Le nuove avventure di Pinocchio
Vediamola in questo modo: il poliedrico Tatsuo Yoshida, colui che ha ideato il chara realistico quando Kazuo Komatsubara era ancora alle prime armi, ha centrato (quasi) in pieno il vero significato del "Pinocchio" di Collodi (al secolo Carlo Lorenzini), fiaba dissacrante e anticonformista, definita da alcuni dark, fieramente snaturata da Walt Disney per inserire le sue amene canzonette e non trovarsi contro le forbici della censura.
O avevano capito poco, o avevano capito benissimo l'andazzo: quindi, la priorità era moralizzare a tutti i costi. Per gli Americani Pinocchio diventa in questo modo il bugiardo, l'antieroe, colui da non imitare, mentre gli adulti sono eletti a buoni e saggi, depositari della verità. Per lo scrittore fiorentino non è proprio così. I veri impostori e corrotti sono gli uomini, non il burattino di Geppetto, che, secondo la studiosa Daniela Marcheschi, pare non essere troppo contento di divenire un bambino in carne ed ossa (i tre puntini dopo la frase "Come ora son contento di esser diventato un ragazzino perbene!..." la dicono lunga).
I Giapponesi, che non amano modificare troppo le opere originali, mantengono una via di mezzo, e il finale rimane privo del sarcasmo collodiano. Chi altri se non la Tatsunoko, emblema degli anime tristi, effigie delle atmosfere decadenti - quella che non lesinava a infarcire gli episodi di serie TV a prima vista tranquille con decessi, mutilazioni e sevizie che lasciavano sgomenti -, poteva realizzarne una versione dalle sfumature horror (in gran voga a quei tempi, vedi "Yokai Ningen Bem " e "Gegege no Kitaro")? Se non avessi controllato la data di trasmissione di persona, mai e poi mai ci sarei arrivato: nessuno direbbe 1972. La casa dell'ippocampo era all'avanguardia, forse più di chiunque altro, basti pensare alle sinuose movenze di Polymar e alle mirabolanti corse della Mach 5, e inoltre è stato il primo studio nipponico a sperimentare animazioni con l'ausilio di computer (ma solo per brevi sequenze psichedeliche, non certo per il compositing, quello arriverà più tardi). Non ci sono sbavature di colore o difetti nell'utilizzo della multiplane camera, le intercalazioni sono iperfluide e i contorni risultano precisi e puliti; già si lascia intravedere l'elegante tratto di Yoshitaka Amano, futuro braccio destro di Ippei Kuri. I cattivi incutono molta più paura che nella versione disneyana: Mangiafuoco sembra un vero demone, ad avvalorare la tesi che gli adulti possono essere talvolta spietati. Agghiacciante.
Insomma, niente a che vedere con l'altro "Pinocchio" della Nippon Animation, molto più rassicurante, spiritoso e colorato ma anche un po' più noiosetto e ripetitivo. E forse nemmeno con l'inquietante sceneggiato gotico di Comencini, che fa della drammaticità l'elemento portante (non si ride praticamente mai, nonostante la partecipazione di Franco e Ciccio).
O avevano capito poco, o avevano capito benissimo l'andazzo: quindi, la priorità era moralizzare a tutti i costi. Per gli Americani Pinocchio diventa in questo modo il bugiardo, l'antieroe, colui da non imitare, mentre gli adulti sono eletti a buoni e saggi, depositari della verità. Per lo scrittore fiorentino non è proprio così. I veri impostori e corrotti sono gli uomini, non il burattino di Geppetto, che, secondo la studiosa Daniela Marcheschi, pare non essere troppo contento di divenire un bambino in carne ed ossa (i tre puntini dopo la frase "Come ora son contento di esser diventato un ragazzino perbene!..." la dicono lunga).
I Giapponesi, che non amano modificare troppo le opere originali, mantengono una via di mezzo, e il finale rimane privo del sarcasmo collodiano. Chi altri se non la Tatsunoko, emblema degli anime tristi, effigie delle atmosfere decadenti - quella che non lesinava a infarcire gli episodi di serie TV a prima vista tranquille con decessi, mutilazioni e sevizie che lasciavano sgomenti -, poteva realizzarne una versione dalle sfumature horror (in gran voga a quei tempi, vedi "Yokai Ningen Bem " e "Gegege no Kitaro")? Se non avessi controllato la data di trasmissione di persona, mai e poi mai ci sarei arrivato: nessuno direbbe 1972. La casa dell'ippocampo era all'avanguardia, forse più di chiunque altro, basti pensare alle sinuose movenze di Polymar e alle mirabolanti corse della Mach 5, e inoltre è stato il primo studio nipponico a sperimentare animazioni con l'ausilio di computer (ma solo per brevi sequenze psichedeliche, non certo per il compositing, quello arriverà più tardi). Non ci sono sbavature di colore o difetti nell'utilizzo della multiplane camera, le intercalazioni sono iperfluide e i contorni risultano precisi e puliti; già si lascia intravedere l'elegante tratto di Yoshitaka Amano, futuro braccio destro di Ippei Kuri. I cattivi incutono molta più paura che nella versione disneyana: Mangiafuoco sembra un vero demone, ad avvalorare la tesi che gli adulti possono essere talvolta spietati. Agghiacciante.
Insomma, niente a che vedere con l'altro "Pinocchio" della Nippon Animation, molto più rassicurante, spiritoso e colorato ma anche un po' più noiosetto e ripetitivo. E forse nemmeno con l'inquietante sceneggiato gotico di Comencini, che fa della drammaticità l'elemento portante (non si ride praticamente mai, nonostante la partecipazione di Franco e Ciccio).
Ecco il Pinocchio che andava di moda, nelle reti private, nei primi anni'80, durante la prima grande invasione anime italiana. L'anime ha disegni curati, colori splendidi, personaggi stravolti, ma comunque efficaci e un'atmosfera di macabro orrore, tipica dei prodotti favolistici della Tatsunoko Production degli anni '70. "Pinocchio" e "Nonnetto": basta questo botta e risposta fra Pinocchio e Geppetto per farmi immergere nell'atmosfera dell'anime.
I personaggi classici di Collodi si mescolano a quelli inventati, in una girandola di avventure che portano Pinocchio in giro per il mondo (è straziante l'episodio del rapimento del burattino da parte di un mangia-fuoco tutt'altro che buono. Bellissima è, secondo me, la sigla italiana, di molto superiore a quella di Cristina d'Avena del Pinocchio del 1976.
Fra i personaggi più indovinati, oltre alla fata e al Grillo Parlante, è il topino geloso, che fa spesso coppia con Gatto e Volpe. Non me ne vogliano i fan di "Bambino Pinocchio", ma per me, il Pinocchio giapponese più bello è questo.
I personaggi classici di Collodi si mescolano a quelli inventati, in una girandola di avventure che portano Pinocchio in giro per il mondo (è straziante l'episodio del rapimento del burattino da parte di un mangia-fuoco tutt'altro che buono. Bellissima è, secondo me, la sigla italiana, di molto superiore a quella di Cristina d'Avena del Pinocchio del 1976.
Fra i personaggi più indovinati, oltre alla fata e al Grillo Parlante, è il topino geloso, che fa spesso coppia con Gatto e Volpe. Non me ne vogliano i fan di "Bambino Pinocchio", ma per me, il Pinocchio giapponese più bello è questo.
Versione alquanto fantasiosa della favola di Pinocchio, questa serie introduce, oltre ai personaggi che tutti noi conosciamo benissimo (Pinocchio, Geppetto, la fatina, il gatto e la volpe), altri personaggi nuovi, alcuni abbastanza ricorrenti, come il topo, altri che sono praticamente soltanto delle comparse.
Ho visto questa serie molto tempo fa e non ricordo con esattezza quanti episodi ho visto, ma non credo proprio di essere riuscita a vedere la conclusione; in ogni caso, essendo la storia strutturata in episodi autoconclusivi, o comunque poco collegati fra loro, devo dire che mi ha dato emozioni molto variabili: alcuni episodi mi sono piaciuti abbastanza, talvolta erano persino inquietanti, altri erano noiosi..
La caratterizzazione dei personaggi non è per tutti la stessa di quella della favola originale. A parte Geppetto, che mi è parso tipico, come pure lo stesso Pinocchio (che qui però piange davvero troppo, fra lui e Geppetto ogni tanto ti viene davvero il latte alle ginocchia!), Mangiafuoco non è quel bonaccione sensibile che conosciamo, ma un vero demonio senza umanità che ogni tanto torna con pessime intenzioni.
La sigla era gradevole, anche se non è fra le mie preferite.
Voto finale: 6.
Ho visto questa serie molto tempo fa e non ricordo con esattezza quanti episodi ho visto, ma non credo proprio di essere riuscita a vedere la conclusione; in ogni caso, essendo la storia strutturata in episodi autoconclusivi, o comunque poco collegati fra loro, devo dire che mi ha dato emozioni molto variabili: alcuni episodi mi sono piaciuti abbastanza, talvolta erano persino inquietanti, altri erano noiosi..
La caratterizzazione dei personaggi non è per tutti la stessa di quella della favola originale. A parte Geppetto, che mi è parso tipico, come pure lo stesso Pinocchio (che qui però piange davvero troppo, fra lui e Geppetto ogni tanto ti viene davvero il latte alle ginocchia!), Mangiafuoco non è quel bonaccione sensibile che conosciamo, ma un vero demonio senza umanità che ogni tanto torna con pessime intenzioni.
La sigla era gradevole, anche se non è fra le mie preferite.
Voto finale: 6.