Tokyo Godfathers
I film di Natale arrivano in diverse forme e da diversi Paesi, perfino dal Giappone (dove hanno comunque adottato usi e costumi occidentali da tempo ormai). Curiosamente, questo film uscì al cinema in estate, ma è un film natalizio in tutto e per tutto. Attenzione, natalizio sì, ma non proprio per tutte le famiglie! È infatti un film abbastanza crudo in certi momenti, perfino violento a tratti, ci sono diverse scene in cui si vede del sangue. Ma a parte ciò prevalgono i buoni sentimenti, i valori umani della pietà e del perdono: gli errori possono commetterli tutti, ma se non irreparabili si può ancora rimediare, anche dopo tanti anni.
Protagonisti di questo lungometraggio di Satoshi Kon, che forse spiazzò molti fan realizzando questa favola moderna, sono tre senzatetto giapponesi: un uomo di mezza età, un travestito dallo spiccato senso materno e una giovane ragazza scappata di casa un anno prima. Questo improbabile terzetto vive ai margini della società, ognuno per ragioni diverse, ma tutti e tre hanno commesso almeno un errore che non si possono perdonare. Le loro esistenze cambieranno quando troveranno un neonato abbandonato, e qui comincerà l'avventura per trovare la madre sventurata. L'allegro gruppetto scoprirà infatti che la madre sembra aver avuto un passato travagliato, con numerosi problemi economici, ma vogliono comunque trovare la madre per capire perché abbia deciso di abbandonare il neonato. Grazie a una serie di fortuite coincidenze e numerose disavventure anche pericolose, il terzetto scoprirà infine la verità, e nel frattempo avrà la possibilità di fare finalmente i conti con il proprio passato, e trovare il coraggio di perdonare ed essere perdonato dalle persone care.
"Tokyo Godfathers" è un film sui buoni sentimenti, ma fa anche riflettere sulla condizione di chi è stato sfortunato nella vita, di chi si è rovinato la vita da solo e chi non ha rispetto per la vita e felicità altrui. Un film da vedere e rivedere ogni tanto, magari a Natale, per ricordarci di chi è meno fortunato di noi, e per apprezzare quello che abbiamo, e rammentarci che è facile perdere tutto in breve tempo, facendo scelte discutibili.
Protagonisti di questo lungometraggio di Satoshi Kon, che forse spiazzò molti fan realizzando questa favola moderna, sono tre senzatetto giapponesi: un uomo di mezza età, un travestito dallo spiccato senso materno e una giovane ragazza scappata di casa un anno prima. Questo improbabile terzetto vive ai margini della società, ognuno per ragioni diverse, ma tutti e tre hanno commesso almeno un errore che non si possono perdonare. Le loro esistenze cambieranno quando troveranno un neonato abbandonato, e qui comincerà l'avventura per trovare la madre sventurata. L'allegro gruppetto scoprirà infatti che la madre sembra aver avuto un passato travagliato, con numerosi problemi economici, ma vogliono comunque trovare la madre per capire perché abbia deciso di abbandonare il neonato. Grazie a una serie di fortuite coincidenze e numerose disavventure anche pericolose, il terzetto scoprirà infine la verità, e nel frattempo avrà la possibilità di fare finalmente i conti con il proprio passato, e trovare il coraggio di perdonare ed essere perdonato dalle persone care.
"Tokyo Godfathers" è un film sui buoni sentimenti, ma fa anche riflettere sulla condizione di chi è stato sfortunato nella vita, di chi si è rovinato la vita da solo e chi non ha rispetto per la vita e felicità altrui. Un film da vedere e rivedere ogni tanto, magari a Natale, per ricordarci di chi è meno fortunato di noi, e per apprezzare quello che abbiamo, e rammentarci che è facile perdere tutto in breve tempo, facendo scelte discutibili.
Per questo Natale mi hanno consigliato di vedermi come film in tema questo, un film che ormai ha vent’anni (è uscito nell’anno 2003, quando Miyazaki vinse l’Oscar per “La città incantata”), considerato un classico per le feste natalizie.
Io dico che è stato un bel film, ma credo che non avrà mai la fortuna di “A Christmas Carol” di Dickens o, per rimanere nel piano dell’animazione, delle opere del già citato Hayao Miyazaki, ma è giusto così?
No, l’opera ha un grave limite: quello di essere pensata non per un pubblico di bambini o per le famiglie ma per un pubblico di adulti, anche se questa opera presenta molta poca violenza, se tacciamo di alcune parole e frasi poco politically correct.
D’altronde è ambientata negli slum, nei bassifondi di Tokyo, fra barboni che si ubriacano e fanno una vita difficile, anche se Satoshi Kon cerca di descrivere l’ambiente più umanamente possibile (un po’ come aveva fatto Hideo Azuma ne “Il diario della mia scomparsa”). I barboni sono uomini e sono umani, ma, mentre Azuma parla di sé, Kon parla di barboni improbabili ma possibili, e di cui racconterà brevemente il passato, ciò che è stata la molla scatenante che li ha portati a vivere per la strada. Tutto ciò mediante il discorso diretto e non con i spesso troppo abusati flashback.
Ma chi sono questi tre senza tetto che la mattina di Natale trovano un neonato nella spazzatura? Sono Jin, un alcolizzato con la tendenza a dire bugie, Hana, un omosessuale con la voglia di essere madre, e Miyuki, una ragazzina scappata di casa. Essi si comportano come fossero una famiglia, ma ognuno di loro si troverà alla fine del film ad aver riallacciato in parte i legami con i propri ambienti di provenienza. Noi non sappiamo se lasceranno la strada, probabilmente no, ma saranno stati in grado di allontanare alcuni loro fantasmi e a restituire ai veri genitori, dopo questo viaggio anche nel proprio essere, la piccola neonata.
Io dico che è stato un bel film, ma credo che non avrà mai la fortuna di “A Christmas Carol” di Dickens o, per rimanere nel piano dell’animazione, delle opere del già citato Hayao Miyazaki, ma è giusto così?
No, l’opera ha un grave limite: quello di essere pensata non per un pubblico di bambini o per le famiglie ma per un pubblico di adulti, anche se questa opera presenta molta poca violenza, se tacciamo di alcune parole e frasi poco politically correct.
D’altronde è ambientata negli slum, nei bassifondi di Tokyo, fra barboni che si ubriacano e fanno una vita difficile, anche se Satoshi Kon cerca di descrivere l’ambiente più umanamente possibile (un po’ come aveva fatto Hideo Azuma ne “Il diario della mia scomparsa”). I barboni sono uomini e sono umani, ma, mentre Azuma parla di sé, Kon parla di barboni improbabili ma possibili, e di cui racconterà brevemente il passato, ciò che è stata la molla scatenante che li ha portati a vivere per la strada. Tutto ciò mediante il discorso diretto e non con i spesso troppo abusati flashback.
Ma chi sono questi tre senza tetto che la mattina di Natale trovano un neonato nella spazzatura? Sono Jin, un alcolizzato con la tendenza a dire bugie, Hana, un omosessuale con la voglia di essere madre, e Miyuki, una ragazzina scappata di casa. Essi si comportano come fossero una famiglia, ma ognuno di loro si troverà alla fine del film ad aver riallacciato in parte i legami con i propri ambienti di provenienza. Noi non sappiamo se lasceranno la strada, probabilmente no, ma saranno stati in grado di allontanare alcuni loro fantasmi e a restituire ai veri genitori, dopo questo viaggio anche nel proprio essere, la piccola neonata.
Un film anime veramente contorto e controverso. Una storia intensa, cruda, vibrante, agrodolce, piena di risvolti incredibili e sconvolgenti, ma anche piena di ironia (soprattutto del destino), di significato e di messaggi profondi e più che mai attuale. I temi trattati sono veramente molteplici e sensibili, quindi occorre prestare particolare attenzione ai contenuti, così come ai personaggi e alle loro vicende personali. Questi mostrano un ventaglio di emozioni, stati mentali e d'animo a dir poco variegati e imprevedibili, proprio a causa delle vicende che vivono. Questo film rappresenta una sorta di manifesto contro la discriminazione e, cosa più importante, contro l'abbandono di chi non ha alcuna colpa.
La colonna sonora che caratterizza questo film è a dir poco azzeccata, da "Astro del ciel" fino al finale "Inno alla Gioia" di Beethoven eseguito e cantato anche in lingua giapponese. È una pellicola sublime che tocca nel profondo e che ci ricorda quanto la vita è imprevedibile, fragile, e come essa non debba mai essere sottovalutata e trascurata, e che ci obbliga a riflettere sulla società attuale e sulle sue lacune.
La colonna sonora che caratterizza questo film è a dir poco azzeccata, da "Astro del ciel" fino al finale "Inno alla Gioia" di Beethoven eseguito e cantato anche in lingua giapponese. È una pellicola sublime che tocca nel profondo e che ci ricorda quanto la vita è imprevedibile, fragile, e come essa non debba mai essere sottovalutata e trascurata, e che ci obbliga a riflettere sulla società attuale e sulle sue lacune.
“Tokyo Godfathers” è un film d’animazione giapponese del 2003 scritto e diretto da Satoshi Kon con la collaborazione di Keiko Nobumoto alla sceneggiatura e Shôgo Furuya alla regia.
La vicenda vede come protagonisti tre senzatetto: Gin, un irascibile e disincantato alcolizzato, Hana, un melodrammatico transessuale, e la giovane Miyuki, scappata di casa. La notte di Natale, mentre rovista tra cumuli di immondizia in cerca di oggetti utili, il trio trova una neonata abbandonata e decide, non prima di accese discussioni, di andare in cerca dei genitori della piccola, ribattezzata Kiyoko.
Il lungometraggio segue così le tribolazioni di questo eterogeneo gruppo, tra litigi, indizi e vicoli ciechi, in un viaggio sia fisico che spirituale che si rivela ben presto essere anche un’opportunità per esplorare i protagonisti, con le loro storie e i loro sogni, e la dura vita da vagabondo.
Sebbene “Tokyo Godfathers” mantenga con costanza toni da commedia, sono presenti svariate scene in cui emerge il tragico rapporto tra società civile e reietti: per ogni sguardo compassionevole e mano tesa in aiuto ce ne sono dieci o più colmi di disprezzo e disgusto, mentre i pugni si serrano per aggredire, anziché per difendere. Gli attimi in cui si è quasi sopraffatti dalla rabbia impotente sono però presto dimenticati grazie alla profonda umanità di cui sono dotati Gin, Hana e Miyuki, un’umanità che non si traduce in stucchevole bontà, ma abbraccia l’imperfezione della condizione umana, con i suoi egoismi, gli errori commessi in passato che tornano a tormentare e la vigliaccheria, ma anche la solidarietà, l’ironia e la determinazione. Anche le deviazioni dalla trama principale, per quanto sembrino rallentare il ritmo della narrazione, forniscono spunti di riflessione e permettono allo spettatore di immergersi nella psiche dei tre protagonisti, ciascuno con le proprie drammatiche circostanze e le speranze per il futuro, a volte frenate da rassegnazione e aspri conflitti interiori.
Satoshi Kon dà così vita alla sua opera più concreta e accessibile, senza però rinunciare alle sue iconiche sequenze oniriche, leggere e ben dosate, e ad un tocco di magia, immancabile in un film natalizio, che di frequente si manifesta in un gusto per le fortuite coincidenze che farebbe invidia ai romanzieri storici dell’Ottocento.
Come è oramai tipico aspettarsi dal Maestro Kon, il comparto tecnico è di alto livello: le animazioni sono estremamente fluide e plastiche, forse anche troppo, e sono spesso al servizio di una mimica facciale e di un linguaggio del corpo unici e iperattivi. I fondali sono molto curati e, anche tramite un impiego meticoloso della computer grafica, regalano una Tokyo fredda e imbiancata dalla neve ma dinamica e ricca di vita e colori, in cui i mucchi di sordido lerciume e le luci sfavillanti esprimono la stessa dicotomia valida per i personaggi che vi abitano. Il character design è ben particolareggiato e, fisionomie buffe (senza essere grottesche, con le dovute eccezioni) a parte, è piuttosto proporzionato. Impressionante anche la cura per i dettagli dei capi di vestiario.
La colonna sonora è sempre adeguata e orecchiabile e, nonostante alcuni momenti più tesi e cupi, conserva uno spirito vivace di fondo che la rende irresistibile e trascinante. Ottimo anche il doppiaggio italiano, così come l’adattamento in linea di massima, in cui è possibile riconoscere solo un trascurabile errore di traduzione.
In conclusione, “Tokyo Godfathers” è un film incantevole, magari non adatto proprio a tutta la famiglia a causa di alcune scene forti e violente e ad un linguaggio piuttosto scurrile, ma intenso, dotato non di una maestosa potenza visiva, ma di un tepore affettuoso e accogliente, una favola contemporanea realistica e ammaliante allo stesso tempo.
La vicenda vede come protagonisti tre senzatetto: Gin, un irascibile e disincantato alcolizzato, Hana, un melodrammatico transessuale, e la giovane Miyuki, scappata di casa. La notte di Natale, mentre rovista tra cumuli di immondizia in cerca di oggetti utili, il trio trova una neonata abbandonata e decide, non prima di accese discussioni, di andare in cerca dei genitori della piccola, ribattezzata Kiyoko.
Il lungometraggio segue così le tribolazioni di questo eterogeneo gruppo, tra litigi, indizi e vicoli ciechi, in un viaggio sia fisico che spirituale che si rivela ben presto essere anche un’opportunità per esplorare i protagonisti, con le loro storie e i loro sogni, e la dura vita da vagabondo.
Sebbene “Tokyo Godfathers” mantenga con costanza toni da commedia, sono presenti svariate scene in cui emerge il tragico rapporto tra società civile e reietti: per ogni sguardo compassionevole e mano tesa in aiuto ce ne sono dieci o più colmi di disprezzo e disgusto, mentre i pugni si serrano per aggredire, anziché per difendere. Gli attimi in cui si è quasi sopraffatti dalla rabbia impotente sono però presto dimenticati grazie alla profonda umanità di cui sono dotati Gin, Hana e Miyuki, un’umanità che non si traduce in stucchevole bontà, ma abbraccia l’imperfezione della condizione umana, con i suoi egoismi, gli errori commessi in passato che tornano a tormentare e la vigliaccheria, ma anche la solidarietà, l’ironia e la determinazione. Anche le deviazioni dalla trama principale, per quanto sembrino rallentare il ritmo della narrazione, forniscono spunti di riflessione e permettono allo spettatore di immergersi nella psiche dei tre protagonisti, ciascuno con le proprie drammatiche circostanze e le speranze per il futuro, a volte frenate da rassegnazione e aspri conflitti interiori.
Satoshi Kon dà così vita alla sua opera più concreta e accessibile, senza però rinunciare alle sue iconiche sequenze oniriche, leggere e ben dosate, e ad un tocco di magia, immancabile in un film natalizio, che di frequente si manifesta in un gusto per le fortuite coincidenze che farebbe invidia ai romanzieri storici dell’Ottocento.
Come è oramai tipico aspettarsi dal Maestro Kon, il comparto tecnico è di alto livello: le animazioni sono estremamente fluide e plastiche, forse anche troppo, e sono spesso al servizio di una mimica facciale e di un linguaggio del corpo unici e iperattivi. I fondali sono molto curati e, anche tramite un impiego meticoloso della computer grafica, regalano una Tokyo fredda e imbiancata dalla neve ma dinamica e ricca di vita e colori, in cui i mucchi di sordido lerciume e le luci sfavillanti esprimono la stessa dicotomia valida per i personaggi che vi abitano. Il character design è ben particolareggiato e, fisionomie buffe (senza essere grottesche, con le dovute eccezioni) a parte, è piuttosto proporzionato. Impressionante anche la cura per i dettagli dei capi di vestiario.
La colonna sonora è sempre adeguata e orecchiabile e, nonostante alcuni momenti più tesi e cupi, conserva uno spirito vivace di fondo che la rende irresistibile e trascinante. Ottimo anche il doppiaggio italiano, così come l’adattamento in linea di massima, in cui è possibile riconoscere solo un trascurabile errore di traduzione.
In conclusione, “Tokyo Godfathers” è un film incantevole, magari non adatto proprio a tutta la famiglia a causa di alcune scene forti e violente e ad un linguaggio piuttosto scurrile, ma intenso, dotato non di una maestosa potenza visiva, ma di un tepore affettuoso e accogliente, una favola contemporanea realistica e ammaliante allo stesso tempo.
Satoshi Kon è un pilastro dell'animazione giapponese, la sua prematura scomparsa ha lasciato un vuoto che sarà difficilmente colmato da altri registi. Lo stile onirico e visionario farcito spesso da sceneggiature complesse e intricate ha reso Kon uno degli autori più stimati di tutto il Sol Levante. "Tokyo Godfathers" è strutturalmente forse tra i più semplici dei suoi film, nonostante ciò figura tra le sue opere più amate e apprezzate anche fuori dal Giappone.
Un gruppetto composto da tre barboni nella notte di Natale trova una neonata rovistando tra i rifiuti. I tre, nonostante le ovvie difficoltà, accudiranno amorevolmente la piccola e percorreranno in lungo e in largo un'innevata Tokyo alla ricerca dei suoi genitori. Il terzetto è formato da: Hana, un simpatico e teatrale travestito con un grande istinto materno; Gin, un alcolista dal passato doloroso che si nasconde nelle sue bugie; ed infine Myuki, una giovanissima ragazza scappata di casa a causa del rapporto conflittuale con i genitori. La triade costituisce una sorta di buffa famiglia non convenzionale, tant'è che faranno rispettivamente da madre, padre, e sorella alla trovatella.
Nonostante il film si presenti come una commedia natalizia, gli argomenti trattati sono piuttosto spinosi. I senzatetto, l'omosessualità, l'abbandono sono tutti temi che il cineasta affronta con un certo tatto, levigandoli con una frizzante ironia e un velo di grottesco, senza rinunciare a far denuncia sociale. I mirabolanti personaggi sono la colonna portante dell'opera, e impreziosiscono una storia ritmata, che nella sua semplicità funziona alla perfezione, almeno nella prima metà. I continui ed esagerati colpi di scena finali minano secondo me una narrativa che non necessitava tali esagerazioni, inficiando una pellicola che resta comunque estremamente godibile.
Dal punto di vista tecnico il lavoro svolto è tutto sommato buono, anche se le espressioni incredibilmente curate e realistiche non bastano a nascondere una produzione low budget. Fatto che si nota soprattutto nei rari casi in cui ci sono molti personaggi su schermo. La regia è pirotecnica, ricercata, in perfetto stile Kon. Ciò che non convince è il comparto sonoro, vero e proprio tallone d'Achille della produzione.
"Tokyo Godfathers" è una commedia atipica che vi conquisterà con la sua satira e i suoi risvolti drammatici. Un piccolo capolavoro, vibrante ed originale, che consiglio a tutti i fan di Kon e dell'animazione in generale.
Voto: 8,5
Un gruppetto composto da tre barboni nella notte di Natale trova una neonata rovistando tra i rifiuti. I tre, nonostante le ovvie difficoltà, accudiranno amorevolmente la piccola e percorreranno in lungo e in largo un'innevata Tokyo alla ricerca dei suoi genitori. Il terzetto è formato da: Hana, un simpatico e teatrale travestito con un grande istinto materno; Gin, un alcolista dal passato doloroso che si nasconde nelle sue bugie; ed infine Myuki, una giovanissima ragazza scappata di casa a causa del rapporto conflittuale con i genitori. La triade costituisce una sorta di buffa famiglia non convenzionale, tant'è che faranno rispettivamente da madre, padre, e sorella alla trovatella.
Nonostante il film si presenti come una commedia natalizia, gli argomenti trattati sono piuttosto spinosi. I senzatetto, l'omosessualità, l'abbandono sono tutti temi che il cineasta affronta con un certo tatto, levigandoli con una frizzante ironia e un velo di grottesco, senza rinunciare a far denuncia sociale. I mirabolanti personaggi sono la colonna portante dell'opera, e impreziosiscono una storia ritmata, che nella sua semplicità funziona alla perfezione, almeno nella prima metà. I continui ed esagerati colpi di scena finali minano secondo me una narrativa che non necessitava tali esagerazioni, inficiando una pellicola che resta comunque estremamente godibile.
Dal punto di vista tecnico il lavoro svolto è tutto sommato buono, anche se le espressioni incredibilmente curate e realistiche non bastano a nascondere una produzione low budget. Fatto che si nota soprattutto nei rari casi in cui ci sono molti personaggi su schermo. La regia è pirotecnica, ricercata, in perfetto stile Kon. Ciò che non convince è il comparto sonoro, vero e proprio tallone d'Achille della produzione.
"Tokyo Godfathers" è una commedia atipica che vi conquisterà con la sua satira e i suoi risvolti drammatici. Un piccolo capolavoro, vibrante ed originale, che consiglio a tutti i fan di Kon e dell'animazione in generale.
Voto: 8,5
Come terzo film che vedo di Satoshi Kon non posso che rimanere senza fiato davanti a questo grande autore, che realizza "Tokyo Godfathers" toccando un tasto dolente come quello dei senzatetto, che ormai riempiono le strade di tutto il mondo.
La trama parla di un terzetto di senzatetto che va a spasso per Tokyo, formato da Gin, un barbone che ha perso la sua famiglia e finito successivamente per la strada, da Hana, un omosessuale che desidera diventare madre, e infine da Miyuki, una ragazza scappata di casa. Nella sera di Natale cercano nella spazzatura dei regali da fare, per rendere speciale quella sera, ma ecco che trovano una neonata abbandonata tra i rifiuti; invece di portarla dalla polizia, i senzatetto decidono di cercare la madre della neonata da soli, iniziando così la disperata ricerca che metterà loro stessi nelle condizioni di affrontare il proprio passato.
Ambientare il film tra i senzatetto è stata una buona mossa da parte del maestro, che ha messo su una buona storia con uno sviluppo interessante e coerente. Il film è ricco di emozioni e colpi di scena che accompagneranno lo spettatore per circa novanta minuti, in cui potremo visionare la vita dei barboni, immergerci nel loro mondo e riflettere moltissimo anche sulla loro vita di tutti i giorni, e soprattutto sui comportamenti di terzi nei loro confronti; il terzetto dimostra quanta speranza e umanità risiede nei cuori di quei poveretti che tra le loro mani non hanno nulla se non la mano del loro compare, aspetto del film che più mi ha fatto ragionare.
Il comparto visivo è anch'esso ben realizzato: bei disegni e animazioni che vengono accompagnati da un buon comparto sonoro; e che dire del doppiaggio? Stranamente nulla da ridire, hanno fatto un bel lavoro.
Concludendo, consiglierei questo film a chi segue le opere di Satoshi Kon, ma soprattutto lo consiglierei a chi cerca una storia ben realizzata con forti emozioni e verità che circondano le nostre strade. Il consiglio è quello di non seguire soltanto la trama, ma concentrarsi anche su quello che i personaggi possono trasmetterti attraverso la loro triste esperienza. I miei complimenti al maestro, 8 pieno.
La trama parla di un terzetto di senzatetto che va a spasso per Tokyo, formato da Gin, un barbone che ha perso la sua famiglia e finito successivamente per la strada, da Hana, un omosessuale che desidera diventare madre, e infine da Miyuki, una ragazza scappata di casa. Nella sera di Natale cercano nella spazzatura dei regali da fare, per rendere speciale quella sera, ma ecco che trovano una neonata abbandonata tra i rifiuti; invece di portarla dalla polizia, i senzatetto decidono di cercare la madre della neonata da soli, iniziando così la disperata ricerca che metterà loro stessi nelle condizioni di affrontare il proprio passato.
Ambientare il film tra i senzatetto è stata una buona mossa da parte del maestro, che ha messo su una buona storia con uno sviluppo interessante e coerente. Il film è ricco di emozioni e colpi di scena che accompagneranno lo spettatore per circa novanta minuti, in cui potremo visionare la vita dei barboni, immergerci nel loro mondo e riflettere moltissimo anche sulla loro vita di tutti i giorni, e soprattutto sui comportamenti di terzi nei loro confronti; il terzetto dimostra quanta speranza e umanità risiede nei cuori di quei poveretti che tra le loro mani non hanno nulla se non la mano del loro compare, aspetto del film che più mi ha fatto ragionare.
Il comparto visivo è anch'esso ben realizzato: bei disegni e animazioni che vengono accompagnati da un buon comparto sonoro; e che dire del doppiaggio? Stranamente nulla da ridire, hanno fatto un bel lavoro.
Concludendo, consiglierei questo film a chi segue le opere di Satoshi Kon, ma soprattutto lo consiglierei a chi cerca una storia ben realizzata con forti emozioni e verità che circondano le nostre strade. Il consiglio è quello di non seguire soltanto la trama, ma concentrarsi anche su quello che i personaggi possono trasmetterti attraverso la loro triste esperienza. I miei complimenti al maestro, 8 pieno.
Talvolta, la fama di alcuni mangaka e cineasti è tale che un'irrefrenabile curiosità ci spinge a conoscerli meglio: per quanto mi riguarda, uno di questi è senz'altro il compianto Satoshi Kon, scomparso prematuramente nel 2010 a causa di un grave male. Tra gli anni Novanta e gli anni Duemila, Kon si è fatto un nome dapprima come autore di manga brevi (La stirpe della sirena, fra gli altri), sceneggiatore di pellicole prodotte da terzi (lo splendido episodio intitolato "Magnetic Rose" dell'omnibus in tre parti Memories) e, soprattutto, come regista di alcuni tra i film d'animazione più controversi di sempre. Di questi il più celebre in Occidente è il chiassosissimo Paprika, mentre tra i miei film preferiti del regista si annovera Tokyo Godfathers: distribuito al cinema nel 2003, "I padrini di Tokyo" è una vera e propria fiaba natalizia, con tanto di lievi risvolti fantasiosi, che si presenta agli occhi del cinefilo come un inedito mix di pellicole quali La vita è meravigliosa di Frank Capra, Tre uomini e una culla di Coline Serreau e, ovviamente, Three Godfathers di John Ford.
A dispetto di tali illustri precedenti, in fin dei conti Tokyo Godfathers è un film che si regge perfettamente anche da solo grazie a una serie di interessanti novità introdotte dal regista. Oltre all'ambientazione giapponese, i protagonisti del film, i "padrini" del titolo, non sono né scapoli né tantomeno cowboy, bensì tre senzatetto malandati: Hana, un travestito fautore di alcune delle gag più esilaranti del film; il sedicente ex-ciclista Gin; Miyuki, un'adolescente scappata di casa per via di problemi con i suoi genitori. Nella Tokyo ricoperta di neve di fine Dicembre, il ritrovamento, in un mucchio di rifiuti, di una neonata abbandonata dà una svolta netta all'esistenza già problematica dei tre. Lo sgangherato terzetto, infatti, su insistenza di Hana, "adotta" la piccola Chiyoko partendo quindi alla ricerca della sua vera mamma in un turbine di disavventure che approfondirà i loro background e getterà una luce sulla famiglia della bambina...
Quella di Tokyo Godfathers è, in poche parole, una trama semplice che fonda le sue radici nei pochi personaggi vibranti e a tutto tondo che prendono vita in ogni singola sequenza del film; a condire il tutto sono una certa dose di "comic relief", sviluppi drammatici e un finale ricco di colpi di scena. Dal canto suo, il poliedrico Satoshin Kon ha curato, oltre al soggetto stesso del film, anche il character design marcatamente foto-realistico che, con tutte le sue smorfie verosimili, lascia un segno indelebile nella mente dello spettatore. Per quanto concerne il comparto tecnico, le animazioni si attestano su livelli altissimi grazie a un'elevata fluidità dei movimenti e delle variegate espressioni dei protagonisti, mentre i colori, mediamente saturati, danno origine a un'atmosfera più "reale" del solito; per contro, la colonna sonora non mi ha entusiasmato più di tanto, ma riconosco che accompagni in modo appropriato le vicissitudini dei nostri personaggi. Il doppiaggio italiano vanta uno dei nostri migliori doppiatori, purtroppo scomparso qualche anno fa, nel ruolo folle e divertente di Hana: sto parlando di Sergio Di Stefano, conosciuto come doppiatore ufficiale di John Malkovich in numerosi film, del dottor House nelle prime sei stagioni sulle otto complessive e, nel mondo degli anime, anche come voce carismatica di Folken Fanel in The Vision of Escaflowne. Per il resto, è da segnalare la presenza di errori di traduzione grossolani, dei quali il più grave di tutti è, a mio avviso, il seguente. Mentre rovista in un mucchio di vestiti usati, Miyuki prende tra le mani un paio di mutandine definendole però "pantaloni": ciò è da ascrivere a un'errata traduzione di pantsu, con cui nel Giappone odierno si indicano proprio le "mutandine". D'altro canto, suddetto termine deriva dall'inglese panties, che però non andrebbe mai confuso con pants ("pantaloni" per l'appunto). A parte questo, la localizzazione nella nostra lingua resta godibilissima e ottimamente interpretata. Al di là dell'importanza di Satoshi Kon nel panorama dell'animazione giapponese e internazionale degli ultimi vent'anni, qualora vogliate divertirvi ed emozionarvi con un film d'intrattenimento allo stato puro, allora Tokyo Godfathers fa proprio al caso vostro.
A dispetto di tali illustri precedenti, in fin dei conti Tokyo Godfathers è un film che si regge perfettamente anche da solo grazie a una serie di interessanti novità introdotte dal regista. Oltre all'ambientazione giapponese, i protagonisti del film, i "padrini" del titolo, non sono né scapoli né tantomeno cowboy, bensì tre senzatetto malandati: Hana, un travestito fautore di alcune delle gag più esilaranti del film; il sedicente ex-ciclista Gin; Miyuki, un'adolescente scappata di casa per via di problemi con i suoi genitori. Nella Tokyo ricoperta di neve di fine Dicembre, il ritrovamento, in un mucchio di rifiuti, di una neonata abbandonata dà una svolta netta all'esistenza già problematica dei tre. Lo sgangherato terzetto, infatti, su insistenza di Hana, "adotta" la piccola Chiyoko partendo quindi alla ricerca della sua vera mamma in un turbine di disavventure che approfondirà i loro background e getterà una luce sulla famiglia della bambina...
Quella di Tokyo Godfathers è, in poche parole, una trama semplice che fonda le sue radici nei pochi personaggi vibranti e a tutto tondo che prendono vita in ogni singola sequenza del film; a condire il tutto sono una certa dose di "comic relief", sviluppi drammatici e un finale ricco di colpi di scena. Dal canto suo, il poliedrico Satoshin Kon ha curato, oltre al soggetto stesso del film, anche il character design marcatamente foto-realistico che, con tutte le sue smorfie verosimili, lascia un segno indelebile nella mente dello spettatore. Per quanto concerne il comparto tecnico, le animazioni si attestano su livelli altissimi grazie a un'elevata fluidità dei movimenti e delle variegate espressioni dei protagonisti, mentre i colori, mediamente saturati, danno origine a un'atmosfera più "reale" del solito; per contro, la colonna sonora non mi ha entusiasmato più di tanto, ma riconosco che accompagni in modo appropriato le vicissitudini dei nostri personaggi. Il doppiaggio italiano vanta uno dei nostri migliori doppiatori, purtroppo scomparso qualche anno fa, nel ruolo folle e divertente di Hana: sto parlando di Sergio Di Stefano, conosciuto come doppiatore ufficiale di John Malkovich in numerosi film, del dottor House nelle prime sei stagioni sulle otto complessive e, nel mondo degli anime, anche come voce carismatica di Folken Fanel in The Vision of Escaflowne. Per il resto, è da segnalare la presenza di errori di traduzione grossolani, dei quali il più grave di tutti è, a mio avviso, il seguente. Mentre rovista in un mucchio di vestiti usati, Miyuki prende tra le mani un paio di mutandine definendole però "pantaloni": ciò è da ascrivere a un'errata traduzione di pantsu, con cui nel Giappone odierno si indicano proprio le "mutandine". D'altro canto, suddetto termine deriva dall'inglese panties, che però non andrebbe mai confuso con pants ("pantaloni" per l'appunto). A parte questo, la localizzazione nella nostra lingua resta godibilissima e ottimamente interpretata. Al di là dell'importanza di Satoshi Kon nel panorama dell'animazione giapponese e internazionale degli ultimi vent'anni, qualora vogliate divertirvi ed emozionarvi con un film d'intrattenimento allo stato puro, allora Tokyo Godfathers fa proprio al caso vostro.
Penso che "Tokyo Godfathers" sia un film molto originale, sopratutto per la critica sociale mossa dal regista e per la scelta dei protagonisti. Infatti il perno delle vicende a cui assisteremo durante la visione di "Tokyo Godfathers" sarà un barbone, un omosessuale e una scappata di casa. Essi troveranno nella spazzatura un bambino abbandonato e decideranno di non rivolgersi alla polizia, ma di cercare da soli i genitori. Durante tale ricerca i protagonisti, che in precedenza erano abbastanza apatici, faranno una serie di incontri casuali che li metteranno di fronte al loro passato e ai motivi della loro emarginazione.
La sceneggiatura è quella tipica di Satoshi Kon: infatti nella visione di questo film ho avuto un po' di difficoltà nel seguire gli eventi conclusivi, a causa dell'eccessiva pirotecnia della regia. La prima parte di "Tokyo Godfathers" ha uno svolgimento abbastanza equilibrato, sebbene alcuni incontri tra personaggi siano molto poco "casuali". Evidentemente, questa tecnica dell'incontro forzato è un pretesto del regista per non usare la classica struttura a "flashback", abbastanza in voga nell'animazione giapponese. Purtroppo, nella seconda metà dell'anime viene messa molta carne sul fuoco, e gli avvenimenti diventano abbastanza confusionari.
Il punto forte di questo film natalizio alla Kon è la caratterizzazione dei personaggi, ognuno con un passato molto interessante e una personalità ben definita. Essi inoltre sono molto simpatici e coinvolgono molto bene lo spettatore, che si interesserà alle loro vicende e al loro disagio sociale ed esistenziale. Personalmente ho notato, nonostante l'interesse provato durante la visione, certi rallentamenti nello svolgimento della trama, che mi hanno leggermente annoiato.
Le animazioni e il character design sono di alto livello ed è stupefacente la fluidità e l'espressività dei volti dei personaggi. I fondali sono un tripudio di colori e dettagli, esattamente come nei film precedenti del regista.
Ritengo che "Tokyo Godfathers" sia un grande film natalizio, in grado di affrontare tematiche abbastanza seriose con una certa leggerezza e un deciso ottimismo nei confronti della vita, che va comunque vissuta nonostante le difficoltà e gli attriti che la caratterizzano.
La sceneggiatura è quella tipica di Satoshi Kon: infatti nella visione di questo film ho avuto un po' di difficoltà nel seguire gli eventi conclusivi, a causa dell'eccessiva pirotecnia della regia. La prima parte di "Tokyo Godfathers" ha uno svolgimento abbastanza equilibrato, sebbene alcuni incontri tra personaggi siano molto poco "casuali". Evidentemente, questa tecnica dell'incontro forzato è un pretesto del regista per non usare la classica struttura a "flashback", abbastanza in voga nell'animazione giapponese. Purtroppo, nella seconda metà dell'anime viene messa molta carne sul fuoco, e gli avvenimenti diventano abbastanza confusionari.
Il punto forte di questo film natalizio alla Kon è la caratterizzazione dei personaggi, ognuno con un passato molto interessante e una personalità ben definita. Essi inoltre sono molto simpatici e coinvolgono molto bene lo spettatore, che si interesserà alle loro vicende e al loro disagio sociale ed esistenziale. Personalmente ho notato, nonostante l'interesse provato durante la visione, certi rallentamenti nello svolgimento della trama, che mi hanno leggermente annoiato.
Le animazioni e il character design sono di alto livello ed è stupefacente la fluidità e l'espressività dei volti dei personaggi. I fondali sono un tripudio di colori e dettagli, esattamente come nei film precedenti del regista.
Ritengo che "Tokyo Godfathers" sia un grande film natalizio, in grado di affrontare tematiche abbastanza seriose con una certa leggerezza e un deciso ottimismo nei confronti della vita, che va comunque vissuta nonostante le difficoltà e gli attriti che la caratterizzano.
"Tokyo Godfathers", traducibile con "I padrini di Tokyo", è un film di animazione del 2003 diretto dal poliedrico Satoshi Kon per la casa di produzione Madhouse.
La sera di Natale due barboni sdentati, fra cui un omosessuale e una ragazzina scappata di casa, trovano una neonata che continua a piangere in mezzo alla spazzatura con una chiave e un ciondolo con un numero. Dopo le iniziali titubanze e il desiderio di maternità di Hana, l'omosessuale che la vorrebbe tenere con sé, inizia una rocambolesca ricerca della sua mamma, cercando informazioni nella loro realtà e facendo i conti con le loro rispettive situazioni lasciate in sospeso. Nel breve lasso di tempo che separa il Natale da Capodanno, quando si conclude il film, impareremo a conoscere la bizzarra combriccola dell'ormai defunto regista Kon e la realtà di tutti i giorni in cui vivono.
Miyuki è una ragazzina tsundere, scontrosa e ribelle di 15 anni scappata di casa; Hana è un barbone omosessuale travestito da donna che ha sempre avuto desideri di maternità; Jin dice di esser stato un ciclista che per bisogno di soldi si fece corrompere e cadde in disgrazia. Jin a 20 anni era sposato e aveva una figlia che morì dopo qualche anno.
Ci penserà la piccolina, da loro ribattezzata Kiyoko, di cui si prenderanno cura e per la quale stravedranno, cercandone la madre, il collante e la carta vincente che permetterà ai tre di venire nuovamente in contatto con le rispettive famiglie che il trio ha lasciato. Prima è la volta di Hana, che a metà film rivedrà la madre che li accoglierà, poi di Jin che a tre quarti del movie nell'ospedale rivede sua figlia divenuta infermiera e sarà costretto a dire la verità sul suo conto e, infine, nell'epilogo, Miyuki incontra il padre poliziotto.
A livello di tematiche poco altro si può dire, se non che ci si vede catapultati nel duro mondo dei clochard fatto di solitudine, autocommiserazione, con il sapersi arrangiare e ingegnare, fatto di solidarietà, fratellanza, bugie, invidie, gelosie, amicizie, dissapori e un certo regolamento non scritto interno alla comunità che in caso di necessità sa mobilitarsi in modo incredibile.
Non manca anche l'incapacità di ravvedersi, di chiedere scusa alla propria famiglia, di ritornare suoi propri passi e di ammettere i propri errori, la trasparenza agli occhi della gente comune che li considera un fastidio e un disturbo. Come pure la fantasia del perché della loro condizione, quasi mai narrata nella sua vera versione dei fatti, ma celata, artigianalmente ed esponenzialmente modificata, artefatta e quasi mitizzata in modo da potersi dare un certo tono nella comunità dei senzatetto.
La trama ci immerge anche nella stupidità umana di rubare un pargolo per poi pentirsi del gesto e abbandonarlo nei rifiuti, l'invidia e la debolezza d'animo del non riuscire a superare la situazione e i drammi che la vita ci ha costretto ad affrontare. Insomma, le riflessioni e gli spunti non mancano: il film ne trasuda.
Nonostante ciò ho avvertito spesso una vena di sarcasmo che cozzava incredibilmente con tutto ciò, principalmente forse per il modo con il quale le parti coinvolte si esprimono e per la loro intonazione. Non so se sia stata una cosa voluta o per esaltare l'eccentricità dei protagonisti, ma un po' mi ha dato fastidio. Può darsi che una recitazione più drammatica e seriosa dei doppiatori l'avrei trovata più consona.
Graficamente è il film terribilmente realistico, con espressioni facciali che paiono prese da fotografie di volti umani piuttosto che una tecnica simile con gli scenari dei fondali. Le inquadrature sono variegate e la direzione della fotografia ottima; le animazioni invece non mi sono parse nulla di speciale, come pure il comparto sonoro, al quale non ho molto badato, in tutta sincerità.
Concludendo non capisco se "Tokyo Godfathers" vuole essere una grande trollata, lasciando con un lieto fine e un epilogo da bocca aperta e occhi sgranati per la sua insolvenza e al contempo. Un'opera che sembra quasi prendere in giro sé stessa con un omosessuale che parla continuamente in falsetto, una ragazzina isterica, un uomo che si scalda subito e bofonchia come una caffettiera e una piccola neonata che piange continuamente: questa è la cornice ambientata nella notte di Natale che fa da coretto e il verso a molti altri film di Natale.
Voto: 7.
La sera di Natale due barboni sdentati, fra cui un omosessuale e una ragazzina scappata di casa, trovano una neonata che continua a piangere in mezzo alla spazzatura con una chiave e un ciondolo con un numero. Dopo le iniziali titubanze e il desiderio di maternità di Hana, l'omosessuale che la vorrebbe tenere con sé, inizia una rocambolesca ricerca della sua mamma, cercando informazioni nella loro realtà e facendo i conti con le loro rispettive situazioni lasciate in sospeso. Nel breve lasso di tempo che separa il Natale da Capodanno, quando si conclude il film, impareremo a conoscere la bizzarra combriccola dell'ormai defunto regista Kon e la realtà di tutti i giorni in cui vivono.
Miyuki è una ragazzina tsundere, scontrosa e ribelle di 15 anni scappata di casa; Hana è un barbone omosessuale travestito da donna che ha sempre avuto desideri di maternità; Jin dice di esser stato un ciclista che per bisogno di soldi si fece corrompere e cadde in disgrazia. Jin a 20 anni era sposato e aveva una figlia che morì dopo qualche anno.
Ci penserà la piccolina, da loro ribattezzata Kiyoko, di cui si prenderanno cura e per la quale stravedranno, cercandone la madre, il collante e la carta vincente che permetterà ai tre di venire nuovamente in contatto con le rispettive famiglie che il trio ha lasciato. Prima è la volta di Hana, che a metà film rivedrà la madre che li accoglierà, poi di Jin che a tre quarti del movie nell'ospedale rivede sua figlia divenuta infermiera e sarà costretto a dire la verità sul suo conto e, infine, nell'epilogo, Miyuki incontra il padre poliziotto.
A livello di tematiche poco altro si può dire, se non che ci si vede catapultati nel duro mondo dei clochard fatto di solitudine, autocommiserazione, con il sapersi arrangiare e ingegnare, fatto di solidarietà, fratellanza, bugie, invidie, gelosie, amicizie, dissapori e un certo regolamento non scritto interno alla comunità che in caso di necessità sa mobilitarsi in modo incredibile.
Non manca anche l'incapacità di ravvedersi, di chiedere scusa alla propria famiglia, di ritornare suoi propri passi e di ammettere i propri errori, la trasparenza agli occhi della gente comune che li considera un fastidio e un disturbo. Come pure la fantasia del perché della loro condizione, quasi mai narrata nella sua vera versione dei fatti, ma celata, artigianalmente ed esponenzialmente modificata, artefatta e quasi mitizzata in modo da potersi dare un certo tono nella comunità dei senzatetto.
La trama ci immerge anche nella stupidità umana di rubare un pargolo per poi pentirsi del gesto e abbandonarlo nei rifiuti, l'invidia e la debolezza d'animo del non riuscire a superare la situazione e i drammi che la vita ci ha costretto ad affrontare. Insomma, le riflessioni e gli spunti non mancano: il film ne trasuda.
Nonostante ciò ho avvertito spesso una vena di sarcasmo che cozzava incredibilmente con tutto ciò, principalmente forse per il modo con il quale le parti coinvolte si esprimono e per la loro intonazione. Non so se sia stata una cosa voluta o per esaltare l'eccentricità dei protagonisti, ma un po' mi ha dato fastidio. Può darsi che una recitazione più drammatica e seriosa dei doppiatori l'avrei trovata più consona.
Graficamente è il film terribilmente realistico, con espressioni facciali che paiono prese da fotografie di volti umani piuttosto che una tecnica simile con gli scenari dei fondali. Le inquadrature sono variegate e la direzione della fotografia ottima; le animazioni invece non mi sono parse nulla di speciale, come pure il comparto sonoro, al quale non ho molto badato, in tutta sincerità.
Concludendo non capisco se "Tokyo Godfathers" vuole essere una grande trollata, lasciando con un lieto fine e un epilogo da bocca aperta e occhi sgranati per la sua insolvenza e al contempo. Un'opera che sembra quasi prendere in giro sé stessa con un omosessuale che parla continuamente in falsetto, una ragazzina isterica, un uomo che si scalda subito e bofonchia come una caffettiera e una piccola neonata che piange continuamente: questa è la cornice ambientata nella notte di Natale che fa da coretto e il verso a molti altri film di Natale.
Voto: 7.
"Tokyo Godfathers" è una fiaba in chiave moderna ambientata a Tokyo e con dei protagonisti molto particolari. In questo film si è infatti scelto di mettere al centro dell'attenzione dei barboni, non belli né dotati di strani poteri, delle persone normalissime che, ritrovatesi alle prese con un bambino abbandonato, lasciano la loro routine in una serie di vicissitudini che li farà riflettere sulla loro stessa vita. I tre barboni protagonisti si rivelano ben caratterizzati e dotati di un buono spessore psicologico, sapranno così trascinare lo spettatore e divertirlo, anche perché la trama risulta un po' lenta e banale al punto che senza dei così azzeccati protagonisti non varrebbe la pena guardare l'intero film. La grafica e la colonna sonora sono entrambe di un ottimo livello. In conclusione "Tokyo Godfathers" è un bel film per passare la serata, magari riflettendo su come le persone non vadano giudicate a prima vista.
Dopo aver esordito con uno psico-thriller ("Perfect Blue") e aver intrapreso il difficile campo del memoir ("Millennium Actress"), quel grande amatore del cinema occidentale che fu Satoshi Kon si cimentò con un genere a lui apparentemente non congeniale, il blockbuster natalizio per famiglie.
Tokyo, quartiere di Shinjuku. Tre senzatetto litigiosi, Gin, Hana e Miyuki, ricevono in dono la notte di Natale una neonata abbandonata in un bidone. Inizialmente il transessuale del gruppo è intenzionato a crescerla come una figlia, ma verrà convinto dagli altri due a tenere in considerazione le esigenze della piccola. Inizia così uno spericolato viaggio alla ricerca dei veri genitori di Kiyoko, attraverso una città ovattata dalla neve.
Il soggetto non nasconde di ispirarsi a "il texano" di John Ford prima e a "tre uomini e una culla" di Colline Serrau poi. Di suo Kon mette la sua peculiare comicità nerissima, l'autocitazionismo e una regia al solito eccelsa, priva di cali qualitativi e di ritmo evidenti. Si arriva così al lieto fine senza fatica e dopo qualche carambola da action-movie di serie b.
La scelta vincente - e quella che differenzia Tokyo Godfathers dai titoli sopracitati - è stata di ridurre il ruolo della trovatella a quello di semplice strumento. Di conseguenza le gag ormai stantie su dei barboni alle prese con cambi di pannolini e allattamento sono presto rimpiazzate dai ricordi che può far riaffiorare l'iterazione con un piccolo, indifeso oggetto d'amore. Così Gin affronta i demoni incontrati nel suo cammino per guarire dalla sue dipendenze, Hana accetta la sua anomalia genetica e la giovane Miyuki si perdona per un grosso errore che l'ha costretta ad abbandonare la famiglia. La quest principale non è più quella dei genitori della bambina - che pure prosegue senza scivoloni sul fronte della sceneggiatura -, ma delle identità perdute dei tre carismatici protagonisti.
Tokyo Godfathers è indubbiamente il film più "normale" di Satoshi Kon. Quasi privo delle sequenze oniriche ormai divenute suo marchio di fabbrica, il film risulta insospettabilmente molto veloce, scorrevole e divertente, senza mancare di trattare temi importanti come il concetto di famiglia e la cultura della sessualità. Un titolo capace di convincere un vasto pubblico, perfino chi non ha apprezzato altre opere del maestro. Da vedere possibilmente d'inverno, in compagnia seduti davanti a un camino.
Tokyo, quartiere di Shinjuku. Tre senzatetto litigiosi, Gin, Hana e Miyuki, ricevono in dono la notte di Natale una neonata abbandonata in un bidone. Inizialmente il transessuale del gruppo è intenzionato a crescerla come una figlia, ma verrà convinto dagli altri due a tenere in considerazione le esigenze della piccola. Inizia così uno spericolato viaggio alla ricerca dei veri genitori di Kiyoko, attraverso una città ovattata dalla neve.
Il soggetto non nasconde di ispirarsi a "il texano" di John Ford prima e a "tre uomini e una culla" di Colline Serrau poi. Di suo Kon mette la sua peculiare comicità nerissima, l'autocitazionismo e una regia al solito eccelsa, priva di cali qualitativi e di ritmo evidenti. Si arriva così al lieto fine senza fatica e dopo qualche carambola da action-movie di serie b.
La scelta vincente - e quella che differenzia Tokyo Godfathers dai titoli sopracitati - è stata di ridurre il ruolo della trovatella a quello di semplice strumento. Di conseguenza le gag ormai stantie su dei barboni alle prese con cambi di pannolini e allattamento sono presto rimpiazzate dai ricordi che può far riaffiorare l'iterazione con un piccolo, indifeso oggetto d'amore. Così Gin affronta i demoni incontrati nel suo cammino per guarire dalla sue dipendenze, Hana accetta la sua anomalia genetica e la giovane Miyuki si perdona per un grosso errore che l'ha costretta ad abbandonare la famiglia. La quest principale non è più quella dei genitori della bambina - che pure prosegue senza scivoloni sul fronte della sceneggiatura -, ma delle identità perdute dei tre carismatici protagonisti.
Tokyo Godfathers è indubbiamente il film più "normale" di Satoshi Kon. Quasi privo delle sequenze oniriche ormai divenute suo marchio di fabbrica, il film risulta insospettabilmente molto veloce, scorrevole e divertente, senza mancare di trattare temi importanti come il concetto di famiglia e la cultura della sessualità. Un titolo capace di convincere un vasto pubblico, perfino chi non ha apprezzato altre opere del maestro. Da vedere possibilmente d'inverno, in compagnia seduti davanti a un camino.
Miracolo a Shinjuku
Ispirato alla pellicola "The three godfathers" (1948) di John Ford, a sua volta tratta dal romanzo omonimo di Peter B. Kynes, "Tokyo Godfathers" è un lungometraggio scritto e diretto da Satoshi Kon, uscito nel 2003 per la Madhouse. Il regista rivisita il cinema hollywoodiano degli anni d'oro (ammantato di speranza e ottimismo consolatorio tipico del new deal e dell'american way of life) con un film spontaneo, spigliato e dal gusto squisitamente personale.
Alla vigilia di Natale, nel quartiere di Shinjuku imbiancato dalla neve, tre homeless sono piuttosto male assortiti e male in arnese: Hana, ex drag-queen caduta in disgrazia, Gin, ex padre di famiglia alcolizzato, e Miyuki, problematica ragazza scappata di casa. I tre, rovistando tra i rifiuti, trovano per caso una bellissima bimba neonata che piange abbandonata a sé stessa. Gin vuole consegnarla subito alla polizia, mentre Hana, che ha un innato istinto materno chiaramente frustrato, sogna di tenerla con sé e le ha già dato un nome: Kiyoko. Trovati alcuni indizi e nel disperato tentativo di riportarla alla sua famiglia, l'insolita compagnia inizierà una rocambolesca avventura all'ombra della torre di Tokyo, dove tutta una gamma di umanità della metropoli entrerà in scena fra incontri inaspettati e situazioni tragicomiche. Ma per poter dare alla piccola un futuro i tre dovranno fare i conti con i fantasmi del loro passato...
Al suo terzo film il cineasta di Kushiro cambia ancora registro rispetto alle sue precedenti produzioni e, coadiuvato alla sceneggiatura da Keiko Nobumoto, mette in piedi una commedia dolce e amara tutta imperniata sulla vivacità dei dialoghi e sulla verve dei personaggi.
Messo da parte il complesso montaggio visionario dei suoi primi film, il regista allestisce un racconto semplice e lineare enfatizzando il realismo dell'ambientazione metropolitana e il minuzioso studio delle caratterizzazioni psicologiche: i personaggi, che si muovono con grazia e leggerezza tra scene esilaranti e momenti più toccanti, sono talmente ben tratteggiati e sfumati che presto ci si dimentica di avere davanti dei disegni e si finisce per subire il loro irresistibile fascino.
Il character design, curato dallo stesso regista con Kenichi Konishi, è molto espressivo e sfiora il "deformed" nell'esaltare la mimica e la vis comica. Unito a un'impeccabile scelta dei tempi comici e alla splendida recitazione dei doppiatori è da paragonare ad una vera prova d'attore, sia nella versione in lingua originale che nell'edizione italiana.
Le musiche di Keiichi Suzuki, che uniscono sonorità classiche ed elettroniche, hanno un tono leggero e brioso, mentre sui titoli di coda una eccentrica rivisitazione della sinfonia n.9 (Inno alla gioia) di Ludwig van Beethoven chiude all'insegna del buon umore.
"Tokyo Godfathers" è una moderna favola natalizia che omaggia i grandi classici del genere come "La vita è meravigliosa" (1946) di Frank Capra, e "Miracolo sulla 34° strada" (1947) di George Seaton, con la personalissima impronta di Satoshi Kon che si riconferma artista poliedrico, colto e raffinato nel panorama del cinema d'autore nipponico.
Ispirato alla pellicola "The three godfathers" (1948) di John Ford, a sua volta tratta dal romanzo omonimo di Peter B. Kynes, "Tokyo Godfathers" è un lungometraggio scritto e diretto da Satoshi Kon, uscito nel 2003 per la Madhouse. Il regista rivisita il cinema hollywoodiano degli anni d'oro (ammantato di speranza e ottimismo consolatorio tipico del new deal e dell'american way of life) con un film spontaneo, spigliato e dal gusto squisitamente personale.
Alla vigilia di Natale, nel quartiere di Shinjuku imbiancato dalla neve, tre homeless sono piuttosto male assortiti e male in arnese: Hana, ex drag-queen caduta in disgrazia, Gin, ex padre di famiglia alcolizzato, e Miyuki, problematica ragazza scappata di casa. I tre, rovistando tra i rifiuti, trovano per caso una bellissima bimba neonata che piange abbandonata a sé stessa. Gin vuole consegnarla subito alla polizia, mentre Hana, che ha un innato istinto materno chiaramente frustrato, sogna di tenerla con sé e le ha già dato un nome: Kiyoko. Trovati alcuni indizi e nel disperato tentativo di riportarla alla sua famiglia, l'insolita compagnia inizierà una rocambolesca avventura all'ombra della torre di Tokyo, dove tutta una gamma di umanità della metropoli entrerà in scena fra incontri inaspettati e situazioni tragicomiche. Ma per poter dare alla piccola un futuro i tre dovranno fare i conti con i fantasmi del loro passato...
Al suo terzo film il cineasta di Kushiro cambia ancora registro rispetto alle sue precedenti produzioni e, coadiuvato alla sceneggiatura da Keiko Nobumoto, mette in piedi una commedia dolce e amara tutta imperniata sulla vivacità dei dialoghi e sulla verve dei personaggi.
Messo da parte il complesso montaggio visionario dei suoi primi film, il regista allestisce un racconto semplice e lineare enfatizzando il realismo dell'ambientazione metropolitana e il minuzioso studio delle caratterizzazioni psicologiche: i personaggi, che si muovono con grazia e leggerezza tra scene esilaranti e momenti più toccanti, sono talmente ben tratteggiati e sfumati che presto ci si dimentica di avere davanti dei disegni e si finisce per subire il loro irresistibile fascino.
Il character design, curato dallo stesso regista con Kenichi Konishi, è molto espressivo e sfiora il "deformed" nell'esaltare la mimica e la vis comica. Unito a un'impeccabile scelta dei tempi comici e alla splendida recitazione dei doppiatori è da paragonare ad una vera prova d'attore, sia nella versione in lingua originale che nell'edizione italiana.
Le musiche di Keiichi Suzuki, che uniscono sonorità classiche ed elettroniche, hanno un tono leggero e brioso, mentre sui titoli di coda una eccentrica rivisitazione della sinfonia n.9 (Inno alla gioia) di Ludwig van Beethoven chiude all'insegna del buon umore.
"Tokyo Godfathers" è una moderna favola natalizia che omaggia i grandi classici del genere come "La vita è meravigliosa" (1946) di Frank Capra, e "Miracolo sulla 34° strada" (1947) di George Seaton, con la personalissima impronta di Satoshi Kon che si riconferma artista poliedrico, colto e raffinato nel panorama del cinema d'autore nipponico.
Fra tutte le opere del grandissimo e compianto Satoshi Kon, Tokyo Godfathers è sicuramente quella che più incarna una maturità oggettiva, una visione realistica della società contemporanea spezzata da nette distinzioni presenti nella nostra quotidianità, coinvolgente nonostante un approccio defilato, tramite un ritmo al limite dell'onirico, cadenzato, capace di pause di riflessione profonde e introspettive, senza tralasciare azione, ritmo e humor.
Sensei Kon irride i limiti mentali della gente comune che veste perbenismo e mastica ipocrisia imbastendo un'eccezionale, sfrontata ironia su questioni come omosessualità, povertà, discriminazione e violenza, mostrando tramite un'ardita ma fantasiosa ricetta agrodolce il lato più difficile e drammatico della nostra società, pregno tuttavia di quella vena sensibile e struggente che ha contraddistinto ogni suo capolavoro.
Tokyo Godfathers è un palcoscenico pericolante e malmesso dove fanno la comparsa tre fra i più bizzarri protagonisti che si siano mai visti, tre barboni intenti a sopravvivere più al loro passato che al freddo glaciale delle ultime notti di fine anno, tre personaggi pirandelliani che hanno a disposizione la maschera della povertà e non possono far altrimenti che indossarla, tre reietti della società perbenista di cui un tempo facevano parte, ma che ora disprezzano quasi quanto la loro totale assenza di ego: Miyuki, una ragazzina scappata di casa da ben quattro mesi dopo una violenta lite in famiglia; Hana, un omosessuale che maledice la propria maschile fisicità e che coltiva l'impossibile sogno di divenire madre; ed infine Jin, un uomo di mezz'età dalla barba incolta, burbero ma dal cuore d'oro e dal passato insondabile, inguaribile bugiardo ed ex giocatore d'azzardo.
Storie di tutti i giorni, sebbene il cittadino medio non se ne possa rendere conto, o peggio ancora, non voglia rendersene conto. Storie di persone che hanno smarrito la felicità, intente a cercarla dentro ad un bidone della spazzatura, o a nascondersi da bande di omofobi estremisti pronti a massacrarle di sprangate. Storie di diversi, costretti a fingere o nascondersi per non essere maltrattati e presi di mira da quel razzismo latente, insolente e oscenamente giustificato dietro la squallida scusa dell'ipotetico malintenzionato, del morto di fame, del ladro straccione.
Come appare chiaro ed esplicito, Tokyo Godfathers non si limita a raccontare una vera e propria fiaba di Natale per grandi e piccini capace di amalgamare elementi maturi, profondi e diretti assieme a frangenti di comicità dolci e malinconici, ma va ben oltre; è una vera e propria denuncia camuffata da novella, un dito puntato contro tutto e tutti, un grido silenzioso verso quella società schifosa, come lurida immondizia, proprio nello stesso modo in cui l'apostrofa lo stesso Jin, parafrasandola al bidone dei rifiuti dove è intento a scavare. Una società dove vengono riflesse problematiche angoscianti e al tempo stesso abituali, un cozzare di situazioni bianche e nere, una camera buia dove di tanto in tanto s'accendono flebili candele di luce speranzosa. Ma sono quelle piccole fiammelle a far sì che la vita valga la pena d'essere vissuta, sono semplici incontri, attimi fortuiti capaci di allietare anche il periodo più cupo.
Considerandolo nell'insieme non può che risultare simile ad una commedia teatrale tragicomica spolverata dalla fredda neve dell'ultimo dell'anno, pervasa di una magia mistica e inimitabile che tanto rammenta i racconti di Dickens, avvolta da un misticismo positivo, metafora più della Provvidenza che della mera e insignificante fortuna.
E alternata ai tratti più drammatici e profondi, vi è una soffusa ironia, un'irriverenza calcolata che provoca sorrisi e allo stesso tempo riesce a far riflettere, stempera e allevia. Tutta la vicenda è rovesciata, vissuta dal punto di vista di un barbone, tanto che la visione d'insieme che si estrapola appare capovolta, prigioniera di un'emarginazione squallida e crudele, una moltitudine di volti come maschere di cera lontane, capaci d'ignorare i protagonisti con un'oscena naturalezza. E capita di ritrovarcisi, in queste maschere, in questi volti di tanti nessuno che proseguono come fiume in piena per la loro strada, facendo finta di niente, pensando di essere dalla parte giusta o per lo meno corretta.
Tokyo Godfathers cerca di dare una spiegazione razionale a ciò che ognuno di noi chiama destino, ovvero una via di mezzo fra le azioni dettate dalla volontà umana ed eventi imprescindibili, forse ultraterreni, che esulano dal libero arbitrio, fino a dispensare addirittura un tocco di fanciullesca magia, capace di premiare - potremmo dire ingenuamente, in perfetto clima natalizio, il buon cuore di chi è ultimo degli ultimi, ma sotto sotto ha ancora tanto da dare.
Altalenante, dal ritmo prima incisivo, poi blando e verso il finale esasperato, questo indimenticabile lungometraggio si avvale di animazioni eccellenti, un chara design realistico che non disdegna una vena caricaturale nei momenti di comicità, oltre a fondali capaci di integrare i protagonisti come attori in un film d'autore.
Una magia da gustare sotto Natale, un pacco regalo carico di sentimenti ed emozioni, un vero e proprio memento lasciatoci dal grandissimo, immenso, divino Satoshi Kon.
Grazie, Sensei.
Sensei Kon irride i limiti mentali della gente comune che veste perbenismo e mastica ipocrisia imbastendo un'eccezionale, sfrontata ironia su questioni come omosessualità, povertà, discriminazione e violenza, mostrando tramite un'ardita ma fantasiosa ricetta agrodolce il lato più difficile e drammatico della nostra società, pregno tuttavia di quella vena sensibile e struggente che ha contraddistinto ogni suo capolavoro.
Tokyo Godfathers è un palcoscenico pericolante e malmesso dove fanno la comparsa tre fra i più bizzarri protagonisti che si siano mai visti, tre barboni intenti a sopravvivere più al loro passato che al freddo glaciale delle ultime notti di fine anno, tre personaggi pirandelliani che hanno a disposizione la maschera della povertà e non possono far altrimenti che indossarla, tre reietti della società perbenista di cui un tempo facevano parte, ma che ora disprezzano quasi quanto la loro totale assenza di ego: Miyuki, una ragazzina scappata di casa da ben quattro mesi dopo una violenta lite in famiglia; Hana, un omosessuale che maledice la propria maschile fisicità e che coltiva l'impossibile sogno di divenire madre; ed infine Jin, un uomo di mezz'età dalla barba incolta, burbero ma dal cuore d'oro e dal passato insondabile, inguaribile bugiardo ed ex giocatore d'azzardo.
Storie di tutti i giorni, sebbene il cittadino medio non se ne possa rendere conto, o peggio ancora, non voglia rendersene conto. Storie di persone che hanno smarrito la felicità, intente a cercarla dentro ad un bidone della spazzatura, o a nascondersi da bande di omofobi estremisti pronti a massacrarle di sprangate. Storie di diversi, costretti a fingere o nascondersi per non essere maltrattati e presi di mira da quel razzismo latente, insolente e oscenamente giustificato dietro la squallida scusa dell'ipotetico malintenzionato, del morto di fame, del ladro straccione.
Come appare chiaro ed esplicito, Tokyo Godfathers non si limita a raccontare una vera e propria fiaba di Natale per grandi e piccini capace di amalgamare elementi maturi, profondi e diretti assieme a frangenti di comicità dolci e malinconici, ma va ben oltre; è una vera e propria denuncia camuffata da novella, un dito puntato contro tutto e tutti, un grido silenzioso verso quella società schifosa, come lurida immondizia, proprio nello stesso modo in cui l'apostrofa lo stesso Jin, parafrasandola al bidone dei rifiuti dove è intento a scavare. Una società dove vengono riflesse problematiche angoscianti e al tempo stesso abituali, un cozzare di situazioni bianche e nere, una camera buia dove di tanto in tanto s'accendono flebili candele di luce speranzosa. Ma sono quelle piccole fiammelle a far sì che la vita valga la pena d'essere vissuta, sono semplici incontri, attimi fortuiti capaci di allietare anche il periodo più cupo.
Considerandolo nell'insieme non può che risultare simile ad una commedia teatrale tragicomica spolverata dalla fredda neve dell'ultimo dell'anno, pervasa di una magia mistica e inimitabile che tanto rammenta i racconti di Dickens, avvolta da un misticismo positivo, metafora più della Provvidenza che della mera e insignificante fortuna.
E alternata ai tratti più drammatici e profondi, vi è una soffusa ironia, un'irriverenza calcolata che provoca sorrisi e allo stesso tempo riesce a far riflettere, stempera e allevia. Tutta la vicenda è rovesciata, vissuta dal punto di vista di un barbone, tanto che la visione d'insieme che si estrapola appare capovolta, prigioniera di un'emarginazione squallida e crudele, una moltitudine di volti come maschere di cera lontane, capaci d'ignorare i protagonisti con un'oscena naturalezza. E capita di ritrovarcisi, in queste maschere, in questi volti di tanti nessuno che proseguono come fiume in piena per la loro strada, facendo finta di niente, pensando di essere dalla parte giusta o per lo meno corretta.
Tokyo Godfathers cerca di dare una spiegazione razionale a ciò che ognuno di noi chiama destino, ovvero una via di mezzo fra le azioni dettate dalla volontà umana ed eventi imprescindibili, forse ultraterreni, che esulano dal libero arbitrio, fino a dispensare addirittura un tocco di fanciullesca magia, capace di premiare - potremmo dire ingenuamente, in perfetto clima natalizio, il buon cuore di chi è ultimo degli ultimi, ma sotto sotto ha ancora tanto da dare.
Altalenante, dal ritmo prima incisivo, poi blando e verso il finale esasperato, questo indimenticabile lungometraggio si avvale di animazioni eccellenti, un chara design realistico che non disdegna una vena caricaturale nei momenti di comicità, oltre a fondali capaci di integrare i protagonisti come attori in un film d'autore.
Una magia da gustare sotto Natale, un pacco regalo carico di sentimenti ed emozioni, un vero e proprio memento lasciatoci dal grandissimo, immenso, divino Satoshi Kon.
Grazie, Sensei.
Il compianto regista Satoshi Kon anche con Tokyo Godfathers dimostra come il suo genio mancherà molto a tutti gli appassionati di animazione giapponese.
La storia ambientata a Tokyo ha inizio la notte della vigilia di Natale, e narra le vicende di tre barboni, Hana (un travestito), Gin (un alcolizzato) e Miyuki (una ragazzina scappata di casa), che casualmente ritrovano una bambina in fasce tra i sacchi della spazzatura. Ha inizio così l'avventura alla ricerca dei genitori della piccola e, man mano che la storia proseguirà, verranno svelati anche il passato dei tre protagonisti, di come le loro scelte hanno contribuito al loro attuale "stile" di vita e di come sia possibile, aiutati anche da eventi molto particolari, a riconciliarsi con il passato.
Tecnicamente questo lungometraggio sfodera ottime animazioni e scenari realizzati con dovizia di particolari, inoltre la storia non annoia mai perché è tutto un susseguirsi di situazioni e combinazioni divertenti, ma da uno come Satoshi Kon era anche abbastanza ovvio aspettarselo. Da vedere!
La storia ambientata a Tokyo ha inizio la notte della vigilia di Natale, e narra le vicende di tre barboni, Hana (un travestito), Gin (un alcolizzato) e Miyuki (una ragazzina scappata di casa), che casualmente ritrovano una bambina in fasce tra i sacchi della spazzatura. Ha inizio così l'avventura alla ricerca dei genitori della piccola e, man mano che la storia proseguirà, verranno svelati anche il passato dei tre protagonisti, di come le loro scelte hanno contribuito al loro attuale "stile" di vita e di come sia possibile, aiutati anche da eventi molto particolari, a riconciliarsi con il passato.
Tecnicamente questo lungometraggio sfodera ottime animazioni e scenari realizzati con dovizia di particolari, inoltre la storia non annoia mai perché è tutto un susseguirsi di situazioni e combinazioni divertenti, ma da uno come Satoshi Kon era anche abbastanza ovvio aspettarselo. Da vedere!
Tokyo Godfathers è un film di primissima categoria, originale e sensibile come pochi.
Racconta le vicende di tre simpatici barboni - un omone, un omosessuale e una ragazzina quindicenne - in una Tokyo dei tempi moderni, fin quando incontrano un neonato praticamente in mezzo alla spazzatura, e da qui decidono di adottarlo, almeno temporaneamente, per pensare più avanti se tenerlo o se ritrovare i suoi genitori e riconsegnarlo.
Nel film emergono quindi molte tematiche inerenti al valore della vita e alla famiglia in molte delle sfumature possibili immaginarie, approfondendo al modo giusto (né poco né troppo, per non risultare pesante e rompere il frizzante ritmo narrativo) ogni tema.
La caratterizzazione dei personaggi è davvero ottima, ognuno dei protagonisti ha un passato che racconterà a tempo debito, decisamente coerente con il loro modo di vivere e con il motivo per cui sono finiti a vivere come barboni.
A tratti scanzonato ad altri invece più drammatico, nel film sono presenti sia gag comiche alquanto simpatiche ed originali e mai fastidiose, sia momenti toccanti che spingono a riflettere, sul valore della vita e di quello che facciamo... tematiche semplici e banali direte voi, ma è lo stile e il modo in cui vengono rappresentate che è davvero fuori dal comune, riesce davvero a scaldare il cuore dello spettatore, nonostante i gelidi ambienti invernali caratteristici del film - forse questo fattore è studiato appositamente per far risaltare gli aspetti più "caldi" e cari delle persone.
Tecnicamente di eccellente fattura, con la solita impeccabile regia di questo grande artista che non sbaglia mai un colpo, e sorprende non poche volte con colpi di classe e di stile, emergendo da quella piattezza caratteristica della maggior parte degli anime in circolazione. Disegni, colori, fondali e dettagli assolutamente sublimi, così come le animazioni presenti in gran numero e di assoluto livello.
Le musiche barocche ridanno proprio a quel particolare clima povero e grezzo tipico dei personaggi, e va quindi ad incastrarsi più che bene nelle varie scene.
La storia procede a ritmo deciso e convinto, mai incespicante, e i colpi di scena non mancano di certo.
Difetti? Spiacente, non ce ne sono. Forse giusto il finale l'avrei immaginato un pochino più ispirato, ma niente di che.
Indubbiamente Satoshi Kon colpisce ancora, ma sta volta lo fa in maniera diversa dal solito, con uno stile decisamente più naturale e spontaneo dei suoi lavori maggiormente complessi come Paprika o Millennium Actress.
Da godere durante l'inverno con il camino acceso a fianco di tutta la famiglia.
Racconta le vicende di tre simpatici barboni - un omone, un omosessuale e una ragazzina quindicenne - in una Tokyo dei tempi moderni, fin quando incontrano un neonato praticamente in mezzo alla spazzatura, e da qui decidono di adottarlo, almeno temporaneamente, per pensare più avanti se tenerlo o se ritrovare i suoi genitori e riconsegnarlo.
Nel film emergono quindi molte tematiche inerenti al valore della vita e alla famiglia in molte delle sfumature possibili immaginarie, approfondendo al modo giusto (né poco né troppo, per non risultare pesante e rompere il frizzante ritmo narrativo) ogni tema.
La caratterizzazione dei personaggi è davvero ottima, ognuno dei protagonisti ha un passato che racconterà a tempo debito, decisamente coerente con il loro modo di vivere e con il motivo per cui sono finiti a vivere come barboni.
A tratti scanzonato ad altri invece più drammatico, nel film sono presenti sia gag comiche alquanto simpatiche ed originali e mai fastidiose, sia momenti toccanti che spingono a riflettere, sul valore della vita e di quello che facciamo... tematiche semplici e banali direte voi, ma è lo stile e il modo in cui vengono rappresentate che è davvero fuori dal comune, riesce davvero a scaldare il cuore dello spettatore, nonostante i gelidi ambienti invernali caratteristici del film - forse questo fattore è studiato appositamente per far risaltare gli aspetti più "caldi" e cari delle persone.
Tecnicamente di eccellente fattura, con la solita impeccabile regia di questo grande artista che non sbaglia mai un colpo, e sorprende non poche volte con colpi di classe e di stile, emergendo da quella piattezza caratteristica della maggior parte degli anime in circolazione. Disegni, colori, fondali e dettagli assolutamente sublimi, così come le animazioni presenti in gran numero e di assoluto livello.
Le musiche barocche ridanno proprio a quel particolare clima povero e grezzo tipico dei personaggi, e va quindi ad incastrarsi più che bene nelle varie scene.
La storia procede a ritmo deciso e convinto, mai incespicante, e i colpi di scena non mancano di certo.
Difetti? Spiacente, non ce ne sono. Forse giusto il finale l'avrei immaginato un pochino più ispirato, ma niente di che.
Indubbiamente Satoshi Kon colpisce ancora, ma sta volta lo fa in maniera diversa dal solito, con uno stile decisamente più naturale e spontaneo dei suoi lavori maggiormente complessi come Paprika o Millennium Actress.
Da godere durante l'inverno con il camino acceso a fianco di tutta la famiglia.
Tokyo Godfathers può essere considerato una piccola chicca dell'animazione nipponica in grado di abbattere qualsiasi barriera pregiudiziale nei confronti di coloro che, abituati a concepire un film come interpretabile solo da persone in carne e ossa, snobbano i capolavori di animazione del sol levante perché considerati "da bambini".
È proprio attorno a una bambina che la storia ruota: viene ritrovata da tre senza tetto piuttosto particolari, la vigilia di Natale, abbandonata in mezzo all'immondizia.
Hana è un travestito, Gin un alcolizzato vagabondo e Miyuki una ragazzina scappata di casa. I tre formano un gruppo eterogeneo ritrovatosi a collaborare per la sopravvivenza in seguito a varie vicende personali, causa della loro attuale condizione. Ogni uno ha una sua motivazione per tenere la bimba o consegnarla subito alla polizia, ma mentre decidono la perdono di vista, innescando una rocambolesca ricerca per le vie di Tokyo. Fortunosamente ritrovata, si convincono che è più giusto trovare i suoi genitori. Durante la settimana tra la notte di Natale e Capodanno i tre vivono un'esperienza indimenticabile, ritrovandosi a fare i conti con il loro passato e a riconciliarsi con la situazione presente, nel perseguire l'obiettivo di trovare i genitori della piccola.
Che dire di Tokyo Godfathers, una perspicace accozzaglia di spunti di riflessioni sulla condizione umana, sull'importanza della vita e degli affetti, in grado di far coesistere commozione e ilarità. Non una semplice commedia. Divertente e originale, ben realizzato sia nella resa visiva che nella regia. Un film da non perdere adatto a chiunque. Acuto.
È proprio attorno a una bambina che la storia ruota: viene ritrovata da tre senza tetto piuttosto particolari, la vigilia di Natale, abbandonata in mezzo all'immondizia.
Hana è un travestito, Gin un alcolizzato vagabondo e Miyuki una ragazzina scappata di casa. I tre formano un gruppo eterogeneo ritrovatosi a collaborare per la sopravvivenza in seguito a varie vicende personali, causa della loro attuale condizione. Ogni uno ha una sua motivazione per tenere la bimba o consegnarla subito alla polizia, ma mentre decidono la perdono di vista, innescando una rocambolesca ricerca per le vie di Tokyo. Fortunosamente ritrovata, si convincono che è più giusto trovare i suoi genitori. Durante la settimana tra la notte di Natale e Capodanno i tre vivono un'esperienza indimenticabile, ritrovandosi a fare i conti con il loro passato e a riconciliarsi con la situazione presente, nel perseguire l'obiettivo di trovare i genitori della piccola.
Che dire di Tokyo Godfathers, una perspicace accozzaglia di spunti di riflessioni sulla condizione umana, sull'importanza della vita e degli affetti, in grado di far coesistere commozione e ilarità. Non una semplice commedia. Divertente e originale, ben realizzato sia nella resa visiva che nella regia. Un film da non perdere adatto a chiunque. Acuto.
Un gran bel film. Ah no, è un'anime in realtà, davvero? Beh, non fosse perché i personaggi sono disegnati non me ne sarei accorta. Infatti questo anime ha molto di cinematografico. A partire dalla trama, che non è la più originale delle storie, anzi, risulta abbastanza occidentale (non fosse per alcuni dettagli che non rivelerò), ma soprattutto il modo in cui i personaggi si muovono in essa è incredibilmente realistico, per non parlare delle espressioni, dei gesti e dei rapporti tra loro. È tutto estremamente realistico, e l'effetto è accresciuto dalla grafica impeccabile. Tornando alla trama, pur essendo una storia abbastanza leggera non manca di certo di profondità, specie quando si parla delle storie dei singoli personaggi, a cui si fa presto ad affezionarsi e ad empatizzare con loro, soprattutto la fantastica Hana, che tra l'altro fa morire dal ridere. Insomma, un'anime particolare, dalla trama leggera ma allo stesso tempo intrecciata e avvincente. Un bel 9!
Dal momento che Satoshi Kon mi ricorda molto il maestro David Lynch, direi che quest'opera sta nella filmografia di Kon come "Una storia vera" sta nella filmografia di Lynch.
Due autori abituati a celarsi nel surreale, ad analizzare i meandri reconditi della mente e dei pensieri, portando nella realtà ciò che nella realtà non può essere portato, cioè i pensieri, i sogni e quanto di mentale c'è, fino a fondere reale ed onirico in un'unica amalgama.
Tokyo Godfathers, invece, abbandona tutto ciò per una storia più realistica, più lineare. Come in "Una storia vera", il cui titolo originale è "The Straight Story", cioè "La storia lineare", anche TG è lineare, è una storia che potrebbe benissimo accadere per le vie di Tokyo, escludendo la voluta quantità di coincidenze immesse da Kon-sensei semplicemente per rendere più "ottimista" il film. Da vedere.
Due autori abituati a celarsi nel surreale, ad analizzare i meandri reconditi della mente e dei pensieri, portando nella realtà ciò che nella realtà non può essere portato, cioè i pensieri, i sogni e quanto di mentale c'è, fino a fondere reale ed onirico in un'unica amalgama.
Tokyo Godfathers, invece, abbandona tutto ciò per una storia più realistica, più lineare. Come in "Una storia vera", il cui titolo originale è "The Straight Story", cioè "La storia lineare", anche TG è lineare, è una storia che potrebbe benissimo accadere per le vie di Tokyo, escludendo la voluta quantità di coincidenze immesse da Kon-sensei semplicemente per rendere più "ottimista" il film. Da vedere.
Tokyo. La Notte di Natale. Tre senzatetto trovano una neonata abbandonata tra la spazzatura. Cosa fare? Portarla alla polizia? Tenerla con sé? Mettersi alla ricerca di chi l'ha abbandonata?Da un soggetto così semplice, uno si aspetterebbe al massimo un film come "Tre uomini e una culla". Niente di più sbagliato.
Satoshi Kon (già regista di due perle dell'animazione giapponese come "Perfect Blue" e "Millenium Actress") è riuscito a confezionare da questa storia così semplice, un piccolo gioiellino che ha entusiasmato pubblico e critica.
Il merito di tutto questo sta per lo più nei tre protagonisti, tre dei personaggi meglio caratterizzati che abbia mai visto. Gin, un vecchio ubriacone, burbero ma con un cuore d'oro. Miyuki, un'adolescente scappata di casa. Hana, un travestito dal forte istinto materno.
Questi tre protagonisti, che a prima vista potrebbero sembrare il classico trio di personaggi "macchietta", descritti superficialmente per distinguerli uno dall'altro, sono in realtà il team più equilibrato che abbia mai visto. E il loro carattere è analizzato alla perfezione; sono persone vere. Sono veri barboni, ognuno con una storia alle spalle. E con l'avanzare del film scopriremo sempre più elementi di ogni personaggio grazie ad una sceneggiatura ricca di colpi di scena e di momenti magici.
In questo film ci si appassiona alla storia e ai personaggi, ci si stupisce, si ride (e tanto), ci si commuove e c'è spazio anche per un paio di scene d'azione che vi terranno inchiodati alla sedia. Tutto questo, lo ribadisco, perché i personaggi sono simpatici e veri e il processo di riconoscimento dello spettatore in loro avviene nel modo più efficiente possibile; per quel che mi riguarda non mi sono mai appassionato così tanto ad una trama.
Un commento tecnico? Spettacolare. I disegni sono meravigliosi e i personaggi sono disegnati con uno stile che equilibra alla perfezione il realismo e il "cartoon", che si vede in alcune espressioni facciali al limite del caricaturale. E le espressioni dei personaggi sono l'unico elemento che ricorda allo spettatore che sta guardando un cartone animato e non un film live action. Perché questo film potrebbe benissimo essere stato fatto in live action: non ci sono persone che volano, non ci sono animali parlanti, non ci sono centinaia di soldati che compaiono contemporaneamente o elementi fantastici. E' una storia realistica inserita in un mondo realistico.
E anche i fondali dipingono così bene la vera Tokyo che non ci si può non perdere ad osservare tutti i singoli dettagli che la rendono una città viva. Un commento sentito all'uscita della sala italiana nella quale andai a vedere l'edizione nostrana del film un annetto fa: "Eh, si vede proprio che i giapponesi non sanno fare i cartoni animati. Per risparmiare soldi invece che disegnare i fondali hanno usato immagini vere di Tokyo!" E' inutile che vi dica che i fondali sono disegnati e non sono vere immagini di Tokyo.
La musica accompagna magistralmente il susseguirsi delle azioni con brani da film noir e musichette allegre e pimpanti, a seconda delle evenienze. E come chicca finale, una versione dell'"Inno alla Gioia" di Beethoven talmente fuori di testa che poteva essere concepita solamente in Giappone.
Un piccolo commento sulla versione italiana. Il doppiaggio è veramente buono per tutti i personaggi: in particolare per il travestito Hana avevo molti timori, ma sono riusciti a dare una voce che non lo sminuisce a personaggio unicamente comico. Ma l'adattamento italiana ha una piccola pecca: la mancata traduzione delle scritte giapponesi che, se nella maggior parte del film è irrilevante, in un paio di casi (come quando si vede un biglietto in primo piano o il titolo di un articolo su un quotidiano) fanno perdere elementi della trama.
In sintesi? Guardatelo.
Satoshi Kon (già regista di due perle dell'animazione giapponese come "Perfect Blue" e "Millenium Actress") è riuscito a confezionare da questa storia così semplice, un piccolo gioiellino che ha entusiasmato pubblico e critica.
Il merito di tutto questo sta per lo più nei tre protagonisti, tre dei personaggi meglio caratterizzati che abbia mai visto. Gin, un vecchio ubriacone, burbero ma con un cuore d'oro. Miyuki, un'adolescente scappata di casa. Hana, un travestito dal forte istinto materno.
Questi tre protagonisti, che a prima vista potrebbero sembrare il classico trio di personaggi "macchietta", descritti superficialmente per distinguerli uno dall'altro, sono in realtà il team più equilibrato che abbia mai visto. E il loro carattere è analizzato alla perfezione; sono persone vere. Sono veri barboni, ognuno con una storia alle spalle. E con l'avanzare del film scopriremo sempre più elementi di ogni personaggio grazie ad una sceneggiatura ricca di colpi di scena e di momenti magici.
In questo film ci si appassiona alla storia e ai personaggi, ci si stupisce, si ride (e tanto), ci si commuove e c'è spazio anche per un paio di scene d'azione che vi terranno inchiodati alla sedia. Tutto questo, lo ribadisco, perché i personaggi sono simpatici e veri e il processo di riconoscimento dello spettatore in loro avviene nel modo più efficiente possibile; per quel che mi riguarda non mi sono mai appassionato così tanto ad una trama.
Un commento tecnico? Spettacolare. I disegni sono meravigliosi e i personaggi sono disegnati con uno stile che equilibra alla perfezione il realismo e il "cartoon", che si vede in alcune espressioni facciali al limite del caricaturale. E le espressioni dei personaggi sono l'unico elemento che ricorda allo spettatore che sta guardando un cartone animato e non un film live action. Perché questo film potrebbe benissimo essere stato fatto in live action: non ci sono persone che volano, non ci sono animali parlanti, non ci sono centinaia di soldati che compaiono contemporaneamente o elementi fantastici. E' una storia realistica inserita in un mondo realistico.
E anche i fondali dipingono così bene la vera Tokyo che non ci si può non perdere ad osservare tutti i singoli dettagli che la rendono una città viva. Un commento sentito all'uscita della sala italiana nella quale andai a vedere l'edizione nostrana del film un annetto fa: "Eh, si vede proprio che i giapponesi non sanno fare i cartoni animati. Per risparmiare soldi invece che disegnare i fondali hanno usato immagini vere di Tokyo!" E' inutile che vi dica che i fondali sono disegnati e non sono vere immagini di Tokyo.
La musica accompagna magistralmente il susseguirsi delle azioni con brani da film noir e musichette allegre e pimpanti, a seconda delle evenienze. E come chicca finale, una versione dell'"Inno alla Gioia" di Beethoven talmente fuori di testa che poteva essere concepita solamente in Giappone.
Un piccolo commento sulla versione italiana. Il doppiaggio è veramente buono per tutti i personaggi: in particolare per il travestito Hana avevo molti timori, ma sono riusciti a dare una voce che non lo sminuisce a personaggio unicamente comico. Ma l'adattamento italiana ha una piccola pecca: la mancata traduzione delle scritte giapponesi che, se nella maggior parte del film è irrilevante, in un paio di casi (come quando si vede un biglietto in primo piano o il titolo di un articolo su un quotidiano) fanno perdere elementi della trama.
In sintesi? Guardatelo.
Tokyo Godfathers, film d'animazione del 2003, è uno di quei film che ti colpiscono e sconvoglgono a causa del loro realismo e che alla fine lasciano un senso di piacere che solo un capolavoro può provocare.
Come sempre la regia e la sceneggiatura di Satoshi Kon non perdono colpi e riescono ad essere così efficaci che attori in carne ed ossa non potrebbero fare di meglio.
La trama ci mette da subito dinanzi a tre soggetti un po' particolari (diciamo un terzetto che sarebbe difficile trovare anche nella realtà), ossia dei senzatetto che trovano tra i rifiuti una neonata. I nostri amici cercheranno, in tutti i modi, seppur a malincuore, di riportare quello che definiscono "un dono del cielo" ai propri genitori, non senza difficoltà ovviamente.
Tutto è strutturato su temi molto forti, quali l'importanza della vita e l'amore. Si riscontra anche il tema della forza e della stranezza della casualità. Queste ed altre componenti sono trattate dall'autore con una semplicità a dir poco incredibile e allo stesso tempo trascinante. Non va nemmeno dimenticato che vengono messi in risalto parecchi diversi tipi di società e costumi.
Un altro punto forte sono proprio i protagonisti. I tre senzatetto sono a dir poco spettacolari, hanno una caratterizzazione stupenda, non sono mai banali e non fanno cose mai scontate. Basti pensare che uno è uno di questi è omosessuale, che il secondo è una ragazzina scappata di casa e che il terzo è un ubriacone. Tutto ciò è contornato da una parte tecnica davvero impeccabile, da disegni e animazioni eccellenti e da una colonna sonora memorabile.
Insomma, è un film che fa della semplicità e della bellezza della vita le sue carte vincenti. Non mancano né le scene d'azione, né le scene riflessive. Insomma non manca nulla.
Questo film lo consiglio davvero a tutti perché trasmette una carica e delle sensazioni uniche, difficilmente ritrovabili in altri prodotti. Durante la visione non mancheranno né le risate né le lacrime.
Questa volta lo scrivo chiaro e tondo, "capolavoro".
Come sempre la regia e la sceneggiatura di Satoshi Kon non perdono colpi e riescono ad essere così efficaci che attori in carne ed ossa non potrebbero fare di meglio.
La trama ci mette da subito dinanzi a tre soggetti un po' particolari (diciamo un terzetto che sarebbe difficile trovare anche nella realtà), ossia dei senzatetto che trovano tra i rifiuti una neonata. I nostri amici cercheranno, in tutti i modi, seppur a malincuore, di riportare quello che definiscono "un dono del cielo" ai propri genitori, non senza difficoltà ovviamente.
Tutto è strutturato su temi molto forti, quali l'importanza della vita e l'amore. Si riscontra anche il tema della forza e della stranezza della casualità. Queste ed altre componenti sono trattate dall'autore con una semplicità a dir poco incredibile e allo stesso tempo trascinante. Non va nemmeno dimenticato che vengono messi in risalto parecchi diversi tipi di società e costumi.
Un altro punto forte sono proprio i protagonisti. I tre senzatetto sono a dir poco spettacolari, hanno una caratterizzazione stupenda, non sono mai banali e non fanno cose mai scontate. Basti pensare che uno è uno di questi è omosessuale, che il secondo è una ragazzina scappata di casa e che il terzo è un ubriacone. Tutto ciò è contornato da una parte tecnica davvero impeccabile, da disegni e animazioni eccellenti e da una colonna sonora memorabile.
Insomma, è un film che fa della semplicità e della bellezza della vita le sue carte vincenti. Non mancano né le scene d'azione, né le scene riflessive. Insomma non manca nulla.
Questo film lo consiglio davvero a tutti perché trasmette una carica e delle sensazioni uniche, difficilmente ritrovabili in altri prodotti. Durante la visione non mancheranno né le risate né le lacrime.
Questa volta lo scrivo chiaro e tondo, "capolavoro".
"Tokyo Godfathers" è un film d'animazione del 2003, proiettato, per fortuna, anche nelle sale italiane e meritevole di essere annoverato tra i migliori titoli del genere.
Vigilia di Natale, Tokyo. Tre senzatetto trovano tra i rifiuti una bellissima neonata. I tre (un travestito, una ragazzina fuggita di casa e un ex giocatore d'azzardo), dopo qualche incertezza, decidono di farsi carico della piccola e di ritrovarne i genitori. E' l'inizio di un'avventura metropolitana che li metterà di fronte al loro passato e cambierà per sempre il loro futuro.
La bambina rappresenterà un vero e proprio "dono divino", in grado di riportare alla luce le speranze ormai quasi seppellite dello strampalato trio di emarginati, i quali, per una notte, riproveranno a sentire più vivo che mai il bisogno di costituire una famiglia, entità indispensabile e inalienabile.
Il lungometraggio che ne risulta è un'opera minimalista, poetica e toccante, che trae ispirazione dal western di John Ford "3 Godfathers" (interpretato da John Wayne), a sua volta ispirato ai tre Re Magi.
Il film è oltretutto l'ennesima prova d'autore di Satoshi Kon, regista e sceneggiatore di indiscutibile talento che rifugge le storie d'azione preferendo trame realistiche e personaggi caratterizzati, e in questo caso, sembra più ispirato che mai.
La sceneggiatura è intelaiata benissimo: tra innumerevoli gag ricche di sequenze "botta e risposta" in dialoghi eccezionalmente spassosi e pungenti, mirabolanti stravolgimenti della trama e sorprese a non finire, si finisce per rimanere completamente immersi nella narrazione.
A fare da cornice alla sceneggiatura vi è un palcoscenico meraviglioso, una splendida riproduzione della Tokyo "underground", animata e disegnata in modo superlativo, movimentata da una simpaticissima colonna sonora, che sembra fatta apposta a ricalcare le stramberie dei tre protagonisti.
Questi ultimi rimangono davero impressi e l'attaccamento alle loro figure risulta istantaneo e duraturo: ancora una volta, l'autore ci offre un film che potrebbe benissimo essere interpretato da attori in carne ossa, grazie al carisma e al realismo inequivocabili di una caratterizzazione eccellente.
"Tokyo Godfathers" è inoltre l'esempio di come si possa fare del cinema d'animazione per un pubblico adulto ottenendo un discreto successo commerciale.
Un vero film di Natale, divertentissimo, inarrestabile, e per di più, commovente ed educativo: insomma, grande cinema.
Da non perdere assolutamente, da vedere e rivedere senza stancarsi mai!
Vigilia di Natale, Tokyo. Tre senzatetto trovano tra i rifiuti una bellissima neonata. I tre (un travestito, una ragazzina fuggita di casa e un ex giocatore d'azzardo), dopo qualche incertezza, decidono di farsi carico della piccola e di ritrovarne i genitori. E' l'inizio di un'avventura metropolitana che li metterà di fronte al loro passato e cambierà per sempre il loro futuro.
La bambina rappresenterà un vero e proprio "dono divino", in grado di riportare alla luce le speranze ormai quasi seppellite dello strampalato trio di emarginati, i quali, per una notte, riproveranno a sentire più vivo che mai il bisogno di costituire una famiglia, entità indispensabile e inalienabile.
Il lungometraggio che ne risulta è un'opera minimalista, poetica e toccante, che trae ispirazione dal western di John Ford "3 Godfathers" (interpretato da John Wayne), a sua volta ispirato ai tre Re Magi.
Il film è oltretutto l'ennesima prova d'autore di Satoshi Kon, regista e sceneggiatore di indiscutibile talento che rifugge le storie d'azione preferendo trame realistiche e personaggi caratterizzati, e in questo caso, sembra più ispirato che mai.
La sceneggiatura è intelaiata benissimo: tra innumerevoli gag ricche di sequenze "botta e risposta" in dialoghi eccezionalmente spassosi e pungenti, mirabolanti stravolgimenti della trama e sorprese a non finire, si finisce per rimanere completamente immersi nella narrazione.
A fare da cornice alla sceneggiatura vi è un palcoscenico meraviglioso, una splendida riproduzione della Tokyo "underground", animata e disegnata in modo superlativo, movimentata da una simpaticissima colonna sonora, che sembra fatta apposta a ricalcare le stramberie dei tre protagonisti.
Questi ultimi rimangono davero impressi e l'attaccamento alle loro figure risulta istantaneo e duraturo: ancora una volta, l'autore ci offre un film che potrebbe benissimo essere interpretato da attori in carne ossa, grazie al carisma e al realismo inequivocabili di una caratterizzazione eccellente.
"Tokyo Godfathers" è inoltre l'esempio di come si possa fare del cinema d'animazione per un pubblico adulto ottenendo un discreto successo commerciale.
Un vero film di Natale, divertentissimo, inarrestabile, e per di più, commovente ed educativo: insomma, grande cinema.
Da non perdere assolutamente, da vedere e rivedere senza stancarsi mai!
Questo film per me è stata un'autentica sorpresa, visto che mi son ritrovata a vederlo per caso e perchè, ignorandone persino la trama per sommi capi, mi aspettavo tutt'altro da questo "cartone animato", sicuramente qualcosa di meno impegnato.
Tokyo Godfathers invece è un film molto maturo, che sa ben mescolare e calibrare elementi che magari siamo abituati ad apprezzare in produzioni cinematografiche occidentali con attori in carne ed ossa.
Questa opera narra, in maniera molto equilibrata, una serie di rocambolesche avventure metropolitane in cui i protagonisti sono uno strampalato trio di barboni, che hanno deciso di restituire ai rispettivi genitori una neonata trovata nell'immondizia; tutto ciò utilizzando le poche informazioni in loro possesso.
In realtà uno dei tre, Hana, un travestito, inizialmente è restio a collaborare, visto che ritiene l'infante un dono del celo giunto alla vigilia di Natale per compensare la sua impossibilità ad avere figli.
Decisamente più pragmatici gli altri due: Gin, un alcolizzato di mezza età che ha abbandonato la sua famiglia per ragioni che verranno rivelate più avanti; e Miyuki, una ragazzina fuggita di casa dopo un litigio coi genitori.
Questi soli tre personaggi sostengono magnificamente come tre pilastri l'intera narrazione, questo grazie all'eccellente lavoro di caratterizzazione che possono vantare. In realtà tutti e tre sembrano quasi avere un comun denominatore, ovvero manifestano una sorta di incapacità nell'affrontare la realtà, di prendersi delle responsabilità o di aprirsi del tutto relazionandosi sinceramente tra di loro, nonché col prossimo in genere. Si tratta quindi di individui che potenzialmente potrebbero porre fine alla loro condizione di disadattati immediatamente se avessero il coraggio di fare un po' di autoanalisi, a di prendere di petto le loro angosce; ma che finiscono invece per compiere quella che potrebbe essere considerata la scelta più facile e pavida, emarginarsi... anche se nella loro micro realtà di disadattati, finiscono inevitabilmente per ricreare una atipica ma simpatica famiglia.
Paradossalmente, proprio per queste loro caratteristiche, e per le loro paranoie, personaggi di questo lungometraggio risultano estremamente credibili e realistici. Quello di Hana poi è decisamente azzeccato e divertente, ed in un certo senso movimenta tutta la trama con la sua follia irrazionale. Decisamente simpatico/a.
A contribuire alla credibilità dei protagonisti, interviene però anche l'aspetto grafico, che è abbastanza naturale e verosimile. Anche le animazioni sono ben fatte, e le ambientazioni son belle e dettagliate.
Tokyo Godfathers è una commedia equilibrata e genuina, senza particolari fronzoli o passaggi troppo surreali. e' il tipico film che sa far sorridere e riflettere allo stesso tempo, visto che alterna momenti leziosi e divertenti ad altri più profondi, legati spesso all'approfondimento psicologico dei protagonisti di questa vicenda, o all'approfondimento di discutibili meccaniche sociali proprie di una malata realtà odierna.
Il finale non esito a definirlo piacevole e poetico, con quell'intervento che ha del divino quasi, e che allo stesso tempo è forse assurdo ma credibile.
Film adatto a tutti, magari da far vedere a chi (come me poco tempo fa, lo ammetto) ha dei pregiudizi e dei preconcetti sull'intera produzione giapponese, magari perchè si rifà a dei banali ed infondati stereotipi moderni, e campa sul ricordo di quei pochi cartoni animati visti durante l'infanzia.
Mettetevi in poltrona e godetevi in tutta serenità e compagnia questa bella commedia natalizia. Consigliata.
Tokyo Godfathers invece è un film molto maturo, che sa ben mescolare e calibrare elementi che magari siamo abituati ad apprezzare in produzioni cinematografiche occidentali con attori in carne ed ossa.
Questa opera narra, in maniera molto equilibrata, una serie di rocambolesche avventure metropolitane in cui i protagonisti sono uno strampalato trio di barboni, che hanno deciso di restituire ai rispettivi genitori una neonata trovata nell'immondizia; tutto ciò utilizzando le poche informazioni in loro possesso.
In realtà uno dei tre, Hana, un travestito, inizialmente è restio a collaborare, visto che ritiene l'infante un dono del celo giunto alla vigilia di Natale per compensare la sua impossibilità ad avere figli.
Decisamente più pragmatici gli altri due: Gin, un alcolizzato di mezza età che ha abbandonato la sua famiglia per ragioni che verranno rivelate più avanti; e Miyuki, una ragazzina fuggita di casa dopo un litigio coi genitori.
Questi soli tre personaggi sostengono magnificamente come tre pilastri l'intera narrazione, questo grazie all'eccellente lavoro di caratterizzazione che possono vantare. In realtà tutti e tre sembrano quasi avere un comun denominatore, ovvero manifestano una sorta di incapacità nell'affrontare la realtà, di prendersi delle responsabilità o di aprirsi del tutto relazionandosi sinceramente tra di loro, nonché col prossimo in genere. Si tratta quindi di individui che potenzialmente potrebbero porre fine alla loro condizione di disadattati immediatamente se avessero il coraggio di fare un po' di autoanalisi, a di prendere di petto le loro angosce; ma che finiscono invece per compiere quella che potrebbe essere considerata la scelta più facile e pavida, emarginarsi... anche se nella loro micro realtà di disadattati, finiscono inevitabilmente per ricreare una atipica ma simpatica famiglia.
Paradossalmente, proprio per queste loro caratteristiche, e per le loro paranoie, personaggi di questo lungometraggio risultano estremamente credibili e realistici. Quello di Hana poi è decisamente azzeccato e divertente, ed in un certo senso movimenta tutta la trama con la sua follia irrazionale. Decisamente simpatico/a.
A contribuire alla credibilità dei protagonisti, interviene però anche l'aspetto grafico, che è abbastanza naturale e verosimile. Anche le animazioni sono ben fatte, e le ambientazioni son belle e dettagliate.
Tokyo Godfathers è una commedia equilibrata e genuina, senza particolari fronzoli o passaggi troppo surreali. e' il tipico film che sa far sorridere e riflettere allo stesso tempo, visto che alterna momenti leziosi e divertenti ad altri più profondi, legati spesso all'approfondimento psicologico dei protagonisti di questa vicenda, o all'approfondimento di discutibili meccaniche sociali proprie di una malata realtà odierna.
Il finale non esito a definirlo piacevole e poetico, con quell'intervento che ha del divino quasi, e che allo stesso tempo è forse assurdo ma credibile.
Film adatto a tutti, magari da far vedere a chi (come me poco tempo fa, lo ammetto) ha dei pregiudizi e dei preconcetti sull'intera produzione giapponese, magari perchè si rifà a dei banali ed infondati stereotipi moderni, e campa sul ricordo di quei pochi cartoni animati visti durante l'infanzia.
Mettetevi in poltrona e godetevi in tutta serenità e compagnia questa bella commedia natalizia. Consigliata.
A Tokyo, alla vigilia di capodanno, tre barboni, l'alcolizzato Gin, il travestito Hana, e la giovane Miyuki, troveranno tra i rifiuti una neonata abbandonata. Decidendo di accudirla temporaneamente, i tre cominceranno a cercare la sua vera famiglia, riscoprendo contemporaneamente cosa voglia dire avere qualcuno che ti voglia bene.
Bello, davvero bello, senza mezzi termini.
Una favola natalizia di quelle buone. Si, mi è piaciuta una favola natalizia, ma per dio, come non si fa a non farsi piacere questo film? Il messaggio pseudo religioso è ereditato dal film In nome di Dio, di cui Tokyo Godfathers è una sorta di reinterpretazione urbana.
Il film diverte abbondantemente, e ha anche una buona dose di sentimenti, unendo quindi benissimo intrattenimento puro (spesso nato dall'essere dei protagonisti sopra le righe) ed emotività.
Ogni personaggio, sia secondario che soprattutto principale, è fortemente caratterizzato, e basteranno poche battute per farveli piacere tutti.
Tutti e tre i protagonisti hanno, in maniera equilibrata e neanche "chiassosa", una discreta retrospettiva sul loro passato, rendendoli oltre che simpatici anche a tutto tondo.
Certo, qualcuno potrebbe pensare alla presenza di un certo buonismo, ma posso assicurare che non è presente per niente, e anzi il film, sotto una grossa scorza d'ironia, mi ha dato l' impressione di una impietosa fotografia della condizione dei barboni.
E poi, come dico sempre: quando un lieto fine è fatto bene ed ha personalità, ben venga.
Tecnicamente direi che ha bisogno di pochi commenti: è un lungometraggio Madhouse, e si vede.
Sull'ottimo sonoro (tra l' altro doppiato eccellentemente in italiano) spendo solo due parole per la sigla finale: probabilmente una delle più originali reinterpretazioni della nona di Beethoven.
Un film consigliatissimo, quindi, che per alcuni avrà molto più valore probabilmente se visto sotto Natale, ma che ogni appassionato di anime dovrebbe vedere.
Bello, davvero bello, senza mezzi termini.
Una favola natalizia di quelle buone. Si, mi è piaciuta una favola natalizia, ma per dio, come non si fa a non farsi piacere questo film? Il messaggio pseudo religioso è ereditato dal film In nome di Dio, di cui Tokyo Godfathers è una sorta di reinterpretazione urbana.
Il film diverte abbondantemente, e ha anche una buona dose di sentimenti, unendo quindi benissimo intrattenimento puro (spesso nato dall'essere dei protagonisti sopra le righe) ed emotività.
Ogni personaggio, sia secondario che soprattutto principale, è fortemente caratterizzato, e basteranno poche battute per farveli piacere tutti.
Tutti e tre i protagonisti hanno, in maniera equilibrata e neanche "chiassosa", una discreta retrospettiva sul loro passato, rendendoli oltre che simpatici anche a tutto tondo.
Certo, qualcuno potrebbe pensare alla presenza di un certo buonismo, ma posso assicurare che non è presente per niente, e anzi il film, sotto una grossa scorza d'ironia, mi ha dato l' impressione di una impietosa fotografia della condizione dei barboni.
E poi, come dico sempre: quando un lieto fine è fatto bene ed ha personalità, ben venga.
Tecnicamente direi che ha bisogno di pochi commenti: è un lungometraggio Madhouse, e si vede.
Sull'ottimo sonoro (tra l' altro doppiato eccellentemente in italiano) spendo solo due parole per la sigla finale: probabilmente una delle più originali reinterpretazioni della nona di Beethoven.
Un film consigliatissimo, quindi, che per alcuni avrà molto più valore probabilmente se visto sotto Natale, ma che ogni appassionato di anime dovrebbe vedere.
Tokyo Godfathers è un lungometraggio del 2003 diretto da Satoshi Kon (Paprika). La trama narra la storia di 3 barboni, un travestito, una ragazza scappata di casa e un ex ciclista che la vigilia di Natale trovano una neonata abbandonata e cercano di trovare la sua vera mamma: inizia così un viaggio tra situazioni bizzarre dove scopriremo man mano il passato dei protagonisti e il perchè della loro situazione. All'inizio l'atmosfera del film può sembrare un po' triste ma man mano che il film va avanti le situazioni divertenti non mancheranno, così come quelle commoventi fino al roboante finale.
Il carachter design ricorda quello delle opere di Otomo, quindi abbastanza realistico e la realizzazione tecnica è non eccellente ma buona. Il punto di forza di questo film sono i 3 protagonisti, ben caratterizzati econ un perchè.
In definitiva Tokyo Godfathers può considerarsi come un prodotto sicuramente valido.
Il carachter design ricorda quello delle opere di Otomo, quindi abbastanza realistico e la realizzazione tecnica è non eccellente ma buona. Il punto di forza di questo film sono i 3 protagonisti, ben caratterizzati econ un perchè.
In definitiva Tokyo Godfathers può considerarsi come un prodotto sicuramente valido.
Diretto da Satoshi Kon (lo stesso di "Millenium Actress"), questo divertente lungometraggio gioca sulle coincidenze della vita e le trasforma una dopo l'altra in piccoli miracoli.
La storia è semplice: alla vigilia di Natale tre vagabondi trovano una neonata abbandonata in una discarica. Invece di consegnarla alla polizia decidono di offrirle il loro calore e di cercare loro stessi i suoi genitori. Ma per farlo saranno costretti ad affrontare uno per uno quel passato che li ha gettati sulla strada: Hana, un travestito, ritroverà le persone che ha abbandonato; Jin, che si dice un ex ciclista, dovrà fare i conti con i suoi difetti, le sue bugie, e una persona che nonostante tutto sembra non averlo dimenticato; la giovane Miyuki, scappata di casa dopo aver accoltellato suo padre, sarà costretta a decidere se continuare o meno la sua fuga dalla realtà. Il tutto trattato, nonostante i temi serissimi, con una leggerezza e un brio irresistibili. I quali però paiono portare in germe anche l'unico difetto dell'opera, una certa superficialità.
D'altro canto il punto di forza del film sono proprio i tre protagonisti, dai caratteri forti, estremamente ruvidi ma proprio per questo estremamente spassosi. Dialoghi serrati con battute irriverenti faranno sorridere anche lo spettatore più esigente.
I tre protagonisti permettono inoltre di introdurre anche il lato tecnico dell'anime, molto ben curato. Spettacolari, da questo punto di vista, le animazioni riservate a Hana, Jin e Miyuki, e la loro incredibile espressività facciale (impareggiabile). La fotografia è buona, con abbondanza di toni di luce soffusa. La regia è pimpante, sveglia, e fa buon uso di una computer grafica quasi impercettibile tanto è ben amalgamata nel contesto dell'anime. Nota di merito per l'arguzia dei titoli di testa (inseriti a mo' di insegne e cartelli stradali sparsi per la città di Tokyo).
La colonna sonora è in linea con il film: ironica, in certi punti quasi graffiante, con una propensione per temi saltellanti pieni di allegria. Splendida l'idea dei titoli di coda, con un riarrangiamento ridanciano dell'Inno alla Gioia di Beethoven che... fa ballare persino i palazzi della città, Tokyo Tower compresa! xD
Questo film forse non sarà adatto ad una serata di riflessione filosofica... ma se avete voglia di divertirvi è quello che fa per voi. E non abbiate paura di proporlo anche ai vostri amici: per il suo carattere può essere apprezzato anche da chi non ama l'animazione giapponese.
La storia è semplice: alla vigilia di Natale tre vagabondi trovano una neonata abbandonata in una discarica. Invece di consegnarla alla polizia decidono di offrirle il loro calore e di cercare loro stessi i suoi genitori. Ma per farlo saranno costretti ad affrontare uno per uno quel passato che li ha gettati sulla strada: Hana, un travestito, ritroverà le persone che ha abbandonato; Jin, che si dice un ex ciclista, dovrà fare i conti con i suoi difetti, le sue bugie, e una persona che nonostante tutto sembra non averlo dimenticato; la giovane Miyuki, scappata di casa dopo aver accoltellato suo padre, sarà costretta a decidere se continuare o meno la sua fuga dalla realtà. Il tutto trattato, nonostante i temi serissimi, con una leggerezza e un brio irresistibili. I quali però paiono portare in germe anche l'unico difetto dell'opera, una certa superficialità.
D'altro canto il punto di forza del film sono proprio i tre protagonisti, dai caratteri forti, estremamente ruvidi ma proprio per questo estremamente spassosi. Dialoghi serrati con battute irriverenti faranno sorridere anche lo spettatore più esigente.
I tre protagonisti permettono inoltre di introdurre anche il lato tecnico dell'anime, molto ben curato. Spettacolari, da questo punto di vista, le animazioni riservate a Hana, Jin e Miyuki, e la loro incredibile espressività facciale (impareggiabile). La fotografia è buona, con abbondanza di toni di luce soffusa. La regia è pimpante, sveglia, e fa buon uso di una computer grafica quasi impercettibile tanto è ben amalgamata nel contesto dell'anime. Nota di merito per l'arguzia dei titoli di testa (inseriti a mo' di insegne e cartelli stradali sparsi per la città di Tokyo).
La colonna sonora è in linea con il film: ironica, in certi punti quasi graffiante, con una propensione per temi saltellanti pieni di allegria. Splendida l'idea dei titoli di coda, con un riarrangiamento ridanciano dell'Inno alla Gioia di Beethoven che... fa ballare persino i palazzi della città, Tokyo Tower compresa! xD
Questo film forse non sarà adatto ad una serata di riflessione filosofica... ma se avete voglia di divertirvi è quello che fa per voi. E non abbiate paura di proporlo anche ai vostri amici: per il suo carattere può essere apprezzato anche da chi non ama l'animazione giapponese.
Anche se mi sono avvicinato a questo film un po' titubante, Tokyo Godfathers si è rivelato uno dei più bei film che io abbia mai visto.
Tre barboni vagabondi legati dal destino (Jin, che ha abbandonato la sua famiglia, Hana, un travestito, e Miyuki, una ragazzina scappata di casa) trovano una bambina tra i rifiuti. Da qui inizierà una rocambolesca avventura alla ricerca dei genitori della piccola, che oltre ad avere un lieto fine permetterà ai tre di affrontare le loro sofferenze e chiudere i conti col passato.
La trama è apparentemente semplice, e può sembrare la classica commedia di Natale a lieto fine, ma questo film durante la visione riesce ad emozionare lo spettatore, anche a commuoverlo, e nella sua semplicità lancia molti messaggi importanti. Basti pensare all'autoambulanza che si schianta contro i posti dove erano seduti un secondo prima proprio Jin e compagni: una scena di pochi secondi, senza alcun risvolto significativo, ma che lascia riflettere chi guarda sul come la vita sia imprevedibile e come anche il male (il signore che li insultava) possa avere un senso.
Sulla realizzazione tecnica non c'è nulla da obbiettare: perfetta, sia nei disegni, che nelle animazioni e nella colonna sonora.
Tokyo Godfathers è un anime stupendo, un capolavoro degli ultimi tempi, che vi consiglio vivamente.
Tre barboni vagabondi legati dal destino (Jin, che ha abbandonato la sua famiglia, Hana, un travestito, e Miyuki, una ragazzina scappata di casa) trovano una bambina tra i rifiuti. Da qui inizierà una rocambolesca avventura alla ricerca dei genitori della piccola, che oltre ad avere un lieto fine permetterà ai tre di affrontare le loro sofferenze e chiudere i conti col passato.
La trama è apparentemente semplice, e può sembrare la classica commedia di Natale a lieto fine, ma questo film durante la visione riesce ad emozionare lo spettatore, anche a commuoverlo, e nella sua semplicità lancia molti messaggi importanti. Basti pensare all'autoambulanza che si schianta contro i posti dove erano seduti un secondo prima proprio Jin e compagni: una scena di pochi secondi, senza alcun risvolto significativo, ma che lascia riflettere chi guarda sul come la vita sia imprevedibile e come anche il male (il signore che li insultava) possa avere un senso.
Sulla realizzazione tecnica non c'è nulla da obbiettare: perfetta, sia nei disegni, che nelle animazioni e nella colonna sonora.
Tokyo Godfathers è un anime stupendo, un capolavoro degli ultimi tempi, che vi consiglio vivamente.
Successe qualche settimana fà. Navigando tra vari forum e siti internet lessi la notizia che Italia 1 avrebbe trasmesso ad un orario proibitivo due "capolavori" dell'animazione giapponese, ossia Cowboy Bebop e Tokyo Godfathers. Così, seguendo i consigli di tantissimi utenti che avevano elogiato Cowboy Bebop decisi di regolare la sveglia per le 2:30 del 2 maggio. Inutile dire che quella notte è stata una delle più belle notti passate insonne della mia vita.
Inizialmente intensionato a visionare solo Cowbot Bebop, non appena iniziato Tokyo Godfather rimasi completamente estasiato. Sin da subito questo film nato del genio creativo di Satoshi Kon dava l'impressione di essere diverso. Niente robot, niente poteri sovrannaturali, niente combattimenti super violenti... solo una bellissima storia d'amore e speranza.
Protagonisti di questo capolavoro d'animazione sono un gruppo di "invisibili" (volendo utilizzare un termine non offensivo), persone che per diversi motivi si sono ritrovati a vivere tra le strade dei quartieri di Tokyo, circondati da muri pericolanti di case abbandonate che offrono loro dimora. In particolare, i protagonisti di Tokyo Godfathers sono tre:
- Miyuki, orfanella fuggita di casa dopo aver accoltellato il padre e restia a tornare credendo che quest'ultimo la odiasse;
- Gin, uomo di mezza età, bugiardo nel raccontare il suo passato e ormai preda dell'alcool, vede in Miyuki sua figlia (lontata da lui da tempo immemore);
- Hana, probabilmente il più simpatico e carismatico dei personaggi, è un travestito dall'irrefrenabile istinto materno.
Le vicende si svolgono in soffuso clima natalizio. La vigilia di Natale regalerà ai nostri amici ciò che di più bello esiste al mondo: la gioia di avere un bambino da amare. Rovistando tra i mucchi di spazzatura, i tre scoprono un neonato abbandonato e decidono di offrirgli le loro amorevoli cure finchè non avessero trovato i suoi genitori. La trama proseguirà con vicissitudini malinconiche e strappalacrime, dove emergerà forte la psicologia dei protagosti, sicuramente l'aspetto più curato e interessante del film.
Riguardo l'aspetto meramente tecnico, nulla da obiettare. I fondali sono stupendi, l'espressività delle animazioni dei personaggi fantastica e l'atmosfera davvero sublime, enfatizzata fin all'eccesso da una colonna sonora strepitosa.
Satoshi Kon è riuscito nell'impresa di raccontare una storia semplice, ma dalle argomentazioni complesse con una maestria che ha ben pochi eguali.
Tokyo Godfathers è una meravigliosa storia natalizia.
Per tutti coloro che non lo avessero ancora visto... che state aspettando. Correte a vederelo. Fatevi raccontare da Satoshi una della favole più belle mai scritte.
Inizialmente intensionato a visionare solo Cowbot Bebop, non appena iniziato Tokyo Godfather rimasi completamente estasiato. Sin da subito questo film nato del genio creativo di Satoshi Kon dava l'impressione di essere diverso. Niente robot, niente poteri sovrannaturali, niente combattimenti super violenti... solo una bellissima storia d'amore e speranza.
Protagonisti di questo capolavoro d'animazione sono un gruppo di "invisibili" (volendo utilizzare un termine non offensivo), persone che per diversi motivi si sono ritrovati a vivere tra le strade dei quartieri di Tokyo, circondati da muri pericolanti di case abbandonate che offrono loro dimora. In particolare, i protagonisti di Tokyo Godfathers sono tre:
- Miyuki, orfanella fuggita di casa dopo aver accoltellato il padre e restia a tornare credendo che quest'ultimo la odiasse;
- Gin, uomo di mezza età, bugiardo nel raccontare il suo passato e ormai preda dell'alcool, vede in Miyuki sua figlia (lontata da lui da tempo immemore);
- Hana, probabilmente il più simpatico e carismatico dei personaggi, è un travestito dall'irrefrenabile istinto materno.
Le vicende si svolgono in soffuso clima natalizio. La vigilia di Natale regalerà ai nostri amici ciò che di più bello esiste al mondo: la gioia di avere un bambino da amare. Rovistando tra i mucchi di spazzatura, i tre scoprono un neonato abbandonato e decidono di offrirgli le loro amorevoli cure finchè non avessero trovato i suoi genitori. La trama proseguirà con vicissitudini malinconiche e strappalacrime, dove emergerà forte la psicologia dei protagosti, sicuramente l'aspetto più curato e interessante del film.
Riguardo l'aspetto meramente tecnico, nulla da obiettare. I fondali sono stupendi, l'espressività delle animazioni dei personaggi fantastica e l'atmosfera davvero sublime, enfatizzata fin all'eccesso da una colonna sonora strepitosa.
Satoshi Kon è riuscito nell'impresa di raccontare una storia semplice, ma dalle argomentazioni complesse con una maestria che ha ben pochi eguali.
Tokyo Godfathers è una meravigliosa storia natalizia.
Per tutti coloro che non lo avessero ancora visto... che state aspettando. Correte a vederelo. Fatevi raccontare da Satoshi una della favole più belle mai scritte.
In Tokyo Godfathers viene presentata la magnificenza della vita, dell'amore, degli affetti, nonché il potere del destino o del caso, dipende dai punti di vista.
La storia è incentrata sul ritrovamento di una bambina abbandonata da parte di un trio di barboni.
In una prima fase della narrazione vengono enucleati gli svariati problemi a cui un senzatetto va in contro nel corso della sua vita, vedi freddo, povertà, carenza di cibo ed agi di qualunque genere.
Ognuno dei tre protagonisti ha dietro di una storia ed un vissuto affascinanti, essi verranno fuori poco alla volta, con incontri e flashback mai inopportuni.
Il mix creato fra la storia del film, che consta nella ricerca dei veri genitori da parte dei tre sventurati, e i passati dei barboni è un qualcosa di eccezionale.
Lo spettatore non è mai annoiato da nessuna situazione, si affeziona ai protagonisti e alla loro causa in maniera impressionante; le vicende trascorrono molto piacevolmente, e nulla è lasciato al caso.
I tre barboni, una bambina, un omosessuale ed un uomo di mezza età finiscono per destreggiarsi in mondi che gli appartengono, ma nonostante ciò non perdendosi mai d'animo continuano con la forsennata ricerca dei genitori della bambina ritrovata.
Grazie a qualche avventura o disavventura, ognuno di loro narra la propria storia, fatta di sofferenze, debolezze umane, amore e cattiveria.
Ogni storia ha un suo perché, rappresentando un po’ tutti i mali che affliggono la società odierna : indifferenza fra genitori e figli, gioco d'azzardo e alcol ed infine la crudeltà del mondo contro persone omosessuali.
Queste tre argomentazioni sono tratta in modo sublime, senza eccessi ne di pareri de di strafottenza; sempre e solo denunciando i fatti, gli abusi e le pericolosità di tali comportamenti dell'uomo moderno.
Tokyo Godfathers è un fil d'oltre tempo, creato per denunciare e rendere palesi determinati atteggiamenti della nostra società che degrada ogni giorno di più.
La trama inoltre non risulta essere mai banale, sempre incentrata fra la bambina e i tre soccorritori che spadroneggiano la scena con non calanche fino all'happy-end definitivo.
Tecnicamente l'anime è curato quanto basta, ne poco ne troppo, in modo da non distogliere l'attenzione dello spettatore su aspetti futili come l'apparenza, riuscendo così a focalizzare tutte le attenzioni sui personaggi e le loro storie cariche di vissuto.
In definitiva Tokyo Godfathers è uno dei film migliori che un appassionato di anime possa mai vedere, in esso si può trovare tutto ciò che riguarda l'essere umano.
I sentimenti esplicati sono così forti e veri che lo spettatore stesso finisce per attaccarsi alla causa dei tre in modo inverosimile.
Uno spaccato duro, crudo ma reale della vita e della situazione dell'uomo in terra.
La storia è incentrata sul ritrovamento di una bambina abbandonata da parte di un trio di barboni.
In una prima fase della narrazione vengono enucleati gli svariati problemi a cui un senzatetto va in contro nel corso della sua vita, vedi freddo, povertà, carenza di cibo ed agi di qualunque genere.
Ognuno dei tre protagonisti ha dietro di una storia ed un vissuto affascinanti, essi verranno fuori poco alla volta, con incontri e flashback mai inopportuni.
Il mix creato fra la storia del film, che consta nella ricerca dei veri genitori da parte dei tre sventurati, e i passati dei barboni è un qualcosa di eccezionale.
Lo spettatore non è mai annoiato da nessuna situazione, si affeziona ai protagonisti e alla loro causa in maniera impressionante; le vicende trascorrono molto piacevolmente, e nulla è lasciato al caso.
I tre barboni, una bambina, un omosessuale ed un uomo di mezza età finiscono per destreggiarsi in mondi che gli appartengono, ma nonostante ciò non perdendosi mai d'animo continuano con la forsennata ricerca dei genitori della bambina ritrovata.
Grazie a qualche avventura o disavventura, ognuno di loro narra la propria storia, fatta di sofferenze, debolezze umane, amore e cattiveria.
Ogni storia ha un suo perché, rappresentando un po’ tutti i mali che affliggono la società odierna : indifferenza fra genitori e figli, gioco d'azzardo e alcol ed infine la crudeltà del mondo contro persone omosessuali.
Queste tre argomentazioni sono tratta in modo sublime, senza eccessi ne di pareri de di strafottenza; sempre e solo denunciando i fatti, gli abusi e le pericolosità di tali comportamenti dell'uomo moderno.
Tokyo Godfathers è un fil d'oltre tempo, creato per denunciare e rendere palesi determinati atteggiamenti della nostra società che degrada ogni giorno di più.
La trama inoltre non risulta essere mai banale, sempre incentrata fra la bambina e i tre soccorritori che spadroneggiano la scena con non calanche fino all'happy-end definitivo.
Tecnicamente l'anime è curato quanto basta, ne poco ne troppo, in modo da non distogliere l'attenzione dello spettatore su aspetti futili come l'apparenza, riuscendo così a focalizzare tutte le attenzioni sui personaggi e le loro storie cariche di vissuto.
In definitiva Tokyo Godfathers è uno dei film migliori che un appassionato di anime possa mai vedere, in esso si può trovare tutto ciò che riguarda l'essere umano.
I sentimenti esplicati sono così forti e veri che lo spettatore stesso finisce per attaccarsi alla causa dei tre in modo inverosimile.
Uno spaccato duro, crudo ma reale della vita e della situazione dell'uomo in terra.
Kon per una volta abbandona il suo abituale stile di regia, improntato sull' incalzante alternanza realtà-fantasia, sull'accavallarsi di situazioni surreali, in cui lo spettatore spesso viene un po' maltrattato (ma in senso buono!); lo fa per cimentarsi con un lungometraggio, diciamo, più "tradizionale", almeno rispetto allo stile con cui ci ha abituato.Il risultato è senz'altro convincente, anche se io personalmente ho un debole per un'opera piuttosto differente da questa: "Millenium Actress".
Il filo conduttore dell'opera è sicuramente lineare, non dico "logico" (un pizzico di magia c'è anche qui), ma sicuramente convincente, verosimile.Non manca anche un certo realismo, anche piuttosto crudo (c'è almeno una scena piuttosto forte), perché in fondo stiamo parlando di tre emarginati; i motivi che li hanno condotti ad un certo tipo di vita sono vari, ma per tutti e tre Kon lascia in fondo una possibilità di riscatto, una seppur sottilissima strada per tornare indietro.
Anche per questo motivo, giustamente, il film è stato definito da altri recensori, una favola di Natale.Consiglio la visione.
Il filo conduttore dell'opera è sicuramente lineare, non dico "logico" (un pizzico di magia c'è anche qui), ma sicuramente convincente, verosimile.Non manca anche un certo realismo, anche piuttosto crudo (c'è almeno una scena piuttosto forte), perché in fondo stiamo parlando di tre emarginati; i motivi che li hanno condotti ad un certo tipo di vita sono vari, ma per tutti e tre Kon lascia in fondo una possibilità di riscatto, una seppur sottilissima strada per tornare indietro.
Anche per questo motivo, giustamente, il film è stato definito da altri recensori, una favola di Natale.Consiglio la visione.
Una commedia di natale quanto mai azzeccata esteticamente e drammaturgicamente. E' un canto di natale di tre personaggi bene realizzati coi loro ruoli di ultimi degli ultimi ma primi in fatti di sentimenti e amore. Perché definire il film gli spietati? Una risposta è troppo poco, a voi la vostra ma è da notare che solo uomini e donne che si ascoltano dentro in quel modo intimo, emotivo, spirituale e con un pezzetto di divino ,lo vedi caro spettatore nel salvataggio della neonata, e lo percepisci in tutti i gesti di protezione verso la bimba, nei loro conflitti "tu sei una checca" nei loro confronti " ho ammazzato mio padre", nei loro segreti "giocavo e bevevo". Questa è la vita vera, ma espressa drammaturgicamente come una commedia di Natale. Quindi fa ridere, ma fa riflettere e le coincidenze non sono il caso del caso ma la compiacevolezza di appartenere a qualcosa di più grande di noi, che non si vede, non si sente, ma si percepisce proprio come il vento che è oggetto di salvataggio della neonata.
Molto carino, quest'opera dimostra come Satoshi Kon si sappia destreggiare bene nei vari generi (non sempre comunque!), applicando sapientemente la stessa linea di pensiero di Perfect Blue e (più tardi) di Paprika. Animazioni più che buone fanno da corredo al tutto.
Per chi ama il genere tragicomico, questa è un'opera più che consigliata.
Buona visione.
Ps: il voto sarebbe 8. 5, ma come negli altri casi, ARROTONDIAMO!
BYE
Per chi ama il genere tragicomico, questa è un'opera più che consigliata.
Buona visione.
Ps: il voto sarebbe 8. 5, ma come negli altri casi, ARROTONDIAMO!
BYE
Bello, bello bello.
E' quello che si pensa non appena i titoli di coda iniziano a scorrere sullo schermo alla fine di questo capolavoro. Personalmente il film di Kon che preferisco. E' estremamente realistico in ogni scena, e trasmette per tutta la durata del film una sensazione di benessere e tolleranza (non in lato negativo ovviamente), iper-adatta al periodo natalizio in cui è ambientato il film.
Ci si affeziona inevitabilmente ad ogni personaggio, ognuno con la sua storia e i suoi fantasmi del passato da affrontare, che saranno rivelati man mano che la storia procede
Ultima nota, la versione italiana è impreziosita da un ottimo adattamento e doppiaggio (il doppiatore di Hana è davvero fenomenale).
Da vedere.
E' quello che si pensa non appena i titoli di coda iniziano a scorrere sullo schermo alla fine di questo capolavoro. Personalmente il film di Kon che preferisco. E' estremamente realistico in ogni scena, e trasmette per tutta la durata del film una sensazione di benessere e tolleranza (non in lato negativo ovviamente), iper-adatta al periodo natalizio in cui è ambientato il film.
Ci si affeziona inevitabilmente ad ogni personaggio, ognuno con la sua storia e i suoi fantasmi del passato da affrontare, che saranno rivelati man mano che la storia procede
Ultima nota, la versione italiana è impreziosita da un ottimo adattamento e doppiaggio (il doppiatore di Hana è davvero fenomenale).
Da vedere.
Ironico Satoshi Kon. Eclettico Satoshi Kon. Come tutti i grandi registi anche per il director di Perfect Blue e Millenium Actress è il momento di cambiare registro, lasciare per un attimo da parte l'intrusione tra sogno e realtà per inseguire un realismo concreto e presente. Ma non vi è da disperare: il suo stile rimane palpabile, così come il suo amore per la buona regia, le citazioni (ci sono pure i Blues Brother in una "drammatica" fuga tra i piani di un moderno edificio) e la sceneggiatura raffinata, accurata e ricca. Satoshi Kon realista. Questa volta si adagia al tema sociale, sebbene imposta il tutto con innata ironia: l'incipit è da reality show, "riusciranno tre barboni della Tokyo contemporanea accudire una bambina (apparentemente) orfana?". La risposta la darà il film e sarà tutt'altro che semplice ed immediata: il tema del rapimento interviene in principio e al termine della pellicola, mentre il mezzo è occupato dalle peripezie di questi tre uomini della strada, ognuno con un background alle spalle non proprio all'acqua di rose. E allora Satoshi Kon ha la presunzione di insegnarci l'amore per la vita e la voglia di lottare, sempre e comunque: la sua prosa tagliente e forte si prende l'onere di dare un profondo significato all'apparenza comica ed ironica.
Tokyo Godfather è un film che si prende sul serio solo nel finale, denso di buonismo e dannatamente risolutivo; per convesso il resto del film ritrova un suo perchè, sebbene il riso suscitato da certe sequenze era sempre mitigato dall'importanza del tema trattato.
La pellicola che esce dal seminato di Satoshi Kon è ben più che una favoletta natalizia, nonostante il suo fine sia quello di dare un senso al Natale, dove tutti non sono buoni a prescindere, ma devono diventarlo (magari con qualche spintarella della divina provvidenza). Buon film dunque: si nota lo sforzo del regista di cambiare i propri contenuti, di adattare il proprio stile a un nuovo registro e questo va premiato. E', però, per questo motivo un Satoshi Kon incompleto e tutt'altro che perfetto....
Tokyo Godfather è un film che si prende sul serio solo nel finale, denso di buonismo e dannatamente risolutivo; per convesso il resto del film ritrova un suo perchè, sebbene il riso suscitato da certe sequenze era sempre mitigato dall'importanza del tema trattato.
La pellicola che esce dal seminato di Satoshi Kon è ben più che una favoletta natalizia, nonostante il suo fine sia quello di dare un senso al Natale, dove tutti non sono buoni a prescindere, ma devono diventarlo (magari con qualche spintarella della divina provvidenza). Buon film dunque: si nota lo sforzo del regista di cambiare i propri contenuti, di adattare il proprio stile a un nuovo registro e questo va premiato. E', però, per questo motivo un Satoshi Kon incompleto e tutt'altro che perfetto....
Adorabile. Meraviglioso. Mi sono goduto questo Tokyo Godfathers in una serata casalinga e l'ho trovato un vero inno alla tolleranza e ai buoni sentimenti. L'atmosfera riesce a mantenersi dolce e persino divertente per tutto il film che invece è ambientato in un mondo abitato da miserabili, reietti ed emarginati. Con questa opera, Kon, si mette al pari dei giganti dell'animazione nipponica e non solo. Ogni personaggio ha la sua storia piccola e tragica affogata nel caos della città che non ti guarda in faccia mai, eppure... eppure in fondo tutti hanno il loro lato umano e alla fine caritatevole. Non credo di riuscire ad esprimere in una recensione quanto venga meravigliosamente ritratto il contrasto tra quotidianità e povertà, tra abbandono ed amore, tra chi è felice e chi non lo è. Quest'opera è basilare. Una menzione di lode anche al lavoro dell'adattamento e doppiaggio dell'edizione italiana. Mantiene intatta l'emozione delle voci e delle sensazioni che ogni fotogramma emana.
Sicuramente un buon film. Personaggi caratterizzati in maniera abbastanza originale (certo l'omosessuale funziona sempre, ma non è certo la trovata del secolo) e trama che scorre piena di colpi di scena. Un pò troppi per i miei gusti: coincidenze come se piovesse (bhe,così son capaci tutti) e morale scontata. Da questa premessa da 6 si arriva alla realizzazione tecnica (da 9) come all'animazione (anch'essa da 9). La media tra le tre cose è l'8 di votazione.
Un anime da vedere sotto natale.....
Un anime da vedere sotto natale.....
Mentre vedevo il film ho pensato:
"i personaggi rispecchiano i sentimenti della realta`, della societa`, o viceversa, e` una societa` come la nostra che tende ad assomigliare ai film?"
Di risposte ce ne sono tante, la mia e` stata: un film e` fatto da esseri umani. E in fondo anche il nostro mondo non e` altro che il prodotto dei cambiamenti operati dagli uomini.
Tutto questo per dire che i sentimenti dei personaggi del film si confondono con quelli che mi circondano nella realta`. Davvero un gran bel film. Come dicono i giapponesi, "choooo riaru!" (vero un casino!)
"i personaggi rispecchiano i sentimenti della realta`, della societa`, o viceversa, e` una societa` come la nostra che tende ad assomigliare ai film?"
Di risposte ce ne sono tante, la mia e` stata: un film e` fatto da esseri umani. E in fondo anche il nostro mondo non e` altro che il prodotto dei cambiamenti operati dagli uomini.
Tutto questo per dire che i sentimenti dei personaggi del film si confondono con quelli che mi circondano nella realta`. Davvero un gran bel film. Come dicono i giapponesi, "choooo riaru!" (vero un casino!)
Davvero un capolavoro! E pensare che mi sono avvicinata titubante a questo titolo che mi ha invece completamento conquistato! Il lungometraggio può contare su di un'ottima realizzazione tecniche, fondali bellissimi ecc. Ma, a mio parere, la carta vincente,più ancora della trama, è rappresentata dai personaggi. I protagonisti sono gli emarginati,le persone che per un motivo o per l'altro (e Kon-sensei ne rappresenta una diversificata gamma) si ritrovano a vivere in una realtà altra rispetto a quella vissuta dalle personi comuni. I protagonisti sono assolutamente irresistibili, e incredibilmente verosimili. Non sono i stereotipati buoni che fronteggiano uno o più cattivi. Sono persone che, attraverso le loro scelte -e certo anche una dose di sfortuna-, vivono in modo diverso. L'unico nemico reale è la scocietà, che sancisce ciò che è giusto e ciò che non lo è (quant'è amara la scena del pestaggio ai danni del barbone ad opera dei ricchi ragazzini annoiati?). La storia comunque scivola che è un piacere e diverte. Assolutamente da vedere!!!! :)
Satoshi Kon non sbaglia un colpo e anche questo film non fa eccezione. Gli anime che possono contare personaggi così realistici e ben caratterizzati sono davvero pochi.
Ad un occhio distratto può sembrare una favoletta per bambini, ma non è così. Si parla di travestiti, di fughe da casa, di discriminazione, di tentati omicidi, di suicidi, eppure la narrazione non è mai pesante.
SPOILER
.
.
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Non condivido le critiche al finale considerato troppo buonista. Le considerazioni sono amare anche quando si ride e solo il miracolo finale mette tutto a posto. Una soluzione che tanto ricorda le commedie teatrali di Moliere.
A chi dice che sono tirchio nei voti...
questo è un anime da 10 tondo :P
Ad un occhio distratto può sembrare una favoletta per bambini, ma non è così. Si parla di travestiti, di fughe da casa, di discriminazione, di tentati omicidi, di suicidi, eppure la narrazione non è mai pesante.
SPOILER
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Non condivido le critiche al finale considerato troppo buonista. Le considerazioni sono amare anche quando si ride e solo il miracolo finale mette tutto a posto. Una soluzione che tanto ricorda le commedie teatrali di Moliere.
A chi dice che sono tirchio nei voti...
questo è un anime da 10 tondo :P
Una buona notizia: Satoshi Kon ha SOLO 41 anni; ciò significa perlomeno altri 20 anni di capolavori dell'animazione giapponese (sui nostri schermi? forse, grazie ai tipi della Metacinema). Perche di capolavoro si tratta. Un film ricco di divertimento e azione, con momenti da occhi lucidi e altri da pelle d'oca (provati entrambi; e ve lo dice, senza vergogna, uno che la trentina l'ha ampiamente superata).
Ah, dimenticavo...fondali stupendi, musiche che aggiungono un'ulteriore nota di atmosfera e caratterizzazione dei personaggi molto profonda. Il trono di Miyazaki è in serio pericolo (concordi Tacchan?).
Ah, dimenticavo...fondali stupendi, musiche che aggiungono un'ulteriore nota di atmosfera e caratterizzazione dei personaggi molto profonda. Il trono di Miyazaki è in serio pericolo (concordi Tacchan?).