Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Appuntamento dedicato alla magia dell'infanzia e della crescita, grazie ai lungometraggi Il mio vicino Totoro, Mai Mai Miracle e Ponyo sulla scogliera.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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Benvenuti nell'infanzia magica e leggera del Maestro Hayao Miyazaki.
Non c'è altro modo per introdurre quest'anime, perché è con gli occhi di un bambino che si deve guardare questa piccola perla partorita dallo Studio Ghibli. Per gli amanti del genere basterebbe il connubio Miyazaki-Ghibli per capire quale tipologia di film si va a guardare, ma per tutti gli altri bisogna dire, senza timori, che l'animo con cui certi lavori vanno guardati è quello di bimbi che non hanno ancora assaporato gli orrori della vita.

Così, le due sorelle Satsuki e Mei, nonostante la mamma malata e un trasloco fatto per avvicinarsi all'ospedale con il papà, vivono nella nuova casa i primi incontri fatati, con i folletti della fuliggine, fino ad arrivare all'incontro con Totoro e tutte le strane creature che popolano il bosco e che si prolungano come radici nei cuori e nelle anime delle bambine.

Alla fine, da adulti, non ci si accontenta più del semplice connubio tra realtà e sogno, che spesso si fondono e confondono all'interno dell'anime, con originalità e sfumature così sottili da lasciare interdetti anche i più pragmatici osservatori, e si notano quei significati profondi che si possono attribuire all'"animale" Totoro. Esso infatti rappresenta l'amore per la natura, e traspone in un senso tutto Nipponico la metafora della vita (significativo l'albero della canfora che fa da casa).

Appare quando la più piccola delle sorelle si sente sola ed impaurita, la fa sorridere pur essendo uno dei personaggi più statici e inespressivi, eppure, nonostante questa flemma che è, perché no, quella naturale della Madre Terra, che poco si lascia trasportare dalle umane frivolezze, riesce comunque a comunicare e trasmettere meraviglia. Perché alla fine quello che proviamo osservando un tramonto o un panorama incontaminato è principalmente meraviglia, stupore, e forse alla fine anche commozione. Ed è questo che l'animale partorito dalla fervida immaginazione di Miyazaki trasmette: meraviglia, stupore, fino ad arrivare alla commozione che le ultime scene sicuramente susciteranno.

Sfumature tra sogno e realtà, passaggi leggeri e buoni sentimenti, il tutto farcito da una grafica pulita e semplice, da una regia secondo me sublime, e da musiche adatte, forse un po' scarne, ma di certo non fastidiose. Questo è "Tonari no Totoro", che mi ha fatto sorridere, mi ha fatto riflettere, ma soprattutto mi ha fatto desiderare come non mai un Gattobus.



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Purtroppo "Maimai shinko to sennen no maho", ovvero "Shinko maimai e la magia dei 1000 anni" è molto sotto le mie aspettative.
Di certo è stato fatto un più che buon lavoro con le musiche, ma graficamente ci si avvicina troppo allo Studio Ghibli. Un conto è prendere spunto, un conto è quasi plagiare. Il regista è stato collaboratore di Miyazaki, ma questo, comunque sia, non preclude l'esistenza della mia critica.
La storia è semplice, come le ambientazioni e i personaggi. Si narra la vita di una Houfuu del dopoguerra, un piccolo (allora) paesino georgico, in cui tutti si conoscono, le strade sono contabili su due mani e la maggioranza dei cittadini lavora la terra. A questo stile di vita da metà Novecento si contrappone l'arrivo di una nuova ragazzina dalla già allora occidentalizzata Tokyo, che porta con sé novità non gradite alla mentalità conservatrice dei giovani. Il tutto però, pian piano, si risolve con l'integrazione della suddetta in un gruppo di autoctoni.
In particolare si rafforza l'amicizia con Shinko, che il titolo definisce "maimai Shinko" a causa della presenza di un perenne ricciolo in fronte che, a parere della stessa, le donerebbe la capacità di immaginare il passato, in particolare com'era quello stesso luogo mille anni prima, all'incirca quando fu creato il paese.

La prima parte dell'anime si mostra interessante non solo per l'ambientazione, ma anche perché vengono fatti un gran numero di riferimenti a questo agognato e quasi "magico" passato, con parallelismi di scena fra il presente e l'ormai superato, con strade e fiumi che fungono da filo conduttore fra i due mondi temporalmente separati. L'immaginazione della protagonista e il personaggio un po' triste della nuova venuta sembrano un'ottima promessa, ma purtroppo non lo sono.
Il film si rovina ben presto. Dopo l'integrazione di Kiiko nell'ambiente del luogo inizia improvvisamente una cascata di eventi "negativi", tutti all'improvviso, con il palese compito di portare tragicità improvvisa nella mente dello spettatore, ma fatto così porta solo noia e imbarazzo.
Innanzitutto il gruppo affronta un evento doloroso, non voglio andare oltre per non rovinarvi alcunché, ma voglio dire che a me l'atteggiamento corale dei personaggi è sembrato davvero eccessivo, soprattutto tenuto conto del soggetto attorno a cui ruota l'evento. Questo evento riempie il film, se ne parla sempre, se ne piange, si urla, fino alla fine. Cosa che proprio non ho sopportato: mi ha ricordato quella falsa tragicità forzata alla Ano Hana.

Successivamente accade ciò che prevedevo, vale a dire l'influenza ghibliana supera la mera grafica: campagne, una ragazzina che corre fra i prati, una sorellina, una casa modesta... Vi ricorda un film della Ghibli?
Ebbene, se ve lo ricorda comprenderete come il secondo avvenimento tragico nel susseguirsi nel film sia praticamente la copia spudorata dell'avvenimento principale della seconda parte di questo non citato film d'animazione di Miyazaki. Non un'imitazione, non una citazione, ma una copia, un plagio, un'emulazione uguale in modo imbarazzante.
E va bene, oramai l'anime è andato a farsi friggere, però il regista, per distruggerci ancora un po', ci propone un altro avvenimento, questa volta realmente tragico, ma che si risolve improvvisamente e non si capisce come.
Tutto avviene in due secondi e termina con due ragazzini che scappano urlando per i bassifondi del paese. Che diamine è successo? Non si capisce.

Così, pochi minuti dopo, termina "Maimai Miracle", con una bellissima canzone di outing, di certo la cosa migliore di questo film.
Altra pecca: le voci. Adoro il doppiaggio giapponese, ma qui è stato orripilante, in particolare per le voci dei bambini. Le eccessivamente presenti risate per un certo tratto del film e nel finale sono evidentemente forzate, e il fatto che siano spesso presenti marca questa mia percezione. Non l'ho affatto gradito.
Purtroppo la premessa riguardo al parallelo fra presente e passato è forte all'inizio, ma va via via affievolendosi con il passare dei minuti perché sorgono tutte quelle problematiche che i protagonisti sono costretti ad affrontare. Un po' nel finale si riprende, ma in modo a mio avviso blando, buonista e superficiale.
Bah.



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"Ponyo sulla scogliera" è il nono lungometraggio scritto e diretto dall'impeccabile Hayao Miyazaki per lo Studio Ghibli. Il film, del 2008, partecipa in anteprima alla 65ª Mostra del Cinema di Venezia e finisce nelle sale italiane un anno dopo, ottenendo un discreto successo. Molti l'hanno considerato come una sorta di rilettura de "La sirenetta", ma la comunanza tra le due opere è ben poca, dato che "Ponyo" è strettamente legato alla tradizione nipponica e impregnato della simbologia dei suoi culti e mitologie. Non è infatti un caso che questo gioiello dell'animazione sia stato sottovalutato o preso troppo 'alla leggera', in vista di un'apparente discrezione di contenuti e di messaggi, che invece sussistono, e in modo molto più intenso, che nei precedenti lavori del regista di Tokyo.

A differenziarsi però dai fasti de "Il castello errante di Howl" o de "La città incantata", è innanzitutto lo stile grafico di questo film, che oserei indicare tra i più riusciti della storia Ghibli, e che si lega a quella sorta di inversione e ritorno al sentimento e all'espressione artistica più umili dei primi tempi: si recupera la dolcezza di "Tonari no Totoro", s'abbandonano l'eleganza sfarzosa e il clima romanzesco di "Howl", per ritornare a fantasticare come fanciulli sul mondo circostante, che è fatto di colori pastello, di tratti tondeggianti e di figure in continuo mutamento, amalgamate in un vortice immaginifico di poesia che è animato da circa 170.000 disegni a matita, e che germoglia in tutto il suo splendore nelle sequenze a sfondo marino. Tra queste, indimenticabile è la scena del mare in tempesta, che prende letteralmente vita diramandosi in centinaia di pesci dalla forma acquatica, manifestando la spaventosa potenza della natura, che tuttavia mai s'azzarda a smarrire la via del 'fantastico', e che dunque si attiene alla rappresentazione trasfigurata dalla visione utopistica del bambino: un mare che in parte si mostra minaccioso e temibile, e in parte come una nuova avventurosa sfida, un nuovo fantastico divertimento al quale anche gli adulti vogliono partecipare - vedasi la sfrenata corsa in auto della noncurante madre di Sousuke, a scanso delle onde che quasi sembrano travolgerli da un momento all'altro.

Ci si ricorda però che quella natura, così apparentemente ostica, è la culla e la migliore amica dell'uomo. Ma solo una regressione allo stadio infantile può permettere all'uomo di cogliere con piena sensibilità il valore del rispetto per la natura. Ed ecco che dunque, ancora una volta, troviamo un ragazzino come protagonista, Sousuke, di cinque anni, probabilmente il più giovane dei personaggi del panorama miyazakiano, dopo Mei, una delle due sorelline di "Tonari no Totoro".
Particolarmente intraprendente e altruista, è proprio in riva a quello sconfinato mare che farà amicizia con una pesciolina dal volto umano, Brunilde, che egli battezzerà 'Ponyo'. Quest'esserino è in realtà un'entità divina, figlia della dea del mare e di Fujimoto, una sorta di stregone che ha intenzione di rinnovare la vita di tutti gli esseri viventi - non è pertanto un antagonista con intenti 'distruttivi', come potrebbe inizialmente sembrare.

L'incontro con il bambino costituirà per Ponyo la prima fase di trasformazione e di riconoscimento di se stessa in una nuova forma, quella umana, che potrà completarsi soltanto quando un altro umano l'avrà accettata come tale. Questo percorso di nuova identificazione occupa il posto centrale nella trama dell'opera, che è ovviamente corredata di altri messaggi, come quelli - immancabili - d'impronta ecologista, familiare, e, come già accennato, di profondi riferimenti simbolici, che donano alla pellicola uno spessore di cui molti hanno denunciato la mancanza: ad esempio, l'inondazione sta a indicare il rinnovamento di tutte le forme d'esistenza (pianeggiato inizialmente da Fujimoto), la schiuma marina è inoltre la fonte di tutta la vita; la magia è un elemento prettamente divino, la speranza è invece parte dell'essere umani - Ponyo non può impiegarla quando è una bambina, e in una splendida scena si limita infatti a porgere la mano all'amico facendogli coraggio, dicendogli quindi di avere speranza.

"Ponyo sulla scogliera" è un prodotto a mio avviso fondamentale della storia dello Studio Ghibli, che sfiora "Il mio vicino Totoro" in quanto a genuinità e delicatezza di argomenti. Il recupero della proiezione infantile del mondo è reso di nuovo possibile dalla proposizione di una sceneggiatura semplice ma particolarmente emozionante e da un comparto tecnico che fa del suo punto di forza l'eliminazione delle tecniche digitali in favore di uno stile "fumettoso" e bucolico. L'esperienza visiva che ne consegue è decisamente meravigliosa.
Il titolo segna inoltre il ritorno di un Hisaishi molto ispirato, con composizioni musicali di tutto rispetto, che in certi punti ricordano Wagner (in realtà la storia stessa prende alcuni spunti proprio da 'La valchiria').