Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Mentre nei cinema italiani prosegue la trasmissione di Kiki dedichiamo l'appunamento di oggi a opere di Hayao Miyazaki: Ponyo sulla scogliera, Kiki, consegne a domicilio e Laputa, il castello nel cielo.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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"Ponyo sulla scogliera" è l'opera ingiustamente definita "minore" di Hayao Miyazaki.

Come altre pellicole del regista, la trama è la fusione di una fiaba occidentale e di una orientale: "La Sirenetta" di Andersen e "Iya Iya En" della Nakagawa.
Ponyo, pesciolina intraprendente e curiosa, fugge dal suo rifugio familiare per conoscere finalmente il mondo emerso: è a questo punto che conosce un bambino dell'asilo, tal Sousuke, al quale presto si affezionerà maturando la decisione di diventare anch'essa un essere umano. Naturalmente il padre stregone non è per niente d'accordo e ostacolerà con ogni mezzo a sua disposizione l'amicizia tra i due infanti.

L'anime ricorre a tutti gli assiomi delle recenti produzioni Ghibli: l'incontro con l'essere "alieno", il tema ecologico, la ragazza forte che combatte contro le convenzioni, le vecchiette bisbetiche e altri personaggi di rito, il finale zuccheroso e perbenista. Stavolta però sono presenti delle novità che sarebbe poco onesto non rilevare, e con ciò non mi riferisco all'abbassamento del target alla fascia prescolare.

Innanzitutto protagonista non è l'elemento di disturbo, la femmina, la pesciolina citata nel titolo. È Sousuke. Tutto il film viene raccontato, o per meglio dire visto dalla ristretta prospettiva di un bambino di cinque anni, regalando al pubblico più giovane un personaggio realistico al quale immedesimarsi e ai più adulti un breve trattato di psicologia infantile. Diventa così del tutto giustificabile e meno stomachevolmente "miyazakiano" che il mondo brilli di colori vivaci, che i cavalloni abbiano gli occhi e che tutto, perfino un evento drammatico come uno tsunami, si possa risolvere per il meglio tramite la magia. Se si analizzano i segnali lasciati dal film, perfino il lieto fine diventa meno scontato, dacché lo spettatore non ha un punto di osservazione esterno a quello del piccolo eroe.

Si può ben dire che questo sia uno dei pochi film Ghibli dove i personaggi maschili sono più forti di quelli femminili. Se Risa non esce dallo stilema della donna combattiva e Ponyo non è altro che una "sofficiosa" creatura atta a ispirare tenerezza, accanto al già citato Sousuke è presente Fujimoto, il padre apprensivo della fiaba tramutato in un arido otaku ebbro di cinismo e scientismo, a tal punto da non riuscire a relazionarsi alla propria famiglia. Il contrasto tra i due rivali in amore è evidente e si mantiene vivace fino alla fine, impedendo al lungometraggio, che pure non scorre veloce, di arenarsi definitivamente.

Visivamente il film è una delizia. Il tratto avvolge morbidamente tutti gli elementi in scena e le luci si scompongono in mille tonalità pastello conferendo al prodotto la parvenza di un acquerello animato. Personalmente ritengo la scelta di non ricorrere alla computer grafica un atto d'amore del regista verso un tipo di pubblico ormai disabituato a vedere cartoni a due dimensioni; ma si tratta ovviamente di un'opinione arbitraria.

Il bello è che proprio quando lo spettatore si è ormai abituato all'atmosfera da fiaba semplice e lineare, spunta la riflessione sul significato della vita umana. Si tratta più che altro di annotazioni, accennate in un fotogramma o sussurrate a fil di voce, che ricomposte danno vita a una linea di pensiero coerente. La morte non è mai nominata direttamente, ma è sempre presente, guida pensieri e azioni dei protagonisti: cenere alla cenere, polvere alla polvere, schiuma nel mare.

"Ponyo sulla scogliera" è un film pensato per i più piccoli e per i più grandi, che quindi potrebbe deludere i fan di Miyazaki, solitamente adolescenti. Un gioiello nella storia dell'animazione giapponese lasciato a impolverare a causa del suo aspetto infantile che invece a una visione oculata riserva molte sorprese, tra cui un'inedita morale: il prosciutto fa crescere sani e forti. Provare per credere.



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<b>Sostituita da una versione più recente - grandebonzo</b>

Vita da strega

Tratto da un racconto di Eiko Kadono molto noto in Giappone, "Kiki consegne a domicilio", 1989, è il quinto film di Hayao Miyazaki, qui nelle vesti anche di produttore e sceneggiatore.
La giovane aspirante strega Kiki, compiuti tredici anni, come da tradizione familiare deve trascorrere un anno lontana da casa per un praticantato nelle arti magiche. Partita a cavallo della sua scopa in compagnia del suo simpatico gatto nero Jiji, giunge in un caratteristico villaggio di mare. Ospitata presso una coppia di fornai, Kiki cercherà di mantenersi da sola ideando un servizio di consegne volanti, conoscerà il giovane sognatore Tombo e vivrà numerose avventure che la renderanno cosciente di sé e delle sue capacità.

Il film è ambientato in una Svezia da favola rivisitata in chiave mediterranea e solare. Cronologicamente siamo nella prima metà del XX secolo, ma l'autore, con un colpo di spugna, cancella dalla storia le due guerre mondiali e, da grande appassionato di aeronautica, si concede di reinventare la tragedia del dirigibile Zeppelin "Hindenburg".
Si tratta di un classico racconto di formazione improntato con lo stile di Miyazaki che, messi momentaneamente da parte i nobili propositi pacifisti e ambientalisti e con un'operazione tutt'altro che complessa ma non per questo banale, si sofferma sul tema della crescita dove l'apprendistato di Kiki è una metafora del passaggio dall'infanzia all'età della ragione. Il prototipo della ragazza che non si sottrae alle proprie responsabilità e mette tutto l'impegno per riuscire nei propri intenti, ricorrente in molte opere del cineasta, qui diventa un fattore portante e centrale del film e interpreta quello spirito di sacrificio e abnegazione tipicamente nipponici.
Miyazaki ha sempre privilegiato le figure femminili, tratteggiando donne forti, vitali, indipendenti, e Kiki è una degna rappresentante di questa illustre categoria iniziata con Hilda ("La grande avventura del piccolo principe Valiant", 1968) e proseguita dalle varie Lana, Monsley, Nausicaä, Sheeta e Dola.

I disegni e le animazioni sono negli standard elevatissimi dello Studio Ghibli, ma ciò che colpisce di più è la cura nella descrizione dei personaggi (anche quelli secondari), che risultano tutti particolarmente riusciti, compreso il gattino nero Jiji, simpaticissima spalla comica, usato come felice stratagemma per mostrare lo sviluppo del personaggio principale e la sua progressiva crescita psicologica (il suo mutismo segnerà la fine di una stagione della vita della ragazza), nonché esempio del simbiotico rapporto uomo/animale che spesso compare nella filmografia di Miyazaki.

"Kiki consegne a domicilio" è un film semplice ed essenziale, più che fare il verso alle tipiche maghette spettacolari e appariscenti, Kiki rimanda alle emozioni sussurrate di "Anna dai capelli rossi", serie 'meisaku' curata dallo stesso Miyazaki per quanto riguarda lo scene design.
La leggenda vuole che la direzione di questa pellicola fosse stata affidata a un altro regista, dal momento che il maestro era impegnato nelle ultime fasi di lavorazione de "Il mio vicino Totoro"; tuttavia, Miyazaki, insoddisfatto della prima bozza di sceneggiatura e del lavoro svolto sino ad allora, decise di prendere in mano le redini della produzione e di dirigere personalmente il progetto, facendone il film solare e positivo, fruibile a tutte le età, che conosciamo oggi.



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"Laputa non può cadere; continuerà a risorgere, perché il potere di Laputa è il sogno dell'umanità."

Il potere dei sogni. Fin dagli albori dei tempi l'uomo ha sempre sentito il bisogno di trascendere la realtà e andare alla ricerca del "vello d'oro", esplorando mondi ancora sconosciuti o creandone di nuovi.
Il viaggio verso l'ignoto ha influenzato i sognatori di ogni epoca che hanno attinto alla loro immaginazione per tessere le trame di storie incredibili. Epopee di marinai e guerrieri, intenti a prendere il largo, puntando la rotta oltre le colonne dell'umana conoscenza e vagando per isole popolate da dèi, stregoni e giganti, affrontando l'oceano e i mostri marini che esso contiene.
Man mano che le conoscenze fisiche e astronomiche progredivano cambiò anche il modo di intendere l'ignoto. L'uomo rivolse lo sguardo in alto, oltre le nuvole, dove si nascondevano altri mondi ancora più strabilianti. Isole nel cielo e civiltà tecnologicamente avanzate, custodi di un sapere millenario e divino, come Laputa, l'isola descritta da Jonathan Swift ne I viaggi di Gulliver.

E prendendo spunto da quest'opera Miyazaki produsse nel 1986 il primo lungometraggio d'animazione del neonato Studio Ghibli. Laputa è un film d'animazione che ricalca il genere del romanzo scientifico ottocentesco. A dare il nome all'opera è un imponente castello che si erge su di un'isola rocciosa all'interno di un cumulo di nubi. Grazie a un particolare minerale chiamato Gravipietra i suoi scienziati erano riusciti a creare una tecnologia dall'inesauribile potere, in grado addirittura di sostenere in aria un'isola. Ma tale potere utilizzato per fini bellici divenne qualcosa di spaventoso, al punto che i suoi stessi creatori, non essendo in grado di controllarlo, furono costretti ad abbandonare l'isola. E fu così che da civiltà progredita qual era Laputa cadde in rovina.
Ma quando qualcosa di grandioso finisce, qualcos'altro sorge dalle sue ceneri. E ciò che un tempo era continuò a essere nei racconti tramandati di padre in figlio, secondo la più antica tradizione orale. Ultimi anelli di questa catena sono Shita, una giovane fanciulla costretta a fuggire dai suoi rapitori, intenti a impossessarsi del potere racchiuso nella pietra che porta al collo, e Pazu, un orfanello il cui padre, che aveva dedicato la sua vita alla ricerca di Laputa, fu uno dei pochi uomini a vedere con i propri occhi il castello nel cielo, salvo poi morire come un ciarlatano.

Una splendida fiaba intrecciata dalle corde dell'amicizia, come in altre opere del Maestro, cela dentro di sé l'importanza del rispetto per la natura, condizione fondamentale per poter usare nel modo più adeguato e costruttivo le conoscenze acquisite e sviluppare di conseguenza uno stile di vita benefico per gli esseri umani. I toni sono quasi epici, grazie anche alle splendide musiche del maestro Joe Hisaishi. Il film, seppur d'annata, sembra scrollarsi magicamente di dosso l'alone di polvere che il tempo lascia dietro di sé, mantenendo uno stile di disegno fresco e pulito e una colorazione pressoché perfetta. Averlo rivisto al cinema di recente è stato come proiettare quelle emozioni sul grande schermo, amplificandone la risonanza. Era un lunedì sera piovoso, la sala era quasi vuota: sei in tutto, io da solo. Ma poco mi importava. Poi le luci si sono abbassate e il Totoro dello Studio Ghibli ha fatto la sua apparizione. In quel momento il cinema era tutto per me.