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Felpato12

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8,5
Personalmente, e senza tener conto di “Earwig e la strega” (mi perdonerà Goro Miyazaki), la visione di “Pioggia di ricordi” di Isao Takahata coincide con la chiusura, quasi definitiva, del mio conto in sospeso con lo Studio Ghibli. Diverso tempo fa oramai, decisi di prendere visione di tutti i film dello studio d’animazione che fa capo al grande Hayao Miyazaki, iniziando un viaggio la cui meta finale è il rewatch de “Il Castello Errante di Howl”, primo film che ho visto del sensei e che mi ha avvicinato all’universo stupendo e sconfinato dello Studio Ghibli. Sono trascorsi quasi tre anni da quando ho iniziato questo percorso, con la visione de “La città Incantata”, e, oggi, mi sono ritrovato a superare l’ultimo “ostacolo”, ovvero “Pioggia di ricordi”.

Largamente ispirato al manga omonimo di Hotaru Okamoto e Yūko Tone, il film, diretto da Isao Takahata e prodotto da Toshio Suzuki, è stato proiettato per la prima volta in Giappone il 20 luglio 1991, ormai più di trent’anni fa. Ancora oggi, “Pioggia di ricordi” è ritenuto una tappa importante per i lungometraggi anime, soprattutto per l'originalità della tematica proposta, dal momento che la vita sentimentale di una office lady di quasi trent'anni era e tuttora è un soggetto piuttosto insolito per un film di animazione. “Pioggia di ricordi” esplora un genere che all’epoca si pensava tradizionalmente non adatto all'animazione: un dramma realistico scritto per gli adulti, indirizzato soprattutto alle donne. Il lungometraggio, tuttavia, ebbe un ottimo successo ai botteghini giapponesi, risultando il film nipponico campione d'incassi del 1991.

Nel 1982, Taeko Okajima è una donna di ventisette anni, single, che ha vissuto tutta la sua vita a Tokyo, dove lavora come impiegata di un'azienda. Come l'anno precedente, decide di fare un viaggio in campagna, per visitare la famiglia del fratello del cognato e aiutare nella raccolta del cartamo, fuggendo così dalla frenetica vita di città. Mentre viaggia di notte in treno verso Yamagata, inizia a ricordare la sua infanzia, della scolaretta che era nel 1966 e del suo intenso desiderio di andare in vacanza come le sue compagne, che avevano tutte dei parenti fuori dalla grande città. Inizia così questo viaggio a cavallo tra il presente e il passato, due dimensioni che in più frangenti sembrano fondersi in una sola.

Nei video motivazionali che mi capitano a frotte su Instagram, si dice spesso che per realizzarsi nella vita bisogna concentrarsi sul presente e tenere costantemente l’occhio puntato al futuro. Nulla di più in contrasto con quella che è la mia filosofia di vita. Per quel che mi riguarda, il passato è una parte fondamentale dell’esistenza di ogni uomo e donna. Questo lo sa bene Taeko, la protagonista di “Pioggia di ricordi”, un film interamente basato sull’alternanza tra due diversi piani temporali: passato e presente. Nel presente, Taeko è una donna di quasi trent’anni che ancora deve trovare la sua via. Un lavoro ce l’ha, ma non sembra soddisfarla più di tanto, così come la vita di città, e di sposarsi non ne vuole proprio sapere. Il presente di Taeko, per usare un eufemismo, è incerto. Stesso dicasi, chiaramente, per il futuro. Forse, proprio per questo motivo, in viaggio sul treno verso Yamagata, consapevole del fatto che la sua vita non abbia preso la piega desiderata, Taeko comincia a ricordare il passato, più precisamente il periodo della quinta elementare. Al pari di ciò che la indurrebbe a fare uno psicologo, Taeko volge indietro il suo sguardo, come a voler cercare le possibili motivazioni che l’hanno portata lì dove si trova adesso. In molti dei momenti in cui il focus è tutto concentrato sulla Taeko bambina, il film assume dei toni certamente nostalgici, ma, il più delle volte, patetici. Taeko, all’epoca della quinta elementare, vive un momento cruciale della propria vita, in cui comincia a conoscere il suo corpo, a scoprire l’interesse per i ragazzi e ad entrare in conflitto con le sorelle maggiori. La famiglia di Taeko non se la passa male, ma, come da usanza, la bambina vede spesso passarle di mano oggetti e indumenti precedentemente appartenuti alle sue sorelle, e questo non le va molto a genio. Inoltre, Taeko, da buona sorella minore, è una bambina viziata, a cui il padre, unico uomo di casa, concede quasi sempre tutto. D’altro canto, il padre, autentico martire di una famiglia interamente composta da donne, è un uomo tutto d’un pezzo, a cui non si deve assolutamente mancare di rispetto e che non bisogna mai far alterare, e questo Taeko lo sa molto bene. “Pioggia di ricordi” offre, quindi, uno spaccato realistico di una famiglia giapponese degli anni ’60, con le sue dinamiche interne e sfaccettature, ricordandomi in questo “I miei vicini Yamada” dello stesso Isao Takahata. Ed è interessante notare come, in entrambe le pellicole, ci sia la nonna, un personaggio grandioso, membro della vecchia guardia, che ho particolarmente apprezzato, perché parla poco e dice sempre cose giuste. In questo quadro, dove a fare da sfondo sono la casa e la scuola elementare, assistiamo a pochi momenti della vita infantile di Taeko, della cui importanza, però, la ragazza si rende conto soltanto nel presente. Takahata ci suggerisce che, se questi ricordi non fossero stati realmente importanti, sarebbero rimasti nell’inconscio di Taeko, invece di riemergere in superficie.

Dunque, nel passato, Taeko cerca e trova risposte per il presente, in cui si allontana dalla vita di città, per trascorrere qualche giorno in campagna, dove conosce il semplice e solare Toshio, fanatico dell’agricoltura biologica, che fa uno dei discorsi sulla natura più interessanti che abbia mai ascoltato. La campagna è bella e affascinante, soprattutto per chi viene dalla città. Elogiarla, però, significa anche esaltare gli sforzi dell’uomo. La campagna si presenta in un certo modo, fiorente e rigogliosa nel film, perché gli uomini, per generazioni, vi hanno lavorato con dedizione, fino a plasmarla in ciò che è oggi. La campagna è questo connubio perfetto tra natura e uomo, di cui spesso Takahata e Miyazaki ci hanno parlato nei rispettivi film. Un autentico inno, dunque, quello del regista giapponese. Una breve parentesi in cui ci parla di un argomento a lui molto caro. Il presente di Taeko è scialbo, perché tante cose non girano nel verso giusto. Forse, e dico forse, la ragione di ciò, non tutta ma una parte, la si può quindi ritrovare nel passato, quando Taeko era una bambina viziata, sempre troppo distratta e con la testa fra le nuvole. Eppure, per citare il grande maestro Oogway, ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono, per questo si chiama presente. Il presente è adesso e va vissuto senza rimorsi, indipendentemente da ciò che è stato e ciò che sarà. Questo Taeko arriva a comprenderlo alla fine del film, impreziosito da una scena finale di una bellezza rara e sconcertante, una delle migliori che io ricordi in assoluto, in cui i due piani temporali, per la prima e unica volta, si sovrappongono fino a diventare tutt’uno. Perché, è bene ricordarlo, non può esistere il presente senza il passato e viceversa.

Tecnicamente, il film è superbo. L’idea di alternare i fondali bianchi e poco delineati del passato con quelli chiari e pieni, in cui dominano i colori verde e azzurro, del presente l’ho trovata a dir poco geniale, come a voler suggerire che i ricordi di Taeko siano leggermente sbiaditi. Solo la casa familiare, infatti, appare perfettamente delineata. I disegni sono di grandissima fattura, così come le animazioni, e ancora mi stupisce l’attenzione maniacale ai dettagli, grande leitmotiv dello Studio Ghibli, come il particolare della rugiada sulle foglie di cartamo. Pregevole la regia di Takahata, molto abile nell’ampliare e perfezionare la storia originale di partenza. Molto buone anche le musiche, per quanto, a mio avviso, si senta la mancanza dell’intramontabile Joe Hisaishi.

Chiusa finale. Mi raccomando, vedetevi “Pioggia di ricordi”. Non ne resterete delusi.


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Pan Daemonium

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8
Arrivati alla soglia dei trent'anni, le memorie davvero cadono spesso giù dal cielo inaspettate, solitamente non volute. Alla protagonista, sperduta un po' nella vita della grande Tokyo, accade lo stesso. Torna ad essere bambina, ad avere dieci anni. I suoi compagni di scuola la accompagnano via via nel viaggio che compie nelle campagne giapponesi, viaggio sia di lavoro che di piacere, ma fittizio, come molte di queste scampagnate che spesso facciamo per convincerci di avere ancora una liaison con un mondo naturale che, d'altronde, naturale non è. Lo spirito ambientalista, anti-urbano dello Studio Ghibli è anche qui ovviamente preponderante e la vita rustica è sicuramente idealizzata, ma se ne sottolineano anche le difficoltà, le mancanze, la solitudine che necessariamente attende chi si dedicherà ad un modus vivendi ormai retrogrado e superato. Non solo, Takahata ci ricorda che la conformazione dei panorami, del bello che vediamo nella natura georgica, è comunque frutto di antropizzazione, prodotto della tecnica di generazioni di lavoratori, sudore concretizzato e naturalizzato. Il film può risultare un po' lento e non sempre colpisce con un colpo allo stomaco, ma spesso lascia un sorriso dolceamaro, soprattutto quando si passa dai ricordi sfocati, dai colori pastello un po' sbiaditi, al volto serio della protagonista, che quei ricordi li sta producendo e vivendo nello stesso momento. Tanti dei dettagli della vita adolescenziale della protagonista non sono svolti. Non sapremo mai del suo primo amore, non sapremo mai di tante cose. D'altronde i ricordi arrivano così, a pezzi. Così come gli amori, come le persone, essi arrivano e velocemente spariscono, lasciando solo il ricordo di sé stessi, una scia profumata di muschio e nostalgia. Il finale, in cui i due mondi si riuniscono, sia quello della città che quello della campagna, sia quello del passato che del presente, lascia a bocca aperta.

Shiryu of Dragon

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8,5
Il mio rapporto con i film dello Studio Ghibli è sempre stato complesso, e per quanto io apprezzi le idee di Miyazaki, a volte tendo a preferire i film scritti da Takahata, che era forse un regista meno bonaccione e un po' meno utopista rispetto al collega.

Nel caso specifico, "Pioggia di ricordi" è senza dubbio uno dei migliori slice of life che ho avuto occasione di vedere, se non il migliore in assoluto, per molteplici motivi.
Fin dalla sigla di apertura colpiscono le musiche di alto livello. Esse sono parte integrante dello spirito di questo film. Tra le altre cose, fanno anche da colonna sonora all'ambientazione stessa, ovvero la campagna giapponese. L'espressività dei personaggi è molto vera: spesso e volentieri, gli anime e i manga raffigurano dei personaggi che in un certo qual senso sono attori, e in quanto tali recitano la loro parte. Per quanto in tal modo sia comunque possibile esprimere emozioni e pensieri in modo assai incisivo, qui invece ho avuto l'impressione che i personaggi non fossero degli attori, ma delle persone vere. Talmente vere che è facile per lo spettatore trovare frammenti del proprio vissuto, e guardare il film mantenendosi sulla giusta lunghezza d'onda. Ed è esattamente quello che un vero e proprio slice of life dovrebbe fare.
L'assoluta assenza di azione può rendere questo film un po' difficile da seguire. In un prodotto di questo genere la noia è sempre dietro l'angolo, ma, per quanto mi riguarda, non l'ho trovato noioso e la sua staticità non mi ha pesato. L'intreccio fra passato e presente rende il tutto più interessante, in più tale intreccio non è costruito al solo scopo narrativo, ma ha in sé anche simbolismi che fanno meglio intendere il mondo interiore di Taeko.
Interessante come viene esplorato e concepito il mondo agricolo, in contrapposizione a una metropoli come Tokyo: entrambi sono ambienti creati dall'uomo, ma nel primo è conferito maggior respiro alla natura. Da questa prospettiva, "Pioggia di ricordi" prende una piega ecologista, ma lo fa senza mai uscire dai parametri del proprio realismo, e ponendo la protagonista davanti a un bivio. Da un certo punto di vista è un romanzo di formazione, anche se il registro è più maturo in confronto al predecessore "Kiki - Consegne a domicilio".

La grafica è quella di alto livello a cui lo Studio Ghibli ci ha abituati, i fondali sono spettacolari e vi è quel character design morbido, semplice e aggraziato che ha caratterizzato anche i film diretti da Miyazaki. Per quanto riguarda le animazioni, si nota che sono datate e un po' altalenanti, ma non tanto da compromettere la visione di questo splendido lungometraggio. Naturalmente, se il genere non fa per voi, ve lo sconsiglio, ma secondo me questo è cinema d'animazione di grande pregio.

Kabutomaru

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Nella memoria collettiva, ma anche purtroppo da parte della critica ufficiale, il cinema di Isao Takahata resterà sempre l'eterno secondo rispetto a quello del più celebrato quanto osannato collega Hayao Miyazaki, ma evidentemente al regista di essere considerato un "numero 2" non è mai importato più di tanto, specie perché il suo cinema è molto meno improntato alla ricezione immediata e più un'esigenza comunicativa da esprimere quando aveva effettivamente qualcosa da dire. A tre anni di distanza dal capolavoro "Una tomba per le lucciole" (1988), il mai troppo compianto Takahata sforna quello che risulta essere a tutti gli effetti, insieme a "La storia della principessa splendente" (2013), l'altro suo capolavoro assoluto; vale a dire "Pioggia di ricordi" (1991), uno dei più grandi film della storia del cinema e base dal punto di vista tecnico-stilistico di tutta la sperimentazione che si potrà ritrovare nelle sue opere successive.
Siamo innanzi a un film di formazione, costruito con un articolato meccanismo di flashback della vita della ventisettenne impiegata Taeko (io-narrante della storia), che si alterna tra i ricordi degli anni '60, quando la protagonista aveva dieci anni, e un presente negli anni '80, in cui oramai, divenuta adulta, si appresta a compiere un soggiorno in campagna presso la famiglia del cognato, aiutando quest'ultima nella raccolta del cartamo e facendo conoscenza al contempo di Toshio, un uomo dedito allo studio e allo sviluppo dell'agricoltura biologica, come nuovo metodo di coltivazione, che in realtà simbolicamente vuole porsi anche come baluardo della conservazione della simbiosi faticosa quanto laboriosa delle antiche tradizioni del Giappone, minacciate dal capitalismo industriale sempre più crescente, tematica molto cara al regista.
A una lettura poco attenta del film, verrebbe subito da giudicarlo come una banale quanto semplicistica reprimenda della vita alienante di città e la riscoperta della campagna come eden bucolico in cui sviluppare sé stessi; nulla di più sbagliato, se come Taeko si può restare superficialmente estasiati innanzi al paesaggio che si pone innanzi agli occhi rispetto al grigiore della metropoli urbana di Tokyo (lo sono stato anch'io quando visitai il Giappone qualche anno orsono), Toshio argutamente replica come in realtà la vista della campagna non è altro che una simbiosi tra uomo e natura, e in quanto tale una creazione artificiale dei contadini che hanno sgobbato e lavorato duramente per esso. Da qui la conseguenza di come la felicità non esista di per sé dal nulla, come se fosse un qualcosa da trovare, ma deve passare per un laborioso lavoro da parte dell'individuo, il che facilmente si lega con il flusso ininterrotto di ricordi di Taeko, che, per creare la propria felicità presente, deve necessariamente prendere coscienza delle irrisolte problematiche sopite nella propria psiche e perse nelle pieghe del tempo, probabilmente quando aveva dieci anni e frequentava le elementari, e viveva con il proprio nucleo famigliare composto dai genitori, la nonna e le sorelle maggiori Nanako e Yaeko.

Takahata, tramite un montaggio ellittico o per sovrapposizioni emotive, fonde i piani temporali del presente e del passato, unendo il flusso dei ricordi senza generare confusione e con una sensazione di "linearità" sconcertante, nonostante le insite difficoltà nell'uso di tale tecnica e l'uso pretestuoso che specie dagli anni 2000 se ne è fatto. La ricchezza dei fondali in cui è immersa Taeko negli anni '80 sfuma invece nel bianco ovattato dei ricordi degli anni '60, con le sue notevoli evoluzioni sociali e di costume (programmi TV, film, fenomeni musicali come i Beatles etc.), specie nelle sequenze ambientate in esterna, di cui Taeko evidentemente fatica a rammentare i dettagli, concentrandosi invece solo sul nucleo emotivo, risultando in contrasto invece con la sua casa d'infanzia della quale ricorda perfettamente la composizione. Assisteremo così agli eventi quotidiani più importanti dal punto di vista della crescita emotiva della donna, come la prima cotta per un compagno di scuola che giocava a baseball o un rapporto poco empatico con il padre sempre freddo e distaccato, tanto da essere un vero e proprio anaffettivo emotivo dal punto di vista della protagonista. Takahata narra la quotidianità con uno scandaglio psicologico sorprendente, senza scadere nel cronachismo manierista, riuscendo a donare incisività ad ogni frammento di questi ricordi che si susseguono in modo frammentato e scomposto, come lo è d'altronde la vita di ogni essere umano, un qualcosa di irrazionale e contorto, un puzzle esistenziale al quale ognuno tenterà di dare una propria forma, come cerca arduamente di fare Taeko in cerca di spiegazioni del perché è giunta ad essere la donna che è oggi, cercando la risposta negli strappi emotivi del passato, rovistando tra le rimembranze per i vizi relativi al cibo, l'ostinazione nel mangiare un cibo che non piace, la vergogna sui discorsi riguardanti il ciclo mestruale, il primo (e unico) ceffone datole dal padre e infine una carriera da "star mancata" mai intrapresa per la negazione del padre, ma che in realtà mai sarebbe andata in porto per mancanza delle necessarie doti.

Taeko ricorda e narra tutti questi avvenimenti con malcelata sofferenza, trincerandosi dietro le buone maniere e un sorriso artificioso, temendo fortemente che qualcuno possa scorgere le sue fragilità dietro la facciata perbenista da ella auto-impostasi; la strada intrapresa dalla donna non potrà che portarla a vivere in modo sempre più alienato, prigioniera delle sovrastrutture della moderna società di massa, sempre eterodiretta dagli altri e con la solita scusa delle proprie mancanze per colpa delle sorelle o dei genitori, quando in realtà Takeo è solo un'ipocrita incapace di ammettere a sé stessa che mai ce l'avrebbe fatta a concretizzare le proprie fantasie adolescenziali, rimanendo ancorata nella propria convinzione fino alla fine, finché un giorno, oramai sola e anziana seduta sul divano e ipnotizzata dalla TV, avrebbe finito con il rimuovere dalla memoria tale senso di colpa, auto-assolvendosi completamente.
Giunta a ventisette anni, Taeko è vicina ad uno di quei bivi posti innanzi dalla vita: continuare a rivangare il passato oppure risolvere le proprie contraddizioni esistenziali, prendendo in mano la propria vita e costruendo il proprio avvenire, magari sposandosi anche, ma non per via dell'insistenza delle proprie sorelle o per il sentire sociale, ma per libera scelta personale. Però, come il bruco prima di diventare farfalla, deve passare per la fase della crisalide, Takeo deve dare una forma al puzzle della propria vita; in questo le viene in aiuto Toshio, il quale riscuote la simpatia del regista, perché, pur essendo più giovane della donna, nel suo essere un carattere sempliciotto ha evidentemente risolto i propri conflitti emotivi senza lagnarsi per una felicità che deve cascargli dall'alto così dal nulla, ma decide di lavorare sodo, rischiando in prima persona per raggiungere essa. Nelle sue confessioni durante le quali Takeo si apre sempre più, Takahata pone l'inquadratura a tre quarti, facendo collimare nella medesima inquadratura sia il volto di Takeo che quello di Toshio; il viso di quest'ultimo si sovrappone parzialmente a quello della donna, simboleggiando in modo efficace una risonanza emotiva con la donna ma anche un'interessante sottolineatura psicanalitica dell'universalità della condizione umana di Taeko, rispetto allo spettatore non solo del Giappone, ma di tutto il mondo, il quale potrà facilmente identificarsi nel momento delicato della donna, perché il travaglio psicologico di Takeo ha natura universale, quindi facilmente identificabile da chiunque, perché siamo tutti protesi in avanti a cercare un fine, quando esso in realtà andrebbe creato guardandosi indietro. Quindi la conclusione coincide con l'inizio, giungendo a collimare tra loro nello strepitoso climax finale dall'alto tasso di poesia emotiva, nel quale Takahata si apre a una positività che era totalmente assente nel precedente "Una tomba per le lucciole", confezionando un capolavoro assoluto fortunatamente compreso dal pubblico solitamente bue (il più grande successo del 1991 in Giappone), ma giunto estremamente in ritardo qui da noi, riscuotendo fortunatamente il favore della critica nostrana (quattro stelle Mereghetti), venendo purtroppo martoriato da un adattamento abbastanza inascoltabile di Cannarsi, al quale mai verrà posto rimedio (i sottotitoli sono uguali al doppiaggio italiano).


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whitestrider

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8
Isao Takahata nella sua lunghissima carriera (in attività dal lontano 1961) ha lavorato a tantissimi anime diversi, a partire da "GeGeGe no Kitarō", "Lupin III", "Heidi", "Flanders no Inu", "Conan ragazzo del futuro", "Anna dai capelli rossi"; dagli anni '70 in poi ha cominciato a collaborare con il noto Hayao Miyazaki, in opere come "Panda! Go, Panda!", ed è stato il produttore di film celeberrimi come "Nausicaa" e "Laputa", ma non solo, è stato regista di capolavori come "Una tomba per le lucciole" e il più recente "La storia della principessa splendente", nonché di altri film come "Pompoko" e "I miei vicini Yamada". Tra le opere meno note figura anche questo lungometraggio, che finalmente sono riuscito a recuperare di recente. Rispetto a molti altri film dello studio Ghibli in questo caso non abbiamo storie fantastiche, non abbiamo protagonisti a cui ne capitano di tutti i colori, è una storia semplice e con i piedi per terra, cosa che potrebbe non piacere a molti, soprattutto ai più giovani.

La protagonista è Taeko, donna ormai vicina ai trent'anni, una office lady come tante nel Giappone anni '80, che, approfittando di un periodo di ferie relativamente lungo, decide di passarlo in campagna da parenti, lavorando nei campi e adeguandosi ai ritmi differenti del posto. Il periodo di vacanza le riporta alla mente la sua infanzia, i tempi più spensierati di quando la protagonista frequentava ancora le scuole elementari: le prime cotte, le difficoltà con le frazioni (e chi non ha avuto difficoltà con le frazioni?), i sogni di diventare attrice (rimasti sogni), e così via. Rimpianti, ricordi belli, ricordi brutti, come un po' tutti, e alla fine della vacanza sarà anche il momento di tirare le somme della propria vita fino a quel momento: la felicità può venire solo da un posto di lavoro comodo nella grande città oppure si può trovare anche in luoghi con meno comodità (ma con meno stress)? Chiaramente la risposta può cambiare da persona a persona, ma il messaggio che vuole trasmettere questo film è che non bisogna aver timore di affrontare il cambiamento, se si vuole ottenere la "vera" felicità, la vera soddisfazione personale.

Curiosamente questo film è tratto da un manga di tre volumi, che però parla solo degli episodi della fanciullezza della protagonista, mentre l'idea di introdurre la protagonista cresciuta è venuta al regista Takahata stesso, e si può dire che sia stata un'ottima idea. Pare che questo film ebbe parecchio successo in Giappone tra le donne coetanee (o quasi) della protagonista, ma in generale riuscì ad attrarre un vasto pubblico adulto, tanto da risultare il film campione di incassi in patria in quell'anno (1991).

E' sicuramente un film da vedere, in particolar modo se si ha superato la maggiore età da un bel pezzo, visto che bambini e adolescenti finirebbero per annoiarsi (soprattutto i bambini, come ho potuto appurare). D'altro canto il target di un film d'animazione non è sempre lo stesso: per quanto sul retro della custodia del DVD o BluRay si possa leggere "per tutti", ciò non significa che lo sia per davvero, o almeno non significa che anche gli spettatori più giovani riescano ad apprezzare quel film.


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Eoin

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8
“Pioggia di ricordi” (titolo originale “Omohide Poro Poro") è un film d’animazione scritto e diretto da Isao Takahata e tratto dall'omonimo manga di Hotaru Okamoto e Yūko Tone. Uscito nelle sale nipponiche nel 1991, è stato distribuito in Italia direttamente per il mercato home video dalla Lucky Red solo nel 2015.

Trama: Taeko Okajima è un’impiegata ventisettenne residente a Tokyo che si concede dieci giorni di vacanza, da trascorrere a Yamagata da alcuni parenti agricoltori, per partecipare alla raccolta dei cartami. Il viaggio in treno verso la sua meta e l’incontro con Toshio, fervente sostenitore della coltivazione biologica, le forniranno l’occasione perfetta per rievocare i ricordi di alcuni momenti salienti della sua infanzia e per riflettere sulla sua vita attuale e le sue aspirazioni.

Il lungometraggio si sviluppa intrecciando due linee temporali strettamente connesse: quella della Taeko decenne e quella della Taeko adulta, destreggiandosi tra memorie, sogni, vecchi racconti.
Ci viene mostrato come ogni significativo evento della vita di una bambina di scuola elementare si sia poi ripercosso nel modo in cui una persona matura affronta la vita di ogni giorno: la pubertà, la prima confessione romantica, i capricci, le delusioni, i rimproveri, sono tutti elementi imprescindibili per la comprensione accurata della personalità dell’adulta di oggi.
La Taeko che frequenta le elementari è una bambina a volte insincera e volubile, viziata e capricciosa. Eppure, emerge in svariate occasioni la sua sofferenza per la rigidezza dell’ambiente famigliare, per il continuo confronto con le due sorelle maggiori, brillanti e realizzate, per un padre che le impedisce di seguire le sue fantasie (per quanto infantili), per una madre combattuta tra la considerazione sociale, il rispetto delle decisioni del marito e il desiderio di rendere felice la propria bambina. Taeko, il cui valore è dunque costantemente messo in dubbio, ha, al contrario, difficoltà ad approcciarsi al mondo esterno e alle sue regole in maniera acritica, ponendosi mille problemi esistenziali persino affrontando banali esercizi di matematica. Non mancano nemmeno alcune situazioni piuttosto traumatiche su cui, a mio parere, si glissa con troppa spensieratezza.
Il risultato di una simile infanzia è una donna in parte insoddisfatta, che sfugge dai ritmi frenetici della città e da un lavoro non orrendo ma probabilmente tediante, per immergersi nel microcosmo del Giappone rurale, fatto di calorosa accoglienza e sane tradizioni, un mondo di cui sa relativamente poco, ma che da tempo esercita su di lei una considerevole forza attrattiva.
Il ripercorrere le tappe fondamentali del suo passato le permette di meditare su sé stessa, sulle menzogne (vecchie e attuali) che si racconta, su ciò che realmente desidera, sul modo in cui costruisce rapporti affettivi con gli altri.
Qui sta la grandezza di questo film: nella sua semplicità e nel suo realismo, la storia è applicabile a chiunque. Taeko è una ragazzina di buona famiglia, a scuola è mediocre, non eccezionalmente brava ma nemmeno eccezionalmente incompetente, non ha un temperamento particolarmente ribelle, è una bambina come tantissime altre. Lo stesso vale per la sua controparte matura, che conduce la propria esistenza come decine di migliaia di altri Giapponesi suoi coetanei, rendendo la possibilità di immedesimarsi con la protagonista più che concreta.
Se la Taeko studentessa può sembrare a tratti antipatica per le sue bizze, la Taeko ventisettenne è straordinariamente realistica e semplice: adorabilmente impacciata nelle sue relazioni interpersonali, è una giovane donna che non si può non prendere in simpatia.
Le tribolazioni interiori del personaggio principale, poi, costituiscono un parallelismo con il progressivo spopolamento delle campagne nipponiche, da cui i giovani fuggono in cerca di quel modello di successo personale proposto da una società materialistica e consumistica. Le idee dell’autore al riguardo sono probabilmente espresse dalle determinate ed entusiastiche parole di Toshio, che esalta il ritorno alla terra, ai prodotti naturali e alle salutari tradizioni del passato.

La componente tecnica è superlativa, come sempre. Le animazioni sono fluide e molto curate, specialmente per quanto riguarda le espressioni facciali dei personaggi: impossibile non apprezzare la resa dei connotati della protagonista, di come solleva gli zigomi e arriccia il naso quando sorride goffamente. Il character design è decisamente variegato e piuttosto semplice, non sempre proporzionato, ma gradevole nel complesso. Una particolarità, rispetto ai precedenti lavori dello Studio Ghibli, è il ricorso a tratti e segni associabili a un quasi-deformed, oltre al diverso stile grafico utilizzato nelle sequenze oniriche e fantasiose. Le ambientazioni sono meravigliose e iper-dettagliate, sia in relazione agli scenari urbani e antropizzati che a quelli naturali, e sono dipinte con pregevole maestria, ricorrendo a colori morbidi e poco aggressivi.
La colonna sonora è orecchiabile e piacevole e conta brani di provenienza non solo giapponese, ma anche dell’Est Europa e persino uno nostrano. Tralasciando le interpretazioni vocali di alcuni dei compagni di classe della Taeko piccina, il doppiaggio e l’adattamento italiani si rivelano molto espressivi e di ottimo livello.

Il titolo “Pioggia di ricordi” suggerisce alla perfezione la spontaneità con cui le numerose memorie di Taeko riaffiorano, sfruttando ogni minimo stimolo esterno per spingerla a riflettere su cosa sia davvero importante per lei, costringendola ad affrontare i traumi dell’infanzia e a rimuovere la maschera di ipocrisia dietro la quale, per anni, si è adeguata a ciò che la società odierna si aspettava da lei, autoconvincendosi che si trattasse della cosa giusta da fare.
Il film si configura come un magistrale e coinvolgente racconto di profonda introspezione che suggerisce al pubblico di porsi delle domande, di cercare la vera felicità nei propri desideri e nelle proprie aspirazioni, puntando a una sincera realizzazione personale e non alla soddisfazione dei requisiti imposti dal mondo contemporaneo. Solo così potremo ricevere la benedizione del nostro io passato, il quale, anziché perseguitarci accompagnato dai nostri sogni e sentimenti repressi, ci osserverà con un sorriso mentre ci incamminiamo sulla nostra strada, verso un futuro forse non necessariamente radioso, ma quantomeno autenticamente nostro.


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Evelyn

Episodi visti: 1/1 --- Voto 6
Di solito l'animazione dello studio Ghibli mi entusiasma sempre e non mi delude mai, ma il film "Pioggia di ricordi" non mi è particolarmente piaciuto.

Taeko è una ragazza nata cresciuta in città e da bambina desiderava ardentemente poter andare in vacanza in campagna con la sua famiglia, magari a casa della nonnina con le sue compagne di scuola, ma purtroppo la nonna vive con la famiglia in città. Allora, diventata ormai adulta e single, decide di trascorrere le ferie estive in campagna, ospite di alcuni lontani parenti, che aiuta con la coltivazione, la cura delle terre e tutto ciò che riguarda la vita di campagna.

La particolarità della storia è che dall'inizio del suo viaggio Taeko rivive nella sua testa tutti i ricordi che ha, belli e brutti, della Taeko di dieci anni che frequenta la scuola elementare. Quindi c'è un mix di presente e passato, e devo dire che mi è piaciuta molto di più la Taeko piccolina: era una bambina bellissima, molto curiosa e viziata, cosa che la Taeko adulta riconosce. Insomma, le vicende della Taeko bambina sono molto più divertenti e dolci rispetto alla controparte adulta, perfino la "storia d'amore". E' più emozionante la prima cotta della bimba di dieci anni che l'amicizia ambigua tra Taeko trentenne e il simpatico contadino, che non si capisce se a lei piace e gli dà corda solo perché ha trent'anni ed è sola. Lui è cotto, ma lei? Neanche nel finale si capisce bene come va a finire il tutto... rimane in campagna per amore o per la campagna?

Parlando poi dei disegni, non mi sono piaciuti. Sembrano tutti un po' simili e quasi trascurati, soprattutto la protagonista. Molto carina invece la colonna sonora.

Complessivamente non è un film che mi è piaciuto e di certo non è il migliore dello studio Ghibli, e un po' mi ha annoiato (cosa difficile per film di questo genere). Non tutto può essere perfetto! Vale la pena di essere visto solo per la Taeko bimba e per la sua famiglia.


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bob71

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Lo Studio Ghibli, riconosciuto come una delle più prestigiose realtà del mondo dell'animazione, ha fra i suoi principali meriti l'aver contribuito a sdoganare gli anime giapponesi oltre i confini nazionali, dopo che per troppo tempo i pregiudizi e la scarsa appetibilità commerciale di alcune opere ne avevano frenato l'esportazione. Fra i titoli che hanno sofferto per anni il ritardo della grande distribuzione occidentale rientra "Pioggia di ricordi" ("Omohide poroporo"), lungometraggio scritto e diretto da Isao Takahata, basato sull'omonimo manga di Hotaru Okamoto e Yuko Tone. Prodotto da Toshio Suzuki e Hayao Miyazaki, il film viene proiettato per la prima volta in Giappone nel 1991 ottenendo un buon successo di pubblico e, dopo ventisei anni, viene finalmente portato in Italia da Lucky Red che pubblica un'edizione per il mercato home video con un nuovo adattamento dei dialoghi e relativo doppiaggio curati da Gualtiero Cannarsi.

Nell'ambito del catalogo Ghibli, "Pioggia di ricordi" è la seconda opera firmata da Isao Takahata. Il suo precedente lungometraggio, "Una tomba per le lucciole" ("Hotaru no Haka", 1988), aveva dimostrato come l'animazione fosse in grado di affrontare tematiche serie e adulte con la stessa veridicità del cinema dal vivo; la sua visione è spiazzante, colpisce con il suo pathos e il suo dramma poetico. "Pioggia di ricordi" porta all'apice il realismo, ma a commuovere sono soprattutto la sua intimità e la sua grazia, il suo essere piccolo e vicino. Rappresenta uno dei risultati più alti della carriera di Takahata e condensa in sé molte caratteristiche di uno stile che l'autore ha sviluppato nel corso degli anni, con particolare riferimento alla gloriosa stagione del World Masterpiece Theater, quando i suoi lavori hanno gettato una ventata di aria fresca nel panorama televisivo mondiale.

Takahata incarna l'anima intellettuale dello Studio Ghibli, nel suo raffinato minimalismo si possono riconoscere influenze della letteratura, della poesia e del cinema di Jean Renoir e Yasujiro Ozu. La sua ricerca esprime una genuina volontà di promuovere l'animazione come forma d'arte valida e dignitosa al pari di qualsiasi altra e "Pioggia di ricordi" rappresenta un brillante esempio della sua poetica. Il suo personale linguaggio è in grado di fondere profondità e leggerezza, dramma e comicità, realtà e immaginazione. Uno dei più grandi doni di Takahata consiste nella capacità innata di sollecitare le corde più intime dell'emozione provocando un forte senso di empatia verso i suoi personaggi. Questo tratto ha reso la sua versione di "Anna dai capelli rossi" così memorabile, e in "Pioggia di ricordi" è riproposto con un approccio più maturo e confezionato in un capolavoro di editing e montaggio.

La storia è ambientata nel 1982 e parla di una ventisettenne single di Tokyo, Okajima Taeko, che conduce una vita apparentemente monotona tutta casa e carriera. In vista dell'estate, la donna decide di concedersi una pausa dai frenetici ritmi della metropoli trascorrendo un periodo di vacanza-lavoro presso un'azienda agricola nella campagna di Yamagata, dove presta la sua manodopera nella stagionale raccolta dei fiori di cartamo (da cui petali si estrae un colorante per usi cosmetici). Qui stringe amicizia con Toshio, un contadino esule dalla città ed entusiasta della vita in campagna, con cui sembra entrare subito in sintonia. Ispirata dall'atmosfera del luogo e dalle lunghe chiacchierate con Toshio, Taeko continua a tornare con la memoria al 1966 quando frequentava la quinta elementare. Inseguendo i ricordi e ripercorrendo tappa dopo tappa i momenti significativi della sua fanciullezza, Taeko finisce per rimettere in discussione le sue scelte da adulta rendendosi conto di essere all'ennesimo bivio della sua vita.

Lo shojo manga da cui il film trae ispirazione ha un carattere molto intimo, è tutto ambientato nel 1966 ed è incentrato su un ragazza che vive un periodo storico pieno di passaggi cruciali. Takahata prende questa storia e la rimodella dal di dentro, enfatizzando l'atmosfera onirica del ricordo in contrasto con le scene dell'attualità, scritte ex novo per il film, il quale si sviluppa su un doppio livello, danzando dall'oggi allo ieri senza soluzione di continuità. Questa struttura narrativa per piani paralleli che si sovrappongono e si influenzano a vicenda è scandita da un doppio registro stilistico: il presente è vissuto quasi tutto en plein air, alla luce del sole estivo, ed è descritto con colori vividi, lunghe panoramiche, maestosi paesaggi delicatamente screziati, quasi a voler magnificare la bellezza debordante della natura che circonda Taeko. Come contrappunto il tempo ricordato è dipinto con pennellate pastello dai toni primaverili, le scene sono spesso ambientate in interni domestici e dominate da una patina vintage, con i contorni del frame che sfumano come in una vecchia fotografia, a sottolineare l'evanescenza della memoria.

Il gusto squisitamente pittorico donato agli episodi degli anni '60 infonde un forte senso di nostalgia e coglie lo spirito dell'epoca attraverso i piccoli dettagli della vita quotidiana. Ci sono i dialoghi di una tipica famiglia media di quel periodo, le citazioni dei film, delle canzoni pop, delle pièce teatrali del Takarazuka, fino alla scoperta dell'esotico ananas. Particolarmente delicato è l'episodio del primo innamoramento di Taeko, in cui una partita di baseball è sapientemente giocata come un duello, una prova di forza che cattura tutta la freschezza e i turbamenti dei primi amori e si conclude in una delle rare parentesi di poeticità visionaria del film. Affettuosamente divertente è la sequenza in cui si descrive il periodo della pubertà delle ragazze e l'emergere della loro femminilità, un momento cruciale per Taeko, che rivela il suo intimo desiderio di non crescere e di rimanere per sempre bambina, mentre la scena finale è un trionfo di redenzione che ben riassume l'intera vita di Taeko, e forse dello stesso Takahata.

Nell'altra metà del film il pop sbiadito vira in un realismo che sfiora il documentaristico. L'occhio del regista si sofferma sui dettagli: i colori freddi e le geometrie spigolose della città, il calore delle splendide vedute bucoliche, i volti dei contadini, i loro gesti carichi di sapienza antica. In uno dei brani più alti del film, osserviamo Taeko al lavoro nei campi di cartamo alle prime luci del mattino e improvvisamente, al sorgere del sole, i contadini rivolgono una preghiera rendendo grazie per la magnificenza del creato in un momento di puro incanto e poesia zen. Come spesso accade nelle opere dello Studio Ghibli, la prospettiva del racconto è tutta al femminile, benché il personaggio di Toshio emerga dal ruolo di comprimario impersonando a suo modo un classico eroe ghibliano con la sua vitalità, la sua romantica visione della vita rurale e il suo impegno ecologista.

C'è un fondamentale comune denominatore nelle più grandi opere di Isao Takahata: Yoshifumi Kondo. Già character designer e direttore dell'animazione sulla serie "Anna dai capelli rossi", Kondo ha ricoperto fedelmente questo ruolo per anni presso lo Studio Ghibli fino ad approdare alla sua prima regia nel 1995 con "Whisper of the Heart". Il suo tratto di disegno è superbo, assolutamente perfetto per un film in stile naturalistico e in linea con la sensibilità di Takahata, il quale ha sempre osservato che sia "Una Tomba per le lucciole" che "Pioggia di ricordi" non sarebbero mai stati concepiti senza di lui.

La colonna sonora firmata da Masaru Hoshi completa l'umore nostalgico del film. La malinconica partitura originale, eseguita con il classico organico a base di pianoforte e orchestra, è affiancata da una composita selezione di motivi della tradizione etno-musicologica europea, a sottolineare l'atmosfera agreste e la connotazione territoriale. La musica contadina mi piace giacché faccio il contadino! - con queste parole Toshio si rivolge a Taeko mentre viaggiano in una vecchia utilitaria (che ha tutta l'aria di una Fiat 600) e l'autoradio riproduce una canzone dei Muzsikàs, quintetto folk ungherese. "Frunzuliță Lemn Adus Cântec De Nuntă", allegro brano rumeno, ritorna spesso nelle luminose panoramiche. Quando Taeko è nei campi, si può udire "Dilmano Dilbero", il maestoso canto corale della tradizione folklorica bulgara, mentre sul finale trova posto un tragicomico stornello italiano dalla provenienza regionale non ben identificata. Nelle sequenze degli anni '60 la musica è spesso di sorgente, cioè generata direttamente dagli oggetti di scena (una radio o una TV) e rivela i gusti e le mode del periodo. Il film si chiude sulle note della toccante "Ai wa Hana, Kimi wa sono Tane" ("L'amore è un fiore, e tu sei il suo seme"), versione giapponese di "The Rose" (Amanda McBroom), cantata da Harumi Miyako e tradotta dallo stesso regista.

Cos'altro aggiungere? "Pioggia di ricordi" è un'opera tranquilla, onesta, semplice, un classico film Ghibli e certamente uno dei più singolari dell'intera collezione. Takahata si dimostra un complemento perfetto per il più popolare e avventuroso Miyazaki. Con le loro opere i due maestri sembrano dialogare a distanza tramite la loro estetica originale e la loro filosofia che rivoluziona il modo stesso di intendere l'animazione. I loro stili sono molto diversi, ma entrambi gli approcci sono autentici e altrettanto importanti nel definire in ultima analisi il vero spirito dello Studio Ghibli.


 1
Sonoko

Episodi visti: 1/1 --- Voto 9
Ho appena visto questo ennesimo capolavoro dello studio Ghibli e lo commento a caldo, con il sottofondo della sua colonna sonora, la quale non resta fortemente impressa come quella de "Il castello errante di Howl" o de "La città incantata", ma che è comunque bella e delicata, come delicato è l'intero film. Chi lo conosce bene sa che il maestro Takahata, a differenza del suo collega Miyazaki, tralascia la componente magica nei suoi film, che sono perciò più lenti, talvolta crudeli e/o privi del classico lieto fine, ma non per questo meno validi.

"Omohide Poroporo", fortunatamente giunto da noi non con il titolo tradotto letteralmente "Ricordi a goccioloni", ma come "Pioggia di ricordi", parla di una donna, Taeko, che da noi è considerata giovane, ma che in Giappone suscita grosse perplessità se (come Taeko, appunto) verso i trent'anni non è ancora sposata. La storia è ambientata nel 1982, anno in cui Taeko decide di trascorrere le ferie in campagna a Yamagata, presso la casa della famiglia del fratello del cognato, per allontanarsi un po' dalla confusione della città e aiutarli nella raccolta del cartamo. Mentre viaggia verso Yamagata, inevitabilmente inizia a viaggiare nei suoi ricordi, precisamente nel 1966, quando, da bambina di città, lei desiderava tanto andare in vacanza come le sue compagne che andavano a visitare i parenti in campagna: un'occasione per riflettere anche seriamente su ciò che vuole davvero dalla vita...

Apparentemente il film è noioso, ma in realtà le quasi due ore della sua durata trascorrono in fretta: "Omohide Poroporo" riesce a incantare con i suoi paesaggi e a far ridere per alcuni atteggiamenti della piccola Taeko, ma crea anche degli spunti di riflessione: chi non si sarà mai posto almeno una volta nella vita lo stesso interrogativo della protagonista, in occasione di un soggiorno in una località agreste, magnifica via di fuga dall'inquinamento e dallo stress della città? Infine, anche se in maniera molto meno brutale e drammatica che in "Pompoko", si riflette su un tema molto caro a Takahata, il rapporto dell'uomo con la natura.
Un film con poca azione, molti discorsi e salti temporali, ma questi ultimi non sono mai forzati e non spezzano la continuità di ciò che sta accadendo.

Non ho particolari critiche verso il doppiaggio, forse perché il "cannarsese" non mi pare per nulla forzato nel contesto di questa storia; al contrario, l'unica piccolissima perplessità è in un dettaglio grafico: il character design è il solito che io tanto amo nei film dello studio Ghibli, ma come vedete nella prima immagine usata per questa scheda, quando Taeko adulta sorride le si gonfiano le guance e appaiono due grossi segni sulla sua faccia per evidenziarlo. Mi rendo conto che molto probabilmente in questo modo si voleva dare una sorta di maggiore realismo all'espressione di un viso, ma mi pare che in questo modo lei sembri più vecchia di trent'anni (tanto che, finché non è apparso Toshio con le stesse guanciottone, mi è venuto il dubbio che fosse una velata critica gli anacronistici pregiudizi che i Giapponesi ancora hanno delle donne di quell'età non ancora sposate, come se le considerassero delle cariatidi!).

Solo per questo insignificante (ma per me fastidioso) dettaglio, mi tolgo il capriccio di togliere un punto alla mia votazione globale, ma consiglio vivamente a tutti la visione di questo film, che non può mancare nella collezione di qualsiasi appassionato di film di animazione giapponese.


 1
Kida_10

Episodi visti: 1/1 --- Voto 6
<b>Attenzione: la recensione contiene spoiler</b>

"Omohide Poro Poro" racconta la storia di Taeko Okajima, una ragazza ventisettenne abitante a Tokyo che decide durante le vacanze di andare a lavorare in campagna. Durante il viaggio affioreranno nella sua mente numerosi ricordi di quando andava in quinta elementare; in questo modo la protagonista rivede con occhi diversi l'intricato percorso che l'ha portata ad essere ciò che è, rendendosi conto degli innumerevoli problemi che causava alla famiglia con i suoi capricci. Tutto il film praticamente non è altro che un enorme flashback, alternato a qualche breve momento nel presente dove vediamo la protagonista svolgere felicemente il suo lavoro in campagna in compagnia di Toshio, un giovane contadino. Il finale è sicuramente la parte migliore e più emozionante, dove finalmente Taeko capisce di essere innamorata di Toshio e decide di rimanere in campagna con lui, compiendo quindi il primo passo nel mondo degli adulti e abbandonando finalmente quella sua parte di bambina che era rimasta in lei.

Per il resto l'ho trovato un film piatto e noioso, che purtroppo non è riuscito a coinvolgermi come avrebbe dovuto; nonostante le tematiche toccate siano le più varie, passaggio dall'età fanciullesca a quella adulta, sensibilizzazione verso la natura e tutti i problemi che una ragazzina di dieci anni possa avere fra scuola, amici, famiglia e le prime cotte, non sono riuscito minimamente a emozionarmi o ad essere coinvolto se non nelle ultime scene.

D'altra parte il comparto tecnico è come sempre di ottimo livello: ottime le musiche e ancora di più i paesaggi, che vengono rappresentati perfettamente e con enorme maestria, immense distese di verde che suscitano anche nello spettatore la voglia di andare in vacanza in dei luoghi così sereni e tranquilli. I personaggi secondari vengono poco approfonditi, in quanto il film si concentra tutto sull'analisi della protagonista principale, sulle sue emozioni e sensazioni viste con gli occhi da bambina; unico altro personaggio ben analizzato è Toshio, il classico contadino che ama il suo lavoro e la sua terra e che si dimostra molto sensibile al problema della globalizzazione e dell'abbandono delle campagne.

In conclusione un buon film per quanto riguarda tematiche e aspetto tecnico, purtroppo l'ho trovato troppo lento e noioso, prima volta che mi capita in una produzione dello Studio Ghibli.

AkiraSakura

Episodi visti: 1/1 --- Voto 9
Taeko è una donna di 27 anni stanca del suo lavoro e della sua vita, alla quale non riesce a dare un senso. Nella sua crisi personale, ella rammenta quando era ancora una bambina piena di gioia e speranza per un ipotetico futuro brillante, denso di sogni ed emozioni. La donna, rivivendo tutti i momenti più significativi della sua infanzia ed adolescenza, parte per la prefettura rurale di Yamagata, un bellissimo posto in aperta campagna, per andare a trovare la sorella ed il cognato. Qui aiuterà l'azienda familiare, la cui attività consiste nel trattare, senza l'ausilio di prodotti chimici e macchinari, i fiori di zafferano in modo da ricavarne un pigmento utilizzato per la fabbricazione del rossetto. Durante il piacevole, ma allo stesso tempo impegnativo soggiorno, Taeko farà la conoscenza del cugino del cognato, un giovane contadino dal modo di fare molto semplice e sanguigno...

"Omohide poro poro" è la trasposizione filmica della poetica dell'auto-realizzazione del sé, l'estetizzazione del recupero di quell'idealità tipica dell'infanzia perduta in seguito ad antichi traumi, che hanno dirottato i sogni del bambino verso il grigiore dell'indifferenza. Non c'è bisogno di fare retorica: l'analisi del problema più importante per l'uomo moderno, ovvero quello della comunicazione - sopratutto verso se stessi - e del conseguente adattamento nel mondo, vengono affrontati con estrema semplicità: bisogna ascoltare il bambino che è in noi, tuttavia con il cuore di adulto; bisogna viaggiare allo stesso modo di Taeko, la quale, più che andare in campagna con il treno, viaggia dentro se stessa, dentro ai suoi ricordi, alla ricerca delle piccole cose che l'hanno fatta diventare una donna infelice.

Penso che questo film sia l'apice dell'autorialità di Isao Takahata, il quale fa rivivere con grande maestria le sensazioni di Taeko attraverso immagini dai colori evanescenti, che, unite alle splendide musiche, contribuiscono ad evocare quel "senso del perduto", quel "viaggio nel ricordo" che fa da contrappunto a scene di vita reale dalla semplicità sconcertante, ma allo stesso tempo ricche di dettagli, mai banali, ognuna delle quali rappresenta un ingrediente indispensabile nella costruzione di una perfetta poesia animata. Il punto di arrivo del percorso interiore della protagonista è la splendida scena finale del film, a mio avviso una delle migliori mai viste in un film d'animazione.

In conclusione, siamo di fronte ad uno slice of life molto riflessivo e dai ritmi lenti, che a tutto diritto si può considerare un classico dell'animazione giapponese, una di quelle visioni indispensabili per accrescere il proprio bagaglio culturale, e, perché no, magari rimanere meravigliati di fronte alla dolcezza della regia di Takahata, da quel tocco magico che egli riesce a dare alle semplici cose di tutti i giorni, fondendo significati e immagini come solo i poeti sanno fare.


 1
Panda79

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
"Omohide poro poro" è un film di Isao Takahata prodotto nel 1991 dallo Studio Ghibli. E' di sicuro l'opera massima di Takahata.
Narra le vicende di una office lady ventisettenne, Taeko Okajima, che, durante le vacanze estive, ospitata in campagna dalla famiglia di suo cognato, ricorderà le sue esperienze infantili. Ricordi che l'aiuteranno a capire ciò che vuole veramente dalla vita e a trovare l'amore.
E' ispirato all'omonimo manga di Hotaru Okamoto e Yuko Tone. Il manga, però, narra solo le vicende della Taeko bambina. Takahata, quindi, per dare continuità ai vari brani del manga ha inventato la Taeko adulta. Non a caso il titolo in italiano sarebbe "Gocce di memoria" o "Ricordi goccia a goccia", infatti i ricordi nel film sono come delle grandi gocce che si infrangono nella narrazione.
A mio parere è un' anime perfetto. Sia a livello di sceneggiatura sia a livello di regia. Migliore persino del precedente "Una tomba per le lucciole", film struggente con una storia stupenda ma, forse, registicamente inferiore.
In Omohide poro poro l'alternanza relatà-ricordo è perfetta, la trama scorre senza alcun intoppo e in tal modo si riesce ad entrare nell'animo stesso della protagonista. Dopo aver visto il film sembra di conoscere la protagonista come se fosse una vera conoscente.
Registicamente parlando, l'apice lo raggiungiamo con i titoli di coda. Immagini e musica si alternano in maniera perfetta, con la bambina Taeko che spinge la se stessa adulta a fare la scelta che le avrebbe cambiato la vita. Il tutto con in sottofondo un bellissimo brano dal titolo "Ai ha Hana, Kimi ha Sono Tane".
Molto bella è stata la scelta di disegnare gli sfondi delle scene riguardanti il presente diversi dalle scene riguardanti il passato. La rappresentazione del presente è densa di colori, i paesaggi, come in tutti i film Ghibli, sono ineccepibili, sembra veramente di vivere nelle campagne giapponesi. Nelle rappresentazioni del passato venogno usati colori meno accesi, quasi degli acquerelli, con i personaggi ben definiti e gli sfondi a sfumare.
Sinceramente, non riesco a trovare il punto debole di questo film. E' al pari dei grandi capolavori firmati Studio Ghibli, come "La città incantata" e "Il castello errante di Howl". Il problema, forse, è che non è una classica sceneggiatura da film d'animazione, è molto più accostabile ad un film con persone in carne ed ossa e di conseguenza fuori dal Giappone non è stato visto come un prodotto potenzialmente valido. Basta pensare che in Italia non è stato ancora distribuito. Tutto questo è un vero peccato.
Io do 10 ad "Omohide poro poro" solo perchè non posso dare di più!

God87

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Taeko Okajima non è sposata, ha un lavoro che non ama, e vive la sua vita monotona in una società giapponese dove a 27 anni una ragazza single è considerata una zitella senza futuro. Decide di staccare la spina e concedersi una vacanza in un'azienda agricola di famiglia: durante il viaggio sarà colta da un flusso di pensieri e immagini riguardanti la sua fanciullezza e le esperienze che l'hanno portata a divenire quello che è, sopratutto le fantasie sul come, da piccola, si vedeva da grande. Finalmente, tornando nei luoghi dell'infanzia e conoscendo Toshio, innamorato di lei, saprà accettare se stessa diventando una vera adulta.

Se parlare dell'abbandono della fanciullezza e dell'ingresso nel mondo adulto, da parte di una office-lady di 27 anni, già dalle premesse odora di débâcle commerciale, colpire l'obiettivo e farlo nel miglior modo possibile significa, per forza di cose, aver creato un capolavoro. E sicuramente di capolavoro si parla con "Only Yesterday", il lungometraggio più squisitamente rappresentativo di Isao Takahata, dove sono sublimati, in una cura figurativa perfetta, il suo gusto neorealista, la sua sensibilità, la sua poesia. Per quel che mi riguarda, è di sicuro uno dei più bei film d'animazione di sempre e il mio preferito in particolare.

Dimentichiamoci, per un istante, la fantasmagorica estetica di Studio Ghibli, perché Ghibli non è solo Miyazaki, è anche Isao Takahata: non solo favole ecologiche, ma anche spaccati di vita, dove non contano effetti speciali e animazioni spacca-mascella, ma solenni introspezioni dell'individuo. Graficamente "Only Yesterday" non è appariscente, anzi, tolto il suo consueto e riconoscibile chara non v'è traccia dello spettacolare sense of wonder della factory miyazakiana: manca qualsiasi tipo di azione, l'intreccio si basa interamente su interazioni tra personaggi e le location sono giusto gli interni della casa dove viveva Taeko da piccola, la sua aula scolastica e i paesaggi rurali in cui la lei adulta passa le vacanze. Si è domandato a Takahata perché, per un soggetto simile, non abbia scelto un film con attori in carne e ossa: risponderà che solo il supporto animato permetteva di rendere al massimo le espressioni e gli stati d'animo dei protagonisti. Niente fondali stupefacenti, ma in compenso un'eloquenza incredibile nella resa fisica dei sentimenti dei personaggi, con animazioni interessate a mostrarcene il labiale e le fossette nelle guance, plasmati su quelli degli stessi doppiatori giapponesi.

Il film è tutt'uno con l'umanità del regista, memorabile nel tratteggiarci, con delicata regia, l'infanzia di una donna che vuole fare i conti con la giovinezza. Egli evoca i sentimenti della Taeko piccola con frequenti flashback rappresentati, nella loro dimensione sognante, da tenui e caldi colori ad acquerello, parlandoci così, con sensibilità e perfetta resa dei dialoghi, della paura e vergogna per il primo ciclo, della cottarella per l'asso di baseball della scuola, della difficile comprensione degli atteggiamenti severi dei genitori e del sogno sfumato di fare l'attrice a causa loro. Ricordi resi in modo intimista e affidandosi alla grande espressività del delicato chara di Yoshifumi Kondo.

"Only Yesterday" trova fonte di meraviglia nell'essere un credibile e poetico spaccato di vita, uno slice of life lineare e genuino che proprio nella rappresentazione di piccoli momenti di quotidianità, filtrati dall'innocenza di una bambina, tocca le corde dell'animo: pensiamo a Taeko che mangia insieme alla famiglia un ananas ed è l'unica, stupita, che lo gradisce; al primo schiaffo avuto dal padre in risposta all'insofferenza verso la sorella maggiore; alla madre che invece di farle i complimenti per il talento nello scrivere la rimprovera di non mangiare quello che le prepara. Anche tornando al presente non mancano momenti di grande cinema, come quando la lei adulta aiuta l'azienda agricola a raccogliere e preparare fiori di cartamo per la successiva raffinazione in zafferano. Scene che si imprimono nella memoria per merito dell'umanità dei personaggi, dei rituali sociali e dell'aria di tutti i giorni che si respira, così tangibili che l'empatia si instaura spontaneamente e in modo sincero.
Memorabile è anche l'accompagnamento musicale, dove siamo partecipi dell'ambiente rurale, sentendo in sottofondo canti contadini ungheresi e bulgari, e anche stornelli italiani.

Parliamo di un film perfetto, dove la poetica di Takahata trova la sua più felice ispirazione e dona un senso a ogni cosa: tutto, in "Only Yesterday", segue una coerenza. Ogni metafora, ogni ragionamento, ogni dettaglio, anche quello a prima vista più insignificante, fanno la loro parte nella progressiva autoconsapevolezza della ragazza: facciamo caso all'arredamento della sua casa durante i ricordi, dove drappi, tendaggi e mobili sono quasi sfumati perché lontani nella memoria; pensiamo alla riflessione di Toshio sui verdi paesaggi rurali, che non nascono in quanto tali ma sono frutto dell'ingegno e del lavoro dell'uomo (la felicità non è servita da sola, ma va costruita), e così via: un mosaico dove ogni tassello ha un peso nel delineare la personalità e l'evoluzione di Saeko e dove tutto è elegantemente lasciato a intendere, senza incivili "spiegazionismi". Un'attenzione maniacale, una grande sensibilità umana e una narrazione di grande semplicità sono da sempre marchi indelebili del regista e salveranno anche le sue opere meno riuscite (penso al noioso "Pom Poko", dove l'interesse maggiore sta nella ricostruzione perfetta dell'energia e dei modi di fare dei salarymen sessantottini incarnati dai tanuki) e che qui trovano la dimensione e il soggetto migliori dando una personalità assente nel manga d'origine di Hotaru Okamoto, da cui "Only Yesterday" è tratto, basato solo su ritagli di vita della piccola Saeko e senza una trama di sottofondo.

Indimenticabile, infine, ma davvero, è il climax raggiunto dalla sequenza simbolica che chiude il film, la scena più bella mai realizzata da Takahata che, per dolcezza, musiche sognanti e messaggio, rappresenta il più commovente commiato alla fanciullezza mai filmato. Impossibile rimanere indifferenti a un'opera simile, ma sopratutto a un regista che, in soli tre anni, ha realizzato film come questo e "Una tomba per le lucciole".
Scontato dirlo, visione che nessun adulto dovrebbe risparmiarsi, per un viaggio meraviglioso alla (ri)scoperta della vita.
E' un crimine che tale gemma non sia mai arrivata in Italia, probabilmente per assenza di mercato come in America. Speriamo, una volta tanto, in un miracolo che renda giustizia a un simile monumento, sperando nell'esempio del ben meno meritevole "Pom Poko".


 1
Eretria90

Episodi visti: 1/1 --- Voto 9
Volendo farmi una cultura sui prodotti dello Studio Ghibli, ho scovato sotto suggerimento Omohide Poro Poro. Del 1991, sotto la regia di Isao Takahata, questo è il sesto film del più famoso studio cinematografico d'animazione. Pur essendo una delle sue opere dal contenuto più maturo e realistico purtroppo non ci è giunta in Italia (la cui traduzione letterale del titolo sarebbe stata Ricordi goccia a goccia).
La storia narrata da Taeko, una donna vicina alla trentina, è quella di un particolare periodo della sua infanzia in cui si è sentita una "crisalide" che si prepara a uno stadio di vita successivo.

La Taeko delle elementari è una ragazzina alle prese con i piccoli problemi della sua età. I capricci e i desideri tipici della fanciullezza pian piano si scontrano con la dura realtà, e si comincia con il fare i conto con i dubbi e i pensieri tipici di una bimba di 10 anni; sia che si tratti del cambiamento del proprio corpo o del rapporto con i compagni di scuola, sia che si parli delle liti con la famiglia per le proprie aspirazioni e per le proprie debolezze.
Durante questi flashback abbiamo modo di constatare quanto la protagonista in età adulta sia cambiata, ma allo stesso tempo quanto alcuni di quegli antichi sentimenti siano vivi in lei. Viene da domandarsi se Taeko-ventisettenne si aggrappi ancora alla sua sé bambina, per evitare di trasformarsi ancora, di dovere fare nuovamente i conti con la farfalla dentro di sé e passare a uno stadio seguente. Apportare cambiamenti e deviare il proprio percorso: queste non sono mai scelte facili e senza pensieri, ed è proprio ciò che ci viene mostrato.

La trama è ricca di spunti di riflessione. Personalmente ho apprezzato lo sguardo che viene gettato sulla musica, sulla moda e sugli eventi che hanno caratterizzato gli anni a cavallo tra il 1960-1970. La voce narrante della protagonista fa accorgimenti culturali e comportamentali di un Giappone in continuo cambiamento. Alcuni di tali accorgimenti li ho potuti riscontrare nel romanzo di Haruki Murakami, "Norwegian Wood", e ciò mi ha portato a osservare quanto la regia non abbia lavorato a questa storia su un unico versante, e non abbia messo da parte quella che è un'ottima caratterizzazione storico-culturale come sfondo. Tant'è vero che le musiche adottate sono un tuffo nel passato della storia della musica. Possiamo ascoltare le canzoni internazionali dei Beatles e persino un pezzo popolare italiano!

A render maggiormente onore a "Omohide Poro Poro" non manca il buon comparto grafico. Il chara è molto simile a quello che ci verrà costantemente propinato dallo staff dello Studio Ghibli. Ma, essendo agli albori, le figure hanno una certa personalità che li distingue. I colori sono chiari e opachi, e, azzarderei dire, adatti all'epoca datata in cui ha luogo la storia.
Insomma, sto parlando di un film che ha tutte le carte in regola per tenervi incollati allo schermo, senza l'ansia che si tratti di un lungometraggio troppo lungo e dispersivo; stavolta le due ore sono intense e quindi giustificate. Il tema della storia è concreto, per cui mi è sembrato di rivivere le medesime esperienze della mia infanzia. Allo stesso tempo si prova a fare una lunga boccata d'aria insieme a Taeko adulta, che respira aria di campagna, pura e serena.


 7
SeiyaJJ

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
<i>“Dicono che l’amore sia un fiume che trascina le tenere canne.
Dicono che l’amore sia una lama che taglia l’anima in pezzi.
Dicono che l’amore sia fame, un doloroso bisogno senza fine.
Io dico che l’amore è un fiore e che tu sei il seme”</i>


Lungometraggio prodotto dallo <b>Studio Ghibli</b> e da <i>Hayao Miyazaki</i>, <b>“Omohide Poro Poro”</b> (lett. Pioggia di ricordi, Ricordi goccia a goccia) è un’opera diretta dal regista <i>Isao Takahata</i>.

Datato 1991, ed ancora inedito in Italia, il film prende spunto dall’omonimo manga della coppia <i>Okamoto-Tone</i> (anch’esso inedito). Di grande ispirazione per Takahata, questa poco conosciuta opera cartacea ha generato l’idea di un riadattamento animato che, pur non stravolgendo la trama di base, ne amplia il raggio conferendo alla storia intera una componente onirica di centrale rilevanza.
Il titolo di quest’opera è oggetto di svariate traduzioni, più o meno corrette, io personalmente lo traduco italianizzandolo “Gocce di memoria” (anche per via di una celebre canzone di Giorgia), ma il giorno in cui questo film arriverà nello stivale, ne sapremo di più. In ogni caso, la traduzione ufficiale internazionale è <b>“Only Yesterday”</b> (volendo, in Italia abbiamo una canzone anche su questo titolo).

<b>Gocce di memoria</b>, narra le vicende di una ragazza, di nome <i>Taeko</i> che decide di prendersi una pausa dal lavoro e dalla vita di città, trasferendosi per un po’ in campagna, nei luoghi della sua infanzia. Il passaggio da Tokyo a Yamagata è così netto che la protagonista inizia a ricordare con estrema precisione tutti gli eventi della sua vita da ragazzina, ai tempi in cui frequentava la quinta elementare.
Da questo momento in poi, il passato ed il presente diventano due treni che viaggiano su binari paralleli, allo spettatore non resta che scoprire se mai si incontreranno. I flashback di Taeko ci catapultano nel Giappone degli anni ’60, dove l’influenza dell’Occidente è ai primordi, ed il valore della famiglia (decisamente patriarcale) e dell’onore, sono quanto mai tangibili. La Taeko del presente, invece, vive negli anni ’80, lavora in un’azienda in cui computer, calcolatori, fax e telefoni fungono da immagine alla colonna sonora urbana, rappresentata dal rumore del traffico, dalle voci della gente, dalla frenesia di una metropoli che ha da tempo messo via la semplicità della vita.
Perdendoci nei ricordi di Taeko, cullati da sentimentali melodie, ben presto scopriamo dell’infanzia della protagonista. Taeko è l’ultima di tre sorelle, che vivono in casa con lei, i genitori e la nonna. Dal carattere vispo e dalla sfrenata curiosità nei confronti del mondo, Taeko sogna ad occhi aperti e si emoziona per la minima novità. Esempio lampante è la sua gioia nel visitare le terme nel periodo estivo, o il suo sconcerto di fronte all’ananas (frutto tropicale non di uso comune nel Giappone degli anni sessanta).
Quando ritorniamo al presente, notiamo i cambiamenti di Taeko, la sua volontà di vivere la vita nella semplicità, nei valori che vede ormai perduti e che grazie al lavoro nei campi, spera di ritrovare.
In campagna si adopera per produrre cartamo (pianta simile allo zafferano) e riscopre la genuinità dell’agricoltura biologica, grazie alla figura naif di <i>Toshio</i>, un ragazzo dai sani principi e dalla spiccata forza di volontà. Toshio instillerà in Taeko il seme dell’amore, quello verso la natura, verso il prossimo e verso sé stessi. I due personaggi si guideranno l’un l’altro verso l’abbandono di ogni rimpianto e nel raggiungimento di un radioso futuro.

A fare da sfondo alla storia, delle magnifiche animazioni dallo stile dettagliato ed etereo. La precisione e la minuziosità del disegno si sposa in maniera perfetta con la narrazione e con la visione neo-realista del regista. La dicotomia della vita di Taeko è sapientemente illustrata attraverso gli acquerelli della gioventù e dalle tinte accese della maturità, in un’atmosfera campestre che sa rendere gioiosa anche la pioggia.

Paragonabile ad opere della letteratura verghiana, o balzachiana, Gocce di Memoria è un racconto dal sapore agrodolce, uno spaccato di storia giapponese, un ritratto di due epoche ormai passate, ma che ciò nonostante risultano ancora strettamente legate ai tempi moderni.
La canzone della vita ha la ritmica di uno stornello triste, allegro, popolare, puro e colmo di speranza.

Voto 10, da vivere!


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imedith

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Innanzitutto trovo la traduzione letterale del titolo “Ricordi a goccioloni” molto più significativa ed evocativa della infedelissima trasposizione inglese “Only yesterday”: perché banalizzare un titolo che è invece ricco di fascino, di originalità e che rispecchia perfettamente, in maniera metaforica ovviamente, il dispiegarsi della trama? Il filo conduttore è quello della protagonista che si ritrova, nel suo viaggio di vacanza, a ricordare e rivivere la se stessa delle elementari in tanti episodi più o meno significativi della sua infanzia. Il viaggio è la madeleine che risveglia una pioggia improvvisa di ricordi sopiti, ognuno dei quali è "un gocciolone", appunto, che bagna la protagonista volente o nolente: le scivola addosso, la inonda di sensazioni ancora vive, ancora attuali, ancora significative, e poi passa via veloce, lasciandola lì traballante d'emozione e già raggiunta da un altro gocciolone. Non è la solita trama lineare, il passato che si ricostruisce "goccia dopo goccia" seguendo il filo cronologico della crescita, no, sono proprio goccioloni pescati a caso da un'unica se stessa di 10 anni. Se volessi rendere l'idea di come si dispiega la trama in maniera figurativa, questi ricordi non potrebbero costituirsi né come scala che porta verso una meta in divenire, né come puzzle che necessita di tutti i pezzi insieme incastrati a perfezione secondo un ordine prestabilito per avere senso: è piuttosto un mosaico, in cui ogni tessera è bella e colorata per conto proprio, sagomata in quadratini che si possono affiancare in qualsiasi maniera senza combinazioni prestabilite per dare vita a un insieme di bell'effetto, non per forza di senso compiuto. Non ricostruzione di un puzzle previsto, insomma, ma costruzione tutta nuova di un bel disegno inaspettato. La protagonista non è il risultato e il punto di arrivo di una serie di episodi che ne hanno influenzato il carattere in un rapporto di causa ed effetto (che tanto amano gli psicologi occidentali e le autrici di certi shojo), i suoi ricordi non sono vincolanti, non la portano ad un'unica scelta possibile (che in un film ottimista sarebbe l'eroico riscatto, in un film molto pessimista lo scatto disperato di morte).
Lei a un certo punto, per cause esterne, decide di ridisegnarsi, mettersi in gioco ricollocando a proprio piacimento e secondo la necessità le tesserine di mosaico/goccioloni raccolti mano mano. Il suo passato non ci viene presentato dal regista per capire come e perché è diventata ciò che è. Qui funziona tutto al contrario: i ricordi sono il punto di partenza per una ri-costruzione volontaria e consapevole di ciò che lei vuole essere, vuole diventare o, per lo meno, non vuole essere più. È lei che disegna il proprio mosaico stabilendo dove piazzare le tessere una volta che il gocciolone ne ha portato alla luce una. Il passato non è vincolo o condanna, ma nuova opportunità per comprendersi e indagare se stessa.

Il ritratto che fa Takahata di questa ragazza una volta bambina, è realistico e sincero. Lei è una ragazza come potrebbe esserlo chiunque, una ragazza del tutto incapace di incarnare i valori sinceri e incorruttibili delle eroine per esempio miyazakiane, una ragazza normale con i suoi pregi e i suoi difetti, con una storia che non ha nulla di eclatante, composta da piccoli episodi di vita fra i più banali (come la grande aspettativa per un frutto mai gustato prima o il capriccio per avere un oggetto nuovo). Una persona reale, inserita in un contesto normalissimo, che soffre, gioisce e ricorda come ciascuno di noi, e prova paure che non sarà né la prima né l'ultima a sentire. Una bambina e poi una donna con i suoi lati lucenti e i suoi lati oscuri, con i suoi aspetti dolci e quelli detestabili. La perfezione dei protagonisti dei mondi di Miyazaki è qui molto lontana, e di magico o fantastico non c’è assolutamente nulla se non l’atmosfera da “fiato sospeso” che il regista riesce a creare. Ma come farlo con tante… banalità? A leggere una trama così semplice, senza colpi di scena, mostri, misteri o inseguimenti, parrebbe tutto piatto e noioso. La quotidianità, solitamente, non si addice alle storie da raccontare. Si racconta qualcosa di eclatante, normalmente, di molto drammatico o di molto comico, minacce alla Terra, amori impossibili, grandi scontri, malattie, sorprendenti arti magiche, mondi fantastici, animali parlanti… Ma come fa invece Takahata a tenere sempre desta l’attenzione, a far scorrere i minuti velocemente, a trattenere i nostri occhi incollati alla pellicola e desiderosi di goderne ancora per ben 2 lunghe ore?

Se c’è un aspetto di questo film e del suo regista che mi ha affascinata, è proprio la capacità di trasformare la quotidianità in evento cinematografico. In tanti possono essere capaci di creare storie fantastiche di grande suspance. Ma soltanto dei veri maestri, a mio avviso, sono in grado di trasformare il reale, l’abituale e quindi quasi banale o scontato, in elemento di attrazione. Takahata lo fa in questa pellicola con grande maestria, sublimando in atmosfere significative anche l’episodio in apparenza più trascurabile. Certo l’attenzione per i piccoli particolari, la cura nel disegno, nell’animazione e l’uso attento delle musiche per sottolineare e costruire anche sonoramente i momenti, non solo per accompagnarli, giocano un ruolo fondamentale nella riuscita del film. Non nascondo che ad alcuni potrà sembrare lento, anche un po’ troppo, se sono abituati al cinema d’azione in cui deve per forza succedere qualcosa, un colpo di scena, una grande svolta finale. Ma per chi come me ama le cose semplici, persone a cui piace gustare i dettagli e assaporare i secondi su cui la cinepresa indugia un po’ di più, e che considera le espressioni (anche se di cartone animato) rappresentative quanto e anche più delle parole, un film come questo non può far altro che deliziare. La visione diventa un vero solluchero di sensazioni, di brividi, di sorrisi, in un coinvolgimento totale della parte più delicata e sensibile dello spirito. La conclusione, contaminata da una metafora visiva geniale e azzeccatissima, è il giusto coronamento di un’opera di grande spessore, a livello narrativo, strutturale e intellettuale.

Se volessimo pensare a questo film banalmente come un viaggio alla riscoperta dell’infanzia, oppure alla riscoperta della natura, credo che saremmo fuori strada. L'infanzia è reale e non c'è nulla di nostalgico da riscoprire, ma soltanto il ricordo frammentario di una se stessa a volte anche capricciosa e ipocrita che sa molto poco di rimpianto. E così non è neanche un viaggio di riscoperta della natura, anche nel film viene detto chiaramente dal protagonista “tutto il paesaggio che vedi è così perché costruito dall'uomo, di naturale non c'è nulla": l'uomo e la sua volontà sono la forza motrice al centro del film, la protagonista non riscopre "la natura" nel senso bucolico del termine, ma riscopre i gesti rituali e atavici della ruralità, la dipendenza per la sopravvivenza data dal lavoro fisico e manuale in cui la natura e gli eventi atmosferici sono talvolta amici e talvolta nemici, dunque la tenacia e la grande forza d'animo, oltre che fisica, delle persone che la lavorano. Direi piuttosto che tanto l'infanzia quanto la ruralità sono espedienti narrativi e indizi ben congegnati per portarci fino al culmine della narrazione: l'atto della scelta compiuta, come atto di adultità (presa in carico di responsabilità), come atto di umiltà (non si diventerà mai perfetti, ma l'importante è ammettere i propri difetti e rendesi conto delle proprie mancanze), come atto di speranza (andando controcorrente rispetto al senso comune), come atto di volontà forte. L’incontro con la sua controparte maschile e la presa di coscienza di un aspetto di sé che la accompagna fin da bambina e non ha mai avuto il coraggio di rimuovere o mettere in discussione sono il nodo da sciogliere per comprendere il vero senso del film: un amore guardato dalla prospettiva molto giapponese di “presa in custodia” della donna da parte dell’uomo e la forza in questo senso di affrontarsi nei propri lati più oscuri. Senza dispiego di lacrime e baci per addolcire e commuovere, ma con la solidità di un racconto oggettivo, da un punto di vista esterno e costruito sapientemente su un filo invisibile fino all’ultimo momento, che vi gira tutto intorno.

Takahata possiede l’indiscutibile abilità di prendere lo spettatore e portarlo dentro allo schermo, dentro al suo film, perché dipinge un mondo talmente reale che uno qualunque fra noi potrebbe esserne protagonista. Non suscita meraviglia, ma immedesimazione e forte empatia e così riesce a farci sospirare, mettere in ansia o rasserenarci fianco a fianco con i suoi personaggi. Takahata abbraccia, culla, accompagna. In questo caso, poi, Takahata sprigiona un’energia di vita sorprendente, una volontà di vivere, mettersi in gioco e affrontare se stessi, i propri difetti e le proprie paure che lascia un messaggio forte e positivo allo spettatore. Bisogna affrontarsi a un certo punto, ci dice il regista, non si può fuggire in eterno da sé, dalle proprie responsabilità e dal proprio passato, perché è una fuga inutile che prima o poi dovrà finire e che non porta da nessuna parte.
Non è incredibile trovare tutto questo in una storia che ci parla di piccoli episodi quotidiani accaduti a una bambina di 10 anni? Non sarebbe incredibile trovare tutto questo nelle nostre storie fatte di piccoli episodi quotidiani che ci accadono ogni giorno? Homo faber fortunae suae.


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giorgio13

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Taeko Okajima, una donna sulla trentina, fa l’impiegata presso una grande azienda giapponese. Non è sposata né ha fidanzati, con molto rammarico della madre. Decide di prendersi una breve vacanza e seguire l’istinto di tornare nei luoghi della sua infanzia per lavorare, durante le ferie, nell’azienda agricola dei genitori del cognato, che produce zafferano.
Durante il viaggio in treno e durante la permanenza in campagna sarà “accompagnata” dal suo passato, precisamente dai ricordi di quando aveva dieci anni.

A quel tempo ella frequentava la quinta elementare: la sua vita scolastica viene presentata in maniera diretta attraverso i brutti voti, la cotta per un ragazzino molto bravo a giocare a baseball, il primo approccio con l’età adulta quando le viene spiegato cosa sono le mestruazioni, i dispetti che le venivano fatti da un suo compagno di banco… quindi un insieme apparentemente disordinato di piccoli piaceri e dispiaceri.

Viene mostrata anche la sua vita privata: la sua famiglia è composta da madre, padre, nonna e due sorelle più grandi; una scena molto particolare è quella dell’ananas: all’inizio nessuno sa come tagliarlo, e poi quando finalmente si riesce a prepararlo, tutti rimangono delusi nell’assaggiarlo, perché avevano grandi aspettative verso un frutto esotico (e quindi costoso) come quello.
Il padre è sempre intento a leggere il giornale e a fumare, scambia pochissime parole con i familiari, si rivolge agli altri con tono autoritario e con monosillabi; è la figura del classico padre di famiglia che con il suo lavoro sfama tutti quanti.
La madre è anch’essa associabile alla figura antica e classica di “angelo del focolare”: fa la casalinga, quindi si occupa a tempo pieno della famiglia, e come il marito, parla poco.
I pasti sono ravvivati dalle due sorelle liceali di Taeko, e spesso la prendono in giro.
Da piccola era molto viziata: un esempio è la sua avversione alle cipolle, che lascia sempre, con conseguente rimprovero da parte della madre.
Si viene quindi a creare uno spaccato della vita degli anni ’60 attraverso tanti piccoli eventi quotidiani, che uniti insieme formano un quadro organico e ordinato.

Il passato di Taeko la insegue incessantemente per farle capire chi è e cosa vuole veramente, le permette quindi di crescere e di conoscersi un po’ meglio; questo processo viene metaforizzato con l’evoluzione del bruco in pupa e infine in farfalla.
Ella compie un viaggio dalla città caotica, oppressiva e tentacolare per eccellenza, Tokyo, alla tranquilla campagna: lì i ritmi e le abitudini sono completamente diversi, il valore di qualcuno viene misurato non da quanto produce, ma da cosa ha dentro, le persone sono più schiette e dirette, la bellezza risiede anche nelle piccole cose.
Al viaggio fisico corrisponde un percorso di crescita e maturazione che la protagonista compie dentro se stessa, confrontandosi con i suoi desideri e le sue aspirazioni.

In questo film ho riscontrato diverse influenze letterarie: Joyce e il suo flusso di coscienza, infatti i pensieri/ricordi di Taeko sono rappresentati in prima persona, molto direttamente e in maniera non ordinata; ciò è dovuto al fatto che essi affiorano nella mente della protagonista quando meno se lo aspetta, a causa di un gesto, una parola, un paesaggio, proprio come accade a Proust nella Ricerca del tempo perduto quando mangia la madeleine; i ricordi qui vengono paragonati a gocce (“poro poro” è in giapponese il suono che fanno le gocce quando cadono), che piano piano, aritmicamente, bagnano Taeko fino a renderla fradicia, ovvero pienamente capace di ascoltare la voce del suo io interiore, che rimarrà sempre bambino, proprio come il “fanciullino” di Pascoli.

Le animazioni sono molto buone, e l’apice del colore viene raggiunto nella rappresentazione estremamente dettagliata dei campi e dei fiori dello zafferano, che con il loro giallo acceso illumineranno degli splendidi paesaggi.

Tutto il film è incentrato sulla contrapposizione tra passato e presente, che mette a confronto l’infanzia con la maturità, e ci fa domandare se siamo diventati la persona che avremmo voluto essere quando eravamo piccoli, se il debito con il nostro “bambino interiore” sia stato saldato o meno.

Utente5795

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Utente5795

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Guai a chi considera Takahata un regista di prodotti puerili solo perché ha sentito il suo nome associato a opere come Heidi, serie TV da tanto tempo relegata, almeno in Italia, a prodotto d'intrattenimento del pomeriggio di Italia 1. Guai a chi pensa che un film debba considerarsi memorabile perché complesso nella sua struttura, o portatore di temi "scottanti", o gratuitamente spettacolare. Chi ha visto "Una Tomba per le Lucciole" sa cosa voglio dire: a Isao Takahata, membro fondatore dello studio Ghibli assieme ad Hayao Miyazaki, tutti questi orpelli non servono.

Questo meraviglioso "Omohide Poro Poro" è l'opera più matura e completa che il grande regista abbia prodotto finora, secondo me ancora più di "Una Tomba per le Lucciole", visto che quest'ultimo presenta qualche lieve inghippo nella narrazione, che forse lo rende un po' pesante.
"Only Yesterday", questo il titolo internazionale di Omohide, con semplicità e linearità, ci porta dinanzi ad un argomento che di certo ci è familiare: i ricordi d'infanzia. La vicenda è costellata di flashback che mostrano l'infanzia della protagonista Taeko, ma la differenza tra passato e presente non è netta: la narrazione può essere assimilata ad un lungo flusso di coscienza, in cui gli elementi a prima vista anche meno importanti della pre-adolescenza di Taeko riaffiorano "goccia a goccia", mettendola nella condizione di chiedersi quale sia la loro influenza nella sua vita da nubile vicina ai trent'anni, e se ci sia bisogno da parte sua di riconciliare una volta per tutte i sogni dell'infanzia con la realtà dell'età adulta. Il contrasto tra queste due realtà, le nostalgiche memorie di un'infanzia che sta per diventare adolescenza e la maturità che ormai sembra non avere nuove strade da percorrere è resa in maniera molto efficace dai cambi d'atmosfera nel film: basta poco per ritrovarsi dall'iperrealismo e dalla minuziosa rappresentazione delle ambientazioni un cui si muove la Taeko ventisettenne, ai toni più sognati ed "emozionali" della Taeko bambina.

Una cosa che mi ha particolarmente colpito è la realizzazione: lo Studio Ghibli ha sempre avuto uno standard qualitativo alto per quanto riguarda i disegni e le animazioni, ma secondo me ultimamente ha perso qualche colpo, come si può osservare in "Ponyo" o in "Terramare". Omohide Poro Poro invece è realizzato così magnificamente che batte persino le produzioni moderne dello studio: grande pulizia del tratto, character design realistico e morbido, paesaggi da sogno e quant'altro... Un risultato sopraffino, che trova la sua miglior espressione nelle ambientazioni cittadine dei flashback, che più che i fondali di un anime sembrano tenui quadri di acquerello. L'unica cosa che mi ha lasciato un po' perplesso è che la Taeko adulta sembra molto più vecchia di quanto sia in realtà, forse perché quando sorride le compaiono due fossette molto evidenti sulle guance.

In conclusione, questo è uno dei prodotti più belli e inossidabili che lo Studio Ghibli e Takahata ci abbiano offerto finora, l'opera simbolo dello stile di un grande dell'animazione giapponese, che ha avuto il merito di fondare, assieme al suo altrettanto sbalorditivo allievo Miyazaki, una delle case di animazione più serie e talentuose di sempre. Inimitabile.


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deathmetalsoul

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
A volte, ma molto raramente, non c'è bisogno di azione, fantasia, fantascienza, humor, horror e quant'altro per attirare l'attenzione di una persona. Un semplice racconto della vita di una persona infatti può dire molto di più, e contrariamente a quanto si possa pensare, senza annoiare nemmeno dopo due ore. E' questo il caso di Omohide Poro Poro, capolavoro assoluto di Isao Takahata e dello studio Ghibli del 1991.
L'originalità di questo film gli ha permesso di avere moltissimo successo e, aggiungo, pienamente meritato.
Dal titolo da noi tradotto, ricordi goccia a goccia, si può intuire qualcosa, infatti il prodotto è in qualche modo incentrato sui ricordi. Ma andiamo per ordine...

La protagonista è una giovane impiegata giapponese, una semplice donna, e già ciò non è stato spesso trattato in un anime. La suddetta, non ha nessuna avventura particolare, se non un'"avventura nei suoi ricordi". Andata in vacanza in campagna a dar man forte ad alcuni parenti per la coltivazione di prodotti caratteristici, vivrà tra la realtà ed i suoi ricordi riscoprendo vecchie emozioni e trovando nuovi sentimenti nelle stesse che ora possono cambiargli la vita. La riflessione della giovane donna, Taeko, le serve per aiutarla a capire se durante questi anni essa sia divenuta o meno quello che voleva divenire, e se nella sua vita quotidiana stia facendo le scelte giuste che la porteranno a divenire una normale ed equilibrata donna giapponese.

Tutto ciò è davvero molto bello poiché sono messe bene in evidenza le condizioni di una famiglia del Giappone degli anni '60 e '80, i ruoli dei membri della famiglia, la condizione e i doveri della donna, nonché i valori per le diverse persone, delle istituzioni scolastiche ecc.
Troviamo in maniera molto approfondita i momenti normalissimi della vita di una persona ed è come se mettessimo in un anime la nostra stessa vita, comprese le situazioni quotidiane, che mai avrei pensato di trovare descritte cosi dettagliatamente in un'anime, e che una volta trovate non mi sono per nulla dispiaciute.
I ricordi che si fondono col presente, mettono la nostra protagonista dinanzi alle scelte importanti della vita, scelte che anche noi potremmo compiere.
Detto ciò non è necessario parlare della realizzazione tecnica poiché lo studio Ghibli non sbaglia mai un colpo e rende sempre eccelso ogni particolare, qui forse si supera quindi...
Un unico appunto è per la colonna sonora, davvero bella e originale, che unisce temi propri con musiche popolari.
Sento il dovere di consigliare questo film davvero a tutti, aggiungendo che sarebbe quasi d'obbligo la visione per qualcuno che si ritiene fan dell'animazione. Quindi, non appena vi sentirete pronti ad una nuova esperienza, non fatevi sfuggire questo stupendo capolavoro.

Domenico

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Domenico

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8
Omohide poro poro, letteralmente, significa “Ricordi goccia a goccia”. La storia narra di Taeko Okajima, classica impiegata di una grande azienda di Tokyo che, a 27 anni suonati e nonostante la disapprovazione della madre, non ha ancora trovato un fidanzato. Durante un periodo di ferie decide di tornare ai luoghi della sua infanzia, ospite della famiglia del cognato, e fare la vita di campagna che tanto la attira. Durante il viaggio e il soggiorno ritroverà momenti dimenticati di quando era ancora bambina: l’amore infantile, la paura di diventare donna, il rapporto con la propria famiglia. Una lenta pioggia di ricordi che cadranno lentamente, ma inesorabilmente, su di lei, scavandola, colpendola, cambiandola.

Inizialmente ho pensato che il fil rouge dell’opera fosse un tema sul modello de “Alla Ricerca del Tempo Perduto” di Proust, ma mi sbagliavo. L’opera infatti non è incentrata sul rammarico del “ciò che poteva essere” e che non si può più vivere, ma sulla profonda riflessione del “chi siamo diventati”.
Grazie alla contrapposizione tra passato e presente, in un flusso costante di ricordi e di immagini, la protagonista mette a confronto due momenti della propria vita: l’infanzia e l’inizio della maturità. Attraverso Taeko viene posta a noi la domanda: “siamo la persona che avremmo voluto essere da bambini?”.

Rileggere i propri desideri e le proprie aspirazioni tenendo per mano quella bambina di dieci anni che si materializza al suo fianco sempre più viva, permette a Taeko di mettere in discussione ogni scelta fatta. Di poter finalmente prendere le redini della sua esistenza e mutarne il corso prima di ritrovarsi intrappolata in una vita non sua. Questa consapevolezza della reale possibilità di cambiare la propria direzione esistenziale e di stravolgere gli equilibri acquisiti spaventa lei come spaventa noi.
Taeko fugge di fronte a se stessa ma è proprio la “se stessa” bambina a non darle pace, come un silenzioso fantasma che la riporta ad ascoltare la voce del cuore sopita. La sprona, la prende per mano e si congeda da lei solo quando quella parte di coscienza passata si sublima in quella presente rendendo la protagonista davvero consapevole di ciò che vuole dalla vita.

<span><a href="http://uskebasi.wordpress.com/2010/01/28/omohide-poro-poro-only-yesterday/" class="smarterwiki-linkify">http://uskebasi.wordpress.com/2010/01/28/omohide-poro-poro-only-yesterday/</a></span>


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kitaniano

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Grande cinema ! "Omohide poro poro" è uno di quei lungometraggi da far vedere a chi considera l'animazione un genere di serie B, puro intrattenimento riservato ai bambini. Peccato che da noi sia misconosciuto.
Un anime che è un viaggio, quello della protagonista Taeko, dalla città alla campagna, dal lavoro terziario a quello primario, a contatto con la terra, la natura. Ma soprattutto un viaggio dentro se stessa, accompagnata dalla sua immagine da bambina, dai ricordi importanti o banali. Infatti il film si svolge su due linee temporali: il presente e il passato di Taeko quando aveva dieci anni. E nel descrivere questi ricordi "goccia a goccia" il film dà il suo meglio. Eccezionale per esempio la rappresentazione della vita in famiglia che mette in luce una società tradizionale (la parte dei ricordi si riferisce agli anni Sessanta), con una madre in posizione subordinata rispetto al padre, mostrato sempre indifferente, intento a leggere il giornale e fumare. Concordo con chi ha già sottolineato che il finale forse pecca un po' di prevedibilità. Un finale più "amaro" sarebbe stato secondo me perfetto. Ma nulla o quasi toglie a questo capolavoro, anche perché la canzone con la quale si conclude è davvero magnifica.

anonimo

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anonimo

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
I ricordi. Quella sensazione di trovarsi ancora dove si è, ma di lievitare contemporaneamente con la mente altrove. Sensazioni passate, ma ancora più vive che mai. Miracoli della natura, che ci fanno continuare a vivere, permettendoci di essere sinceri e leali, almeno solo con noi stessi. Questa è l'impressione che si riesce a cogliere in questo unico film.
"Omohide Poro Poro", un nome che, sentito così per la prima volta, potrebbe sembrare qualcosa di bizzarro, mentre il realtà è l'apice della profondità, unita alla condizione più umile che possa esistere, la semplicità. Questo lungometraggio che in italiano può significare "Pioggia di ricordi", è uno dei tanti gioielli cinematografici dell'ormai celebre Studio Ghibli, diretto da un colosso dell'animazione giapponese, il grande Isao Takahata.
Se dovessimo aprire una parentesi breve per descriverlo, ci vorrebbero pochissime parole, o forse una pagina intera, visto che non c'è una via di mezzo, ma personalmente lascio a voi le conclusioni dicendo soltanto una parola: Strabiliante. Unico nel suo genere, un vero capolavoro del cinema mondiale.
Se non fosse così, come si potrebbe raccontare la vita di una ragazza di città quasi trentenne, ancora sognatrice ma interiormente forte e paziente, né sposata né con un preciso futuro dinanzi?

Con una purezza insostituibile, che si mostra in pratica con i suoi ricordi di infanzia, Taeko, la protagonista assoluta cerca un equilibrio fra la sua vita del presente e la vita della bambina di 10 anni, che non ha alcuna intenzione di lasciarla vivere da sola e che, a causa della voglia di fare mai morta ma sempre più animata, la sta lasciando vivere in uno stato di ambiguità interminabile. Al fine di poter almeno scoprire la causa di tanta confusione, ella lascia il suo appartamento chiassoso in città, per recarsi in campagna, ad aiutare nella raccolta del cartamo, ma anche sé stessa, così per ritrovarsi in questo mondo. Lì conosce Toshio, che le fa da accompagnatore e da cui trarrà un certo equilibrio, ritrovando un compagno di giochi d'infanzia, in realtà mai incontrato, e infine, trovando in lui un amico insostituibile, che capirà di essere la chiave per la sua serenità.
Con flashback continui, che la riportano al passato, Taeko vive nuovamente dei momenti unici, propri della sua vita, con la sua famiglia, ancora unita, e con i suoi amici ancora tutti innocui e presi dal proprio istinto, i quali la faranno sorridere di cuore, così da tessere il suo bozzolo finale per liberarsi in cielo, come la farfalla della metafora.
Gli episodi che in continuo ci faranno trovare la Taeko decenne protagonista, saranno un paragone con il presente e ci mostreranno come un paese magico qual'è il Giappone, abbia potuto cambiare in soli quindici anni, partendo dal non saper tagliare un ananas, al vivere in grattacieli più moderni che mai.
La musica che accompagna le fantastiche scene del film non è quella classica della Ghibli realizzata da Joe Hisaishi, ma comunque è fiabesca e incantata, tanto da farci rivedere il film un milione di volte senza farci annoiare neanche una volta. La grafica è più che amabile, dolce, chiara con delle piccole differenze fra le scene del passato e quelle del presente, che si notano, creando un effetto prodigioso, tipico degli anime della Ghibli.

Il risultato finale? Un prodotto fantastico ma soprattutto reale con una regia più che buona, forse uno dei pochi film che mi hanno veramente emozionato, qualcosa che riesce a toccarti il cuore e a farlo battere, finendo nel far chiudere gli occhi per non farli lacrimare più. Un film d'animazione unico in tutti i sensi, che rispecchia la vita quotidiana di molta gente e che ci fa sognare quel tempo destinato a durare per sempre, essendo finito nel baratro infido e misterioso che è e sarà per sempre quel passato che potrà riemergere soltanto coi ricordi.


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M3talD3v!lG3ar

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
"Omohide Poro Poro" è un film d'animazione del 1991, creato dalla premiata ditta Takahata-Miyazaki e purtroppo mai approdato in Italia, più conosciuto come "Pioggia di Ricordi" o, letteralmente, "Ricordi Goccia a Goccia".
Subito dopo la visione di questo film posso ribadire, con gli occhi ancora lucidi, di aver potuto trascorrere due ore magnifiche.
In secondo luogo posso ritenermi meravigliato quanto rattristato del fatto che, di tutti i capolavori dello Studio Ghibli, il lungometraggio in questione sia uno dei più sottovalutati o addirittura trascurati, ogni volta che c'è da stilare una lista delle migliori opere d'animazione del genere (o, nello specifico, dello Studio).
A mio avviso, l'idea di raccontare in maniera più realistica possibile le vicende di una vita, la storia di un paese, le abitudini di una generazione, non è affatto facile da mettere in pratica: in questo frangente, gli autori sono andati anche oltre...
La giovane Taeko Okajima è la classica impiegata giapponese degli anni Ottanta, che lavora in ufficio a Tokyo. Una vacanza estiva nella campagna giapponese di Yamagata è l'occasione per ricordare la sua infanzia, in una sequenza di flashback ambientati negli anni Sessanta. Giocato non solo sul confronto tra presente e passato, ma tra due differenti stili di vita, il film mette la protagonista di fronte a una scelta: tornare a Tokyo e riprendere l'esistenza di sempre, oppure trasferirsi definitivamente a Yamagata.
Era dai tempi di "Una Tomba per le Lucciole" che non incontravo personaggi così "umani", così "veri": la figura di Taeko è così splendidamente caratterizzata, che l'immersione nei suoi ricordi quasi non si discosta con la totale immedesimazione, da parte dello spettatore, nelle meravigliose campagne giapponesi, come nelle consuetudini e nelle manie di due ere contrapposte... è come guardarsi allo specchio e scorgere l'immagine della donna che narra del suo nostalgico cammino di vita, che vede condividere gioie e dolori accomunati, ma nati da ricordi per ognuno differenti, sia nello spazio che nel tempo.
In altre parole, poco importa che non abbiate vissuto la vostra infanzia in Giappone, negli anni '60: vi sembrerà di essere totalmente partecipi agli stati d'animo della protagonista, per quanto possa trattarsi di un "cartone".
E qui è interessante risalire alle dichiarazioni del regista, il quale affermò che sarebbe stato molto difficile, per degli attori in carne ed ossa, rendere tutte le emozioni che provavano i protagonisti: emozioni che si avvistano ad ogni espressione dei visi, ad ogni "involontario" accenno gestuale, o nel tono delle voci, fattori che messi insieme costituiscono la prova di una realizzazione curata in modo maniacale. Tanto per fare degli esempi, la perfezione riscontrabile nella scelta delle voci è dovuta non solo all'eclatante bravura dei doppiatori, ma anche al fatto che essi stessi abbiano "prestato" i propri tratti facciali ai personaggi da loro doppiati; inoltre il livello di realismo riscontrato nell'ambientazione è garantito anche da piccole citazioni riguardanti media, mode e personaggi riferiti a quell'epoca, come il famoso programma televisivo "Hyokkori Hyotanjima".
Tema portante dell'opera è in definitiva la visione del ruolo della donna giapponese, che, pur avendo subìto cambiamenti, vede porsi ancora oggi molte restrizioni, ammissibili o non, a seconda dei punti di vista: in occidente un film del genere potrebbe considerarsi antifemminista, ma non in Giappone, e forse è anche per tale motivo che il prodotto è ancora inedito nel nostro paese.
A prescindere dai preconcetti e dalle usanze, "Omohide Poro Poro", grazie ad immagini pittoresche, a una narrazione poetica, ricca di dialoghi e flashback e sceneggiata in modo superlativo (Satoshi Kon ricreerà qualcosa di molto simile con lo splendido "Millennium Actress"), ad animazioni impressionanti e a temi musicali estremamente particolari, si classifica come capolavoro, probabilmente uno dei più memorabili, a mio avviso.
Appassionante, delicato, malinconico, commovente - soprattutto nella sequenza finale, a dir poco indimenticabile.


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roooo83

Episodi visti: 1/1 --- Voto 7
Omohide Poro Poro narra la storia della ventisettenne Taeko. La giovane, durante un viaggio di vacanza in campagna, il posto che più la fa sentire a casa, ritorna con la mente all'anno in cui frequentava la quinta elementare. Rivede così, con occhi diversi, il percorso affrontato allora, i piccoli ostacoli che da bambino trovavi insormontabili, la prima cotta, lo studio, i brutti voti, i sogni, e tutti i capricci di cui era capace, essendo la minore di tre sorelle, e quindi la più viziata. Tutto questo accompagnato dai meravigliosi sfondi della campagna giapponese, rappresentati in modo sublime, dai colori brillanti e con le musiche azzeccatissime, che fanno di quest'opera, un piacevole tuffo nella crescita che porta alla maturazione. Quel tipo di passaggio che nella vita risulta sempre estremamente difficile da affrontare, soprattutto quando di superare quel confine non ne hai proprio voglia. Ed è quello che succede a Taeko, fino a quando si renderà conto, che attraversare quello scoglio viene del tutto naturale ad un certo punto. Un film che da spunto per riflettere e che consiglio a tutti quelli che amano il cinema di Miyazaki.

simona

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simona

Episodi visti: 1/1 --- Voto 9
Altro capolavoro del maestro Takahata! Questo lungometraggio ha la capacità di catturare lo spettatore per l'attenzione ai particolari, in un volo nostalgico che collega il passato con il nostro presente. E' un'intensa elegia della speranza che descrive gli stupendi viaggi di una ragazza! Molto romantico e appassionante dall'inizio alla fine e senz'altro capace di far emozionare lo spettatore! Bellissimo!


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Caio

Episodi visti: 3/1 --- Voto 10
Bel film. Takahata produce un film che è un piccolo capolavoro! Tolto il disegnato con un cast reale l'obiettivo è sempre raggiunto. Bravo il regista. Il binomio passato (una donna sposabile che desidera anche essere realizzata nella vita da adulta , ma che in villeggiatura rivive gli episodi più significativi della propria infanzia) ed un presente che è un cammino di ricerca spirituale della donna, Taeko tanto realizzata nel lavoro a discapito del suo sacro dono: divenire una madre ed una sposa. Mentre il ricordo prende vita la nostalgia cattura lo spettatore , i sogni mai sopiti, i sogni infranti, la vita d'artista non realizzata e poi un salto nel presente a una Taeko che soffre di un passato, e che solo alla fine rielabora quanto importante sia stata la vita già vissuta e si volta indietro sorridendo a ciò che era e a ciò che oggi è. Una donna , sognatrice è vero, ma che desidera amarsi ancora. Il montaggio è un'opera d'arte in pieno stile europeo e franco-Italiano per certi intrecci della trama, sembra una cartolina vivente il film. I protagonisti vivono i loro spazi e la camera è un pennello pittorico che dipinge Taeko in modo autentico. Insomma la regia ci mostra una vita passata, che grazie a questa permette il nascere di un'altra vita (Taeko adulta). E' il passaggio simbolico dall'età adolescenziale all'età adulta, tuttavia non è solo un aggiungere tempo alla vita. Taeko da bimba e poi da adulta. Lo spettatore conosce anche un'ottima regia che fa dire alla donna nel finale "Io aggiungo la vita ai giorni", e lo fa dire senza parlare. Eccezionale.


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Shonenbat

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Intimo, innocente, romantico, dolce, toccante, nostalgico. Di quella nostalgia che lascia tracce di sé nell'atmosfera, nei campi di fiori di cartamo, negli acquazzoni improvvisi, nella vita di campagna semplice e appagante, nel cuore degli spettatori. "Omohide Poro Poro" è un film "felice" e profumato di buono, fare piangere dalla felicità non è cosa da tutti, ma da uno dei geni dell'animazione giapponese ce lo aspettavamo. Capolavoro.

Merlo50

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Merlo50

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
In una parola: bellissimo! Un viaggio tra i ricordi di una giovane donna alla scoperta di se stessa, ricordi belli, brutti o semplicemente banali, il tutto quasi senza rimpianti, malinconie o recriminazioni. Un'unica pecca (secondo me): il finale, per quanto molto bello, è del tutto prevedibile (si riscatta però con la bellissima canzone). Metto il voto massimo perché è riuscito a far commuovere anche un vecchio orso come me.

animenokokoro

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animenokokoro

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Ho iniziato a guardarlo con solo l'intenzione di capire se si vedeva bene e alla fine l'ho guardato tutto senza nemmeno rendermene conto.
E' un anime caratterizzato da una dolcezza sconvolgente, dove il caro Takahata ci regala una storia semplice, ma densa di significato, poesia e un sano pizzico di nostalgia.
Un racconto intimo, maturo, basato sulle persone e sui sentimenti, dove i ricordi e il passato si incrociano con il presente, dicendoci, magari ad alta voce o solamente bisbigliando, chi siamo e magari, dove stavamo andando.
In più di un'occasione, soprattutto nella prima parte, riasce anche a divertire, in maniera un po' ingenua forse, ma sarà un sorriso che vi nascerà dal cuore.
Animazione, chara, musiche e disegni molto ben curati e personaggi veri, sinceri, mai banali o stereotipati.
Incredibile, nella colonna sonora c'è una canzone in italiano (mai sentita prima) e anche il Pippero!!!
Canzone finale emozionante e strappalacrime che condensa, in poche parole, tutto lo spirito romantico del film.
Un grazie di cuore a chi ha curato i sottotitoli.
Da non perdere assolutamente.

Goidil

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Goidil

Episodi visti: 1/1 --- Voto 9
Il film di Takahata del 1991 è un opera struggente, intima e totalmente melanconica. Una regia straordinaria fa collidere le due vicende in modo brillante e fresco. Le ampie digressioni (tema portante della prima parte del film) sono realizzate con una più acuta riflessione rispetto a quelle della Taeko ventisettenne: i temi sono tutt'altro che stereotipate e l'atmosfera intima ed ingenua del sistema scolastico elementare strappa sorrisi e sovente anche lacrime. Un opera malinconica, supportata da una regia di grande caratura cinematografica (i piccoli accorgimenti di montaggio elevano l'opera ancora di più), un comparto tecnico etereo e sfumato brilla nelle sezioni infantili, mentre uno più realistico contorna le fasi ambientate nel "presente" (per certi versi assomiglia a Tonari no Totoro). Merita una menzione particolare la parte musicale, che sebbene non propone pezzi storici e d'impatto, riesce a sfruttare un campionario molto particolare, che spazia da temi classici a giapponesi, senza disdegnare il folk italiano (un suggerimento di mastro Hayao?) e melodie ungheresi.
La parte che vede una Taeko matura non riesce a tenere il passo con la visione onirica del mondo infantile: l'amore , l'amicizia, i voti a scuola, il ciclo mestruale (raccontato con una maestria ed una delicatezza semplicemente perfetta, lontana dalle visioni volgari che ci propinano gli occidentali) e il rapporto con i parenti(emozionante la scena dello schiaffo paterno). Del comparto tecnico non vanno dimenticate le animazioni e le espressioni dei volti: semplicemente curate al massimo e volutamente esagerate come da tradizione nipponica.

La seconda parte del film purtroppo scade un pò e non riesce a mantenere lo stesso standard di inizio film, anche se l'ottimo finale risolleva la situazione. Ci troviamo di fronte ad un ottimo film: graficamente è degno dello Studio Ghibli, il character design è estremamente naturale, le musiche ricercate con grande sapienza ed i temi affrontati sono interessanti ed espressi con grande maestria. Sicuramente un film da vedere.

PS Si tratta di una storia di formazione, uno dei temi cinematografici, letterari e videoludici che preferisco. In particolare l'eco ai Beatles e ai mutamenti sociali giovanili degli anni '60 ha riportato alla mente Tokyo Blues Norwegian Wood di Haruki Murakami (libro) e Mother 2 di Shigesato Itoi (videogame) dove compaiono i ragazzi di Liverpool. Il tema narrativo di formazione nipponico passa ordunque dalla musica dei Beatles, icona di una generazione di giovani...

Rafiky

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Rafiky

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Beh,è vero che il 10 non andrebbe forse mai dato, ma per opere del genere uno strappo alla regola credo sia consentito. Un film difficile da descrivere, va visto ed amato. Un meraviglioso viaggio tra i ricordi di una giovane ragazza,che ci accompagnerà per due ore di storia dell'animazione,e della cinematografia in generale.
Un peccato che Takahata sia così sconosciuto al di fuori dal Giappone, nonostante le svariate perle che ha creato.
Stupendo.

Trip

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Trip

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8
Sul percorso che va dalla fiaba di campagna narrata da "Totoro" fino alla vicenda urbana di "Whisper of the heart", lo studio Ghibli inserisce una delle sue produzioni meno note e meglio riuscite, che si muove tra questi due ambienti seguendo la crescita e i viaggi della sua protagonista.

Un romanzo di formazione da molti punti di vista, che però tralascia i luoghi comuni e i sentimentalismi del genere per affrontare, in modo più maturo e altrettanto poetico, la ricerca e la costruzione dell'identità.
Con grande raffinatezza, la vita di una persona viene raccontata come percorso nei ricordi, al quale corrisponde un viaggio dalla città alla campagna, fino al punto in cui la crescita e le scelte definitive diventano come l'approdo alla vera casa.

Infine, da notare la consueta cura per le ambientazioni, per i particolari e per la sceneggiatura.
Da vedere.

Zooropa

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Zooropa

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Questo film ha dei tratti di puro genio. La regia è persino migliore del precedente "Una tomba per le lucciole" che già sfiorava la perfezione. Curiosamente, a differenza del suo predecessore, la realizzazione pare si stata fatta un po' più in economia pur restando sempre su alti livelli. La trama è qualcosa di meraviglioso, poetico ed intimo, innocente e romantico. Innumerevoli le citazioni dei ricordi che rimangono tali perché associati alla cultura che si resipra in quel momento... possano essere i Beatles nel '66 o E.T. nell '83. Un viaggio nei ricordi e negli affetti in cui ognuno di noi si potrà riconoscere. Cosa facevo quando ero bimbo? Immaginavo dove mi avrebbe portato la vita?
Un film sereno e positivo che vi lascerà un ricordo dolcissimo. Da vedere!

Una menzione particolare per le musiche... qualcuno di voi potrà notare il famoso "coro delle voci bulgare" che cantano il famossisimo coro noto in Italia come "il pippero"...^^