Siamo alla fine del 1994 e quello di Vampire: The Night Warriors, aka Darkstalkers, è un trionfo ancora fresco. Il titolo con protagonisti vampiri, lupi mannari e mostri vari aveva finalmente mostrato al mondo le potenzialità della CPS-II, così come la creatività di una Capcom rinnovata nella sua ricerca estetica, intenta a riprendersi i fan migrati verso le coste SNK guardando, al contrario dei rivali, maggiormente al di fuori dei confini nazionali. E proprio con tale proposito si annovera l'altro progetto il cantiere, un gioco che prometteva l’utilizzo un manipolo di eroi Marvel, ancora più frenetico e spettacolare di Darkstalkers seppur, va detto, più smanettone e decisamente meno raffinato.



Nel corso degli anni Novanta il mondo dei comics americani attraversò un periodo abbastanza turbolento. L’abuso di “variant edition” spacciate per rare quando in realtà non lo erano, il proliferare di testate poco appetibili e un calo di popolarità generale dei supereroi portarono prima ad una “bolla speculativa”, e poi ad un crollo sostanziale delle vendite, con un picco negativo toccato proprio nel biennio 1993/1994 con la chiusura di ben 16 testate. La Marvel era talmente a corto di soldi che arrivò a vendere i diritti cinematografici di Spider-Man alla Sony per appena 10 milioni di dollari, cifra che a leggerla oggi strappa più di un sorriso, considerato quanto assurdamente incassano i cinecomics, e la stessa Sony probabilmente si è mangiata le mani per non aver preso l'intero pacchetto di eroi comprendente Iron Man, Captain America e compagnia sonante, pare per l'irrisorio costo di 25 milioni (retroscena estratto da The Big Picture: The Fight for the Future, di Ben Fritz).
È in questo contesto che Capcom trova la collaborazione con la Casa delle Idee per la realizzazione di un picchiaduro, avente come protagonisti gli X-Men (che segue il platform dello Super NES X-Men: Mutant Apocalypse, di un mesetto precedente), di fatto gli unici supereroi Marvel che non risentirono gli effetti della crisi, dove in patria attestavano una spaventosa tiratura di ben 5 milioni di copie.



Traendo ispirazione dal design dell’apprezzata serie animata del 1992 (richiamati pure gli stessi doppiatori), e utilizzando invece come base narrativa il ciclo Fatal Attractions del 1993, Children of the Atom ci mette a disposizione 6 buoni (Ciclope, Wolverine, Iceman, Psylocke, Colosso e Tempesta) e 4 antagonisti (Sentinel, Omega Red, Spiral e Silver Samurai) per un totale di 10 mutanti, più la guest star Akuma come personaggio segreto, direttamente da Street Fighter. La cura al dettaglio è più che lodevole, le animazioni dei personaggi appaiono fluidissime e le tecniche speciali sono di una spettacolarità unica per quel periodo; per un appassionato di comics l'avvento di Children of the Atom deve essere stato una sorta di sogno che si avvera.

Risulta tuttavia chiaro già ad un primo approccio quanto il picchiaduro Capcom sia destinato ad un pubblico più vasto e meno pretenzioso, rispetto ai suoi simili. Non che Children of the Atom sia un gioco stupido, tutt’altro, per padroneggiare le chain combo e carpire bene le distanze per dash e jump vari, qui fondamentali, è necessaria una certa pratica, ma sovente la ragione va a farsi benedire e cede il passo ad un button mashing che a volte ripaga pure, vista la potenza di talune special e dei tempi di recovery spesso ridotti all’osso, facendo storcere il naso ai puristi del genere. La “X-Power” assume l’utilità di una super-barra a 3 livelli, che permette l’utilizzo delle “X-Ability” o delle “Hyper-X”, ma va consumandosi anche interrompendo una caduta e per le counter-throw.

La modalità arcade ci mette contro 6 avversari più due boss (Juggernaut e Magneto), per una volta non si dovrà combattere contro un proprio clone scolorito. Come accennato, graficamente Children of the Atom non si discute, meritano indubbiamente menzione le arene multi-livello e una discreta soundtrack moderna ma sempre un po’ rétro, nello stile tipico del Q-Sound.

Ad oggi X-Men: Children of the Atom ha il ruolo storico di aver aperto il filone dei “Marvel-picchiaduro”, con i suoi alti e bassi, ma insieme al suo successore Marvel Super Heroes (1996) non può che dare un’impressione di “prologo” di ciò che saranno i più corposi cross-over successivi con Street Fighter prima e con la Capcom tutta poi, sempre all’insegna del divertimento più immediato e sfrenato, inno al magico mondo del fumetto innanzitutto, ma che in taluni casi ben si sposa con quello ludico, a patto di scendere preventivamente dal piedistallo dei tecnicismi.



L’anno successivo, Marvel Super Heroes si presenta come naturale evoluzione di Children of the Atom, o altresì il secondo episodio “prequel” di ciò che poi diventerà la saga cross-over per eccellenza, quella di Marvel contro i Capcom. Fuori dalle scatole quindi mutanti meno noti del precedente capitolo come Iceman, Omega Red, Spiral o Sentinel, e dentro vere e proprie icone quali Spider-Man, Hulk, Iron Man e Captain America. Rimangono come superstiti giusto Wolverine, Psylocke e i precedenti boss Juggernaut e Magneto, adesso giocabili, ai quali vanno aggiunti Blackheart, Shuma-Gorath e i nuovi cattivoni Doctor Doom e il potente Thanos, per un totale di 13 combattenti. Non moltissimi in realtà, viene da chiedersi perché non conservare almeno Storm o Cyclops, tra gli X-Men più amati, probabilmente furono i limiti di memoria ad avere la meglio, come nel caso del sequel di Darkstalkers. Ma passando al gioco, l’aspetto che maggiormente differenzia Marvel Super Heroes dal suo predecessore, è l’implementazione delle Infinity Gems. Traendo ispirazione dall’arco fumettistico The Infinity Gauntlet del 1991 (ma l’apparizione delle gemme risale agli anni settanta), le 6 gemme, Power, Time, Space, Mind, Soul e Reality, conferiscono a chi le possiede un potere pressoché illimitato. Il fumetto ci narra di Morte (tra le più potenti entità dell’Universo Marvel, insieme ai vari altri Infinità, Eternità e Oblio) che resuscita Thanos per riportare equità nell’universo, poiché il numero dei vivi ha superato quello dei morti, ma quest’ultimo si ribella pavoneggiandosi a essere divino. Sterminata metà della popolazione dell’universo, Silver Surfer e Dottor Strange mettono su un esercito per contrastare Thanos, a cui si aggiungono i vari super eroi sopracitati e persino Doctor Doom, intento però ad impossessarsi del potere di Thanos.

Il picchiaduro Capcom ovviamente non segue le vicende del fumetto ma si limita a raffigurare la lotta contro Thanos, e le Infinity Gems divengono meccanica integrante provando a rendere più vario il gameplay. Come si evince dai loro nomi, ogni gemma conferisce al combattente un power-up: la Power Gem aumenta la forza, la Time Gem rende più veloci, la Space Gem crea un’armatura, la Soul Gem fa recuperare un po’ di energia, la Mind Gem riempie la barra super e infine la Reality permette di sparare attacchi proiettile. Ogni gemma equipaggiata è attivabile durante lo scontro tramite una combinazione di tasti e ha un’efficacia abbastanza breve, ma se ben usata può comunque ribaltare un round. Subendo inoltre degli attacchi si possono perdere le gemme con il rischio che se ne impadronisca l’avversario. Per il resto, il gameplay di Marvel Super Heroes è del tutto simile a quello di X-Men: Children of the Atom, con l’unica aggiunta del contrattacco prelevato da Street Fighter Zero (qui chiamato Infiniy Counter), sempre al costo di uno stock della barra.

Anche in materia grafica siamo sugli stessi, ottimi livelli del precedente episodio, con alcuni sfondi decisamente riusciti (personalmente adoro il grattacielo di Spider Man) e altri un po’ meno; stesso dicasi delle musiche, che viaggiano su livelli apprezzabili. L'era della CPS-II durerà ancora per qualche anno e tutto sommato va bene così.



Nell’originale X-Men Children of the Atom fu presente Akuma come personaggio segreto, l’idea di un vero e proprio cross-over tra gli universi Marvel e Street Fighter nacque quasi per caso: il nuovo picchiaduro con i mutanti doveva intitolarsi semplicemente X-Men 2, ma in corso d’opera vennero inseriti, presumibilmente per infoltire la rosa di lottatori e distinguerlo dal predecessore, anche Ryu e altri personaggi noti di SF, a quel punto sorse il dubbio se il singolo titolo X-Men non fosse fuorviante[1]. Si arriva così al primo cross-over Capcom, X-Men vs Street Fighter (1996), la cui presentazione scenica è davvero ottima, colori sgargianti, solita musichetta trascinante, select screen vivace e ben disegnato. Gli schieramenti sono composti da 8 esseri per parte, Ciclope, Wolverine, Tempesta, Rogue, Gambit, Magneto, Juggernaut e Sabretooth per la fazione X-Men, Ryu, Ken, Chun-Li, Nash, Dhalsim, Zangief, M. Bison e Cammy per quella Capcom, con Gouki come personaggio segreto, e Apocalisse come boss finale.

La grande introduzione in questo capitolo e che ne fece la fortuna è indubbiamente il combattimento a tag 2 contro 2, con la curiosa concomitanza con il debutto nello stesso mese (settembre 1996) di Kizuna Encounter, il primo fighting game a marchio SNK ad implementare il tag battle. L’impatto di X-Men vs. Street Fighter con questa caratteristica fu notevole, la possibilità di cambiare personaggio nel mezzo nella battaglia (al contrario del Team battle 3v3 di The King of Fighters) fu una cosa del tutto nuova e apriva a nuove strategie di confronto. La vittoria si ottiene sconfiggendo entrambi gli avversari, al contrario di Kizuna Encounter dove basta atterrarne uno per decretare la fine dell’incontro, rendendo ancora più fondamentale il momento del cambio.
Peccato che tutto ciò andrà perduto nel porting per PlayStation, in cui a causa dei soliti problemi di memoria della macchina Sony, Capcom fu costretta a rimuovere il tag system, limitando il tutto ad un banale uno contro uno con la possibilità di richiamare il compagno solo per un attacco di supporto. Priva quindi della sua attrattiva maggiore in termini di intrattenimento, la versione PSX non ha tecnicamente alcun senso di esistere, al contrario di quella Saturn che invece ne è provvista e fu quindi anche in questo caso la controparte da preferire. Le musiche sono un remix del già ascoltato, con le uniche eccezioni di quelle di Rogue, Sabertooth e Gambit che, per quanto a tratti gradevoli come da tradizione Capcom, faticano a risaltare nel caos della battaglia. Gli X-Men vantano le stesse voci (ovviamente americane) della serie animata anni Novanta, non si discute dunque la cura riposta sotto questo aspetto.



La strada del sottogenere è dunque tracciata, X-Men vs. Street Fighter fa la felicità degli appassionati delle lotte caciarone ancor più dei suoi predecessori, nel quale si passa quasi più tempo in aria che a terra tra doppi salti e air dash. C’è del buono nel primo cross-over Capcom, come il citato tag system e tutto ciò che ne consegue tra combo spettacolari e cambi di ritmo, ma il tutto viene sommerso da una certa superficialità di fondo, atta a raggiungere una fascia di utenza meno pretenziosa rispetto ad altri picchiaduro, con un bilanciamento del tutto inesistente e una bella carrellata di combo infinite.
L’anno successivo sarà la volta di Marvel Super Heroes vs. Street Fighter, e l’antifona non cambia, essendo praticamente una riproposizione di X-Men vs Street Fighter ma con l’aggiunta di altri eroi Marvel, alcuni dei quali visti due anni addietro, come Spider-Man e Captain America, mentre sul versante Capcom arrivano, direttamente dagli allora nuovi Street Fighter Zero, Sakura Kasugano e Dan Hibiki, con in più divertenti varianti quali Dark Sakura, Mech Zangief e, ma solo nella versione giapponese, Norimaro, ispirato all’attore comico Noritake Kinashi. L’unica aggiunta rilevante di questo capitolo è il Variable Assist, ovvero un colpo speciale effettuabile chiamando momentaneamente il proprio compagno fuori campo, una meccanica che sarà effettivamente implementata e rifinita anche nei due giochi successivi.
 


Marvel vs. Capcom: Chash of Super Heroes (1998) viene concepito in un’epoca in cui Capcom punta a valorizzare altre serie, oltre Street Fighter, perché dunque non dare risalto anche a serie come Mega Man e Darkstalkers? MvC propone sedici personaggi, che salgono ad una ventina contando i segreti, un roster non proprio corposo (specie se comparato con quello che sarà il suo successore), ma comunque abbastanza vario per personalità e stili di gioco. Ci sono assenze anche illustri, come Ken e Chun-Li da una parte e Ciclope e qualsiasi eroina dall’altra (discutibile anche togliere l’iconico Iron Man per il più sconosciuto War Machine), ciò inevitabilmente colloca, dal punto di vista retrospettivo, il primo Marvel vs. Capcom in una posizione d’ombra rispetto al suo ingombrante successore, anche se va ad aggiungere alcune importanti novità nel sistema di gioco, come il Duo Team Attack, ovvero un attacco simultaneo tra i due personaggi. Il gioco sostituisce la meccanica "Variable Assist" utilizzata nel predecessore in favore del sistema "Guest Character/Special Partner", assegnati casualmente a ciascun giocatore. Questi includono personalità viste nei precedenti giochi qui non giocabili, come Psylocke, Storm e Iceman, ma anche e soprattutto camei del tutto inediti, come Devilot (dal videogioco Cyberbots), Thor, Arthur (Ghost ‘n Goblin) e svariati altri.


Marvel vs. Capcom 2: New Age of Heroes, pubblicato nel 2000 e il primo sviluppato su scheda NAOMI, è summa e delirante apoteosi dell’intero percorso iniziato nel 1994. Forse con già l’intento di creare il cross-over definitivo, Capcom decide di andarci giù pesante: cinquantasei personaggi giocabili, un numero mai visto neanche nei The King of Fighters, il sesto (e per molto tempo ultimo) picchiaduro a tema Marvel assume tutti i connotati di un sogno che diventa realtà per gli appassionati del genere. Dal Tag Battle 2v2 si passa al 3v3 per battaglie all’insegna della frenesia più totale. Marvel vs. Capcom 2 riporta la meccanica di gioco "Variable Assist" introdotta in Marvel Super Heroes vs. Street Fighter, consentendo ai giocatori di chiamare uno dei membri della squadra fuori dallo schermo per eseguire una singola mossa speciale. Ogni personaggio giocabile possiede tre diversi tipi di assist, elencati in lettere greche α, β e γ, i quali possono variare da attacchi a proiettili, prese ravvicinate o anche skill curative. Il gioco introduce inoltre anche una nuova meccanica denominata "snapback", che costringe l'avversario a cambiare personaggio. Inutile ricordare che Marvel vs. Capcom 2 sarà un trionfo, e questo nonostante uno sbilanciamento nel roster allucinate e combo infinite mai corrette, aspetti evidentemente marginali per i fan della serie, in particolare americani, che lo considerano ancora oggi uno dei migliori picchiaduro mai creati. Capcom vs. SNK 2, uscito appena un anno dopo (che periodo incredibile), gli è tecnicamente superiore sotto quasi ogni punto di vista, ma in quanto a divertimento caciarone Marvel vs. Capcom 2, forse, non ha eguali, in quale altro videogioco potete vedere una Jill Valentine che richiama orde di zombie, una Tron Bonne che trivella l’avversario con il suo mech, un Sentinel che letteralmente distrugge qualsiasi cosa a schermo. Menzione d’onore merita anche la particolare colonna sonora, un trascinante concentrato di sonorità jazz e funk, era un periodo in cui Capcom sperimentava molto da questo punto di vista (si pensi all’hip hop di Street Fighter III), il select theme, “I'm Gonna Take You For a Ride”, così ripetitivo, così martellante, è diventato negli anni un iconico tormentone.


Sulla scia della Capcom Fighting Collection uscita nel 2022, che accorpava l’intera saga di Darkstalkers più un’altra manciata di picchiaduro, la casa raccoglie questa volta i suoi cross-over supereroistici in Marvel vs. Capcom Fighting Collection: Arcade Classics, e lo fa con la stessa cura con cui ci sta ormai viziando. Conversioni dei singoli giochi perfette, con i problemi di RAM delle vecchie console e l'online di PS3 che sono ormai un lontano ricordo, input lag eccellente, opzioni di personalizzazione video con diversi filtri a scelta, modalità online con rollback netcode su tutti i giochi, modalità training con hitbox e frame data a schermo, possibilità di selezionare tra le versioni occidentali e giapponesi. Presente ovviamente un corposo museo, corredato di tutte le illustrazioni d’epoca e una comoda lista di obiettivi che tiene conto dei finali sbloccati in ogni gioco. Se bisogna proprio trovare una singola stortura, è la scomodità del versus locale, che richiede che il secondo giocatore entri in partita proprio come se fossero effettivamente delle versioni da sala giochi, ma a parte questo che altro c’è da dire, si rasenta la perfezione e l’attesa della successiva collection, che includerà il capolavoro Capcom vs SNK 2, Project Justice e i due Power Stone, tra gli altri, è già alle stelle. Questa raccolta include inoltre come settimo gioco The Punisher, beat ‘em up a scorrimento del 1993 e prima effettiva collaborazione tra Capcom e Marvel. The Punisher è quello che si aspetterebbe da un Final Fight molto più violento, vista la natura del personaggio, con armi da fuoco, bombe a mano e nemici cyborg assurdi, chiamate un amico che vi possa affiancare con Nick Fury e il divertimento è sempre assicurato. Disponibile digitalmente per PS4, Switch, PC e in futuro Xbox, così forse la smettono di complottare che non arriva questo e quest'altro. Edizione fisica in arrivo a novembre.

Sì ma a Capcom ormai piace vincere facile, neanche il tempo di elogiare questa raccolta che te ne annunciano un’altra ancora più bella, quella coi cross-over SNK. Così ci rovina. Sono sei come le Gemme dell’Infinito, e sono i picchiaduro Capcom più sbilanciati ma anche tra i più folli e divertenti mai concepiti, quelli a marchio Marvel, e qui ci sono tutti con in più il contentino del Punitore. Seleziona il tuo supereroe, il tuo combattente da strada, la tua tenera Roll che si trasforma o qualsiasi cosa sia Shuma-Gorath e distruggi tutto e tutti, almeno finché non incontri Justin Wong.