Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

6.5/10
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“Vivere vuol dire divorare gli altri.”
Una massima egoistica e dal benessere egocentrico, in cui si può riassumere uno dei concetti di fondo di tutto “Tokyo Ghoul”, in netta contrapposizione con l’altruismo autolesionista che ne bilancia la psicologia generale su cui è costruita la trama.

Cannibalismo, sangue a litri, violenza, azione, pochi spunti di riflessione e diverse situazioni irrisolte: direttamente dal manga di grande successo, “Tokyo Ghoul” si presenta sugli schermi con belle animazioni - anche se non eccezionali, dalla qualità altalenante, dove il meglio lo si può gustare nelle roboanti scene d’azione -, ma una trama ridotta all’osso, striminzita, ammassata e priva di ricami importanti e particolari necessari, almeno rispetto alla sua controparte cartacea.
E’ una realtà parallela alla nostra, simile in tutto e per tutto, tranne per il fatto che al mondo vi sono esseri identici agli umani, ma che si possono nutrire esclusivamente di carne umana, e posseggono poteri sovrannaturali, armi “organiche” sprigionate direttamente dal loro corpo, una rigenerazione portentosa, e una resistenza sovrumana.
Ma cosa sono i ghoul, esattamente?
La ghul o gul (in arabo: الغول‎), talora scritto secondo la grafia inglese ghoul, italianizzato in gula, è secondo i musulmani un'entità soprannaturale o uno spirito, le cui origini sono precedenti all'avvento dell'Islam. Nel folklore arabo, inizialmente era visto come un Djinn, mentre nella letteratura di H.P. Lovecraft furono immaginati come creature abitatrici del sottosuolo, umanoidi abituati a cibarsi degli esseri umani. Nei più recenti racconti horror, o in vari giochi di ruolo, nella mitologia occidentale e nel restyle post-ottocentesco, il “ghoul” risulta più simile a uno zombie quasi-vivente, capace di cibarsi di esseri umani e di terrorizzare chiunque con la propria presenza orripilante. In ogni caso, un mostro reietto, un abominio nemico della società, figlio di dei dimenticati e oscuri.
Nell’universo di “Tokyo Ghoul”, questi particolari vengono appena accennati: i ghoul sono molto più simili a vampiri che, per sopravvivere, al posto del sangue, prediligono direttamente la carne umana. Tuttavia, come i vari Nosferatu, Dracula & Co., posseggono poteri portentosi, abilità speciali e sovrumane, anche se appaiono meno eleganti e più simili a normalissimi umani, nei quali si confondono durante la vita di tutti i giorni. In poche parole, pseudo-vampiri moderni divisi anch’essi in fazioni e in dispute centenarie.

Ed è proprio così che comincia questa storia, ovvero seguendo le avventure di un semplice studente giapponese di nome Kaneki, che, ritrovatosi con il suo migliore amico al bar dove sono soliti passare i pomeriggi, tenterà di dichiararsi a una bellissima ragazza che di tanto in tanto si reca al medesimo locale.
Questo è l’incipit di una storia che si mostrerà efferata, crudele e spietata.
I ghoul si confondono con l’umanità, Kaneki e il suo amico Hide sanno che nessuno ne ha mai davvero visto uno, ma il numero di strani omicidi che si stanno consumando in questi giorni lascia presagire qualcosa di terribile. Presto Kaneki, suo malgrado, si troverà coinvolto in qualcosa di molto più grande di lui, che metterà a dura prova la sua stessa umanità.

È un prodotto che va dritto al punto. Sebbene nettamente inferiore al manga, risulta a tratti intrigante, anche se parte dei temi trattati sono di una banalità sconcertante. Lo spettatore viene subito gettato nel vivo della storia, grazie anche a una colonna sonora clamorosamente bella, capace di creare atmosfere uniche, misteriose e rabbrividenti (un po' meno accattivante l’opening, che non mi è rimasta in testa più di tanto, forse perché troppo atipica e ricercata).
Mentre Kaneki si ritrova vittima ignara degli eventi, ci accorgiamo che i personaggi secondari (a parte un paio) vengono appena tratteggiati, e non approfonditi come meriterebbero. Alcuni rimangono solo abbozzati, come comparse sullo sfondo di un affresco decisamente incompleto, frettoloso, dove i brevi archi narrativi vengono compressi a causa dei soli dodici episodi disponibili. Nonostante si tratti solo della prima serie dedicata a questo brand, si avverte chiaramente la mancanza di punti di riferimento e approfondimenti riguardo alcune tematiche e personaggi, che, nonostante fungessero da spalla o da contorno, avrebbero meritato più spessore.

Come detto inizialmente, l’anime cerca di contrapporre sacrificio, altruismo, amicizia e amore, a prese di posizione ben più solide e ruvide, come l’egoismo, l’egocentrismo, la solitudine e la freddezza. Ma quale fra questi due filoni di pensiero è il giusto modo di vivere?
Le situazioni che vivono i protagonisti ci ricordano che, per vivere davvero sereni, è necessario pensare a noi stessi prima di pensare agli altri, e il confine fra cura per noi stessi ed egoismo privo d’affetto è labile, soprattutto per chi ne subisce gli effetti.
“Tokyo Ghoul” è senza dubbio uno shonen palese, senza mezzi termini, con una potente componente di sadismo e di violenza, talvolta eccessiva. Grazie a Kaneki che fa da intermediario fra i ghoul e gli esseri umani, si costruisce una sorta di “ponte” emotivo fra la delicatezza e la fragilità dell’animo umano, e il disagio, l’efferatezza e l’anormalità dei ghoul che non vogliono apparire mostruosi, ma in fondo, così come ogni “diverso”, vorrebbero farsi accettare dalla comunità umana.
Ma non tutti, ovviamente.
Nonostante i principi morali della storia siano piuttosto banali, così come sembrano scontati l’impostazione della trama e lo svolgimento del finale, il memento di quanto sia terribile, cieca, mostruosa e oscena la discriminazione verso chiunque riteniamo “diverso” è lapalissiano e inevitabile. Anche se per vie traverse, l’indice viene puntato inevitabilmente verso chi discrimina: niente in queste situazioni può essere o bianco o nero, ma tutto viene vissuto in una scala di grigi dove è sempre molto difficile decidere e comprendere chi è differente da noi. La realtà è sempre più complessa di come ce la immaginiamo.

Il finale, introspettivo, riflessivo, un viaggio all’interno della propria psiche, ricorda un po' il finale incompiuto del primo “Neon Genesis Evangelion”, ed è il momento migliore di tutto l’anime, anche se poi risulterà compresso e incompleto (continua senza sosta nella seconda serie).
A conti fatti, “Tokyo Ghoul” è una serie che poteva regalare molto di più, e con molta più accuratezza, ma sviluppata troppo in fretta e con troppi tagli, tanto da far percepire chiaramente il senso di incompletezza riguardo vari aspetti.
Viste le premesse, avrebbe meritato più episodi e più valorizzazione.

6.0/10
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C'era un tempo in cui "Devilman" non esisteva ancora e un giovane e particolarmente indiavolato Go Nagai scriveva un'opera sconvolgente, nera e cruda: "Mao Dante".
Un'opera sì controversa, affascinante, unica nel panorama del 1971 e per certi versi pure in quello attuale per la sua essenza anticonvenzionale e (senza esagerare) blasfema, dove gli eventi portano a sovvertire i ruoli di buoni e cattivi e dove una setta satanica e la stirpe demoniaca diventano veri eroi della vicenda, ma macchiata a sua volta dall'insanabile difetto di non essere mai stata completata, bloccandosi con un tremendo cliffhanger che sarebbe stato destinato a non vedere mai il proprio scioglimento. O almeno così si credeva, poiché la storia del Signore dei Demoni Dante vedrà la propria conclusione ben due volte in due media differenti nel solo 2002 (se non si conta "Devilman" stesso, remake totale di "Mao Dante" per premesse e svolgimento): "Shin Mao Dante", rifacimento manga di Go Nagai, e "Mao Dante" in forma animata, quest'ultima soggetto della nostra analisi.

E, partendo subito dai pregi dell'opera, essa fa esattamente quello che aveva il compito di fare. In tredici puntate, non solo la vicenda intera è costellata di ampliamenti e piccole revisioni narrative che contribuiscono a rimpolpare ulteriormente la carica emotiva e blasfema dell'opera (come ad esempio l'amore quasi incestuoso tra Ryo e sua sorella Saori), non andando mai a snaturarne l'identità, ma presenta inoltre un vero finale, una conclusione splendida dell'opera che spinge le trovate originali del manga di Nagai verso nuovi lidi, senza dilungarsi troppo in vicende inutili e dando il giusto spazio a tutti i membri del cast. E, a proposito del cast, ottimo il lavoro svolto oltre che sui protagonisti anche sui personaggi secondari: il rapporto tra Ryo e Saori resta molto ambiguo dall'inizio alla fine, e le personalità dei vari comprimari sulla scena non sono quasi mai macchiettistiche, ma anche al netto di uno screentime spesso non abbondante riescono a ritagliarsi il loro meritato spazio nell'economia delle vicende. In generale, l'aura di mistero che si respira è appagante e non scade mai in momenti involontariamente tragicomici o poco chiari (o quasi, le cadute di stile sono poche, ma ci sono).

Sembra tutto bello e riuscito, ma purtroppo non ogni cosa è andata per il verso giusto durante la realizzazione della serie, e chiunque con due occhi debolmente funzionanti se ne dovrebbe accorgere: il comparto tecnico fa bruciare le cornee. Non penso che ci siano altre parole per descriverlo, se non terrificante o una vera schifezza, talmente tragico in tutte le sue forme, da compromettere la valutazione totale dell'opera: inesistenti e riciclate ad oltranza le animazioni, appena guardabili forse in due o tre momenti nell'arco dell'intera serie (su tutti il terzo episodio, l'unico ad avere una realizzazione forse appena sufficiente in tale ambito), e di conseguenza ne risente anche la regia di Maejima, che, sebbene cerchi di mascherare tali mancanze con alcune trovate interessanti, non può certamente fare miracoli, e infine catastrofica la CGi, non solo degna dei peggiori titoli dell'epoca PS1 ma anche totalmente fuori luogo quando viene usata (per fare degli esempi, il fuoco della sigla di apertura o i blocchi di ghiaccio che cadono durante il risveglio di Dante). Completa il quadretto tragicomico la censura sul gore, spesso e volentieri realizzata con una fastidiosa oscurazione delle parti incriminate, e "Mao Dante" si guadagna la Palma d'Oro di Peggior Comparto Tecnico degli anni 2000.
Su un'altra lunghezza d'onda, almeno parzialmente, viaggia il comparto audio, caratterizzato da motivetti carini, ma che non riescono spesso a sottolineare a dovere il momento, una bella opening, una splendida ending e degli effetti sonori degni di un anime dei primi anni '70 (sarà questa una citazione al "Devilman" animato?), a volte talmente fuori posto, da suscitare una smorfia di riso in mezzo alle atmosfere truci dell'opera. Menzione d'onore invece all'adattamento italiano, che fa uso di voci ben calate nella loro parte.

Con un po' di budget e cura nel comparto audiovisivo in più ci troveremmo di fronte a un cult nero come la pece, come furono gli OVA di "Devilman" a fine anni '80, invece ci troviamo di fronte a un'opera purtroppo appena sufficiente, intrigante e ottimamente riuscita nei suoi risvolti narrativi, ma minata da un comparto tecnico veramente risibile. Cionondimeno, è vivamente consigliata a chiunque abbia un minimo di pelo sullo stomaco.

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Diciamoci la verità: dopo cinquant'anni dall'uscita nelle sale de “La notte dei morti viventi” (1968) gli zombie ci piacciono ancora tanto. Ormai sono stati proposti un po' in tutte le salse (tanto per citarne una, c'è un film famoso tra gli amanti del trash in cui si parla di “castori zombie”) e sono state studiate un grandissimo numero di possibili varianti rispetto alla situazione base; ma il brivido che sanno ancora suscitare un migliaio di cadaveri ambulanti che assediano un piccolissimo gruppo di persone è ancora molto forte. Ed ecco perché una delle domande che vengono usate più spesso su Facebook da utenti alla ricerca di qualche like o di qualche commento in più è: “dove vorreste trovarvi durante un'apocalisse zombie?”. Eh già, dov'è che vorrei trovarmi?
Devo ammettere che la risposta data da “La Fortezza dell'Apocalisse” non è affatto malvagia: almeno per questa occasione l'idea di trovarsi in una prigione sembra essere rassicurante; in fondo anche “The Walking Dead” ha scelto un complesso di detenzione come una delle location in cui far rifugiare i sopravvissuti alla catastrofe. Rispetto allo show americano, però, questo manga non svuota le carceri prima di farci alloggiare i superstiti ma fa diventare protagonisti della lotta contro gli zombie gli stessi detenuti del carcere. Messa così, però, come posizionamento ci sembrerebbe sicuramente meno rassicurante: oltre a doverci difendere dall'inumano che bussa alle porte di casa dovremmo difenderci anche dall'umano che vive “dentro casa”. Ed allora il sospetto che non aver controllato il livello di benzina dell'auto che doveva aspettarci all'angolo col motore acceso sia stata una grandissima stupidaggine forse tornerebbe prepotentemente di moda nei nostri pensieri.
Ma parliamo di questo “La Fortezza dell'Apocalisse”.
Maeda è un ragazzo come tanti che finisce per essere arrestato e condannato per un reato che non ha commesso. Rinchiuso nell'istituto Shoran, un riformatorio di massima sicurezza in cui sono inviati i peggiori criminali del Giappone; se ciò non bastasse viene assegnato alla stanza n.4, una cella su cui circolano voci decisamente pericolose. Ma non c'è tempo per badare a certe cose, l'apocalisse zombie sta per avere inizio...
La storia raccontata in questo manga può essere analizzata sotto tre diversi aspetti: gli uomini, gli zombie e la lotta fra gli uomini e gli zombie.
La parte migliore di “La fortezza dell'Apocalisse” è il rapporto che lega gli uomini all'interno della storia. Trovare persone che mettano da parte il proprio individualismo per pensare alle esigenze dell'intero gruppo, cosa che sarebbe indispensabile in una situazione del genere, all'interno di un contesto del genere è cosa quasi impossibile; così all'interno del carcere viene instaurata una sorta di violenta dittatura per cercare di governare il caos che ne deriva. Anche così però sarà praticamente impossibile evitare la violenza che nasce dalle rivalità tra i singoli gruppetti.
Il gruppo di Maeda (lui e gli altri membri della stanza n.4) però si rivelerà moralmente diverso e i suoi membri, a dispetto delle apparenze, riusciranno a costruire un legame tra loro che diventerà la loro principale motivazione per continuare a combattere.
La parte peggiore del manga, e so che qualcuno non sarà contento di sentire questo, sono invece gli zombie. Inizialmente troviamo i tradizionali morti viventi e fin qui tutto bene; poi evoluzioni dei tradizionali morti viventi,e fin qui tutto benissimo; infine troviamo... ehm... ma che cavolo sono quei cosi? Migliaia di zombie che si arrampicano gli uni sugli altri per formare delle strane figure. Più che un racconto sui morti viventi sembra un flash mob o la cerimonia di presentazione di una Olimpiade...
La lotta tra uomini e zombie funziona invece a fasi alterne: bene all'inizio, quando si è seguito una linea piuttosto tradizionale; molto bene anche dopo quando gli zombie hanno cominciato a mostrare le prime varianti; molto male alla fine, a causa di queste creature composte di cui parlavo prima che, richiedendo uno stile di disegno molto complesso, hanno reso molto difficile riuscire ad interpretare cosa stesse succedendo in un certo momento. Ricorda, per capirci, un po' lo stile utilizzato da "Gantz" nella sua ultima parte, anche se, ad onor del vero, qui non si raggiunge lo stesso livello di incomprensibilità; anche così, però, il tutto resta molto fastidioso.
Complessivamente, comunque, devo dire che “La Fortezza dell'Apocalisse” mi è piaciuto. Non sarà il massimo nel suo genere ma si tratta comunque di dieci volumetti di buona fattura che si lasciano leggere senza grossi problemi. E' vero che quando cerca di strafare il risultato dello sforzo non è assolutamente soddisfacente; ma bastano comunque le cose normali fatte bene a dare a questo manga la qualità sufficiente per ottenere il mio giudizio positivo.