Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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"Fruits basket" è un manga shojo del ’98, di Natsuki Takaya. La trama, che a primo acchito potrebbe sembrare una banalissima storia d’amore, ha per base la leggenda degli animali dello zodiaco: Dio un giorno chiamò a sé tutti gli animali, per un banchetto, ma solo 12 di essi risposero all’invito. Il topo, inoltre, ingannò il gatto dicendogli che la festa sarebbe stata due giorni dopo, guadagnandosi il titolo di animale prediletto (perché giunto da Dio per primo). La famiglia Sohma è legata a una maledizione, secondo la quale quando i membri vengono abbracciati da una persona del sesso opposto, si trasformano ognuno in uno dei dodici animali dei segni. A scoprire la verità, casualmente, è Tohru Honda, una studentessa che, rimasta orfana e impossibilitata a trasferirsi momentaneamente a casa del nonno, viene invitata a vivere insieme a Yuki e Shigure Sohma, rispettivamente, il topo e il cane dello zodiaco.

Nonostante la primissima trasposizione del manga, risalente al 2001, fosse già di suo piuttosto pregevole e coinvolgente, purtroppo la serie rimase inconclusa, costringendo i fan che se ne erano appassionati ad approcciarsi al manga. Con questa nuova trasposizione (ancora in corso, considerato che manca la terza ed ultima parte, prevista per il 2021), la storia intende, invece, seguire il manga fino alla sua conclusione.

Perché "Fruits basket" è un anime che funziona meravigliosamente, in un panorama di tanti shojo romantici costellati da cliché e stereotipi? Sicuramente il vortice di emozioni che, inevitabilmente, genera negli spettatori, è segno che la serie funzioni nel suo tentativo di far empatizzare i fan coi suoi personaggi. E ciò non può che significare che questi ultimi siano, effettivamente, la componente meglio riuscita dell’opera.
Tohru può sembrare, a prima vista, la classica protagonista sentimentale, sempliciotta e banale: carina, un po’ sfortunata e pasticciona, ma assolutamente piena di buone intenzioni, volenterosa come pochi e che mette sempre il bene altrui prima del proprio. Eppure, Tohru è molto più del centro del labirinto attorno a cui si muovono gli altri personaggi, carichi dei propri sentimenti… Tohru è a tutti gli effetti il catalizzatore che permette la loro crescita e la loro presa di consapevolezza. Con la propria infinita (e quasi inverosimile) gentilezza e bontà d’animo, invoglia i membri dello zodiaco a guardare in faccia le proprie paure, a superare il proprio dolore e ad andare avanti. In particolare, ovviamente, l’effetto lo subiscono Kyo e Yuki che vivono con lei, e che si innamorano, nonostante siano consapevoli di non poterla abbracciare come vorrebbero.
Attraverso Tohru, quindi, assistiamo a una crescita meravigliosa di tutti i personaggi, sia quelli che fanno a tutti gli effetti da indiscussi protagonisti, sia quelli che compaiono in soli pochi episodi, ma di cui vengono tratteggiati benissimo la caratterizzazione e il background. Un esempio di questo secondo caso è, secondo me, il personaggio di Rin, un po’ troppo in secondo piano tra le attenzioni dei fan della serie, ma che risulta essere forse il più doloroso fra tutti.

Il tema della famiglia fa da cardine a buona parte dell’opera, sia nel caso di Tohru (commoventi i momenti in cui la ragazza parla ancora alla madre defunta, portandosi dietro la sua unica foto), sia nel caso di ognuno dei co-protagonisti, che si vedono inaccettati, o addirittura abusati dalle loro famiglie. Fino a raggiungere l’apice, con la figura di Akito, capofamiglia dei Sohma, che rappresenta a tutti gli effetti il “dio” della leggenda. Akito è forse il personaggio più emblematico e misterioso della serie, benché ci sia ancora molto di lui da dire, nella terza parte. Ma è indubbio che le sue azioni, i suoi sguardi, le decisioni prese egoisticamente nei confronti della sua famiglia, agghiaccino lo spettatore, ponendolo in un senso di disagio.
Oltre alla famiglia, naturalmente, un’altra tematica egualmente importante è quella dell’accettazione: ogni membro dello zodiaco lotta (o ha smesso di lottare, prima dell’arrivo di Tohru) per essere accettato da qualcuno, chi da un amore proibito, chi da un semplice amico. Anche Tohru, sotto questo aspetto, risulta un personaggio sofferente.

Dal punto di vista tecnico, abbiamo sicuramente un miglioramento a livello di chara design, rispetto alla serie del 2001, e delle ost delicate che, forse, non rimarranno memorabili, ma che si accompagnano perfettamente alla narrazione.

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Finalmente, in una settimana di ferie, mi sono decisa a impegnarmi a guardare "Kaichou wa Maid-sama!", presente nella mia lista da mesi. Di solito sono scoraggiata dagli anime shojo con più di venti episodi, però, motivata anche dalle recensioni positive e dal periodo non molto movimentato, mi sono decisa a cominciare.
Una delusione infinita. Avrei voluto 'dropparlo' al quinto episodio, ma sono resistita stoicamente, trascinandomi fino al ventiseiesimo, per poter dare un giudizio rotondo e completo, e negativo, dell'opera.

Il concetto base su cui si sviluppa la storia è interessante: il dualismo della protagonista, presidente degli studenti in una scuola superiore e cameriera in un maid cafè. Due cose che potrebbero benissimo non essere in antitesi, se lei non vedesse il suo ruolo di presidente scolastico come un pretesto per ricevere il premio "femminista dell'anno", per poi ritrovarsi ad essere costretta a chiamare "padrone" tutti i clienti (prevalentemente uomini) del locale.
Purtroppo, a reggere la storia raccontata in ventisei episodi (di cui moltissimi, ad onore del vero, completamente inutili e noiosi), esiste solo lei. La storia ruota solo intorno alla protagonista femminile (una tsundere da manuale), relegando il protagonista maschile (il più bello e misterioso mai visto) ad essere quasi una comparsa alla stregua degli altri personaggi.
Usui piace solo in quanto bello (e comunque, lo è davvero), ma per più di venti episodi non si sa nulla di lui: spunta all'improvviso, è bravo in tutto ma senza nessun interesse, non parla quasi mai e, quando lo fa, riesce a dire niente con una tale enfasi da essere spiazzante, quasi quanto Horatio Caine di "CSI: Miami". Ma anche la sua bellezza non è poi così scontata: tutti i ragazzi biondi dell'anime sono tali e quali a lui, cosa che in alcuni momenti li rende difficilmente distinguibili. La cosa positiva di Usui è che almeno non è il solito ragazzo asessuato degli anime, ma è un normale ragazzo di sedici anni 'ormonato', che vorrebbe superare qualche base pur restando un vero gentiluomo (ho tifato veramente per lui, quando le ha alzato la gonna). Per questo motivo viene tacciato dell'appellativo "Alieno pervertito", ma cosa ti aspetti, Misaki?! C'ha sedici anni, sarebbe preoccupante non lo fosse!

Da parte sua, anche la protagonista è bella, una delle più belle protagoniste mai disegnate, a mio avviso. Occhi stupendi, fisico statuario, il taglio di capelli orrendo (peggio di quelli di “Say, «I Love You!»”, dove i tagli di capelli brutti si sprecavano) e con qualcosa che la fa quasi somigliare a "una di noi". Ma una di noi trentenni che lottiamo per fare carriera, sempre con l'acqua alla gola per far quadrare i conti, che fanno due lavori per mantenere la famiglia e che non hanno tempo per pensare alle storielle con il belloccio di turno. Il che non la rende molto vicina a "una di noi" sedicenni in preda alla tempesta ormonale che, malgrado la scuola, i soldi, il lavoro part-time, passano tutto il loro tempo a pensare al ragazzetto del momento. Davvero non capisco perché Misaki non si mette con Usui in cinque episodi, risparmiandocene ventuno. Io ci avrei messo venti minuti a farlo. L'anime sarebbe diventato un OAV di mezz'ora con un sequel altrettanto breve, dove lascio Usui per mettermi con Shirokawa, che trovo quasi simpatico. Dico quasi, perché anche i personaggi complementari (il trio di idioti, le altre maid, il vicepresidente, la sorella, Aoi, ecc.) risultano piatti e poco interessanti. Tutta l'opera si mantiene su un livello che è troppo surreale per rientrare nello slice of life, ma non riesce a creare situazioni surreali divertenti. Anche il sapore vagamente erotico di sottofondo è troppo sfuggente da cogliere. Capisco che il senso erotico nipponico non sia uguale all’occidentale, ma, per rendere più realistica l’opera e più apprezzabile, avrei preferito qualcosa di più, più simile a “Prison School”. A mio avviso, questo avrebbe dato un po’ più di verve alla storia.

La cosa positiva di questo anime è che comincia sempre con la opening e non con quell'inutile parte all'inizio. Questo mi ha permesso di capire fino a che minuto 'skippare', per passare quella lagna noiosa che è spesso una caratteristica degli anime shojo (fatta eccezione per “Paradise Kiss”, che ha la miglior opening-shojo di sempre!). 1 minuto e 42 secondi.
Tuttavia, verso il ventesimo episodio mi sono ritrovata a 'skippare' 1:50... 1:80... 2:00...
Il mio voto non poteva che essere 3.

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L'amore può manifestarsi sotto molteplici forme, da quelle più superficiali e classiche, ad altre, invece, radicali e palesemente esagerate. Il focus delle sue espressioni dovrebbe essere solo uno, quantomeno a livello teorico: l'appartenenza e la protezione al/del proprio partner.

Tuttavia bisogna ammettere che il nostro belloccio, Kyōya, non sappia minimamente cosa significhi amare e preoccuparsi per il prossimo; in effetti, sfrutta la propria bellezza e maschera il suo carattere scontroso e indifferente, pur di riuscire a catturare le attenzioni delle sue coetanee. Tale indifferenza deriva da un particolare episodio accaduto al ragazzo durante la sua infanzia, il quale l'ha traumatizzato al tal punto da odiare qualsiasi manifestazione o espressione d'amore esistente sulla faccia della Terra, seppur lui sia convinto di stare bene e non avere alcun tipo di problema. A sconvolgere la vita del giovane belloccio è la protagonista, Erika, la quale per uno stupido malinteso (mente sull'identità del suo ragazzo per amicarsi alcune sue compagne di classe) ha la fortuna/sfortuna di entrare in relazione con Kyōya. La ragazza comprende fin da subito che tutta quella gentilezza e premura esteriore non sono altro che una terribile menzogna, tuttavia, sia perché oramai intrappolata dalla situazione venutasi a creare, sia perché, diciamocelo, un po' le piace, decide di lanciarsi a bomba nella relazione fittizia.

Personalmente non mi sento di giudicare attraverso una semplice recensione quello che è fuoriuscito dal loro rapporto, in quanto, se dovessimo metterla sul piano oggettivo, qualunque essere umano con un minimo di cervello considererebbe il biondino come un emerito str**** ed Erika come la ragazza più ingenua e masochista del mondo; invece, ponendo la situazione sotto una prospettiva soggettiva, le carte in tavola potrebbero cambiare drasticamente, in quanto è la via che ha deciso di percorrere Erika. Quante volte, durante il corso degli episodi, si è potuto constatare la riluttanza della sua migliore amica, Ayumi, verso la coerenza e verso la stabilità della loro relazione, quante volte Erika è stata definita masochista, quante volte Erika ha sofferto e quante altre volte Erika è scoppiata in lacrime dal dolore? Di fronte a una simile perseveranza qualsiasi individuo resterebbe allibito o a bocca aperta, tuttavia la nostra tenace protagonista non si è arresa ai quei difficili ostacoli che si pongono tra lei e Kyōya.

Fondamentalmente questo aspetto può essere definito come il dilemma esistenziale, la famosa domanda da un milione di dollari della storia, la quale sembra avere anche una sorta di risposta nel corso di questa prima stagione, ma incompleta, poiché esiste una buona parte del manga che ancora non è stata adattata, e di conseguenza lo spettatore è costretto a leggere il manga per rispondere in maniera definitiva a tale interrogativo. Ovviamente non indagheremo su questioni non attinenti all'anime e riguardanti il manga, ma onestamente questo è proprio il sentimento che mi ha lasciato l'opera: incompletezza dal punto di vista narrativo. Oltretutto bisogna precisare che solo le premesse iniziali, a primo impatto, possono sembrare interessanti, in quanto tutto il resto è un lungo cliché prevedibile e scontato che, bene o male, ci saremo aspettati un po' tutti. Addirittura anche l'evento traumatizzante riguardante Kyōya, il quale rappresenta la chiave per interpretare e comprendere i suoi atteggiamenti e comportamenti, nel finale viene banalizzato in una maniera davvero inaspettata.

Ritengo che il comparto grafico non rimarrà negli annali: il character design dei ragazzi è un tantino riciclato su quasi tutti i ragazzi, tralasciando giusto qualche piccolo dettaglio, la fisionomia di Erika troppo banale e infantile, con quegli occhioni giganteschi marroni un altro po' da bambina delle scuole elementari... siamo seri? Le OST e la colonna sonora sono perfette per il tipo di anime a cui ha assistito lo spettatore e nulla da dire sul doppiaggio giapponese... purtroppo solo a fine visione ho scoperto che è stato doppiato anche in italiano!

In conclusione, ci si poteva sicuramente aspettare qualcosina in più dalle premesse iniziali, se poi dobbiamo prendere in considerazione che i produttori hanno realizzato un tredicesimo episodio il quale funge da riassuntone generale della stagione... utilizzarlo per approfondire qualche vicenda e non rendere il tutto troppo velocizzato nel finale, no? Sui personaggi l'autore ha realizzato davvero un ottimo lavoro, precisione ed efficacia sono strumenti molto importanti soprattutto quando le stagioni sono brevi e sorge la necessità di restringere gli archi narrativi. Di conseguenza diviene difficile riuscire a familiarizzare con quasi tutti i personaggi e a comprendere la loro caratterizzazione narrativa e psicologica.
Come ogni tanto mi capita di scrivere nelle mie recensioni, vi lascio con un interrogativo: "Può essere considerato "Amore" quello tra Kyōya ed Erika, vale la pena soffrire e patire tutto quel dolore per la persona che si ama veramente?" A voi la risposta!
Il mio voto finale è 7.