Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Lady Oscar e KonoSuba e il manga Romeo to Julieta
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Lady Oscar
9.0/10
Anarchy Anime Reviews
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Gli anni '70 hanno ampiamente dimostrato come la sottile linea di demarcazione che separa cinema e televisione possa essere attraversata senza compromettere eccessivamente l'integrità e la natura stessa del linguaggio visivo. Un esperimento sicuramente spregiudicato, da un punto di vista strettamente estetico, ma allo stesso tempo fruttuoso. Tra i massimi esponenti di questa vera e propria corrente, cresciuta quasi parallelamente al settore televisivo più tradizionale, si può certamente inserire Osamu Dezaki. Approdato alla Tokyo Movie Shinsha tra il 1970 ed il 1972, dopo un'intensa gavetta presso la Mushi Production di Osamu Tezuka, Dezaki si distingue per il suo approccio fortemente cinematografico e innovativo. Uno stile accolto favorevolmente, sia dal pubblico, sia dalla stessa TMS, al punto che il regista raramente nel corso della sua carriera sentirà il bisogno di abbandonare la produzione seriale per dedicarsi a veri e propri film. L'industria cinematografica giapponese, del resto, attraversa in quel periodo una profonda crisi finanziaria e creativa, non c'è quindi da stupirsi se alcuni autori e registi si rivolgono alle produzioni televisive per trovare nuovi spazi in cui potersi affermare.
Dal '73 al '78 Dezaki dirige alcuni autentici capolavori come "Ace o Nerae", "Ganba no Boken", "Rittai Anime Ie Naki Ko" e "Takarajima", ma è "Versailles no Bara" del 1979 a consacrarlo definitivamente come uno dei maestri assoluti dell'animazione. La modernità della sua regia è sorprendente, impreziosita da un sapiente utilizzo del multiplan e dall'affascinante character di Shingo Araki, ma soprattutto resa incredibilmente avvincente da un'esperta gestione degli eventi. E' chiaro che Dezaki non si accontenta di offrire qualche minuto di svago allo spettatore, vuole essere ascoltato e trasmettere un messaggio ben preciso e articolato. Un atteggiamento tipico appunto dei registi cinematografici. Alcuni sostengono che esista il cinema prima e dopo Godard, un'affermazione perfettamente adattabile all'animazione giapponese e a Osamu Dezaki. Rivoluzionario per le innovazioni tecniche del mezzo, ma anche dei contenuti, riconducibili proprio a quella Nouvelle Vague protagonista di una seconda fioritura del cinema sperimentale, durante la seconda metà degli anni '70.
La strada irrompe nelle tranquille case dei Giapponesi attraverso le immagini potenti create da Dezaki, mettendo in primo piano argomenti scottanti, importati direttamente dalla vita reale della gente comune. Il conflitto generazionale, l'emancipazione femminile, l'eguaglianza sociale vengono contrapposti a un'implacabile riflessione sulla condizione umana, dilaniata da un innato desiderio di libertà e al tempo stesso resa eternamente schiava dell'imperscrutabile volontà del Destino (le rose appassiscono in bellezza). E' sempre su questo contrasto che vengono costruiti tutti i personaggi, anche quelli secondari, a cui Dezaki presta un'insolita attenzione. Dal suonatore di fisarmonica che accompagna con i suoi commenti i momenti più salienti della rivolta, fino a personaggi più rilevanti come Rosalie o la splendida Jeanne de la Motte, la rosa nera redenta dalla passione per la scrittura, i comprimari di "Versailles no Bara" non appaiono mai scontati o prevedibili e con il procedere degli episodi diventano i pezzi di un mosaico complesso e intricato, fino a sostituire i protagonisti nella narrazione. Come se Dezaki volesse in qualche modo accontentarli, concedendogli la tanto agognata uguaglianza che invece a stento raggiungono all'interno della storia. D'altra parte la ribellione di Oscar avviene attraverso un lungo processo di maturazione psicologica, fatto di per sé assolutamente nuovo in una serie di questo tipo, ma è la sua debolezza di fronte alla sorte avversa a renderla eroica. La stessa Rivoluzione Francese a un certo punto passa quasi in secondo piano, la narrazione degli eventi storici si interrompe e cede la scena a una straziante storia d'amore non corrisposto, ritornando a riassumerne i punti principali solo nel finale. Come se non bastasse Dezaki rincara la dose sviluppando una specie di epica degli sconfitti, una decisone che in parte accontenta il gusto tipicamente giapponese per la lotta ìmpari, in parte fa riferimento a una vera e propria corrente culturale riconducibile alla beat generation.
La serie si chiude in fine attingendo nuovamente alla dimensione semplice e ordinaria della gente comune, proponendo un metafisico ritorno alla vita di campagna, lontano dai tumulti della rivoluzione, ma anche della passione. La storia la scrivono indubbiamente gli eroi, pagando però un prezzo decisamente troppo alto, per la maggior parte di noi.
Dal '73 al '78 Dezaki dirige alcuni autentici capolavori come "Ace o Nerae", "Ganba no Boken", "Rittai Anime Ie Naki Ko" e "Takarajima", ma è "Versailles no Bara" del 1979 a consacrarlo definitivamente come uno dei maestri assoluti dell'animazione. La modernità della sua regia è sorprendente, impreziosita da un sapiente utilizzo del multiplan e dall'affascinante character di Shingo Araki, ma soprattutto resa incredibilmente avvincente da un'esperta gestione degli eventi. E' chiaro che Dezaki non si accontenta di offrire qualche minuto di svago allo spettatore, vuole essere ascoltato e trasmettere un messaggio ben preciso e articolato. Un atteggiamento tipico appunto dei registi cinematografici. Alcuni sostengono che esista il cinema prima e dopo Godard, un'affermazione perfettamente adattabile all'animazione giapponese e a Osamu Dezaki. Rivoluzionario per le innovazioni tecniche del mezzo, ma anche dei contenuti, riconducibili proprio a quella Nouvelle Vague protagonista di una seconda fioritura del cinema sperimentale, durante la seconda metà degli anni '70.
La strada irrompe nelle tranquille case dei Giapponesi attraverso le immagini potenti create da Dezaki, mettendo in primo piano argomenti scottanti, importati direttamente dalla vita reale della gente comune. Il conflitto generazionale, l'emancipazione femminile, l'eguaglianza sociale vengono contrapposti a un'implacabile riflessione sulla condizione umana, dilaniata da un innato desiderio di libertà e al tempo stesso resa eternamente schiava dell'imperscrutabile volontà del Destino (le rose appassiscono in bellezza). E' sempre su questo contrasto che vengono costruiti tutti i personaggi, anche quelli secondari, a cui Dezaki presta un'insolita attenzione. Dal suonatore di fisarmonica che accompagna con i suoi commenti i momenti più salienti della rivolta, fino a personaggi più rilevanti come Rosalie o la splendida Jeanne de la Motte, la rosa nera redenta dalla passione per la scrittura, i comprimari di "Versailles no Bara" non appaiono mai scontati o prevedibili e con il procedere degli episodi diventano i pezzi di un mosaico complesso e intricato, fino a sostituire i protagonisti nella narrazione. Come se Dezaki volesse in qualche modo accontentarli, concedendogli la tanto agognata uguaglianza che invece a stento raggiungono all'interno della storia. D'altra parte la ribellione di Oscar avviene attraverso un lungo processo di maturazione psicologica, fatto di per sé assolutamente nuovo in una serie di questo tipo, ma è la sua debolezza di fronte alla sorte avversa a renderla eroica. La stessa Rivoluzione Francese a un certo punto passa quasi in secondo piano, la narrazione degli eventi storici si interrompe e cede la scena a una straziante storia d'amore non corrisposto, ritornando a riassumerne i punti principali solo nel finale. Come se non bastasse Dezaki rincara la dose sviluppando una specie di epica degli sconfitti, una decisone che in parte accontenta il gusto tipicamente giapponese per la lotta ìmpari, in parte fa riferimento a una vera e propria corrente culturale riconducibile alla beat generation.
La serie si chiude in fine attingendo nuovamente alla dimensione semplice e ordinaria della gente comune, proponendo un metafisico ritorno alla vita di campagna, lontano dai tumulti della rivoluzione, ma anche della passione. La storia la scrivono indubbiamente gli eroi, pagando però un prezzo decisamente troppo alto, per la maggior parte di noi.
Romeo to Juliet
5.0/10
Non c'è dubbio: le opere ispirate alla più grande storia d'amore di tutti i tempi non si contano. Dai dipinti ai balletti, dai film alle canzoni, più o meno tutte le categorie di artisti hanno omaggiato questa immortale tragedia, dai temi sempre attuali. Non fa eccezione uno spirito romantico come Yumiko Igarashi, "madre", almeno graficamente, di Candy e Georgie. Come se la sarà cavata nel non facile compito di riproporre il capolavoro shakespeariano? Ecco le mie considerazioni in merito.
DISEGNI
Partiamo dai disegni: chi conosce lo stile della mangaka potrebbe pensare che un'ambientazione quale quella della Verona rinascimentale sia l'ideale per lei, fra balli in maschera, vesti sfarzose e architetture dal tocco medievale. In realtà, nessuna considerazione potrebbe essere più sbagliata: può sembrare assurdo, eppure è così. La scarsezza nella cura di sfondi, vedute, scene di gruppo è fin troppo evidente. Addirittura, in alcuni casi le "comparse" non hanno nemmeno un volto, venendo ridotte a manichini del genere di quelli che si vedono nei musei del costume. E ai personaggi secondari non va meglio: se in "Mayme Angel", "Georgie", "Candy" e chi più ne ha più ne metta non era raro che i comprimari avessero poco da invidiare ai protagonisti (Archie, Stear, Sammy ...), qui i poveri Mercuzio, Paride, Tebaldo oltre al danno (la loro sorte) ricevono pure la beffa, venendo disegnati alla stregua di caricature. Gli unici a salvarsi da un simile scempio sono Giulietta e il suo Romeo, forse perché per vivere stupende storie d'amore è necessario essere belli, o forse, più semplicemente, perché assomigliano parecchio a Olivia Hussey e a Leonard Whiting, interpreti dei due amanti sfortunati nella versione di Zeffirelli. Su questa falsariga si potrebbe continuare per un bel pezzo, ma anche la gestione della storia ha diritto alla sua parte di osservazioni, perciò proseguiamo.
STORIA
Altro passo falso commesso dalla Igarashi è l'"indecisione" mostrata riguardo al modo migliore di impostare la vicenda. Imitare pedissequamente il Bardo o dare un tocco personale all'opera? Questo è il problema. Problema però non risolto pienamente, poiché se il volume si apre con uno spunto interessante, ovvero Giulietta che si interroga su che cosa sia l'amore, su quando e in che occasione lo incontrerà e che esprime il proprio parere sul cugino Tebaldo e sui genitori, facendo sperare in una caratterizzazione psicologica degli eroi di un certo spessore, subito dopo si cade nella più monotona e meno originale imitazione della tragedia. I testi, nel 90% dei casi, sono ripresi pari pari dal testo originale. L'epilogo, poi, che dovrebbe essere dedicato a Romeo (per fare il paio con il prologo riservato alla giovane Capuleti) in realtà su di lui non ci dice nulla di quanto già sappiamo. Insomma, leggersi Shakespeare è lo stesso, anzi: è incontestabilmente meglio.
PERSONAGGI
Come si è ampiamente detto, i personaggi non spiccano per spessore, che a mio giudizio è persino inferiore dei fogli di carta sui quali sono stati disegnati. Recitano le loro battute, fanno quello che ci si aspetta che facciano e, se devono morire, muoiono. Di più: Giulietta non ha lo spirito e la determinazione dell'eroina veronese e, in certi momenti, Romeo (ma questa è un'osservazione personale della sottoscritta) ha l'aria di essere un po' troppo violento o, viceversa, smidollato.
GIUDIZIO GLOBALE
Per me, questa trasposizione in stile manga di una delle più popolari tragedie di tutti i tempi non merita più di 5. In una sorta di poscritto in coda al volume, l'autrice lascia trapelare la sua passione per la tragedia, da lei in effetti omaggiata largamente in "Candy Candy" ma, se davvero è tale il suo amore, dal mio punto di vista avrebbe fatto una scelta più saggia accontentandosi della citazione appena menzionata, evitando una ennesima versione cartacea di "Romeo e Giulietta" di cui, francamente, non si sentiva proprio il bisogno.
DISEGNI
Partiamo dai disegni: chi conosce lo stile della mangaka potrebbe pensare che un'ambientazione quale quella della Verona rinascimentale sia l'ideale per lei, fra balli in maschera, vesti sfarzose e architetture dal tocco medievale. In realtà, nessuna considerazione potrebbe essere più sbagliata: può sembrare assurdo, eppure è così. La scarsezza nella cura di sfondi, vedute, scene di gruppo è fin troppo evidente. Addirittura, in alcuni casi le "comparse" non hanno nemmeno un volto, venendo ridotte a manichini del genere di quelli che si vedono nei musei del costume. E ai personaggi secondari non va meglio: se in "Mayme Angel", "Georgie", "Candy" e chi più ne ha più ne metta non era raro che i comprimari avessero poco da invidiare ai protagonisti (Archie, Stear, Sammy ...), qui i poveri Mercuzio, Paride, Tebaldo oltre al danno (la loro sorte) ricevono pure la beffa, venendo disegnati alla stregua di caricature. Gli unici a salvarsi da un simile scempio sono Giulietta e il suo Romeo, forse perché per vivere stupende storie d'amore è necessario essere belli, o forse, più semplicemente, perché assomigliano parecchio a Olivia Hussey e a Leonard Whiting, interpreti dei due amanti sfortunati nella versione di Zeffirelli. Su questa falsariga si potrebbe continuare per un bel pezzo, ma anche la gestione della storia ha diritto alla sua parte di osservazioni, perciò proseguiamo.
STORIA
Altro passo falso commesso dalla Igarashi è l'"indecisione" mostrata riguardo al modo migliore di impostare la vicenda. Imitare pedissequamente il Bardo o dare un tocco personale all'opera? Questo è il problema. Problema però non risolto pienamente, poiché se il volume si apre con uno spunto interessante, ovvero Giulietta che si interroga su che cosa sia l'amore, su quando e in che occasione lo incontrerà e che esprime il proprio parere sul cugino Tebaldo e sui genitori, facendo sperare in una caratterizzazione psicologica degli eroi di un certo spessore, subito dopo si cade nella più monotona e meno originale imitazione della tragedia. I testi, nel 90% dei casi, sono ripresi pari pari dal testo originale. L'epilogo, poi, che dovrebbe essere dedicato a Romeo (per fare il paio con il prologo riservato alla giovane Capuleti) in realtà su di lui non ci dice nulla di quanto già sappiamo. Insomma, leggersi Shakespeare è lo stesso, anzi: è incontestabilmente meglio.
PERSONAGGI
Come si è ampiamente detto, i personaggi non spiccano per spessore, che a mio giudizio è persino inferiore dei fogli di carta sui quali sono stati disegnati. Recitano le loro battute, fanno quello che ci si aspetta che facciano e, se devono morire, muoiono. Di più: Giulietta non ha lo spirito e la determinazione dell'eroina veronese e, in certi momenti, Romeo (ma questa è un'osservazione personale della sottoscritta) ha l'aria di essere un po' troppo violento o, viceversa, smidollato.
GIUDIZIO GLOBALE
Per me, questa trasposizione in stile manga di una delle più popolari tragedie di tutti i tempi non merita più di 5. In una sorta di poscritto in coda al volume, l'autrice lascia trapelare la sua passione per la tragedia, da lei in effetti omaggiata largamente in "Candy Candy" ma, se davvero è tale il suo amore, dal mio punto di vista avrebbe fatto una scelta più saggia accontentandosi della citazione appena menzionata, evitando una ennesima versione cartacea di "Romeo e Giulietta" di cui, francamente, non si sentiva proprio il bisogno.
KonoSuba
8.0/10
"Kono Subarashii Sekai ni Shukufuku wo!" è stato il primo anime che ho avuto il piacere di guardare della nuova stagione 2016, una serie che, per comodità, denomineremo "KonoSuba", composta da sole dieci puntate, purtroppo. La storia, emozionante e divertente al tempo stesso, può essere classificata come commedia ecchi/harem, con forti caratteristiche fantasy, avventura e magia. Uno stile che, di questi tempi, pare andare molto di moda, in cui l'ambientazione medievale si fonde con il gioco RPG. Magia, elfi ed esseri sovrannaturali, tutti impegnati a combattere le forze oscure, desiderosi, ovviamente, di aumentare il proprio livello e le skill, ovvero le abilità.
La storia inizia presentandoci il protagonista, un classico ragazzo giapponese appassionato di videogiochi, che passa la maggior parte delle sue giornate chiuso in camera a divertirsi e guardare la TV. Improvvisamente, però, la sua vita si trova davanti a una svolta: incrocia per strada una ragazza e ne rimarrà letteralmente colpito. Il fantomatico colpo di fulmine? Non proprio. Kazuma Satou, il ragazzo in questione, si accorge che la fanciulla sta per essere investita da un camion. Mosso da uno spirito altruistico a dir poco ragguardevole, si lancia in mezzo alla strada per salvarla. Un gesto nobile e cavalleresco che, però, gli costerà la vita. Kazuma si ritroverà così in una sorta di limbo oscuro, dove avrà il piacere di incontrare Aqua, la divinità che dovrà farlo reincarnare. Questa, tuttavia, gli propone qualcosa di nuovo, ovvero di mantenere il corpo e i ricordi attuali, scegliendo però di "trasferirsi" in un mondo fantasy, in cui, d'altra parte, il rischio di morire nuovamente pare essere piuttosto elevato.
Cosa sceglierà il nostro protagonista? Per il piacere di vedere una bella storia, credo che sia naturale optare per la seconda scelta.
L'esordio ad effetto, con la morte del protagonista e il suo essere catapultato in un mondo nuovo e misterioso, non è propriamente nuovo. Ho visto storie molto simili, anche se prendono strade differenti rispetto all'anime qui esaminato. Cosa offre allora "KonoSuba" di così sensazionale? Personalmente, niente. Ma, forse, proprio per questa sua semplicità, è stato in grado di catturare l'attenzione dello spettatore. Ci saranno scontri con mostri malvagi, cavalieri mezzi morti, fantasmi e via dicendo... eppure non perderà mai quell'atmosfera rilassata, quasi comica, che lo caratterizza fin dal primo episodio. I personaggi non sono epici, non hanno caratteristiche encomiabili, non cadranno in un sentimentalismo melodrammatico. Anzi, mostrano una psicologia piuttosto contorta e perversa, ricca di imperfezioni e paradossi. Per certi versi "KonoSuba" pare essere quasi una parodia di tutti quegli anime d'avventura fantasy che, in questi anni, hanno imperversato nel mondo dell'animazione giapponese ("Sword Art Online", "DanMachi", "No Game No Life" ecc.).
Fin dal protagonista, Kazuma, si vede qualcosa di diverso: non possiede poteri nascosti e non li svilupperà mai. Cresce man mano (e anche piuttosto lentamente) dal primo all'ultimo episodio, proprio come accadrebbe in realtà in un normale videogioco. Ha la fortuna, o per certi versi la sfortuna, di essere circondato da valenti compagne che, a dispetto di quanto uno potrebbe aspettarsi, non cadranno mai nell'errore di introdurre qualsivoglia tipo di romanticismo. Un harem puro e casto, che coglie ogni occasione per buttarla sulla risata e sul divertimento.
L'ecchi non manca, ma anche questo non verrà mai esibito in maniera così plateale. Un giusto tocco, l'ideale per rendere il tutto ancora più intrigante ed emozionante.
La grafica è il colpo di classe di quest'opera. Il genere farebbe pensare a una commedia dalle basse pretese, e invece ecco un lavoro preciso e curato in ogni piccolo dettaglio. I colori manterranno ovviamente una tonalità leggera e solare, in accordo con lo stile della serie. Ciò che stupisce maggiormente è la bellezza e la forza espressiva di alcune scene, in grado di affascinare fin da subito.
Le musiche sono sicuramente molto belle e, per quanto mi riguarda, mi sono innamorato dell'ending. Il doppiaggio è molto buono e rispecchia alla perfezione le voci che mi sarei immaginato per ogni fanciulla (e fanciullo).
L'unica pecca, se così la vogliamo chiamare, sta nella brevità della serie. Dieci episodi sono veramente troppo pochi per un anime del genere e, anche se è già stata annunciata una seconda stagione, questa prima parte avrebbe avuto un effetto ancora più bello se realizzato con un paio di puntate in più. A un certo punto compaiono dei personaggi che, a mio avviso, avrebbero fatto meglio a introdurre un po' prima, come ad esempio l'arci-strega Litch.
Il finale è tanto divertente quanto appassionante, l'atmosfera si surriscalda leggermente, ma neanche così tanto da mutare le fattezze originali dell'opera. Una conclusione ad effetto che, ovviamente, lascia lo spettatore con un finale aperto, anzi apertissimo. La seconda stagione è subito pronta a partire, rendendo tutti più felici.
Personalmente sono rimasto molto sorpreso da questo titolo, non perché mi aspettavo poco da lui, ma per il fatto che ha superato di gran lunga le mie aspettative. Parte come un anime dalle basse pretese, che ha come unico scopo quello di divertire, e invece va oltre la semplice e banale commedia ecchi. Ogni episodio rispecchia un'originalità "classica", un modo di superare gli antichi stereotipi senza però abbandonarli del tutto. Diciamo che ci gioca attorno, si diverte a sbeffeggiarli e, a mio avviso, ce la fa.
Con "KonoSuba" il 2016 inizia bene...
Voto finale: 8
La storia inizia presentandoci il protagonista, un classico ragazzo giapponese appassionato di videogiochi, che passa la maggior parte delle sue giornate chiuso in camera a divertirsi e guardare la TV. Improvvisamente, però, la sua vita si trova davanti a una svolta: incrocia per strada una ragazza e ne rimarrà letteralmente colpito. Il fantomatico colpo di fulmine? Non proprio. Kazuma Satou, il ragazzo in questione, si accorge che la fanciulla sta per essere investita da un camion. Mosso da uno spirito altruistico a dir poco ragguardevole, si lancia in mezzo alla strada per salvarla. Un gesto nobile e cavalleresco che, però, gli costerà la vita. Kazuma si ritroverà così in una sorta di limbo oscuro, dove avrà il piacere di incontrare Aqua, la divinità che dovrà farlo reincarnare. Questa, tuttavia, gli propone qualcosa di nuovo, ovvero di mantenere il corpo e i ricordi attuali, scegliendo però di "trasferirsi" in un mondo fantasy, in cui, d'altra parte, il rischio di morire nuovamente pare essere piuttosto elevato.
Cosa sceglierà il nostro protagonista? Per il piacere di vedere una bella storia, credo che sia naturale optare per la seconda scelta.
L'esordio ad effetto, con la morte del protagonista e il suo essere catapultato in un mondo nuovo e misterioso, non è propriamente nuovo. Ho visto storie molto simili, anche se prendono strade differenti rispetto all'anime qui esaminato. Cosa offre allora "KonoSuba" di così sensazionale? Personalmente, niente. Ma, forse, proprio per questa sua semplicità, è stato in grado di catturare l'attenzione dello spettatore. Ci saranno scontri con mostri malvagi, cavalieri mezzi morti, fantasmi e via dicendo... eppure non perderà mai quell'atmosfera rilassata, quasi comica, che lo caratterizza fin dal primo episodio. I personaggi non sono epici, non hanno caratteristiche encomiabili, non cadranno in un sentimentalismo melodrammatico. Anzi, mostrano una psicologia piuttosto contorta e perversa, ricca di imperfezioni e paradossi. Per certi versi "KonoSuba" pare essere quasi una parodia di tutti quegli anime d'avventura fantasy che, in questi anni, hanno imperversato nel mondo dell'animazione giapponese ("Sword Art Online", "DanMachi", "No Game No Life" ecc.).
Fin dal protagonista, Kazuma, si vede qualcosa di diverso: non possiede poteri nascosti e non li svilupperà mai. Cresce man mano (e anche piuttosto lentamente) dal primo all'ultimo episodio, proprio come accadrebbe in realtà in un normale videogioco. Ha la fortuna, o per certi versi la sfortuna, di essere circondato da valenti compagne che, a dispetto di quanto uno potrebbe aspettarsi, non cadranno mai nell'errore di introdurre qualsivoglia tipo di romanticismo. Un harem puro e casto, che coglie ogni occasione per buttarla sulla risata e sul divertimento.
L'ecchi non manca, ma anche questo non verrà mai esibito in maniera così plateale. Un giusto tocco, l'ideale per rendere il tutto ancora più intrigante ed emozionante.
La grafica è il colpo di classe di quest'opera. Il genere farebbe pensare a una commedia dalle basse pretese, e invece ecco un lavoro preciso e curato in ogni piccolo dettaglio. I colori manterranno ovviamente una tonalità leggera e solare, in accordo con lo stile della serie. Ciò che stupisce maggiormente è la bellezza e la forza espressiva di alcune scene, in grado di affascinare fin da subito.
Le musiche sono sicuramente molto belle e, per quanto mi riguarda, mi sono innamorato dell'ending. Il doppiaggio è molto buono e rispecchia alla perfezione le voci che mi sarei immaginato per ogni fanciulla (e fanciullo).
L'unica pecca, se così la vogliamo chiamare, sta nella brevità della serie. Dieci episodi sono veramente troppo pochi per un anime del genere e, anche se è già stata annunciata una seconda stagione, questa prima parte avrebbe avuto un effetto ancora più bello se realizzato con un paio di puntate in più. A un certo punto compaiono dei personaggi che, a mio avviso, avrebbero fatto meglio a introdurre un po' prima, come ad esempio l'arci-strega Litch.
Il finale è tanto divertente quanto appassionante, l'atmosfera si surriscalda leggermente, ma neanche così tanto da mutare le fattezze originali dell'opera. Una conclusione ad effetto che, ovviamente, lascia lo spettatore con un finale aperto, anzi apertissimo. La seconda stagione è subito pronta a partire, rendendo tutti più felici.
Personalmente sono rimasto molto sorpreso da questo titolo, non perché mi aspettavo poco da lui, ma per il fatto che ha superato di gran lunga le mie aspettative. Parte come un anime dalle basse pretese, che ha come unico scopo quello di divertire, e invece va oltre la semplice e banale commedia ecchi. Ogni episodio rispecchia un'originalità "classica", un modo di superare gli antichi stereotipi senza però abbandonarli del tutto. Diciamo che ci gioca attorno, si diverte a sbeffeggiarli e, a mio avviso, ce la fa.
Con "KonoSuba" il 2016 inizia bene...
Voto finale: 8
Wow mai visto qualcosa del genere.
si hai ragione ce ne stanno tante di serie così, ma konosuba è una parodia di queste, quindi, almeno questa serie ha una giustificazione più che plausibile nel fatto che, volendo essere una presa in giro di questi anime che iniziano così, non poteva far a meno di iniziare così.
Per dovere di cronaca bisogna però ricordare che Dezaki subentrò solo in un secondo momento alla guida della regia (mi sembra dall'episodio 15). A mio avviso meriterebbe una menzione anche la potentissima colonna sonora che completa un impianto produttivo di livello cinematografico: personalmente, una delle poche musiche che al solo ascolto di poche note fanno scaturire fiumi di lacrime...
Devo ammettere che, rivedendola in versione integrale, ho potuto apprezzare tutta la magnificenza di questa inossidabile serie e al contempo disprezzare l'edizione Fininvest con le sue censure, le traduzioni sballate e le orripilanti sigle, in particolare queste ultime, per quanto possano aver contribuito al successo dell'anime nel nostro paese, bisogna riconoscere che sono invecchiate malissimo, dimostrando un'innegabile povertà compositiva e una banalità dei testi sconcertante.
Come sempre, complimenti ai recensori!
Lady Oscar è un bell'anime storico che trasporta chi lo vede nel passato con degli avvenimenti molto importanti
KonoSuba è molto divertente consigliato a tutti per passare del bel tempo a ridere
Non sono solo allora.....
La recensione di Romeo To Juliet mi è piaciuta molto, soprattutto la frase:
Veramente ben scritta, complimenti! E tra l'altro, mi ha anche fatto venire voglia di leggere l'opera.
Ho citato Ganba perhè secondo me fa capire benissimo come Dezaki riuscisse a rendere avvincente qualunque cosa, è una serie di un minimalismo estremo, alla fine ci sono sei topi (se non ricordo male) quasi scarabocchiati, eppure non appena la serie ingrana dopo qualche puntata non si può fare a meno di vederla fino in fondo. In qualche episodio si lascia andare anche a qualche virtuosismo estetico tipo quadro impressionista che secondo me merita di essere visto.
@bob71
Concordo assolutamente sulla colonna sonora, oltre alle sigle è notevole anche il vero e proprio commento musicale che si sente nel corso della serie. Anche in questo caso rispetto ad altri titoli dello stesso periodo hanno adottato scelte molto particolari, manca quasi totalmente ad esempio l'uso onomatopeico della musica, cosa che nel '79 era ancora abbastanza di moda. Capitan Harlock è solo di qualche anno precedente eppure ogni volta che compare in scena non manca mai lo squillo di trombe che probabilmente doveva sostituire il classico tadan! che si legge di solito nei fumetti. Inoltre hanno avuto anche l'accortezza di usare uno stile che imitasse la musica del periodo a cui fa riferimento la serie. Diciamo che Dezaki ha potuto godere di una libertà espressiva che altri si potevano solo sognare, nemmeno Rin Taro aveva così mano libera, immancabilmente anche quando provava a distinguersi dalla media delle produzioni del suo tempo gli studi o le emittenti televisive lo correggevano incollando episodi completamente fuori luogo come in Gran Prix, tanto per citarne uno. Non per fare il nostalgico ma la mancanza di personalità è forse il difetto più evidente anche per quanto riguarda le serie attuali rispetto a classici come questo. E' vero che anche negli anni '70/'80 gli anime erano pieni di stereotipi però, tanto per fare un esempio, bisogna dire che il fan di Anna dai capelli rossi poteva gurdarsi una serie di Miyazaki, senza correre il pericolo di trovarsi di fronte personaggi omologati come quelli di Astrorobot. Oggi il fan di Anna dai capelli rossi per non correre rischi simili può al massimo leggersi un bel libro.
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