Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento al cinema, con Il castello errante di Howl, Wolf Children e The Sky Crawlers.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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A otto anni dalla prima visione e almeno quattro dall'ultima, non immaginavo che avrei rivalutato una pellicola fantasy tendenzialmente sentimentale come Il castello errante di Howl. Ispirato all'omonimo romanzo scritto a metà degli Anni Ottanta dall'inglese Diana Wynne Jones, scomparsa solo di recente, questo elaborato lungometraggio di quasi due ore è frutto di una produzione piuttosto travagliata: dopo aver avviato il progetto, il maestro Hayao Miyazaki aveva infatti affidato la regia del film all'amico Mamoru Hosoda, ma, in seguito ad alcune discordie occorse tra il giovane regista e lo Studio Ghibli, alla fine Miyazaki in persona decise di assumere il controllo della situazione portando a termine l'opera già cominciata. Howl venne così presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia nel 2004, riscuotendo notevoli consensi destinati a tramutarsi in una duratura popolarità tra gli appassionati di animazione giapponese. Sebbene non manchino diversi passaggi narrativi poco chiari derivanti dalle ovvie modifiche e semplificazioni rispetto al racconto originale, nel complesso la trama scorre rapidamente senza troppi intoppi. L'impronta del maestro si palesa agli occhi dello spettatore grazie alla tematica, a lui molto cara ma assente nel romanzo, della guerra che sconvolge l'esistenza di migliaia di persone, così come è evidente l'amore tutto miyazakiano per la rappresentazione di scene di vita quotidiana unitamente alla potente bellezza dei paesaggi naturali.

La vicenda di Howl si colloca nei primi anni di un Novecento fantasioso, in cui immaginarie nazioni mitteleuropee si scontrano in una guerra feroce a colpi di armi e mezzi marcatamente steampunk. È una giornata come tante, quando la nostra giovane protagonista Sophie, appena uscita dal negozio di cappelli della famiglia, incontra uno strano biondino che afferma di averla cercata a lungo. Subito dopo, i due seminano un gruppo di esseri demoniaci che perseguitano il ragazzo... volando letteralmente, con sommo stupore di Sophie. In paese tutte le ragazze non fanno che parlare del misterioso mago rubacuori Howl e del suo stupefacente castello mobile; dal canto suo, non passa molto perché Sophie realizzi di averlo appena incontrato. Dopodiché la perfida Strega delle Lande, spinta dalla gelosia, lancia una maledizione sulla ragazza, invecchiandola precocemente fino a farle assumere le fattezze di una novantenne. Terrorizzata, Sophie fugge via nel tentativo di nascondere il proprio aspetto ai suoi familiari e, giunta alle pendici delle montagne circostanti, si imbatte dapprima in un curioso spaventapasseri saltellante e infine nel castello errante del famoso mago. Per Sophie ha così inizio un'avventura alla scoperta del mistero che aleggia attorno alla figura di Howl e, inaspettatamente, anche del proprio cuore...

Nonostante la maggior parte del film proceda bene, purtroppo lo stesso non si può dire dei venti minuti conclusivi, durante i quali si alternano splendide sequenze evocative come quella del passato di Howl ad altre meno efficaci intrise di un eccessivo buonismo e dei baci affettuosi della protagonista. Ad ogni modo, i personaggi principali sono caratterizzati talmente bene da risultare davvero memorabili: il capriccioso e pacifista Howl che nasconde oscuri segreti, l'insopportabile e irresistibile demone di fuoco Calcifer, la Strega delle Lande nelle sue varie forme, il piccolo tuttofare Markl, il bizzarro spaventapasseri Testa di Rapa e naturalmente la romantica Sophie, vera eroina della storia. A completare il quadro, alcune scene drammatiche come quelle del bombardamento della città della protagonista (pur senza sfociare nella violenza nuda e cruda) e altre assolutamente esilaranti come l'ascesa sfiancante di centinaia di gradini verso il palazzo imperiale da parte di Sophie e della Strega delle Lande. Da un punto di vista prettamente tecnico, ci rendiamo ben presto conto che l'immenso budget a disposizione dello Studio Ghibli (parliamo di circa 24 milioni di dollari) sia stato sfruttato al massimo in ogni singolo fotogramma del film: tra vedute cittadine e panorami foto-realistici, interni riprodotti con dovizia di particolari, animazioni all'avanguardia e una notevole dose di Computer Graphics che tutto sommato non dà particolare fastidio, i nostri occhi ammirano abiti coloratissimi e di foggia sempre diversa, immense corazzate provviste di ali e altri singolari veicoli, porte che conducono di volta in volta in luoghi diversi, cieli azzurrissimi o rossi di fuoco a seconda che osserviamo un altopiano montano o assistiamo a una battaglia, piccole magie e ovviamente lo sgangherato castello semovente che dà il titolo all'opera. Pur non essendo ai livelli di altri capolavori di Miyazaki come Porco Rosso e La città incantata e nonostante alcuni difetti più o meno evidenti, credo che Il castello errante di Howl rimanga comunque un film godibile in grado di regalare momenti di puro intrattenimento.



9.0/10
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Hana è una ragazza mite, solare e riservata, che un giorno, all'università, si innamora di un misterioso uomo-lupo. Diventata madre, divide i suoi sforzi tra l'impresa di arrivare alla fine del mese e l'educazione dei suoi figli Ame e Yuki. Per proteggere il segreto dei suoi bambini, che mutano continuamente da cuccioli pelosi a marmocchi con le guance rosee, una volta rimasta sola, Hana decide di trasferirsi con loro in un piccolo villaggio di campagna. Circondati dalla vegetazione lussureggiante, Ame e Yuki dovranno scegliere se diventare uomini o lupi, preparandosi ad affrontare la vita e il destino...

Spesso molti film, dietro a trame complesse e incasinati voli pindarici di regia, nascondono una notevole scarsezza di contenuti e di concetti. "Wolf Children" è l'esatto opposto: con estrema semplicità, poesia e raffinatezza, il capolavoro di Mamoru Hosoda affronta tematiche molteplici, che riguardano la vita, il passaggio all'età adulta, l'ambivalenza della natura umana. Si tratta di un film delizioso e allo stesso tempo drammatico, in cui la metafora del lupo è un modo per raffigurare la necessità degli uomini di affermare la propria identità nel contesto del sociale, senza omologarsi e rimanendo fedeli a sé stessi, ma anche l'ampio spettro degli istinti umani, che si manifestano fin dalla nascita in tutti i bambini e che devono essere controllati dall'educazione.

Hana, nonostante la sua sconvolgente normalità, è comunque una diversa: ama un uomo-lupo asociale e chiuso in sé stesso, temuto dagli uomini comuni che non ne comprendono la grandezza e la sensibilità; dopo una serie di difficoltà tipiche della vita, ella scoprirà da sé la sua vera essenza di madre, nella campagna, lontano dal caos e dalle discriminazioni della standardizzata società giapponese. Per i due cuccioli la società, ovvero il punto d'incontro con il diverso, si rivelerà essere la scuola, oppure la natura stessa, in cui percepiranno la linea di demarcazione che separa la loro identità dagli altri microcosmi, maturando e crescendo grazie all'affetto della mamma che veglia su di loro con totale dedizione. La regia fa percepire allo spettatore un macrocosmo che include tutte le vicende, la natura, che primeggia incontrastata su tutti i personaggi, dando l'impressione che ci sia una madre più grande e impersonale di Hana. Le inquadrature delle montagne, dei prati, dei fiori, gli scorci dei boschi, la luce del sole che passa attraverso le fronde degli alberi, la pioggia... Al di là delle difficoltà implicite della vita umana - e dell'essere uomini, che vuol dire anche essere animali - c'è un'insolita serenità che avvolge il tutto, e che il regista rende benissimo, così come lo scorrere del tempo, che si percepisce come se fosse il flusso leggero di un fiume.

Sono molteplici le sfumature di questa "fiaba" moderna, che con la sua sconcertante semplicità, in sole due ore, raggiunge elevate vette artistiche, sia a livello visivo che di contenuti, con i suoi molteplici livelli di lettura e le sue deliziose atmosfere bucoliche. Il character design di Sadamoto viene sfruttato alla grande dal comparto tecnico del film: le luci, i colori e i suoni si fondono perfettamente con la dolcezza e l'espressività dei volti dei protagonisti.

Una nota di merito va all'edizione in DVD/Blu-ray della Dynit, che ci offre un ottimo doppiaggio, una qualità video eccelsa, molti contenuti extra, un libretto con un'intervista al regista e un cartoncino con degli schizzi a matita di Sadamoto. A tutti gli interessati ovviamente ne consiglio l'acquisto, al fine di supportare l'animazione giapponese in Italia, che con questo film dimostra di saper ancora offrire grandi emozioni e opere di elevata caratura artistica.



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Film di Mamoru Oshii, spesso ingiustamente considerato tra i minori del regista, "The Sky Crawlers" è la storia di alcuni piloti di aerei, i Kildren, che in un mondo imprecisato - apparentemente un futuro non troppo lontano - combattono una misteriosa guerra.

Ciò che più colpisce in "The Sky Crawlers", tuttavia, non è la storia, né i personaggi o il mondo in cui ambientato. È l'atmosfera che si respira, in cui è immerso l'intero film. È una atmosfera ovattata, sospesa, costruita, che sa di finto. Si avverte fin dall'inizio questa finzione, questo senso di artificiosità e di vacuità che avvolge il tutto e in particolare la natura della guerra e dei piloti che vi tengono parte. Viene dissimulata per gran parte del film, ma non nascosta: è presente in ogni scena, si percepisce nelle sequenze di vita quotidiana, quasi si respira.
Si scoprirà poi, in modo graduale, la natura di questa finzione, una messinscena per sorreggere la pace, ma questa scoperta non è la rivelazione finale che cambia il senso della storia; è invece un segreto di Pulcinella, di cui tutti sono a conoscenza e che non cambia nulla. Infatti i Kildren, pur venendone a conoscenza, non possono far nulla per cambiare la loro situazione. Sono incatenati a un destino da cui non si può scappare, in cui persino la morte, la tradizionale liberatrice di ogni sofferenza, è impotente e non fa che reiterare lo stesso destino. Solo la decisione del protagonista, l'uccisione del "professore", potrebbe, forse, cambiare qualcosa, ma si rivela un compito impossibile, al di là delle sue forze.
Anche il cielo e il volo, tradizionali simboli di libertà, di ascesi e infinite possibilità, diventano qui simboli di tale impotenza e prigionia. Il cielo di "The Sky Crawlers" è vuoto, statico, incapace di offrire vie di fuga; è un'ulteriore gabbia che sovrasta i personaggi e da cui è impossibile scappare.

La colonna sonora che sorregge il film, e il main theme che ne è quasi simbolo (pensare "The Sky Crawlers" senza questa musica è per me impossibile), è forse quanto di meglio prodotto da Kenji Kawai e si adatta perfettamente al film, suggerendo quell'atmosfera di vuota malinconia di cui si è già parlato.

E così ciò che resta a fine film non è altro che la reiterazione di un destino immutabile, una musica dolce e insieme triste, una sensazione di malinconia e impotenza e un interrogativo senza risposta: "Hai sempre la possibilità di cambiare la strada che percorri ogni giorno, anche se la strada è la stessa puoi vedere cose diverse, non è abbastanza per vivere? O invece, non può essere abbastanza?"