Sarazanmai
“Sarazanmai” è l’ultimo prodotto sfornato dalla mente del genio Ikuhara, già famoso per “La rivoluzione di Utena” e “Mawaru Penguindrum” che, in ogni caso, risultano prodotti più criptici.
A rendere unico questo titolo, come gli altri, sono la stramberia, la creatività e l’eccentricità della sceneggiatura, che pone al centro della storia tre ragazzi, di caratteri opposti, che - dopo essersi fatti estrarre da Keppi (il principe dei kappa) la shirikodama (una sfera che, si racconta nelle leggende, si estrae dall’ano di una persona) - verranno trasformati in Kappa a loro volta. L’obiettivo di Keppi è quello di assoldare i tre giovani per combattere i cosiddetti “kappa-zombie”, in cambio dei piatti della speranza che permettono l’esaudirsi di un desiderio a scelta.
Il “nudo” di “Sarazanmai” non è mai mero fanservice ecchi, inserito a caso per accalappiare le attenzioni di qualche spettatore in più. Tutt’altro, serve ad accentuare la fragilità dei personaggi che, oltre ad essere denudati delle proprie vesti e della propria umanità, mettono a nudo i loro sentimenti e i segreti più reconditi, facendo trapelare - di volta in volta - parte di sé. Questo permette loro di “connettersi”. Quelli della connessione e del desiderio sono i temi chiave della serie: gli stessi segreti dei tre ragazzi si riallacciano al desiderio di riconnettere relazioni in bilico.
Ikuhara stesso, in un’intervista, disse: “Viviamo in un’epoca in cui, grazie ai nostri smartphone e ai social media, connettersi con gli altri è un’attività quotidiana. Così ho voluto chiedermi: «Cosa significa tutto questo? Per quale ragione avere a che fare con tutte queste connessioni?»”
Al termine degli undici episodi, questa tematica risulta evidente, così come l’obiettivo che il regista si era posto di raggiungere: viviamo in una società in cui si desidera la connessione con qualcuno, anche quando quella connessione comporta dolore. Ma in che direzione può andare una relazione?
Come per altri finali, Ikuhara dà un messaggio di speranza al culmine della serie: per quanto un legame possa spezzarsi o essere dimenticato, finché ci si crede si può ripristinare, si può ricreare la connessione originale.
Quanto alle citazioni, Ikuhara è solito riutilizzare richiami alle opere che l’hanno colpito maggiormente: già in “Mawaru Penguindrum” era palese il continuo riferimento a “Una notte sul treno della Via Lattea”. In “Sarazanmai”, ho notato molti parallelismi con lo stesso “Mawaru Penguindrum”, rendendolo in qualche modo - ai miei occhi - una sorta di erede dello stesso.
Tecnicamente, è un prodotto ineccepibile grazie alle meravigliose animazioni dello studio Mappa, e alle canzoni inserite, che rendono “Sarazanmai” un prodotto più che piacevole. Nonostante risulti il più fruibile dei suoi lavori, consiglio ugualmente il titolo solo a chi apprezza lo stile del regista.
A rendere unico questo titolo, come gli altri, sono la stramberia, la creatività e l’eccentricità della sceneggiatura, che pone al centro della storia tre ragazzi, di caratteri opposti, che - dopo essersi fatti estrarre da Keppi (il principe dei kappa) la shirikodama (una sfera che, si racconta nelle leggende, si estrae dall’ano di una persona) - verranno trasformati in Kappa a loro volta. L’obiettivo di Keppi è quello di assoldare i tre giovani per combattere i cosiddetti “kappa-zombie”, in cambio dei piatti della speranza che permettono l’esaudirsi di un desiderio a scelta.
Il “nudo” di “Sarazanmai” non è mai mero fanservice ecchi, inserito a caso per accalappiare le attenzioni di qualche spettatore in più. Tutt’altro, serve ad accentuare la fragilità dei personaggi che, oltre ad essere denudati delle proprie vesti e della propria umanità, mettono a nudo i loro sentimenti e i segreti più reconditi, facendo trapelare - di volta in volta - parte di sé. Questo permette loro di “connettersi”. Quelli della connessione e del desiderio sono i temi chiave della serie: gli stessi segreti dei tre ragazzi si riallacciano al desiderio di riconnettere relazioni in bilico.
Ikuhara stesso, in un’intervista, disse: “Viviamo in un’epoca in cui, grazie ai nostri smartphone e ai social media, connettersi con gli altri è un’attività quotidiana. Così ho voluto chiedermi: «Cosa significa tutto questo? Per quale ragione avere a che fare con tutte queste connessioni?»”
Al termine degli undici episodi, questa tematica risulta evidente, così come l’obiettivo che il regista si era posto di raggiungere: viviamo in una società in cui si desidera la connessione con qualcuno, anche quando quella connessione comporta dolore. Ma in che direzione può andare una relazione?
Come per altri finali, Ikuhara dà un messaggio di speranza al culmine della serie: per quanto un legame possa spezzarsi o essere dimenticato, finché ci si crede si può ripristinare, si può ricreare la connessione originale.
Quanto alle citazioni, Ikuhara è solito riutilizzare richiami alle opere che l’hanno colpito maggiormente: già in “Mawaru Penguindrum” era palese il continuo riferimento a “Una notte sul treno della Via Lattea”. In “Sarazanmai”, ho notato molti parallelismi con lo stesso “Mawaru Penguindrum”, rendendolo in qualche modo - ai miei occhi - una sorta di erede dello stesso.
Tecnicamente, è un prodotto ineccepibile grazie alle meravigliose animazioni dello studio Mappa, e alle canzoni inserite, che rendono “Sarazanmai” un prodotto più che piacevole. Nonostante risulti il più fruibile dei suoi lavori, consiglio ugualmente il titolo solo a chi apprezza lo stile del regista.
"Voglio connettermi, ma..."
E' inevitabile, nella vita, intrecciare relazioni. L'uomo è un animale sociale, che ha bisogno di aggregarsi in gruppi per sopravvivere; l'esistenza di ciascun individuo viene comprovata dalle iterazioni con il prossimo. La società non sa che farsene di chi non ha più "inizio, fine e connessioni".
Ma questo "obbligo a relazionarsi" sull'individuo ha una valenza positiva o negativa? L'uomo è il peggior nemico dell' "altro-da sè", si muove per semplice cinismo e convenienza, o è una creatura benevola e altruista che viene deviata da nefaste circostanze? Per secoli filosofi si sono interrogati sull'ambivalenza della natura umana: dopo Aristotele, Hobbes, Rousseau, Sartre, nel 2019 Kunihiko Ikuhara, regista noto in Italia per "Mawaru Penguindrum" e "Utena la ragazza rivoluzionaria", prova a dire la sua sulla questione.
"Sarazanmai" ha un soggetto, come consuetudine dell'autore giapponese, a dir poco bizzarro. Tre bambini giapponesi di nome Kazuki, Enta e Toi sono obbligati da una serie di sfortunati eventi a stringere un patto con il principe dei kappa Keppi. In cambio del loro "shirikodama" (un organo che, secondo il folklore nipponico, viene rubato attraverso l'ano) e del loro contributo nella sconfitta dei kappa-zombie, i tre bambini potranno collezionare cinque "piatti della speranza", e per mezzo di questi realizzare un desiderio. La missione verrà ostacolata a più riprese da due misteriosi poliziotti di nome Mabu e Reo, dall'organizzazione delle lontre nemica dei kappa e, soprattutto... dai bambini stessi, disposti a sacrificare la loro amicizia pur di non vedere rivelati i propri segreti .
Cosa è il "sarazanmai" che i nostri protagonisti invocano durante ogni battaglia? Secondo le mie ricerche "sara" in giapponese significa "piatto", sia in senso di pasto che di oggetto. "San" è tre e "mai" può intendersi sia come piano, che come banco. La prima traduzione di "sarazanmai" è dunque "tre piatti piani", come quelli indossati dai protagonisti in forma kappa. "Sanmai" scritto 三昧 è un termine, di origine buddista, che rappresenta uno stato di intensa meditazione, rappresentato nell'anime dalle sequenze dei "leak". Se usato come suffisso, il termine "-zanmai" può essere anche tradotto "immerso/intento in". I kappa-zombie dicono di essere ossessionati da qualcosa-zanmai, di solito un oggetto fisico che è stato loro sottratto e che simboleggia un legame.
Un bel macello, vero? Eppure l'anime scorre che è una meraviglia, come poche altre serie firmate Ikuhara. Il messaggio al termine degli undici episodi arriva forte e chiaro, ed è una volta tanto carico di speranza. Per quante volte un legame (il miçanga, in questo caso) possa spezzarsi o essere messo da parte causa torpore quotidiano, gretto materialismo, ragioni opportunistiche, se le parti in causa ci credono, può essere ricucito. E un legame può salvare una persona in un mondo dove "solo i malvagi sopravvivono", se è motivato da oneste intenzioni. Se in "Neon Genesis Evangelion" bisognava imparare a "volersi bene" per "volere bene a", qui è l'esatto contrario.
Lo scarso numero di episodi a disposizione ha obbligato la storia a non deviare mai dai tre protagonisti, Kazuki, Enta e Toi, che sono ben delineati in come si esprimono e interagiscono tra loro, senza risultare mai scontati o strumentali alla narrazione. Tre protagonisti a cui è difficile non affezionarsi, insieme a Keppi, che regge mezza serie da solo con i suoi istrionici siparietti, e a Mabu e Reo, perfetti interpreti di quella "adultità" che si è persa dietro un desiderio narcisistico. I simboli sono limitati agli onnipresenti "piatti" e al dualismo kappa-lontre, a mio avviso traducibili nell'eterno conflitto tra ('spoilerino') altruismo e egoismo insito nella natura umana. Grazie alle eccellenti animazioni di studio Mappa, alle adorabili canzoncine e alle due splendide sigle, tra le migliori dell'annata, "Sarazanmai" è una continua festa per occhi e orecchie.
"Sarazanmai" è dunque l'opera più facilmente fruibile e leggera di Ikuhara, nonché un ottimo punto di accesso per la comprensione di "Mawaru Penguindrum" e "Utena". Se vi ha divertito "Sarazanmai", il consiglio spassionato è di recuperare le altre due, per poi passare a "Yuri Kuma Arashi", il quale, pur essendo il lavoro meno riuscito, ha una spiccata personalità. Per quanto mi riguarda, sono felice di aver "restaurato una connessione" con uno dei miei registi giapponesi preferiti.
E' inevitabile, nella vita, intrecciare relazioni. L'uomo è un animale sociale, che ha bisogno di aggregarsi in gruppi per sopravvivere; l'esistenza di ciascun individuo viene comprovata dalle iterazioni con il prossimo. La società non sa che farsene di chi non ha più "inizio, fine e connessioni".
Ma questo "obbligo a relazionarsi" sull'individuo ha una valenza positiva o negativa? L'uomo è il peggior nemico dell' "altro-da sè", si muove per semplice cinismo e convenienza, o è una creatura benevola e altruista che viene deviata da nefaste circostanze? Per secoli filosofi si sono interrogati sull'ambivalenza della natura umana: dopo Aristotele, Hobbes, Rousseau, Sartre, nel 2019 Kunihiko Ikuhara, regista noto in Italia per "Mawaru Penguindrum" e "Utena la ragazza rivoluzionaria", prova a dire la sua sulla questione.
"Sarazanmai" ha un soggetto, come consuetudine dell'autore giapponese, a dir poco bizzarro. Tre bambini giapponesi di nome Kazuki, Enta e Toi sono obbligati da una serie di sfortunati eventi a stringere un patto con il principe dei kappa Keppi. In cambio del loro "shirikodama" (un organo che, secondo il folklore nipponico, viene rubato attraverso l'ano) e del loro contributo nella sconfitta dei kappa-zombie, i tre bambini potranno collezionare cinque "piatti della speranza", e per mezzo di questi realizzare un desiderio. La missione verrà ostacolata a più riprese da due misteriosi poliziotti di nome Mabu e Reo, dall'organizzazione delle lontre nemica dei kappa e, soprattutto... dai bambini stessi, disposti a sacrificare la loro amicizia pur di non vedere rivelati i propri segreti .
Cosa è il "sarazanmai" che i nostri protagonisti invocano durante ogni battaglia? Secondo le mie ricerche "sara" in giapponese significa "piatto", sia in senso di pasto che di oggetto. "San" è tre e "mai" può intendersi sia come piano, che come banco. La prima traduzione di "sarazanmai" è dunque "tre piatti piani", come quelli indossati dai protagonisti in forma kappa. "Sanmai" scritto 三昧 è un termine, di origine buddista, che rappresenta uno stato di intensa meditazione, rappresentato nell'anime dalle sequenze dei "leak". Se usato come suffisso, il termine "-zanmai" può essere anche tradotto "immerso/intento in". I kappa-zombie dicono di essere ossessionati da qualcosa-zanmai, di solito un oggetto fisico che è stato loro sottratto e che simboleggia un legame.
Un bel macello, vero? Eppure l'anime scorre che è una meraviglia, come poche altre serie firmate Ikuhara. Il messaggio al termine degli undici episodi arriva forte e chiaro, ed è una volta tanto carico di speranza. Per quante volte un legame (il miçanga, in questo caso) possa spezzarsi o essere messo da parte causa torpore quotidiano, gretto materialismo, ragioni opportunistiche, se le parti in causa ci credono, può essere ricucito. E un legame può salvare una persona in un mondo dove "solo i malvagi sopravvivono", se è motivato da oneste intenzioni. Se in "Neon Genesis Evangelion" bisognava imparare a "volersi bene" per "volere bene a", qui è l'esatto contrario.
Lo scarso numero di episodi a disposizione ha obbligato la storia a non deviare mai dai tre protagonisti, Kazuki, Enta e Toi, che sono ben delineati in come si esprimono e interagiscono tra loro, senza risultare mai scontati o strumentali alla narrazione. Tre protagonisti a cui è difficile non affezionarsi, insieme a Keppi, che regge mezza serie da solo con i suoi istrionici siparietti, e a Mabu e Reo, perfetti interpreti di quella "adultità" che si è persa dietro un desiderio narcisistico. I simboli sono limitati agli onnipresenti "piatti" e al dualismo kappa-lontre, a mio avviso traducibili nell'eterno conflitto tra ('spoilerino') altruismo e egoismo insito nella natura umana. Grazie alle eccellenti animazioni di studio Mappa, alle adorabili canzoncine e alle due splendide sigle, tra le migliori dell'annata, "Sarazanmai" è una continua festa per occhi e orecchie.
"Sarazanmai" è dunque l'opera più facilmente fruibile e leggera di Ikuhara, nonché un ottimo punto di accesso per la comprensione di "Mawaru Penguindrum" e "Utena". Se vi ha divertito "Sarazanmai", il consiglio spassionato è di recuperare le altre due, per poi passare a "Yuri Kuma Arashi", il quale, pur essendo il lavoro meno riuscito, ha una spiccata personalità. Per quanto mi riguarda, sono felice di aver "restaurato una connessione" con uno dei miei registi giapponesi preferiti.