Sandy dai mille colori
"Sandy dai mille colori" è, in ordine cronologico, la quarta maghetta protagonista di una serie realizzata dallo Studio Pierrot. Il titolo italiano, a differenza di quello originale, non fa un riferimento specifico all'attività preferita della protagonista, ossia il disegno (Sandy ha infatti il sogno di diventare una mangaka), ma può essere collegato anche all'attività dei genitori di Sandy, che hanno un negozio di fiori.
Con le sue "cugine" Yu, Persha/Evelyn e Mei, Sandy condivide diversi aspetti, come l'età preadolescenziale, il carattere gioioso ed espansivo che deve catturare la simpatia dello spettatore, il fatto di essere figlia unica (solo Mei aveva un fratellino, peraltro piuttosto marginale nell'economia della storia) con i genitori che hanno una propria attività commerciale, e soprattutto l'acquisizione dei poteri magici ad opera di uno o più folletti alieni: in questo caso si tratta di Pico e Paco, due folletti dall'aspetto simile a paffuti gattoni. Rispetto a Posi e Nega de "L'incantevole Creamy", Pico e Paco sono molto più "morbidosi" ma anche più discreti, rimanendo invisibili ai normali esseri umani e palesando la propria presenza a Sandy solo nei momenti in cui questa si trova in difficoltà o in pericolo. Vi è anche una differenza sostanziale con le altre "Pierjokko": i poteri magici di Sandy non la trasformano in un'altra persona maggiore d'età, ma le permettono di creare dal nulla oggetti o situazioni che però non possono più essere ripetuti. Ciò da un certo punto di vista può rendere più interessante il singolo episodio (quale sarà la magia che farà oggi Sandy?), però toglie la suspense data nelle altre serie dalle situazioni in cui l'identità segreta della protagonista era in pericolo, e dai suoi stratagemmi per non farsi scoprire. Alla luce di questo fatto, non è forse un caso che la serie conti un numero d'episodi minore di quello delle altre "Pierjokko" (venticinque, dei quali diversi sono di riepilogo), come se a un certo punto gli sceneggiatori avessero esaurito le idee. Ciononostante, la conclusione della serie (col "mondo dei fiori", di Pico e Paco in pericolo e Sandy che cercherà di risolvere la situazione) appare piuttosto affrettata e non porta a cambiamenti sostanziali nei rapporti interpersonali dei personaggi.
Il character design è semplice ma molto elegante, probabilmente il migliore tra le quattro serie di maghette dello Studio Pierrot degli anni Ottanta (non considerando la successiva "Fancy Lala"). Tra i personaggi di contorno, è presente ovviamente il ragazzo goffo che ama, non corrisposto, la protagonista (Ciccio), il ragazzo belloccio e maggiore d'età spasimato dalla protagonista, il quale però non se la fila (Roby, dipendente dei genitori di Sandy, appassionato di deltaplano e fratello maggiore di Ciccio), un'anziana "macchietta" (il nonno paterno di Sandy) e coloro che appaiono il più delle volte come antagonisti, seppure talora in modo un po' forzato: la grassa e bisbetica signora Trudy e il suo maggiordomo Carmelo, dall'acconciatura che sembra una parrucca settecentesca.
In questa serie vi sono meno riferimenti alla cultura giapponese che in altre, al punto che l'adattamento italiano targato Mediaset, con i nomi cambiati, non sembra nemmeno tanto stonato.
In conclusione, "Sandy dai mille colori" è probabilmente la "Pierjokko" con meno mordente, ma rimane una serie abbastanza piacevole da guardare, a patto di non aspettarsi un capolavoro.
Con le sue "cugine" Yu, Persha/Evelyn e Mei, Sandy condivide diversi aspetti, come l'età preadolescenziale, il carattere gioioso ed espansivo che deve catturare la simpatia dello spettatore, il fatto di essere figlia unica (solo Mei aveva un fratellino, peraltro piuttosto marginale nell'economia della storia) con i genitori che hanno una propria attività commerciale, e soprattutto l'acquisizione dei poteri magici ad opera di uno o più folletti alieni: in questo caso si tratta di Pico e Paco, due folletti dall'aspetto simile a paffuti gattoni. Rispetto a Posi e Nega de "L'incantevole Creamy", Pico e Paco sono molto più "morbidosi" ma anche più discreti, rimanendo invisibili ai normali esseri umani e palesando la propria presenza a Sandy solo nei momenti in cui questa si trova in difficoltà o in pericolo. Vi è anche una differenza sostanziale con le altre "Pierjokko": i poteri magici di Sandy non la trasformano in un'altra persona maggiore d'età, ma le permettono di creare dal nulla oggetti o situazioni che però non possono più essere ripetuti. Ciò da un certo punto di vista può rendere più interessante il singolo episodio (quale sarà la magia che farà oggi Sandy?), però toglie la suspense data nelle altre serie dalle situazioni in cui l'identità segreta della protagonista era in pericolo, e dai suoi stratagemmi per non farsi scoprire. Alla luce di questo fatto, non è forse un caso che la serie conti un numero d'episodi minore di quello delle altre "Pierjokko" (venticinque, dei quali diversi sono di riepilogo), come se a un certo punto gli sceneggiatori avessero esaurito le idee. Ciononostante, la conclusione della serie (col "mondo dei fiori", di Pico e Paco in pericolo e Sandy che cercherà di risolvere la situazione) appare piuttosto affrettata e non porta a cambiamenti sostanziali nei rapporti interpersonali dei personaggi.
Il character design è semplice ma molto elegante, probabilmente il migliore tra le quattro serie di maghette dello Studio Pierrot degli anni Ottanta (non considerando la successiva "Fancy Lala"). Tra i personaggi di contorno, è presente ovviamente il ragazzo goffo che ama, non corrisposto, la protagonista (Ciccio), il ragazzo belloccio e maggiore d'età spasimato dalla protagonista, il quale però non se la fila (Roby, dipendente dei genitori di Sandy, appassionato di deltaplano e fratello maggiore di Ciccio), un'anziana "macchietta" (il nonno paterno di Sandy) e coloro che appaiono il più delle volte come antagonisti, seppure talora in modo un po' forzato: la grassa e bisbetica signora Trudy e il suo maggiordomo Carmelo, dall'acconciatura che sembra una parrucca settecentesca.
In questa serie vi sono meno riferimenti alla cultura giapponese che in altre, al punto che l'adattamento italiano targato Mediaset, con i nomi cambiati, non sembra nemmeno tanto stonato.
In conclusione, "Sandy dai mille colori" è probabilmente la "Pierjokko" con meno mordente, ma rimane una serie abbastanza piacevole da guardare, a patto di non aspettarsi un capolavoro.
"Mahou no Idol Pastel Yumi", noto in Italia come "Sandy dai mille colori", è l'ultima serie TV appartenente al filone delle maghette dello Studio Pierrot degli anni '80 (ci sarà un ultimo, ininfluente, colpo di coda negli anni '90 con il misconosciuto "Fancy Lala") e, nonostante il successo riscosso nel nostro Paese, si capisce sin da subito che è una produzione diversa e "minore" rispetto a quelle che l'hanno preceduta.
A cominciare, infatti, dal numero degli episodi: solo venticinque contro i circa cinquanta delle serie precedenti. Una scelta motivata dal tema floreale della serie, che non avrebbe permesso un'ambientazione invernale, o il chiaro messaggio che il filone ormai non tirava più?
A differenza di Yu, Persha e Mai, Yumi non ha il potere di trasformarsi in una bella adolescente, ma le sue magie sono altrettanto interessanti: può infatti rendere reale, temporaneamente, qualsiasi cosa disegni con la sua bacchetta magica.
Questo elemento, dunque, taglia fuori dalla narrazione quelli che erano i maggiori punti di forza delle maghette precedenti: le travagliate storie d'amore proibite e ricche di equivoci, e la crescita interiore delle piccole protagoniste che si trovavano a vivere il mondo degli adulti sulla loro pelle. L'elemento magico, in realtà sfruttato anche poco rispetto alle infinite possibilità che offrirebbe, dà comunque una certa varietà e interesse agli episodi, dove, come e più delle maghette precedenti, il focus è tutto sulla quotidianità, sulla crescita, sui rapporti interpersonali.
La piccola Yumi (Sandy) è caratterizzata in maniera reale e simpatica: è una bambina vivace, sensibile, dolce, pasticciona e un po' lunatica, che vorrebbe farsi notare dall'affascinante e adulto Kyouhei (chiamato in Italia, nuovamente, Roby) e non si accorge, invece, del timido amore che prova per lei il suo impacciato ma gentile migliore amico Kenta (Ciccio), che fra capricci e litigi coi genitori impara a conoscere il mondo degli adulti, con l'aiuto di un pizzico di magia che male non fa.
A "Mahou no Idol Pastel Yumi" manca una trama portante, un obbiettivo (perché "Mahou no Idol", se il tema del mondo dello spettacolo non è minimamente trattato?), una scadenza, e la serie procede un po' a tentoni, fra un giorno qualunque e l'altro, fino a un finale che vira sul fantastico e apre le porte a molte trattazioni interessanti, purtroppo tutte solo accennate.
A parte quei tre, inutili, episodi riassuntivi, la serie, tuttavia, non annoia mai, grazie anche alla sua vivacità, all'intento educativo che mai viene meno e alla splendida caratterizzazione dei personaggi.
Come in tutte le produzioni del filone, infatti, alla piccola protagonista si affianca un cast di personaggi secondari ben riuscito che spesso e volentieri le ruba la scena facendo ridere ed emozionare lo spettatore: indimenticabili i suoi genitori, la "cattiva" miliardaria Fukurokoji (Trudy) allergica ai fiori e il suo buffo lacchè Saburo (Carmelo), lo strambo Dankichi (Cesare), arzillo nonno avventuriero che vive in una casa sull'albero e gira con un cammello come animale da compagnia. Sono personaggi simpaticissimi, che è davvero un piacere veder interagire fra loro e che, però, di tanto in tanto, ci stupiscono raccontandoci un po' di sé, vicende dolorose o toccanti del loro passato, o mostrano un'introspezione, una maturazione che ci fanno commuovere.
Come da tradizione del filone, l'aspetto tecnico è molto curato e gradevole, con una grafica ormai consolidata e piacevolissima, personaggi simpaticissimi ed espressivi, splendidi paesaggi (la città dove vivono i personaggi, coi suoi splendidi campi fioriti e le casette sul mare, è davvero incantevole) e musiche sobrie e graziose.
Il cast di doppiaggio giapponese è quasi lo stesso delle altre serie del filone: Yuu Mizushima è ancora una volta il bell'interesse amoroso della protagonista, Miina Tominaga è stata declassata da ex protagonista a folletto, Shigeru Chiba ormai ci ha preso gusto e ci regala uno spassosissimo personaggio di contorno.
Molto azzeccato anche il doppiaggio italiano, che presenta una delle prime prove da protagonista della dolcissima Debora Magnaghi, nonostante i nomi dei personaggi siano stati cambiati nel solito pot-pourri di nomi inglesi e italiani a casaccio tipico di quegli anni.
"Mahou no Idol Pastel Yumi" appare decisamente deludente se si pensa agli "alti" delle precedenti maghette Pierrot: non ha l'originalità di "Creamy Mami", le struggenti storie d'amore e gli universi fantastici di "Persha", la splendida indagine psicologica e il bellissimo alter-ego adulto di "Magical Emi", ma si accontenta, tutto sommato, di essere una serie solo "carina", un piacevole divertissement estivo, magari da guardare tutto d'un fiato in un afoso week end, mentre si è in preda a ricordi nostalgici dell'infanzia e di quando anche noi sognavamo di poter dar vita alle nostre fantasie e ai nostri desideri.
Il finale in sé e per sé è deludente, in quanto si era preparato il terreno per una maturazione dei personaggi e della trama che però non è avvenuta, la chiusura della serie è abbastanza frettolosa e rimane un anime un po' fine a sé stesso e dimenticabile alla lunga, ma anche capace di regalare sorrisi ed emozioni grazie ad un cast di personaggi molto simpatici e ad un'atmosfera solare, leggera, a volte anche un po' poetica.
Non è fra i classici del genere, ma è senza dubbio una visione piacevole e senza troppe pretese.
A cominciare, infatti, dal numero degli episodi: solo venticinque contro i circa cinquanta delle serie precedenti. Una scelta motivata dal tema floreale della serie, che non avrebbe permesso un'ambientazione invernale, o il chiaro messaggio che il filone ormai non tirava più?
A differenza di Yu, Persha e Mai, Yumi non ha il potere di trasformarsi in una bella adolescente, ma le sue magie sono altrettanto interessanti: può infatti rendere reale, temporaneamente, qualsiasi cosa disegni con la sua bacchetta magica.
Questo elemento, dunque, taglia fuori dalla narrazione quelli che erano i maggiori punti di forza delle maghette precedenti: le travagliate storie d'amore proibite e ricche di equivoci, e la crescita interiore delle piccole protagoniste che si trovavano a vivere il mondo degli adulti sulla loro pelle. L'elemento magico, in realtà sfruttato anche poco rispetto alle infinite possibilità che offrirebbe, dà comunque una certa varietà e interesse agli episodi, dove, come e più delle maghette precedenti, il focus è tutto sulla quotidianità, sulla crescita, sui rapporti interpersonali.
La piccola Yumi (Sandy) è caratterizzata in maniera reale e simpatica: è una bambina vivace, sensibile, dolce, pasticciona e un po' lunatica, che vorrebbe farsi notare dall'affascinante e adulto Kyouhei (chiamato in Italia, nuovamente, Roby) e non si accorge, invece, del timido amore che prova per lei il suo impacciato ma gentile migliore amico Kenta (Ciccio), che fra capricci e litigi coi genitori impara a conoscere il mondo degli adulti, con l'aiuto di un pizzico di magia che male non fa.
A "Mahou no Idol Pastel Yumi" manca una trama portante, un obbiettivo (perché "Mahou no Idol", se il tema del mondo dello spettacolo non è minimamente trattato?), una scadenza, e la serie procede un po' a tentoni, fra un giorno qualunque e l'altro, fino a un finale che vira sul fantastico e apre le porte a molte trattazioni interessanti, purtroppo tutte solo accennate.
A parte quei tre, inutili, episodi riassuntivi, la serie, tuttavia, non annoia mai, grazie anche alla sua vivacità, all'intento educativo che mai viene meno e alla splendida caratterizzazione dei personaggi.
Come in tutte le produzioni del filone, infatti, alla piccola protagonista si affianca un cast di personaggi secondari ben riuscito che spesso e volentieri le ruba la scena facendo ridere ed emozionare lo spettatore: indimenticabili i suoi genitori, la "cattiva" miliardaria Fukurokoji (Trudy) allergica ai fiori e il suo buffo lacchè Saburo (Carmelo), lo strambo Dankichi (Cesare), arzillo nonno avventuriero che vive in una casa sull'albero e gira con un cammello come animale da compagnia. Sono personaggi simpaticissimi, che è davvero un piacere veder interagire fra loro e che, però, di tanto in tanto, ci stupiscono raccontandoci un po' di sé, vicende dolorose o toccanti del loro passato, o mostrano un'introspezione, una maturazione che ci fanno commuovere.
Come da tradizione del filone, l'aspetto tecnico è molto curato e gradevole, con una grafica ormai consolidata e piacevolissima, personaggi simpaticissimi ed espressivi, splendidi paesaggi (la città dove vivono i personaggi, coi suoi splendidi campi fioriti e le casette sul mare, è davvero incantevole) e musiche sobrie e graziose.
Il cast di doppiaggio giapponese è quasi lo stesso delle altre serie del filone: Yuu Mizushima è ancora una volta il bell'interesse amoroso della protagonista, Miina Tominaga è stata declassata da ex protagonista a folletto, Shigeru Chiba ormai ci ha preso gusto e ci regala uno spassosissimo personaggio di contorno.
Molto azzeccato anche il doppiaggio italiano, che presenta una delle prime prove da protagonista della dolcissima Debora Magnaghi, nonostante i nomi dei personaggi siano stati cambiati nel solito pot-pourri di nomi inglesi e italiani a casaccio tipico di quegli anni.
"Mahou no Idol Pastel Yumi" appare decisamente deludente se si pensa agli "alti" delle precedenti maghette Pierrot: non ha l'originalità di "Creamy Mami", le struggenti storie d'amore e gli universi fantastici di "Persha", la splendida indagine psicologica e il bellissimo alter-ego adulto di "Magical Emi", ma si accontenta, tutto sommato, di essere una serie solo "carina", un piacevole divertissement estivo, magari da guardare tutto d'un fiato in un afoso week end, mentre si è in preda a ricordi nostalgici dell'infanzia e di quando anche noi sognavamo di poter dar vita alle nostre fantasie e ai nostri desideri.
Il finale in sé e per sé è deludente, in quanto si era preparato il terreno per una maturazione dei personaggi e della trama che però non è avvenuta, la chiusura della serie è abbastanza frettolosa e rimane un anime un po' fine a sé stesso e dimenticabile alla lunga, ma anche capace di regalare sorrisi ed emozioni grazie ad un cast di personaggi molto simpatici e ad un'atmosfera solare, leggera, a volte anche un po' poetica.
Non è fra i classici del genere, ma è senza dubbio una visione piacevole e senza troppe pretese.
Vi sono vari presupposti per considerare "Sandy" la più sfigata tra le varie maghette Pierrot. Innanzitutto la durata: venticinque episodi appena a fronte dei 40/50 delle precedenti produzioni, coprendo così solo due stagioni televisive (primavera-estate del 1986) invece di un anno completo. Seconda cosa, i poteri dati a Sandy (che da ora chiamerò Yumi) non la rendono capace di trasformarsi, ma solo di creare qualcosa dal nulla, e questo è un inspiegabile passo falso nel filone majokko dello Studio Pierrot per diversi motivi; uno fra tutti la mancanza di quel percorso di maturazione che tanto aveva caratterizzato "Creamy" e "Emi", ma anche il conseguente allontanamento di un pubblico maschile, vista l'assenza di una attraente controparte adulta della bimbetta protagonista.
La visione dei primi episodi risulta in realtà gradevole, grazie al solito ottimo apparato artistico dello Studio Pierrot atto a rendere la città teatro della vicenda un luogo vivo e pulsante, a metà tra fiabesco e reale, a partire dall'adorabile casetta di Yumi che sembra uscita da un negozio di giocattoli, passando alla costruzione di legno costruita abusivamente da suo nonno nel bosco, fino all'abitazione sul mare di Kenta. Tutto bello, se non fosse che ben presto il nuovo staff (se escludiamo il character designer Kouji Motoyama), capitanato da un regista inesperto, si dimostra del tutto incapace di plasmare una trama un minimo interessante, "accontentandosi" di servirci una serie composta esclusivamente da episodi autoconclusivi (con addirittura tre riassuntivi), alcuni dei quali davvero di scarso appeal.
I personaggi che popolano "Pastel Yumi" si affidano al puro principio della casualità narrativa: il sogno di Yumi di diventare una mangaka, per esempio, non solo non viene sviluppato, ma neanche lontanamente accennato negli episodi più avanzati. I due folletti, dopo aver donato i poteri alla protagonista, non faranno assolutamente nulla per tutta la durata della serie, se non litigare come degli idioti; non parliamo poi delle questioni sentimentali, basate solo su banalissime gelosie e litigi di livello infimo. Ed è anche un peccato, dato che il cicciottello Kenta è diverso e decisamente più simpatico rispetto a un insopportabile Toshio, ma alla fine tutto rimane invariato.
È questo il maggior difetto di Pastel Yumi rispetto ad altri prodotti simili, la sua inerzia, la sua stabilità. Yumi, così come la conosciamo nel primo episodio, tale sarà nell'ultimo, e lo stesso vale per gli altri personaggi, se si escludono gli assurdi sbalzi di umore del maggiordomo Kunimitsu Saburo. Le carenze di sceneggiatura di questa serie sono così evidenti, se confrontate con i percorsi di crescita di Yuu Morisawa e Mai Kazuki, e saranno artefici anche del "periodo di riflessione" che lo Studio Pierrot si concederà prima di tornare sul genere, con Fancy Lala, decisamente fuori tempo massimo.
Di buonissima qualità invece la soundtrack, forse a tratti superiore anche a quella del precedente "Emi", mentre le sigle si attestano sugli standard del periodo. Solita frittata di nomi italianizzati da parte di Mediaset così come era lecito fare in quegli anni, con dei nomi di così scarsa inventiva (Maurizio, Ciccio, Carmelo...) da non meritare neanche un commento in proposito. Bravi invece tutti i doppiatori.
In definitiva, consiglierei "Sandy dai Mille Colori" solo ai fan dei majokko più sfegatati, e ai nostalgici degli anni ottanta; gli altri possono dedicare le loro attenzioni a prodotti con ben altri meriti storici e narrativi.
La visione dei primi episodi risulta in realtà gradevole, grazie al solito ottimo apparato artistico dello Studio Pierrot atto a rendere la città teatro della vicenda un luogo vivo e pulsante, a metà tra fiabesco e reale, a partire dall'adorabile casetta di Yumi che sembra uscita da un negozio di giocattoli, passando alla costruzione di legno costruita abusivamente da suo nonno nel bosco, fino all'abitazione sul mare di Kenta. Tutto bello, se non fosse che ben presto il nuovo staff (se escludiamo il character designer Kouji Motoyama), capitanato da un regista inesperto, si dimostra del tutto incapace di plasmare una trama un minimo interessante, "accontentandosi" di servirci una serie composta esclusivamente da episodi autoconclusivi (con addirittura tre riassuntivi), alcuni dei quali davvero di scarso appeal.
I personaggi che popolano "Pastel Yumi" si affidano al puro principio della casualità narrativa: il sogno di Yumi di diventare una mangaka, per esempio, non solo non viene sviluppato, ma neanche lontanamente accennato negli episodi più avanzati. I due folletti, dopo aver donato i poteri alla protagonista, non faranno assolutamente nulla per tutta la durata della serie, se non litigare come degli idioti; non parliamo poi delle questioni sentimentali, basate solo su banalissime gelosie e litigi di livello infimo. Ed è anche un peccato, dato che il cicciottello Kenta è diverso e decisamente più simpatico rispetto a un insopportabile Toshio, ma alla fine tutto rimane invariato.
È questo il maggior difetto di Pastel Yumi rispetto ad altri prodotti simili, la sua inerzia, la sua stabilità. Yumi, così come la conosciamo nel primo episodio, tale sarà nell'ultimo, e lo stesso vale per gli altri personaggi, se si escludono gli assurdi sbalzi di umore del maggiordomo Kunimitsu Saburo. Le carenze di sceneggiatura di questa serie sono così evidenti, se confrontate con i percorsi di crescita di Yuu Morisawa e Mai Kazuki, e saranno artefici anche del "periodo di riflessione" che lo Studio Pierrot si concederà prima di tornare sul genere, con Fancy Lala, decisamente fuori tempo massimo.
Di buonissima qualità invece la soundtrack, forse a tratti superiore anche a quella del precedente "Emi", mentre le sigle si attestano sugli standard del periodo. Solita frittata di nomi italianizzati da parte di Mediaset così come era lecito fare in quegli anni, con dei nomi di così scarsa inventiva (Maurizio, Ciccio, Carmelo...) da non meritare neanche un commento in proposito. Bravi invece tutti i doppiatori.
In definitiva, consiglierei "Sandy dai Mille Colori" solo ai fan dei majokko più sfegatati, e ai nostalgici degli anni ottanta; gli altri possono dedicare le loro attenzioni a prodotti con ben altri meriti storici e narrativi.
Questo è un anime molto particolare per i temi che vengono trattati, sono dei temi quasi insoliti, che difficilmente si vedono all'interno di un anime. I motori che muovono quest'opera sono i fiori, l'amore, il rispetto della natura e i disegni. Insieme, questi motori danno origine ad una storia molto particolare, dove il senso artistico viene collocato contemporaneamente nella realtà.
In passato molti pittori italiani erano capaci di simili opere, tanto è vero che per loro fu coniato il termine di realismo, in quanto grazie ai colori, le luci e i chiaroscuri, per come riuscivano ad interpretare il momento topico di ciò che stavano osservando e dell'ispirazione che ne avevano tratto,davano un tocco quasi veritiero alle loro opere, in pratica erano come se fossero viventi. E un concetto simile lo ritroviamo in questo cartone, dove le sensazioni, la natura e tutto ciò che circonda la protagonista, tutto ciò che in parte è astratto, diventa così vivo e concreto, dove un mondo di lì solo sognato diventa possibile, dove i sogni prendono vita e dove i fiori accompagnano la protagonista in diverse avventure.
I fiori e i disegni, quindi. I fiori sono quanto di più difficile si possa dipingere, al pari del mare e del cielo, per quanto l'estro possa far decidere all'autore di un dipinto la reale tonalità da inserire nel quadro, nessuno può eguagliare quelle sfumature e quei colori, la nostra protagonista ci riesce grazie alla magia, ma non sa che è il suo talento che permette di rendere già viva una sua opera prima ancora di prendere vita.
E qui nasce l'intenzione morale dell'autore. In pratica se si ha talento si diventa subito distinguibili, si è capaci di imprese che in pochi saprebbero fare altrettanto, e soprattutto si cresce prima degli altri, e se al talento va unito l'amore delle cose per cui vale davvero la pena di vivere nonché al rispetto di ciò che ci circonda oltre a diventare distinguibili in questo, si può essere anche da esempio per molti che vogliono imparare.
Però la morale ci dice che anche chi ha talento e lo sa sfruttare molto bene ha sempre da imparare, perché le difficoltà sono sempre dietro l'angolo, come i poteri magici che sono presenti in quest'opera, perché prima o poi spariscono, e lì è brava la protagonista grazie alla sua grinta e talento da vendere ad uscire da un destino avverso. Un titolo davvero consigliatissimo!
In passato molti pittori italiani erano capaci di simili opere, tanto è vero che per loro fu coniato il termine di realismo, in quanto grazie ai colori, le luci e i chiaroscuri, per come riuscivano ad interpretare il momento topico di ciò che stavano osservando e dell'ispirazione che ne avevano tratto,davano un tocco quasi veritiero alle loro opere, in pratica erano come se fossero viventi. E un concetto simile lo ritroviamo in questo cartone, dove le sensazioni, la natura e tutto ciò che circonda la protagonista, tutto ciò che in parte è astratto, diventa così vivo e concreto, dove un mondo di lì solo sognato diventa possibile, dove i sogni prendono vita e dove i fiori accompagnano la protagonista in diverse avventure.
I fiori e i disegni, quindi. I fiori sono quanto di più difficile si possa dipingere, al pari del mare e del cielo, per quanto l'estro possa far decidere all'autore di un dipinto la reale tonalità da inserire nel quadro, nessuno può eguagliare quelle sfumature e quei colori, la nostra protagonista ci riesce grazie alla magia, ma non sa che è il suo talento che permette di rendere già viva una sua opera prima ancora di prendere vita.
E qui nasce l'intenzione morale dell'autore. In pratica se si ha talento si diventa subito distinguibili, si è capaci di imprese che in pochi saprebbero fare altrettanto, e soprattutto si cresce prima degli altri, e se al talento va unito l'amore delle cose per cui vale davvero la pena di vivere nonché al rispetto di ciò che ci circonda oltre a diventare distinguibili in questo, si può essere anche da esempio per molti che vogliono imparare.
Però la morale ci dice che anche chi ha talento e lo sa sfruttare molto bene ha sempre da imparare, perché le difficoltà sono sempre dietro l'angolo, come i poteri magici che sono presenti in quest'opera, perché prima o poi spariscono, e lì è brava la protagonista grazie alla sua grinta e talento da vendere ad uscire da un destino avverso. Un titolo davvero consigliatissimo!
Questa serie è la quarta ed ultima tra gli anime con le maghette, realizzati dallo Studio Pierrot. A differenza delle altre tre, in Sandy non c'è la possibilità di trasformarsi in adulta utilizzando la magia, ma non per questo però, la serie è meno interessante o divertente, anzi. L'opera racchiude in sé dei valori molto importanti, come quello dell'altruismo e della natura, che Sandy impara ad amare grazie ai suoi genitori che gestiscono un negozio di fiori. Sandy ha anche la passione per il disegno e con la sua bacchetta magica riesce a disegnare qualsiasi cosa nell'aria. Inoltre, grazie al suo ciondolo fatato, donatogli dai due sue folletti, tutto quello che disegna prende vita e grazie al suo potere può aiutare tutte le persone in difficoltà.
Questa, come tante altre serie animate degli anni ottanta, è stato un prodotto che con tutta sincerità non mi è rimasto particolarmente impresso nella memoria (e nel cuore). Al tempo conoscevo ben poco riguardo l’animazione giapponese, e mi limitavo a guardare le serie tv che le varie emittenti passavano.
Inconsapevole del genere “majokko”, introdotto in dose massiva e internazionale tramite molteplici lavori di una certa rilevanza dallo studio Pierrot, per me Sandy dai mille colori si trattava semplicemente di un “cartone animato” dove la protagonista, una ragazzina di nome Sandy, per qualche misterioso (o forse inevitabile?) incontro, acquisiva poteri magici grazie a due folletti di nome Pico e Paco.
Ho descritto l’incipit in maniera piuttosto superficiale e poco esplicativa, ma il succo di questo discorso è sempre lo stesso: una giovane ragazza che diventa una streghetta alle prese con problemi talvolta più grandi di lei o classici dilemmi di gioventù, conditi con un pizzico di mistero e magia che la faranno maturare episodio dopo episodio. Di questo genere ho apprezzato enormemente Magica Emi e L’incantevole Creamy, e trovo che Sandy dai mille colori sia un gradino sotto queste due serie, probabilmente per motivi di trama e aspetti puramente tecnici.
Tuttavia, fra i personaggi ve ne sono alcuni davvero divertenti: come dimenticare la buffa e sgraziata Trudy (che sarebbe esagerato chiamare la “cattiva” di turno, ma diciamo può essere identificata come l’elemento di discordia all’interno della storia), una signora grassoccia che non sopporta i fiori poiché ne è allergica, e il suo maggiordomo Carmelo, piuttosto ridicolo quanto servile. Ancora oggi mi chiedo quali potessero essere i nomi originali della storia, poiché suppongo che i vari Carmelo, Roby, Sandy o Trudy siano frutto dell’adattamento in Italia…
I genitori di Sandy lavorano in un bellissimo negozio di fiori, e proprio salvando uno di questi dalle grinfie della pericolosa Trudy, la nostra giovane protagonista riesce ad catturare l’attenzione dei due folletti Pico e Paco, che comprendono il bel gesto della ragazzina e il suo buon cuore, decidendo così di donargli un potere magico, misterioso quanto spettacolare: grazie ad una (classica) bacchetta magica, Sandy da quel giorno può letteralmente animare i suoi disegni – poiché è anche un’assidua e talentuosa disegnatrice – per un breve periodo di tempo. Userà questo potere incredibile per aiutare gente in difficoltà, e compiere sommariamente buone azioni, sempre supportata dai due simpatici folletti.
L’insegnamento di usare i propri poteri magici per il prossimo e mai a scopi egoistici o dannosi è lapalissiano, fin troppo chiara e classica morale divulgata più e più volte nei vari prodotti dello studio Pierrot, e anche questa volta non dispiace. L’anime è stato ideato principalmente per un pubblico di ragazzine adolescenti, ma rivederlo ora fa sempre una simpatica, dolce e nostalgica impressione.
L’aspetto tecnico è più che pregevole, nulla di eccelso, ma fa comunque una figura sufficientemente decorosa. Le animazioni appropriate per l’epoca e l’uso del colore sono state le cose che più mi hanno colpito: colori belli, vivaci, brillanti, scelte cromatiche interessanti e azzeccate per tutti i personaggi.
Inconsapevole del genere “majokko”, introdotto in dose massiva e internazionale tramite molteplici lavori di una certa rilevanza dallo studio Pierrot, per me Sandy dai mille colori si trattava semplicemente di un “cartone animato” dove la protagonista, una ragazzina di nome Sandy, per qualche misterioso (o forse inevitabile?) incontro, acquisiva poteri magici grazie a due folletti di nome Pico e Paco.
Ho descritto l’incipit in maniera piuttosto superficiale e poco esplicativa, ma il succo di questo discorso è sempre lo stesso: una giovane ragazza che diventa una streghetta alle prese con problemi talvolta più grandi di lei o classici dilemmi di gioventù, conditi con un pizzico di mistero e magia che la faranno maturare episodio dopo episodio. Di questo genere ho apprezzato enormemente Magica Emi e L’incantevole Creamy, e trovo che Sandy dai mille colori sia un gradino sotto queste due serie, probabilmente per motivi di trama e aspetti puramente tecnici.
Tuttavia, fra i personaggi ve ne sono alcuni davvero divertenti: come dimenticare la buffa e sgraziata Trudy (che sarebbe esagerato chiamare la “cattiva” di turno, ma diciamo può essere identificata come l’elemento di discordia all’interno della storia), una signora grassoccia che non sopporta i fiori poiché ne è allergica, e il suo maggiordomo Carmelo, piuttosto ridicolo quanto servile. Ancora oggi mi chiedo quali potessero essere i nomi originali della storia, poiché suppongo che i vari Carmelo, Roby, Sandy o Trudy siano frutto dell’adattamento in Italia…
I genitori di Sandy lavorano in un bellissimo negozio di fiori, e proprio salvando uno di questi dalle grinfie della pericolosa Trudy, la nostra giovane protagonista riesce ad catturare l’attenzione dei due folletti Pico e Paco, che comprendono il bel gesto della ragazzina e il suo buon cuore, decidendo così di donargli un potere magico, misterioso quanto spettacolare: grazie ad una (classica) bacchetta magica, Sandy da quel giorno può letteralmente animare i suoi disegni – poiché è anche un’assidua e talentuosa disegnatrice – per un breve periodo di tempo. Userà questo potere incredibile per aiutare gente in difficoltà, e compiere sommariamente buone azioni, sempre supportata dai due simpatici folletti.
L’insegnamento di usare i propri poteri magici per il prossimo e mai a scopi egoistici o dannosi è lapalissiano, fin troppo chiara e classica morale divulgata più e più volte nei vari prodotti dello studio Pierrot, e anche questa volta non dispiace. L’anime è stato ideato principalmente per un pubblico di ragazzine adolescenti, ma rivederlo ora fa sempre una simpatica, dolce e nostalgica impressione.
L’aspetto tecnico è più che pregevole, nulla di eccelso, ma fa comunque una figura sufficientemente decorosa. Le animazioni appropriate per l’epoca e l’uso del colore sono state le cose che più mi hanno colpito: colori belli, vivaci, brillanti, scelte cromatiche interessanti e azzeccate per tutti i personaggi.
Vorrei spendere due parole per il mio cartone preferito (o uno tra i preferiti). Ormai mi ritengo della generazione "nostalgici" anche se non troppo in la per non poter apprezzare ancora interamente questo dolcissimo anime. Devo dare un merito a Sandy, come a tanti altri cartoni es. i puffi, oltre a divertire con tutta la sua sgangherata famiglia, insegnava sempre qualcosa. L'amore per la natura, anche per un singolo fiore, l'amore per il prossimo e la generosità. Rimpiango molto questi insegnamenti che purtroppo vedo poco oggi in tv. Un bel dieci alla simpatia, i disegni, i colori e alla fantasia...
Dopo Creamy, non sono mai riuscito a farmi piacere i cartoni delle "maghette". Sandy non fa eccezione. La realizzazione era buona, o almeno, in linea con le buone produzioni dell'epoca, ma la trama non aggiunge nulla né a Creamy né a tutte le varie maghette seguenti. La serie è finita nel frattempo nell'oblio e, detto tra noi, non ci sono particolari motivi per ritirarla fuori.