dal signorotto che vuole per sé il sapere di lei. Il signore però non opprime solo le donne, ma tutto il popolino in generale, mantenendolo nell’ignoranza e nella sottomissione con la forza e con la complicità del clero. La furia della plebe, istigata dalla morte della coppia, viene subito smorzata con la minaccia delle armi. Non tutti sono pronti al martirio per i propri ideali.

Giunti alla fine del cerchio, restano da definire alcuni punti. Tralasciando i riferimenti alle opere che hanno ispirato o preceduto questa, che possono essere trovati ovunque in rete, bisogna rimarcare come “Belladonna della tristezza” sia un film a tinte forti, e non solo nei rossi accesi che ne sottolineano le scene più crude.

Abbiamo visto quanto sia particolare il comparto visivo, tanto da rendere quasi dubbia la sua appartenenza al genere anime, e quanto sia coinvolgente la colonna sonora che non solo fa da sottofondo alla storia, ma che spesso contribuisce a narrarla. Ci siamo commossi per le vicende di Jeanne, irritati e sdegnati con il marito imbelle, sprezzato la coppia signorile e tutta la sua corte. Ci siamo sentiti un po’ spaesati nelle scene oniriche, forse un po’ coinvolti dalla bellezza conturbante di Jeanne.

Allora perché non fare come altri, e assegnare un 10 a quest’opera così peculiare? Non certo per la carenza di animazioni o per il tratto vintage, che fanno parte integrante dell’opera. In realtà, non posso nascondere di aver provato più di qualche attimo di noia. Non tutta l’opera si è mantenuta allo stesso, altissimo, livello, rivelandosi piuttosto discontinua. Lo stesso modo in cui è stata concepita porta a momenti di scarso coinvolgimento, seguiti da altri molto pregnanti. Alcune scene le ho trovate piuttosto eccessive e inutilmente reiterate, pur trattandosi di un’opera destinata ad un pubblico adulto. Ci sono stati momenti in cui sono stata fortemente tentata di chiudere tutto e lasciare perdere.

In definitiva, pur riconoscendo a questo titolo l’indubbio merito di essere portatore di un messaggio condivisibile, e la visionarietà con cui viene trasmesso, considerando anche il periodo in cui è stato concepito, non posso dimenticare di aver provato durante la visione più di un moto di noia e di fastidio. Per questo non posso considerarlo un capolavoro. Ottimo sì, ma non eccelso.

ALUCARD80

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8,5
Ma come ti vesti? Non venire a lavoro così!
Te la cavi bene per essere una donna!
Alla tua età sei ancora single?
Se non diventi madre, non sarai mai una donna realizzata!
Prima di assumerla, le faccio una domanda: “Ha intenzione di avere figli?”
Ma se lavori, chi curerà la casa?
Una donna vergine è sicuramente una donna piena di giudizio!

Anno Domini, MAI: le radici del pregiudizio nascono nella notte dei tempi, attorno ad un albero, un serpente, una mela e molte, molte sciocchezze. Ma il demonio non ascolta, anzi, attende il momento propizio per il dispetto.

Poche cose al mondo riescono a trasmettere un’intensa malinconia come le note dei brani nipponici di inizio anni settanta, e l’apertura di quest’opera così complessa, così profonda e ancora oggi così tremendamente attuale ci preparano ad atmosfere di rivalsa e sofferenza, speranza e vendetta, odio e coraggio: un ruvido decoupage in movimento appena accennato, un’opera d’arte di difficile, stratificata comprensione.
Ispirato al libro “La strega” di Michelet edito nel 1862, “Belladonna di tristezza” vede la luce nel 1973 ed è pensato come l’ultimo lungometraggio della trilogia “Animerama”, concepita niente poco di meno che dal dio dei manga Osamu Tezuka, che però abbandonerà la produzione proprio alle prime battute.
L’impressione d’impatto è altresì curiosa: dopo pochi minuti e svariati, suggestivi brani, si ha la percezione d’essere di fronte ad un musical d’avanguardia provocatorio e doppiogiochista, intento a rievocare emozioni in chiaroscuro su carta d’acquarello; tuttavia, siccome sia nella vita sia nell’arte niente è destinato a rimanere immobile - tantomeno l’antifona di questo film. Sotto gli occhi dello spettatore le sagome semi-statiche dei personaggi cominciano leste a guadagnare colori, movimento, e proprio come sull’irregolare pergamena di un artista che s’accinge ad inturgidire pennelli in sporchi e datati acquarelli, ecco che il film si rivela per quel che è: un’allegoria in maschera fra il circense e il tardo Ottocento veneziano, a tratti intensamente pigmentata, sia vivida che smorta, cangiante e per questo inquietante, un agglomerato di fermo immagine malamente animati, in modo che l’attenzione dello spettatore si concentri sui singoli, determinati dettagli che faranno l’aspra differenza in ogni singola scena.

Ambientato in un Medioevo simbolico e subdolamente destrutturato, si narrano le vicende di Jeanne, indiscussa, sfortunata protagonista, donna bellissima e conturbante, un incrocio fra Brigitte Bardot e un ruvido sogno di Angelo Stano che andrà in sposa al quasi omonimo Jean, giovane rispettabile in rapida ascesa.
In questo spaccato tanto feudale quanto surreale, sospeso fra l’onirico astratto e l’incubo ricorrente, la gioia di Jeanne finisce quasi subito, dovendo concedersi, dolente o nolente, al nobile locale causa Ius Primae Noctis, la brutale ricorrenza in cui ogni sposa di un determinato rango sociale si trovava costretta a giacere la prima notte di nozze invece che col proprio sposo, nel letto del suo signore e padrone.
Ecco che da subito, inquietante, il lungometraggio prende a deformarsi come un grido distorto, un lamento di fronte a una muta ed eterna ingiustizia, mentalità patriarcale radicata fin da quando l’essere umano si riunisce intorno al fuoco e genera prole, derivante dalla propria bestialità mammifera.
Il baricentro su cui s’equilibra ogni cosa è proprio questo: sarebbe inutile ricordare che dopo secoli e secoli, tutt’oggi, non esiste alcuna parità dei sessi. “Kanashimi no Belladonna” comincia a tracciare un solco proprio da qui: una protesta, un inno femminista a cui ogni maschio degno di educazione e intelletto dovrebbe prendere parte. Il terribile Ius Primae Noctis non tarda a trasformarsi visivamente nell’orrendo stupro che è, violenza immotivata tanto da sfociare in un turbinio di colori e ritagli di volti, corpi, colori accesi e dolori strazianti ritratti confusamente; volti avidi e maligni appaiono nel buio, concubine e cortigiani del sovrano oppressore prendono parte a quel che pare una violenza di gruppo che sgretola in pochi minuti autostima, sanità mentale, quiete interiore e personalità della povera Jeanne. La prima terribile notte ci viene proposta con volti simili a maschere che rimembrano un disturbante horror b-movie, fisionomie deformi e volutamente sproporzionate, instaurando un ponte di dolore fra reale e onirico, dove i protagonisti permangono nella loro immutabile e traumatizzante sofferenza.
Jeanne e Jean, cacofonia di nomi simili in linea nella vita, fatti l’uno per l’altra, uniti oltre il materiale, ignari delle tragedie che il futuro ha in serbo per loro, ove la vergogna e l’onta della “Prima notte” non è che l’inizio delle sventure; sventure a cui, per ironia della sorte, proprio il diavolo tentatore cercherà di porre un freno, mostrandosi infido amico e lussurioso confidente più verso la rabbia di lei che interessato alla disperazione di lui.

Il signorotto locale è quindi il “corrotto”, colui che viene additato come il “cattivo” del momento: impicca nemici e sudditi disubbidienti, azioni da contestualizzare e allocare nella corretta epoca in cui è ambientato, certo, ma che lasciano un segno incancellabile. Decifrando quindi il periodo e il contesto, si può arrivare a comprendere la grottesca usanza, tuttavia l’autore di questo memorabile viaggio ipnotico non lascia niente d’imperdonato, ed ecco che, inevitabilmente, l’intero castello del padrone del feudo viene rappresentato come un confuso, stridente girone dantesco da cui si dipana l’infinita tragedia di Jeanne, vittima bellissima e ignara, deturpata nello spirito come nel corpo.
È un film dotato di una potenza espressiva mostruosamente intensa, come poche altre cose nella storia dell’animazione mondiale. L’allegoria satanica diffusa dall’inizio alla fine non è altro che la rappresentazione astratta del peccato in quanto femmina, la biblica e patriarcale tentazione da cui il maschio padre padrone deve guardarsi per non cedere al Peccato, linea di pensiero radicata in profondità da millenni, ideologicamente ottusa quanto razionalmente assurda.
Jeanne, invero, è uno spauracchio, libera e leggera per questo, svincolata dalle catene del suo sesso. La vedremo cadere in un inferno liberatorio dalle restrizioni terrene, fuori da quella gabbia mentale, traslandosi oltre ogni barriera: il demonio si manifesta come un ossimoro di piacere e peccato, peccato inesistente per chi, coraggioso (o razionale?), decide di guardare oltre; una ramificazione di simbolismi a sfondo sessuale, alcuni mostrati in modo metaforico, altri decisamente espliciti, un librarsi e contrarsi d’orgasmica femminilità, un pugno diretto nello stomaco delle discriminazioni ancestrali di cui la chiesa è fra le prime colpevoli, inquisitrice, crocifiggente la femminilità in quanto tale. Nel “Peccato” e nella complicità di Satana la tormentata protagonista trova quindi una libertà spirituale e mentale: virtuoso, sinistro e deciso preambolo alla Rivoluzione Francese, tempo, memoria e periodo dello sgretolarsi di molti pensieri radicati e abitudini costrittive.

L’impatto visivo è, come detto, decisamente impressionante. Oltre alla particolare scelta di semi-animazione alternata a sequenze classiche, v’è uno studio cromatico di scale incrociate fra toni freddi e toni caldi che, alla stregua di quadrati in una confusa e non intellegibile scacchiera, riempiono lo schermo a ritmi sempre differenti; a volte pigri, a volte ritmati, ansiogeni, psichedelici.
Prima delle animazioni, sono gli impulsi cromatici a suggerire stati d’animo e percezioni sensoriali, e attraverso tale viaggio dalle emozioni e sensazioni discordanti, lo spettatore finisce per perdersi fra sofferenza e piacere, mescolatesi di pari passo nell’insostenibile struggersi della coppia protagonista.

Che ci si creda o meno, “Kanashimi no Belladonna” è un potentissimo manifesto femminista sessantottino capace di annichilire la struttura del patriarcato medievale possessivo, spietato e violento, ormai anacronistico se si pensa alla “rivoluzione della vulva” di fine anni settanta, ove ogni libertà femminile viene esaltata ed ogni donna reclama il diritto, l’utilizzo e il possesso del proprio corpo come (giustamente, va sottolineato) preferisce meglio disporne. Attraverso oscure vicissitudini feudali e situazioni surreali, si punta il dito contro mercificazione, umiliazione, demonizzazione e colpevolizzazione del corpo femminile, imbevendolo di peccato per uscirne martirizzato e insanguinato a causa di tutte le violenze psicologiche e fisiche in millenni di storia, tuttavia puro e privo di un peccato vero e reale, se non quello di desiderare libertà e parimenti rispetto. L’ambientazione medievale del travagliato lungometraggio rimarca il pensiero cavernicolo del maschio dominante meschinamente spaventato dall’utero, così, provocatoriamente e grottescamente, Satana finisce per rivelarsi meno terribile che nelle allegorie cristiane: si gioca a porlo accanto alla donna tentatrice in un irresistibile duo goliardico, tragico ed erotico al tempo stesso.
Come provocazione ultima, è il piacere a dettare la strada: la notte di stupri con il signore locale si rivela un letto di sangue e sofferenze, mentre l’amplesso col demonio - ovvero coi propri desideri più segreti e liberi - si eleva in una sublime perversione di piacere senza obblighi e barriere, una soddisfazione inarrivabile e ineguagliabile per via terrena, poiché raggiunta tramite la parte che si crede più oscura di sé, ma che tutti noi possediamo e così male, in realtà, non può certo fare.
Così, avviandosi verso una tragica ma preziosissima conclusione, l’intero dramma prende i secondi contorni di un inaspettato, amaro scherno: far apparire colei che non è solo più Jeanne - ma la Donna Libera, la Strega fuori dai Canoni e dalle grazie di dio - consorte del Diavolo stesso, poiché assuefatta ai piaceri terreni, come se ella non se ne possa beare in quanto, appunto, donna, obbligata a prigionie mentali e desideri maschili.
Lentamente, ci si dirige verso un epilogo conturbante, simbolico e ricco di similitudini di non semplice lettura: il demonio, ormai compiacente fallo tentatore, accompagna la nuova Jeanne verso il futuro di ogni donna che nascerà nei secoli a venire; la Belladonna, veleno e panacea, cura contro ogni e nessun male si trasforma nel cavallo di battaglia della Strega dal volto affascinante, e la psichedelia anestetizzante, astratta e potente, ritorna ancor più altisonante nell’orgia finale, immensa metafora del popolino oppresso incapace di ragionare con la propria mente, ove l’intero villaggio apre infine gli occhi alle parole della bella/donna e si libera dalle proprie restrizioni mentali e dei propri pudori: una Woodstock dello spirito più che della carne, un pari rituale satanico che per merito di una regia eccezionale viene stigmatizzato per gioco, provocatoriamente, mostrandoci il semplice valore godereccio dell’abbandonarsi a un edonismo istintivo.
Dov’è il peccato, se non negli occhi di chi guarda?
Ogni elemento viene esasperato, distorto, mostruoso e bestiale, come in un antico baccanale. La presenza animale potrebbe scandalizzare, ma è l’ennesima provocazione sottile e mirata: prende nuovamente come bersaglio la soffocante ottusità ecclesiastica medievale. Agli occhi dei penitenti o sei con Dio o sei contro Dio, non esistono mezze misure, poiché proprio a quegli occhi, un atto libero e distantissimo dal loro punto di vista, diviene privo di sacralità e tristemente impuro.
Provocazione o follia collettiva?
Fanatismo di massa?
Cosa sono, esattamente, le religioni?

A tratti grottesco tanto da richiamare il più psichedelico Cyd Barrett, nel computo totale sembra di assistere a un musical di cacofonie epilettiche, una parabola marcescente e in seguito rinascente, un’inarrestabile parafrasi delle paure e dei desideri femminili.
Attraverso questa miriade di elementi e informazioni si giunge così a un finale memorabile, immenso e magnifico sotto ogni aspetto, dove riusciremo a comprendere che tutte le donne sono Jeanne, precursora di battaglie femministe e libertine. La citazione ultima alla Rivoluzione Francese è una perla di rara bellezza, rispecchiante la lotta quotidiana di ogni donna per i propri diritti e la propria libertà fisica e intellettuale, poiché femminismo non significa donna sopra il maschio ma al suo fianco, senza discriminazione alcuna.

Sono passati cinquant’anni e, come possiamo benissimo immaginare, “Kanashimi no Belladonna” risulta dannatamente, amaramente e dolorosamente attuale, fra scarpette rosse di protesta, femminicidi domestici, salari ridotti, body shaming, stupri dove “con quella gonna corta se l’è sicuramente cercata” e altri orrori quotidiani da prima pagina.
Il messaggio è chiaro, forte, potente: dovremmo avere l’obbligo morale di essere tutti Jeanne, un messaggio d’emancipazione e di lotte durate secoli, che tutt’oggi perdurano aspramente e giustamente.
È una quesitone di rispetto fra esseri umani, altro che sessi. Un’abitudine difficile da riscontrare in ogni epoca: il volgo vigliacco, l’anima apparentemente persa di lei ma mai smarrita, l’ipocrisia di una inesistente generosità di chi governa tirannicamente, l’atavica convinzione della donna serpente sorella di Satana tentatore e della Mela dell’Eden; maledetto sia l’essere umano, maledetto sia il patriarcato che di generazione in generazione ha gettato fondamenta sempre più profonde nei pensieri di ognuno di noi, germoglio di un mondo dove il seme della discriminazione è talmente radicato che in molti, tutt’oggi, nemmeno si accorgono dei solchi e dei fossati divisori che ci separano non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente.
Accompagnata da tali grida di protesta, quest’opera grandiosa si conclude con l’ennesima tragedia che ci lascia attoniti ma anche immersi in profonde riflessioni.
Un lungometraggio di difficile comprensione, sicuramente non per tutti, a tratti davvero pesante, arricchito da una colonna sonora indimenticabile: sarebbe vergognosamente riduttivo definirlo semplicemente “bello”.

Quando i titoli di coda iniziano a scorrere, un solo pensiero, un grido, sale alla mente:
Libertà, uguaglianza, fraternità!

pippo311lp

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8,5
Parto col dire che non mi aspettavo nulla da questo film, e per i primissimi minuti non mi ha entusiasmato. Ho iniziato a rivalutarlo durante la prima scena drammatica, quando viene richiesto a Jeanne di sottostare allo jus primae noctis: la scena mi ha folgorato per le scelte stilistiche e grafiche, per il modo in cui coinvolge lo spettatore attraverso giochi di colore e movimenti rapidi.

Man mano che il film andava avanti, è stato un crescendo, di cui ho apprezzato particolarmente il comparto grafico, riconoscendo alcuni stili pittorici di cui poi ho voluto approfondire l'uso. L'immagine va dall'acquerello alla pittura a rullo, in uso in Giappone in tempi antichi, con continui riferimenti all'astrattismo basato sui cromatismi di colore che penso diano un clima suggestivo al film. Ho adorato la “sporcizia” di alcuni frame in cui era palese l'imperfezione dei disegni, cosa che metteva in risalto il passaggio da una tavola all'altra e, per un appassionato di animazione come me, è stato entusiasmante vedere questo difetto/dettaglio/pregio.

Dal punto di vista sonoro: sul doppiaggio c'è poco da dire, ha la sua età e le sue pecche, ma tutto sommato si attesta su buoni livelli e non disturba, anche il mixaggio sonoro è invecchiato male e sono presenti degli acuti improvvisi che, pur essendo ben accostati alle tavole messe in scena, possono risultare fastidiosi. Ciò che ho davvero apprezzato sono le musiche e il montaggio sonoro. La scena della marcia verso il rogo, i personaggi appena delineati su sfondo completamente bianco e il suono cadenzato dei passi mi ha colpito! Penso che il disegno ridotto al minimo indispensabile non avrebbe reso il dramma della scena senza un accompagnamento sonoro altrettanto essenziale ma incisivo, colpendo profondamente lo spettatore che viene trascinato nel pathos del momento. Il risultato è una colonna sonora che spazia da tonalità alte ad altre molto basse, che definirei ambiziosa e bizzarra.

Riguardo il tema del film: lo sfruttamento della figura femminile nel Medioevo è un argomento ancora oggi molto attuale. “Kanashimi no Belladonna” si propone come un'allegoria - ripresa dal romanzo originale - per cui l'eros è visto come tabù, ma al tempo stesso è un'affermazione di libertà e giustizia per la protagonista. L'oppressore è tanto Satana, quanto il conte che pretende di usarle violenza, il dolore che quest'ultimo le ha provocato anima la sua rivolta. Penso sia emblematica la scena dell'orgia diabolica, è goliardica, eccessiva, ma l'avrei evitata? Sinceramente no. Apprezzo il coraggio di inserirla, soprattutto se penso agli anni in cui il film è stato prodotto e poi distribuito. La scelta quindi diventa un azzardo negli anni '70, ritrovandosi di fronte alla probabilità di essere rifiutato dal pubblico generalista, ma apprezzato dalla nicchia eclettica che diede poi avvio alla ribellione sociale.

In conclusione, ciò che ho davvero adorato di questo film sono la colonna sonora e la grafica: appena finito, gli avrei dato 9 e mezzo, ma riconosco abbia delle pecche impossibili da non considerare. Purtroppo il film eccede: la narrazione non procede in maniera omogenea, passando dalla lentezza di alcune scene, all'eccessiva velocità ed eccentricità di altre. L'eros non è solo una figura allegorica, ma finisce quasi per svilire il messaggio che il film vorrebbe fornire, con esplosioni falliche e sesso-centriche a tratti ridicole e ripetitive. Nonostante l'intenzione di dedicare il film d'animazione ad un pubblico adulto, penso abbiano reso indigesta la visione anche allo spettatore meglio predisposto.
Veniamo alle battute finali: riconosco che stilisticamente il film contenga degli elementi di altissimo livello, ma che avrebbe dovuto evitare alcune pesantezze, per questo motivo il mio voto finale si assesta su 8 e mezzo.


 7
Vale.

Episodi visti: 1/1 --- Voto 9
Tuu... tuu... tuu..

M. Pronto?
V. Ciao Matti!
M. Ohi fratm'!
V. Tutt'apposto?
M. Mah, il solito. Te?
V. Uguale...
M. E V. ... di m**da. Ah ah!
M. Già, che du' bali!
[..]
V. Ascolta, ti ricordi l'anno scorso quando avevamo parlato di animazione 'giappo', e tu mi avevi chiesto un titolo da cui partire? O comunque un titolo notevole?
M. Sì, perché avevano messo "Evangelion" su Netflix. Però poi ne ho visto solo qualche episodio veh...
V. Eh, infatti non te lo avevo consigliato come anime da cui partire, perché a volte gli anime sono troppo 'giappo', e se sei un neofita, sembrano strani. Infatti, poi, alla fine ti avevo consigliato qualcosa di vecchio.
M. Mah, non mi ricordo cosa. Avevo visto "Death Note", che però mi sembra un po' sdoganato, in quanto abbastanza 'pop' come serie.
V. Sì, diciamo di sì. Beh, vedi che ho trovato un titolo che forse fa al caso tuo. Non è un filmetto, tipo "Your Name." Cioè, nel senso che è un film impegnato, anche un pochino pesante, se vuoi. Si trova un po' in quel filone sperimentale dei primi '70... ehm... hai presente Antonioni?
M. Oh certo, "Zabriskie Point", e così via...
V. Ecco, in quella scia di film. Più visivo, e sperimentale. Veicola molto tramite l'animazione, e praticamente potresti non seguire i dialoghi, che capiresti circa tutto lo stesso. Comunque la scuola è quella; quei film un po' particolari tipo "Zardoz" o appunto "Zabriskie Point". Che sono anche molto simbolici.
M. Capolavori quei film, vacca boia.
V. In questo però la componente sessuale è molto meno velata che nei film sopra, nel senso che è, e rimane, parecchio esplicito. Ma vestendo in modo molto psichedelico il tutto. Non so se hai presente quelle scene più immaginifiche di "Yellow Submarine", ma anche paradossalmente de "La gabbianella e il gatto"?
M. Hai voglia, chiaro.
V. In cui ci sono sequenze animate dove immagini e stili di animazione si mischiamo, vengono deformati... insomma, è tutto reso in modo che sia quello che vedi a raccontarti la storia. Ecco, immagina questa cosa applicata ad un intero film però molto erotico, e soprattutto con un forte input settantiano; nudi e riferimenti sessuali compresi. Anche "Arancia meccanica", per esempio.
M. Dimmi solo una cosa però, non è come quei film in cui durante tutto il film dici 'Wow, capolavoro, incredibile!', e nel finale pensi 'Ma perché ha buttato tutto nel cesso così?'
V. Mmh, dipende. Effettivamente il finale è un pochino slegato dalla storia e va a parare su dei temi femministi che durante la storia non mi sono parsi così evidenti.
M. Ma di cosa parla il film?
V. È un film tratto da un libro francese scritto nell'800. Ambientato nel Medioevo. Dove questa donna subisce delle violenze e stringe una sorta di patto col diavolo per alleviare le sue sofferenze. Ma, man mano che la sua posizione sociale migliora, qualcos'altro peggiora.
M. Ti ricordi il titolo del libro?
V. No, ora come ora non ricordo.
M. Ah ok, e di che anno è?
V. È del 1973. Ah, e poi anche le musiche sono spettacolari, alcune abbastanza acide, altre quasi rock prog, si vede un sacco che ai giapponesi gli piaceva il prog italiano. Non molto cantate. Anzi, tutto il film in realtà ha pochi dialoghi. Come ti dicevo, potresti quasi seguirlo senza leggerlo, che comunque capiresti lo stesso il susseguirsi degli eventi. Conta che non è tradotto, per cui ci sono i sottotitoli. Anche se, ora che ci penso, ti volevo suggerire questo film, perché comunque di cinema te ne intendi, e sai apprezzare anche gli sperimentalismi. Ma questo titolo non sembra affatto giapponese, o meglio... potrebbe essere tranquillamente stato fatto in Italia. Tanto per dirti, per buona parte del film ho avuto in mente quella copertina del disco dei Garybaldi.
M. Non ho presente vez.
V. Dai ehm... come si chiamava... ah, "Crepax"?
M. Ah, come no. "Valentina".
V. Esatto. Ecco, proprio i Garybaldi potrebbero essere un'idea della musica che c'è dentro. Niente, te lo volevo suggerire perché mi sembra un titolo che potresti apprezzare, ma no, non lo porrei a rappresentanza di un modo di fare anime tipicamente nipponico, anzi, in questo senso se ne discosta parecchio.
M. Quindi, dici che per farmi un'idea degli anime è meglio se mi guardo "Evangelion"? L'altra volta lo avevo iniziato e dopo tre episodi lo avevo mollato.
V. Sì, forse è meglio se ti guardi "Evangelion". Decolla nella seconda metà, sappilo.
M. Però mandami il link di questo film, che me lo vedo. A me quelle cose un po' sperimentali piacciono un sacco.
V. Certo, e beh, se no mica te lo consigliavo... ah, e volevo chiederti un'altra cosa.
M. Dimmi vez.
V. Posso usare questa telefonata per farne una recensione?


 4
Miriam22

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8
Prodotto nel 1973, "Belladonna of Sadness" è il terzo film della trilogia "Animerama" ideata da Osamu Tezuka, ma l'unico a non essere né scritto né diretto da lui.
Ambientato nella Francia rurale in pieno Medioevo, esso racconta la storia di una giovane coppia che, appena sposata, è obbligata a sottostare ai voleri del signore del feudo: Jeanne, la giovane sposa, subito dopo la cerimonia, sarà costretta ad uno stupro rituale. La donna, addolorata, ferita e sotto shock, dopo la violenza patita, inizierà a fare strani incubi, in cui compare una figura maligna dalle forme chiaramente falliche.

Più che la storia di questa coppia, il film si concentra quasi esclusivamente su Jeanne e la sua evoluzione.

Come reagisce una donna ad uno stupro?
Anche se si è donne e si ha subìto questo tipo di trauma, questa rimane ugualmente una domanda molto difficile. La reazione ad un evento simile, io credo debba cambiare di donna in donna, in base a molti fattori come l'età, il contesto in cui si vive, le proprie esperienze personali, la propria indole. Dolore, rassegnazione, oblio, rimozione, rabbia, insicurezza, nevrosi, maturazione, crescita, sono alcuni degli aspetti e reazioni possibili che vivono le vittime. Forse alcune donne provano tutta la gamma di sentimenti possibili, e forse ce ne sono altre che sostano di più (e si bloccano) in determinate emozioni.
Di certo è un incidente che cambia la vita. Di tutte.

E come reagisce Jeanne?
Lei prende la strada della sublimazione.

Se come prima reazione osserviamo in lei dolore e disperazione, in seconda battuta vediamo Jeanne accettare, reagire e sublimare, con slancio e ardore, la sua nuova condizione, abbracciando, appunto, la sua nuova sfera sessuale, che prende sempre più forma, a pari passo dell'ingrandirsi ed espandersi di quello strano essere fallico e demoniaco che le appare in sogno.

Ci troviamo di fronte ad un'opera magistrale, la cui visione, però, non è per tutti, e per svariati motivi.
Innanzitutto alcuni passaggi risultano essere estremamente disturbanti, come lo stupro iniziale o le orge grottesche che ci danno una sensazione adrenalinica davvero potente, ma anche fastidiosa.
Merito (o colpa) di questo risultato visivo impattante va soprattutto al comparto grafico, che definirei originale. E, negli anni settanta, di sicuro fu sperimentale.
Questo film d'animazione... non è animato. O lo è pochissimo, e dove lo si ritiene necessario (per esempio nella scena dello stupro, che è resa in modo superbo).
Il film, visivamente, sembra essere un insieme di quadri fissi, dallo stile delicato che richiama disegni di matita su carta, con linee, colori e sfumature imperfette. La sensazione che ci comunica la visione in sequenza di disegni con questo stile, non ripuliti e non perfezionati, è quella di solidità, di realismo e carnalità. Elementi, questi ultimi, che si possono indirettamente attribuire anche al tipo di narrazione.
Doppiaggio e musica fanno anch'esse la loro bella parte. Le voci dei personaggi non hanno niente da eccepire, il grado di recitazione dei doppiatori è chiaramente alto. E il comparto sonoro richiama decisamente musiche degli anni settanta, prima fra tutte la canzone del tema principale che, con quella calda voce soprano, ci comunica tristezza, erotismo, voluttà. Ma abbiamo pure richiami audio-visivi di musiche storiche come quelle dei Beatles (io personalmente ci ho visto pure assonanze con i più nostrani New Trolls).

Ma "Kanashimi no Belladonna" non è solo un'esperienza multisensoriale atipica. Il film vuole essere anche una denuncia sociale in difesa della donna e della sua ascesa, un inno alla libertà sessuale, all'erotismo, alla libidine, al potere femminile (in fondo siamo tutte un po' Jeanne). Punta inoltre il dito contro il volgo vigliacco, contro l'ipocrisia di chi governa avido e tiranno, contro l'atavica convinzione che vuole le donne streghe, serpenti e compagne di Satana.
Ergo, per tutti questi particolari, a quest'opera non ci si può approcciare leggeri e spensierati. È un film visionario, psichedelico, criptico, estremamente simbolico. Senza ombra di dubbio questa è un'avventura, multisensoriale, visiva, uditiva, storica... Ed erotica!

Consiglio questa esperienza da fare almeno una volta nella vita. Ma non da ripetere tanto a breve termine.


 6
Mirokusama

Episodi visti: 1/1 --- Voto 6,5
Prima di questa recensione è doveroso fare una premessa: “Kanashimi no Belladonna” non mi è piaciuto e in tutta onestà credo di non avere i mezzi e le conoscenze necessarie per apprezzarlo prima e parlarne con cognizione di causa dopo; e quindi, perché lo faccio? Domanda legittima, a cui non posso dare la vera risposta necessaria in questo caso, ma che riassumerò semplicemente nel tentativo di dare un’idea dell’opinione dell’uomo comune (leggi anche ignorante), trovatosi di fronte a qualcosa che si pone obiettivamente fuori dalla sua portata. Per questo motivo non ne consiglio la lettura ovviamente a chi vorrebbe farsi un’idea precisa dei contenuti del film, per quello fortunatamente ci sono tante recensioni dal giudizio lusinghiero che sicuramente serviranno meglio allo scopo. Questo perché non tratterò la recensione come farei di solito, illustrando per sommi capi la trama, i temi principali e le soluzioni tecniche e artistiche che mi hanno colpito della pellicola, bensì prenderò spunto da quattro termini che ho visto legati praticamente ad ogni analisi e recensione di questo film, per illustrare il mio pensiero, più o meno contrario, in tal senso. A “Kanashimi no Belladonna” (lett. “Belladonna di tristezza”) infatti vengono associate di solito queste quattro caratteristiche: un film sperimentale, avanguardista, visionario e femminista; andiamo per ordine.

Sperimentale
Da questo punto di vista è difficile confutare la cosa; “Kanashimi no Belladonna” è sicuramente un film particolarissimo, la cui visione resta indelebile sin dalla prima volta. Quello su cui posso discutere è se basta proporre soluzioni diverse e innovative per confezionare un film convincente; la critica alta non avrebbe dubbi in questo caso, ma il film alla sua uscita fu un flop commerciale assoluto, per cui la verità dove sta, era troppo incapace di inquadrarlo la massa dell’epoca o è un’operazione certamente ambiziosa ma riuscita solo in parte? A chi vorrà rispondere, l’ardua sentenza, personalmente l’ho trovato un film leggermente pretenzioso e a lungo andare noioso, nonostante la varietà di tecniche e metodi artistici utilizzati.

Avanguardista
Anche qui ci sarebbe poco da dire, considerando che questo film è stato creato nel 1973: per l’epoca era sicuramente qualcosa di innovativo e, per l’appunto, all’avanguardia, in grado di influenzare le opere che l’avrebbero seguita. Che l’abbia fatto o meno non sono francamente in grado di dirlo, ma posso dire che in quasi cinquant’anni successivi io un film che riproponesse soluzioni e stili simili non l’ho visto, e non lo dico in accezione puramente positiva. Tra parentesi, è anche tuttora inedito ufficialmente in Italia.

Visionario
Sì, ma... anche meno. Una delle caratteristiche che più mi hanno fatto faticare durante la visione di questo film è stata proprio quella che per molti è la chiave del suo successo critico, un susseguirsi di idee e artifici che vanno dallo storyboard a immagine quasi fissa ad animazioni più articolate, che coincidevano spesso coi momenti dalla carica erotica più alta della pellicola. In tutto questo non posso negare la presenza di disegni anche pregevoli, specialmente quelli con la protagonista Jeanne, ma l’unione finale ripartita per tutta la durata del film mi ha stancato davvero troppo presto. Ho preferito complessivamente la colonna sonora, per quanto anche qui alcuni pezzi cantati non rientrano assolutamente nelle mie corde.

Femminista
Sì, ma perché? Confesso che questo è stato l’accostamento più curioso che ho visto fare a questo film, soprattutto perché esagerato più che campato per aria; è innegabile infatti che Jeanne sia una figura femminile tragica che denuncia la condizione subordinata rispetto all’uomo della donna in epoca medievale, ma l’associazione finisce qui, anzi, per certi versi ritengo questo film una mezza occasione mancata, visto che Jeanne durante la storia raggiunge una posizione e una capacità che la pongono nettamente sopra a tutte le figure maschili della storia, che pure riescono facilmente a estrometterla ed eliminarla dalla scena nel momento in cui poteva assumere ben altra rilevanza. Decisamente incomprensibile ho trovato invece il richiamo finale alla Rivoluzione Francese, inquadrata come rivolta popolare di stampo femminile; se è vero infatti che le donne furono protagoniste dei moti rivoluzionari della Francia settecentesca, questi erano da inquadrare in una rivolta sociale generica del popolo oppresso nei confronti delle classi più ricche, non delle donne nei confronti della loro condizione in parte sottomessa. Fuorviante poi è il riferimento finale alla presa della Bastiglia, l’episodio che si usa individuare come atto iniziale della Rivoluzione il 14 luglio 1789, con la marcia delle donne su Versailles che invece è avvenuta il 5 ottobre dello stesso anno e che il film fa passare quasi come un evento unico. Insomma, una chiusura che ho trovato fuori luogo e che ha concluso perfettamente un’esperienza tanto mistica quanto dimenticabile.

E questo era ciò che pensavo grossomodo su “Kanashimi no Belladonna”, un film unico e per questo sicuramente da guardare per farsi un’idea, su questo non si discute. Dubito che qualcuno lo farà spinto dalle mie considerazioni, ma, nel caso, spero che finisca per apprezzarlo di più per tributargli i meriti che, evidentemente, non possono non esistere, viste le tante critiche positive che ha raccolto, ma che io purtroppo non sono riuscito a individuare.


 4
DarkSoulRead

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8,5
“Kanashimi no Belladonna” è un esercizio di stile che può rivelarsi tanto efficace quanto disturbante, in base all’esigenze del fruitore. Che visivamente l’opera sia quanto di più avanguardisticamente artistico mente umana potesse concepire lo si capisce da subito. L’immensurabile estro creativo di Eiichi Yamamoto si agita tra le sinuose forme di una donna depredata della sua verginità, tra gemiti soffocati e badiali forme falliche. La cromatura è un mosaico di vividi colori acquerellati, un mare rosso sangue dai cui abissi una sirena canta il suo dolore più profondo. Tralasciando l’opera d’arte che esteticamente “Kanashimi no Belladonna” innegabilmente è, ci accorgeremo subito di quanto poco convenzionale e atipica sia la narrativa di questo gioiellino. Il film si presenta come una sorta di fiaba illustrata, con immagini ferme accompagnate da testo che si susseguono in uno sbalorditivo climax visivo. Le poche animazioni riescono ad onorare le scene più significative, catapultandoci in un inferno di carne pulsante dannatamente ispirato.

Nel periodo più buio del Medioevo francese, Jeanne e Jean sono una modesta coppia di novelli sposi. Durante la prima notte di nozze, Jeanne viene stuprata dal barone del posto, che abusa di lei insieme ai suoi sudditi in nome dello “ius primae noctis”, diritto che consente al signore feudale di trascorrere la prima notte di nozze con la sposa in caso di mancato pagamento dell’imposta. L’orgia avrà serie ripercussioni sulla fanciulla (che prima del fatto era vergine), tanto da farla sprofondare in un tunnel onirico di struggente tristezza ove a consolarla vi sarà uno spirito demoniaco falliforme. Inizia per Jeanne un viaggio interiore alla ricerca del piacere primordiale, animalesco, del godimento ferale che fino a prima giaceva represso nel substrato delle sue carni. L’erotismo in “Kanashimi no Belladonna” è il mezzo attraverso il quale Jeanne trascende. Privata della sua purezza la donna riscopre il proprio corpo, l’abuso diventa per lei oggetto di eccitazione sessuale, tanto da assumere nella sua testa le sembianze di un fallo gigante pronto a soddisfarla ogni qualvolta lo desidera.

La storia, che sembra scappata dai quaderni di Lars Von Trier e inscenata dal più visionario Jodorowsky, con un tocco di Murakami, è in realtà liberamente ispirata al saggio “La strega” di Michelet, e forma insieme a “Le mille e una notte” e “Cleopatra” la trilogia sperimentale Animerama. L’opera in questione è in realtà l’unica della trilogia a non essere stata scritta dal celeberrimo Osamu Tezuka, che lasciò la Mushi Production poco prima la realizzazione del film. Arduo stabilire se questo abbia giovato o meno al prodotto finale, visto il calibro dell’autore citato, tuttavia è difficile pensare a un “Kanashimi no Belladonna” migliore in un’essenza diversa da quella che conosciamo.

Cos’è il male? È facile e troppo spesso scontato dare una accezione negativa al concetto che incarna il deplorevole, ma talvolta urgerebbe essere meno superficiali.
La vita è per il 10% cosa ti accade e per il 90% come reagisci a quello che ti accade. Preso per buono questo concetto, possiamo dire che la violenza subita dalla protagonista, quindi il suo male, le schiuda i chakra, proiettandola in un eden sensoriale che solo chi ha subito le angherie più atroci può raccontare di aver visto. Jeanne è una martire, non a caso il nome è stato preso da Giovanna D’arco (Jeanne d’Arc in francese), e la sua metamorfosi, quasi kafkiana, incarna in toto l’emancipazione femminile. La donna, libera dal bigottismo e da quella verecondia tipicamente clericale, si spoglia di ogni forma di pudore, attraversando lidi di piacere altrimenti irraggiungibili. “Innamorati del tuo stupratore perché ti ha fortificato”, la citazione a “Dove siete spiriti” di Rancore qua calza a pennello.

Il film è Jeanne-centrico, la storia viene raccontata mediante gli occhi della protagonista, e sarà quella l’unica prospettiva attraverso la quale lo spettatore vedrà il mondo di “Belladonna of Sadness”. Un mondo decadente dal simbolismo esoterico e marcatamente libidinoso.
I fotogrammi fissi si alternano a tempo di rockeggianti e psichedeliche melodie, senza le quali lo spettatore non si immergerebbe in modo cosi travolgente nei deliri di Yamamoto. La preponderanza di toccanti pezzi malinconici (cantati tra l’altro da una soave voce femminile) aiuta lo spettatore a carpire la mestizia di Jeanne. La colonna sonora è eccezionale, in perfetta sinergia con la potenza delle immagini, per un’esperienza sensoriale che non teme confronti.

“Kanashimi no Belladonna” è un piccolo capolavoro targato 1973; sperimentalista, rivoluzionario e dallo stile molto più occidentale di quanto il titolo possa suggerire, saprà rivelarsi portatore di un messaggio femminista contro una repressione incredibilmente attuale. Un cult giapponese eterno e ingiustamente obliato a cui speriamo la riedizione in 4k del 2015 doni nuova linfa, perché in fondo tutti siamo un po’ Jeanne.
“Je suis Jeanne”.


 7
Pan Daemonium

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
E' un'opera davvero difficile da recensire a parole, trattandosi di una quasi completa esperienza visiva e uditiva. L'intelletto, qui, tramite la sensorialità, è colui che ha il ruolo predominante nel godimento.
Non trattasi di un'opera complessa a livello di trama, onanistica o comunque ingarbugliata. Le vicende sono lineari, semplici e anche piuttosto paradigmatiche.

Quest'opera si basa, infatti, su una serie di topoi letterari e artistici abbastanza conosciuti. L'amore puro fra una vergine e un giovane, ostacolato dalle vicende, dal circostante, sorge nei primordi della letteratura europea (ricordiamo anche, con una certa differenziazione, "Dafni e Cloe" di Longo Sofista) e asiatica, ma Eiichi Yamamoto è riuscito, ispirandosi a un simil-saggio di Michelet, a reinterpretare tutto ciò in chiave medievale, usando quell'aura oppressiva decadente e baronale dei villaggi europei dei nostri secoli di mezzo. Manzoni, nei "Promessi sposi", non fece diversamente. La stessa grande sofferenza fisica, la prostrazione dovuta all'ingiustizia subita, rappresentata qui dallo stupro, è stata usata successivamente da Miura in "Berserk", in una maniera molto simile, direi fin troppo convergente.
Questa tribolazione e afflizione assoluta scatenano le passioni umane più profonde, determinano una scarica vitalistica senza precedenti che, come d'altronde è anche l'ipotesi di Michelet sulla genesi del fenomeno stregonesco, in un mondo moralmente gestito dall'oppressione ascetica cristiana non può che chiedere appoggio e aita a una figura percepita come antagonistica, ma vitale, ossia quella demoniaca. Anche questo è, alla fine, la base di un topos che, partendo dal "Faust" di Marlowe, Goethe e Bulgakov (con tutte le differenze), passando per il forse più similare "Il monaco" di Lewis, termina con il già citato e, a quanto pare, molto similare "Berserk". Il sacrificio durante l'Eclissi non è altro che lo scatenarsi di forze ataviche e primigènie dopo un'enorme sofferenza.

"Dovette la forza inventiva e dissimulatrice [dell'uomo] svilupparsi sotto una lunga oppressione e costrizione" (F. Nietzsche, "Al di là del bene e del male", 44)

Come ho cercato di mostrare, "Kanashimi no Belladonna" non è alcunché di nuovo nel complesso, ma la tecnica adoperata, la sua sperimentalità, ha permesso di creare qualcosa di completamente nuovo, di fantastico. La oppressione del potentato locale produce la nascita di un eterno sabba, di un infinito baccanale di colori e di suoni. Probabilmente, se a quest'opera fossero associati anche degli odori, di incenso, di fiori, di carne ansimante, l'esperienza già pregna a livello visivo e uditivo dello spettatore sarebbe assoluta, massima.
Quel sentore di rock progressivo pare davvero ben azzeccato, con la sua preponderanza della linea di basso così ritmica, ma martellante e quindi contigua all'aspetto psichedelico delle immagini, morbide, ma spesso ripetentisi e circolari. Probabilmente, intendo, anche un altro genere musicale, magari più classico, o più moderno, se ben fatto, avrebbe permesso di ottenere un risultato buono, ma credo che il rock progressivo, in questo caso, sia difficilmente superabile.
Il fatto che quest'opera sia stata ideata negli anni '70, effettivamente, è stata una grande fortuna, o una necessità. Le musiche, se fosse stata prodotta anche sei-sette anni dopo, sarebbero dovute essere molto differenti, e il tema stesso, il ruolo preponderante della donna, la sua sofferenza e poi la sua emancipazione, ben evidenziata dal finale verosimilmente ispirato a Cristo e a Giovanna d'Arco, non avrebbero avuto lo stesso sapore, se ideato in un altro periodo storico.

A mio parere un'opera completa, un baccanale di emozioni da non perdere in alcun modo, soprattutto nella versione Blu-ray 4k restaurata nel 2016.


 2
bob71

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Nella serata inaugurale della quindicesima edizione di Imaginaria - Animated Film Festival, in corso dal 21 al 26 agosto, all'interno della suggestiva cornice dell’antico monastero di S.Benedetto a Conversano (BA), nell'arena del Giardino dei Limoni gremita in ogni ordine di posto, si è tenuta la proiezione della versione restaurata in 4K dello stupefacente lungometraggio anime “Kanashimi no Belladonna” (“La tristezza di Belladonna”) del 1973. Per l’occasione la proiezione è stata sonorizzata dal vivo dal duo Mirko Signorile e Marco Messina.

Prodotto dalla Mushi Production di Osamu Tezuka, diretto da Eiichi Yamamoto (“Astro Boy”, “Kimba il leone bianco”) e sceneggiato da Yoshiyuki Fukuda, “Kanashimi no Belladonna” fa parte della trilogia sperimentale Animerama insieme a “Le mille e una notte” (1969) e “Cleopatra” (1970), ed è l’unico dei tre lungometraggi che non fu scritto o diretto dal “dio dei manga”. La pellicola, all’avanguardia per i tempi, fu presentata al Festival di Berlino, ma alla sua uscita fu un autentico flop dal punto di vista commerciale, tanto che contribuì in parte alla bancarotta della Mushi. Solo nel 2009 venne riscoperta, rivalutata e distribuita in Europa e in alcuni cinema statunitensi, mentre è del luglio 2015 la versione restaurata, mostrata in anteprima al Japan Cuts (Festival of New Japanese Film) di New York. Del restauro si è occupata la compagnia privata americana Cineliciuos Pics che, grazie all’unica stampa in 35mm sopravvissuta in edizione integrale e appartenente al Cinematek, il Museo del Cinema di Bruxelles che gentilmente ha acconsentito a fare una scannerizzazione in 4K delle sezioni mancanti dalla copia in loro possesso, è riuscita a recuperare anche la sequenza finale (quella con il quadro di Delacroix) mancante nella versione originale.

Il soggetto rivisita liberamente il saggio “La Strega” (“La Sorcière”) di Jules Michelet (pubblicato originariamente nel 1862). La storia si svolge in un Medioevo fantastico e narra le vicissitudini di Jeanne, una bella e giovane donna sinceramente innamorata di Jean. I due si sposano con tutti i crismi religiosi e con le aspettative di una felice vita insieme nella grazia di Dio. Ben presto però comincia un incubo. L’idillio si frantuma quando Jeanne è costretta a subire un violento ius primae noctis, venendo stuprata dal feudatario locale e dai suoi cortigiani durante un sadico rituale. In un primo momento Jeanne appare rassegnata, ma in seguito, in preda alla disperazione e accecata dalla vendetta, decide di stringere un patto col Diavolo.

La parola “belladonna”, oltre all’avvenenza di Jeanne, allude anche al nome comune di una pianta narcotica, le cui bacche e foglie altamente tossiche possono essere usate come letale veleno, nonché come sostanza psicotropa dagli effetti allucinogeni. Il termine implica quindi qualcosa di pericoloso ma al contempo delizioso e seducente, ed è in questa miscela di bellezza e pericolosità che va cercata una delle tante chiavi per interpretare “Kanashimi no Belladonna”.

L’estrazione letteraria francofona suggerirebbe altre interessanti elucubrazioni. In primis in riferimento all’epos di Giovanna d'Arco (Jeanne d'Arc), la cosiddetta Pulzella d’Orleans che guidò l'esercito francese in guerra contro gli inglesi, da questi ultimi messa al rogo come eretica, e successivamente beatificata e canonizzata dalla Chiesa Cattolica. Inoltre, in una scena ci viene proposta una Jeanne precorritrice di Marianne, allegorica figura femminile che, nei panni di una discinta popolana, incarna lo spirito della Repubblica Francese nel celeberrimo dipinto del 1830 “La Libertà che guida il popolo” di Eugene Delacroix.

L’epilogo del film, in cui tutte le donne finiscono per identificarsi con Jeanne, lancia un messaggio di emancipazione molto potente, specie in un momento storico come quello del 1973 in cui il movimento di liberazione femminile in Giappone è in pieno fermento e le donne marciano per le strade di Tokyo.

Dal punto di vista visivo il film (vietato ai minori di anni 18) alterna visioni paradisiache a scene terrificanti, fra rappresentazioni di ordinaria brutalità e organi genitali metamorfizzanti nel più ampio spettro di forme organiche, con arditi sconfinamenti in un erotismo plateale, ai limiti del morboso. Per la sua realizzazione sono state usate svariate tecniche miscelate tra loro. Le immagini sono spesso composte di quadri fissi: acquerelli, dipinti a olio, inchiostri, vetri colorati che vengono semplicemente zoomati o srotolati in lunghe panoramiche, quasi una rievocazione degli emakimono. L’animazione vera e propria prende il sopravvento nelle sequenze topiche, per lo più incentrate sulla peccaminosa sensualità del corpo esposto di Jeanne.

In un caleidoscopio di forme cangianti, fra toni pastello e cromatismi più squillanti, lo stile grafico omaggia la tradizione storica dell’arte occidentale, con particolare riferimento al decadentismo fin de siècle. Il camaleontico e raffinato tratto di Fukai Kumi passa in rassegna il Medioevo rarefatto dei pre-raffaelliti, la scabra carnalità di Egon Schiele, il languido espressionismo di Gustav Klimt, il simbolismo di Odilon Redon, le linee sinuose di Audrey Beardsley, fino ad arrivare a un'esplosione psichedelica di motivi Pop Art.

La colonna sonora del compositore d’avanguardia Masahiko Satoh nel caso specifico è stata sostituita dalle improvvisazioni jazzistiche di Mirko Signorile, al piano, e Marco Messina all’elettronica. La loro performance ha donato un innegabile tocco di spontaneità e immediatezza alla già conturbante visione, creando di fatto un emozionante happening. Il pianismo minimale e ipnotico di Signorile, perfettamente a suo agio fra le pulsazioni organiche e le ritmiche claustrofobiche di Messina, riesce nel non facile intento di entrare in intima simbiosi con il flusso della narrazione, dialogando con le immagini e stimolando un'atmosfera molto suggestiva che ha letteralmente rapito il pubblico.

“Belladonna of Sadness” è un anime di grande potenza visionaria che propone non solo immagini di incomparabile fascino, ma anche un sottotesto fortemente significativo, provocatorio e quanto mai attuale sulla condizione femminile. La sua carica irriverente si esplicita in contenuti estremi e immagini eccessive che sembrano strappate direttamente da un incubo. Siamo di fronte a una vera e propria opera d’arte magnetica e totalizzante, da riscoprire e rivalutare.

AkiraSakura

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
"Kanashimi no belladonna", alias "Belladonna della tristezza", è una rilettura dell'emancipazione femminile in chiave psichedelica e post-moderna. Concepito originariamente da Osamu Tezuka e diretto da Eiichi Yamamoto, questo film è l'ultimo della trilogia Animerama, comprendente "Cleopatra" e "A Thousand & one Nights", entrambi diretti da Tezuka stesso prima del suo abbandono della Mushi Productions per dedicarsi completamente ai manga. Misconosciuto e intellettualoide capolavoro visivo anni '70, "Kanashimi no belladonna" è un concentrato di arte visuale decisamente d'avanguardia.

In un medioevo atavico ed archetipale, la bellissima Junnu vuole sposare un pover'uomo, Jun, che non è in grado di pagarsi la dote. Il feudatario locale, evidente simbolo dell'opprimente potere patriarcale, dopo aver rifiutato la cerimonia con una perversa forma di "jus primae noctis" violenta e fa violentare dai suoi accoliti la promessa sposa. Nella sua disperazione Junnu entra in contatto con un demone di forma fallica simboleggiante la volontà di potenza ed il progresso socio-culturale, fattori che permettono alla donna di acquisire l'indipendenza e la libertà sessuale. La vicenda si evolve attraverso un viaggio lisergico pieno di citazioni alla pittura di Klimt, all'elegante tratto di Guido Crepax e ai vari stili di pittura moderni (graffiti, acquarello, pastello...) Il finale è sconcertante e denso di simbolismi e molteplici livelli di lettura.

Composto prevalentemente da veri e propri quadri, "Kanashimi no belladonna" gioca di contrappunto con la staticità dei frame immobili di sovente "squarciati" delle poche scene effettivamente animate, metafore del moto assoluto indotto dalla volontà che s'incarna in falli, fuochi ardenti e richiami orgiastici. E' comunque errato catalogare questo film come hentai, in quanto il nudo viene presentato in modo puramente artistico e simbolico. Si assiste infatti al trionfo della bellezza delle forme femminili, all'eleganza e alla meraviglia del rapporto sessuale inteso come estasi dello spirito e dei sensi.

Punto di forza del lungometraggio sono indubbiamente le musiche, in pieno stile rock progressivo anni '70 e reminescenti di Miles Davis, Gong (in particolare la triologia di vinili di "Radio Gnome") e primi Pink Floyd. "Kanashimi no belladonna" è infatti uscito nel 1973, in pieno climax da beat generation, contestazioni studentesche e indipendenza femminile.

Quando "Kanashimi no belladonna" sfocia nell'horror, lo fa con una moltitudine di colori e uno stile pittorico molto particolare, che penso abbia in parte ispirato le trovate grafiche della più recente serie animata "Mononoke", altro prodotto originalissimo che guardacaso è anch'esso un'analisi psicologica a tinte macabre e inquietanti sulla condizione della donna nella modernità.

In conclusione, "Kanashimi no belladonna" è un film d'animazione per tutti e per nessuno, pertanto è molto difficile assegnare una valutazione oggettiva. Sicuramente non è adatto al pubblico medio, essendo troppo erotico per l'audience infantile e troppo cerebrale per i cultori dell'eros. Questo fatto è testimoniato dal suo completo flop commerciale, che contribuì tra l'atro a mandare la Mushi Productions in bancarotta. Mi sento comunque di consigliarlo a chi ama il cinema sperimentale, a chi pensa di avere un po' di "estro artistico" e a chi apprezza il trionfante rock progressivo anni '70. Infatti vedrete scorrere nel film immagini simili alle copertine dei vostri LP preferiti: "Nuda" dei Garybaldi, "Climbing!" dei Mountain, "Felona e Sorona" delle Orme...


 8
Ais Quin

Episodi visti: 1/1 --- Voto 9
"Kanashimi no Belladonna" è un incubo di celluloide dai toni pastello, crudo, potente, suggestivo ed esclusivista come tutte le opere sperimentali; profondamente crepuscolare e dotato di uno spiccato istinto predatorio, prova un piacere al limite del dissoluto nell'attesa di un candidato che soddisfi i suoi standard. È pertanto consigliabile da parte del potenziale spettatore condurre una ricerca preliminare purchessia, onde evitare di trovarsi impreparato di fronte all'altera e brutale eloquenza dei suoi contenuti. Scopo, o per meglio dire desiderio di questa recensione, è per l'appunto quello di fornire una testimonianza che possa risultare utile in tal senso.

Nell'epoca feudataria due servi che intendessero contrarre matrimonio dovevano corrispondere al loro signore una dote, in mancanza della quale quest'ultimo poteva rivendicare per sé il privilegio di godere della sposa prima di cederla formalmente al marito: questa barbara consuetudine è conosciuta con il nome di jus primae noctis, che tradotto dal latino significa "diritto della prima notte". La verginità di una donna, garante fisico ma tutt'altro che infallibile della sua integrità d'animo, era infatti considerata un adeguato indennizzo al mancato guadagno del suo padrone.
La dolce Jeanne è per l'appunto una di queste sventurate il cui fiore è stato calpestato dal greve stivale della legge, sulla cui suola ora campeggia, al pari di uno schizzo di fango, il suo venerabile sangue. Traumatizzata e tenuta a distanza dal marito, che pur amandola non riesce a dimostrarglielo, la ragazza comincia a covare dentro di sé il seme del rancore: giacché la felicità sembra esserle preclusa per sempre, è il suo ragionamento, che anche gli altri soffrano come lei. Le manca tuttavia il potere di mettere in pratica questo suo ozioso proposito, potere che una creatura misteriosa di cui un giorno riceve la visita si professa disposta a concederle a patto che lei rinunci a corpo e anima. Ha inizio così questa storia di voluttà e di vendetta di un agnello fattosi lupo tra i lupi.

Il languido immobilismo dell'impianto narrativo mi ha ricordato sia il film muto sia - per utilizzare un riferimento storicamente più attinente - i bassorilievi contenuti all'interno delle chiese attraverso cui il volgo veniva introdotto alle storie dei santi e della Bibbia. Ne consegue che la naturale suddivisione in sequenze a cui si rifà ogni racconto risulti più marcata del consueto; qualche stand alone, per così dire, c'è, così come qualche scena tirata un po' per le lunghe, ma nulla che risulti palesemente fuori contesto. "Kanashimi no Belladonna" non è uno di quegli anime che ti catapultano nell'azione, peraltro ivi ridotta all'essenziale: direi piuttosto che è come un vecchio peeping show a gettoni. Occorre pertanto portare pazienza e dargli il tempo di mettere in mostra le proprie carte, e anche in quel caso non è detto che se ne rimanga soddisfatti.

Non credo si possa definire lo scavo introspettivo il piatto forte del prodotto, nel senso che trama è così lineare e la voce narrante così puntuale nel riempire eventuali buchi che il cambiamento di Jeanne appare più fisiologico che psicologico. Manca, in altre parole, un vero e proprio coinvolgimento da parte dello spettatore, che si ritrova a guardarla sprofondare quasi senza battere ciglio. Soltanto facendo un confronto tra la Jeanne ancora restia a rinunciare ai propri principî e la baccante del diavolo con un petalo di belladonna in bocca ci si rende conto di quanto le terribili esperienze che ha vissuto abbiano distorto il suo sguardo sul mondo. Due persone diverse, quindi? Non ne sarei così sicura. Lo stesso diavolo mette in discussione questa tesi, ma a parte questo l'etica della "seconda Jeanne", quantunque primitiva e viziata dalle circostanze, non pare poi così dissimile da quella della "prima".
Degli altri personaggi si parla poco, ma questo non deve sorprendere né indispettire dal momento che per la stessa Jeanne sono indistinguibili gli uni dagli altri. In quest'ottica il marito risulta, per la maggior parte del tempo, appena identificabile sullo sfondo, ma per quel poco che lo si vede fare qualcosa il suo carattere viene delineato con la giusta dose di plausibilità.

Ma il decodificatore per eccellenza è, com'è ovvio, il sesso, per trattare il quale "Kanashimi no Belladonna" opta per una conturbante combinazione di simbolismo e pornografia. Non è un caso che l'evoluzione di Jeanne, a malapena consapevole di possedere un corpo, inizi proprio dalle sue carni vilipese e purtuttavia ancora in grado di pulsare, di accogliere, di secernere, giacché il solo fatto di riappropriarsene costituisce un formidabile atto di ribellione contro un sistema che mira alla completa spersonalizzazione dell'individuo.
Chiaramente riappropriarsi del proprio corpo significa anche decidere come e con chi condividerlo. Nel farlo Jeanne conoscerà sia il disperato egoismo tipico di chi, subito un abuso sessuale, cerca rifugio nella promiscuità, sia l'incosciente altruismo di qualcuno così coscio di sé da non avere più bisogno di conferme.

Agli occhi di un fruitore di anime del giorno d'oggi il comparto tecnico dell'opera può sembrare, quantunque non proprio scipito, come minimo un po' fiacco. In effetti le animazioni non sono un granché, così come il doppiaggio quasi pastoso, ma il character design e la fotografia sono senza dubbio degni di nota: il primo conferisce al tutto un quantomai gradito tocco vintage, mentre la seconda, di una squisitezza più unica che rara, si distingue per il modo in cui riesce a ingentilire uno scenario che di gentile non avrebbe un bel nulla. Molto azzeccata anche la colonna sonora, in particolar modo per quanto riguarda il malinconico tema principale.

Arrivati a questo punto l'avrete capito da voi, ma permettetemi di esplicitare il concetto: "Kanashimi no Belladonna" non è uno di quei titoli a cui si può approdare tramite un consiglio. Devi scegliere di volerlo guardare e lui deve scegliere di lasciarsi guardare da te, altrimenti l'esperimento è destinato a fallire.

in.04

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Kanashimi no Belladonna è l'ultimo film della trilogia erotica Animerama, nonché il più serio ed avanguardistico dei tre. Tuttavia, si rivelò un totale insuccesso dal punto di vista delle vendite e portò alla bancarotta del suo studio d'animazione.

Prodotto negli anni '70 e liberamente ispirato dal saggio storico "La Sorcière" di Jules Michelet, quest'opera presenta diversi temi cari alla sua epoca di realizzazione, come l'emancipazione femminile, la ribellione al potere e al sistema, una sessualità più libera ed il superamento dei vincoli morali per una completa accettazione di sé. Ambientato nel medioevo, Kanashimi no Belladonna mette in luce proprio l'oppressione esercitata dal potere feudale e dalla morale della Chiesa sulle masse popolari e, soprattutto, sulle donne. Da questo punto di vista, si avvicina molto a "I diavoli" di Ken Russel, uscito nelle sale cinematografiche qualche anno prima.

La storia inizia con il matrimonio di Jean e Jeanne, due bellissimi e onesti contadini benvoluti da tutti; la loro unione è, però, ostacolata fin dall'inizio dallo 'Ius primae noctis', ovvero il diritto del signore feudale di passare la prima notte di nozze con la sposa di ogni suo servo. La verginea e religiosa Jeanne, suo malgrado, viene quindi violentata da tutti gli abitanti della corte e, per la prima volta, comprende la crudeltà e il dominio dei potenti contro i sudditi.
Da qui, la ragazza intraprenderà un percorso di emancipazione personale, guidata da un demone di forma fallica che, inizialmente minuscolo, diverrà sempre più grande con l'avanzare della storia; il Diavolo rappresenta, infatti, la metafora dell'accettazione della propria sensualità e del proprio essere donna che cresce nell'animo di Jeanne dopo tutte le angherie subite. Tale accettazione la conduce verso uno stile di vita più libero, soffocando la sua parte bigotta e timorata per far emergere, al contrario, il lato indipendente e sincero.
Col passare del tempo, la bella contadina diventa un personaggio di spicco della propria comunità, accumulando potere ed aiutando la gente del villaggio. Una donna libera dai vincoli morali e feudali, ricca di denaro e di consenso popolare, tuttavia, non può essere tollerata dalle gerarchie medievali; Jeanne viene, quindi, tacciata di stregoneria e, per questo, perseguitata. Ma la sua triste storia sarà da esempio per i poveri e per tutte le donne; diverrà martire e santa, come Jeanne d'Arc, di quell'ideale di uguaglianza simboleggiato dalla donna vittoriosa ne "La Libertà che guida il popolo" di Delacroix, dipinto mostrato alla fine del film prima dei titoli di coda.

Sotto l'aspetto grafico, Kanashimi no Belladonna presenta un'illuminante sperimentalismo, influenzato dai decori e dalle illustrazioni in stile Art Nouveau e dai motivi psichedelici anni '70. Non è difficile notare diverse somiglianze con i disegni di Klimt e Beardsley, mentre le figure femminili ed i costumi carichi d'erotismo ricalcano le meravigliose opere di Erté. Il film è composto da illustrazioni fisse che sono dei veri e propri dipinti ad acquerello, con animazioni un po' rudimentali come ci si aspetta da un film di 40 anni fa.
Assolutamente geniali le soluzioni artistiche impiegate per sublimare le numerose scene di sesso presenti nell'opera; la parte del sabba orgiastico sembra un vero e proprio delirio erotico di Hieronymus Bosch, con figure semi-umane e animali davvero spiazzanti. Credo che un tale avanguardismo stilistico sia stato raggiunto solo in pochissime altre opere.
Non a caso la stessa opening di "Lupin III - La donna chiamata Fujiko Mine" è un tributo alla bellezza grafica di Belladonna.

Le musiche del film reggono il confronto con la trama e la grafica; il tema centrale è rappresentato da una canzone giapponese dal testo triste e dolce e, a mio parere, starebbe benissimo nella colonna sonora di "Kill Bill Vol.1", poiché molto simile alle canzoni impiegate nell'opera di Tarantino. Gli altri pezzi spaziano dallo psichedelico al classico, ed accompagnano bene le scene su cui sono montate. Alcune, inoltre, servono proprio per raccontare pezzi della trama, richiamando, per un certo verso, le figure dei menestrelli e dei cantastorie medievali.

Che dire, Kanashimi no Belladonna può essere catalogato fra i capolavori del cinema d'animazione giapponese in ogni suo aspetto. Non è un film per tutti, anzi: scene troppo disturbanti per il grande pubblico, una trama che richiede diverse analisi storiche, filosofiche e psicologiche per essere apprezzata appieno. I più ci vedranno solamente dell'erotismo gratuito e il percorso di depravazione di una strega mezza nuda.
Senza rendersi conto che Jeanne, in tutto in film, di stregonerie non ne compie nessuna, che il Diavolo è solo il simbolo della nostra Volontà di potenza in continua lotta per sopravvivere all'oppressione del potere e della morale, il nostro essere liberi.

Non riesco a trovargli un difetto, non merita nient'altro che 10.