The Gene of AI
Fantascienza vaga... piuttosto uno slice of life futuristico bi-polare: inizialmente spunti per meditare sul superamento delle conseguenze etiche delle interazioni con l'intelligenza artificiale e macchine umanoidi senzienti; poi negazione di quanto narrato e passare a raccontare la solita trama sull'IA che controlla tutto...
"The gene of AI" ("AI no Idenshi" - "Il gene dell'intelligenza artificiale") è un dramma psicologico pseudo-fantascientifico andato in onda durante l'estate del 2023 e terminato alla fine di settembre. Trasposto dal manga omonimo creato da Kyuri Yamada, "AI no Idenshi" è stato serializzato dal 2015 al 2017. Il suo successo lo ha visto ricevere due spin-off, con "AI no Idenshi: Blue Age" ancora attualmente in corso. La premessa in qualche modo cyberpunk coinvolge un mondo in cui il una discreta parte della popolazione del pianeta è composta da "umanoidi". Queste creature artificiali hanno i loro problemi sia sociali sia psicologici, che richiedono particolari cure simili a quelle che vengono somministrate agli umani.
Inizialmente ho seguito l'anime fino al nono episodio e poi mi sono fermato, decidendo di riprenderlo dopo qualche mese perché il suo incedere fino a quel punto, onestamente, non mi entusiasmava nonostante sia un discreto consumatore di anime sci-fi, cyberpunk, "esistenzialisti", ecc. Non riuscivo soprattutto ad apprezzare la indeterminatezza del suo essere "di fantascienza" fino a quando, ripensandoci, ho cercato di cambiare il metro di giudizio e paragoni e arrivare al 12° episodio.
Se nel passato mi sono infervorato per opere che in un certo senso scavavano nel rapporto "creato-creatore" e tutte le implicazioni sempre in un'ottica di "contrapposizione" o di esposizione dei possibili "pericoli" o criticità nelle interazioni tra umani e non umani (che siano replicanti, umanoidi, robot, mera IA, ecc.), facevo fatica a "digerire" una serie come "The gene of AI" dove tutti questi temi sono, in un certo senso, superati o meglio dati per risolti: la serie da una visione delle interazioni tra umani, non umani, robot e IA definita e stabile in cui le questioni filosofiche ontologico-metafisiche lasciano spazio ai problemi anche più banali del "day by day" dell'integrazione, in cui l'IA non è presentata come intrinsecamente "cattiva", "ostile" o pericolosa per l'umanità, ma in modo "neutrale" come se fosse "normale" che gli "umanoidi" possano essere "difettosi", avere problemi simili, anche di natura psicologica, a quelli degli umani di cui hanno ereditato anche i limiti, "fisici" e "mentali". Se il tema della "sensibilità" e dell'autocoscienza di sé da parte di umanoidi, replicanti e robot è già stato affrontato nella letteratura, nei fumetti/manga, nella cinematografia e nell'animazione, in "The gene of AI" l'originalità è insita nel modo in cui costruisce la realtà "futuribile/futuristica" che rappresenta: un mondo in cui l'intelligenza artificiale, i robot, gli umanoidi e gli esseri umani coesistono, in apparenza in pace, ciascuno consapevole del proprio ruolo.
Scritto così, sembra banale. E forse un po' lo sarebbe: lasciamo perdere i contesti "super avanzati" di auto che volano da sole, mezzi iper veloci che consentono spostamenti senza troppe perdite di tempo, teletrasporto, clonazione o sistemi di cura degli umani che li rendono quasi immuni da qualsiasi malattia o disturbo, ecc... tutti elementi che danno un'idea di futuro non ancora realizzato o nemmeno immaginabile.
Abbiamo invece l'illustrazione del concetto di intelligenza artificiale con robot antropomorfi e umanoidi, con questi ultimi due quasi indistinguibili dagli umani.
I robot si distinguono dagli umani e dagli umanoidi grazie ad una sorta di "girocollo" (collare con un anello...); gli umanoidi hanno come unico elemento facilmente visibile le pupille orizzontali (simil caprini/ovini).
Gli umanoidi hanno personalità "uniche" (nel senso che hanno un loro carattere che li contraddistingue) e possono subire crisi psicologiche al pari degli umani, possono avere dei disturbi simili alle malattie, possono invecchiare o subire decadimenti cognitivi, possono provare sentimenti o emozioni o amore verso i loro simili o verso gli umani, possono essere attratti da umanoidi o umani anche dello stesso sesso provando anche il disagio di non essere in linea con il "sentiment" prevalente a livello di sociale, ecc. ossia sono esseri artificiali e manipolabili con i limiti tipici degli umani.
E la prima domanda che può sorgere spontaneamente tra gli spettatori è: perché delle entità anche senzienti, copie in tutto e per tutto degli umani, hanno tutti i limiti di questi ultimi? Perché il loro creatore non si è prodigato per creare copie di sé perfette o almeno migliori rispetto all'originale? In "Blade Runner" ad esempio, i replicanti sono superiori e in tutto agli umani ad eccezione dell'aspettativa di vita; in "Ghost in the shell" gli umani hanno superato il tema della mortalità potendo trasferire il "ghost" anima da un corpo cibernetico ad un altro con tutti i rischi della "corruzione" dei dati, della duplicazione "abusiva", ecc., fermo restando che anche un "umano" può "ibridarsi" con componenti non organiche al fine di migliorare le proprie prestazioni. "The gene of AI" mostra una realtà "intermedia" dove, tuttavia, è possibile manipolare i dati, ricordi, programmazione di cervelli sintetici al fine di superare problemi, disturbi, difetti, o anche solo ad libitum, ecc.
Quello di cui ho sentito la mancanza nella serie in recensione è un vero e proprio filo conduttore che faccia da trait d'union tra i vari episodi che sono spesso anche suddivisi in sotto episodi che rappresentano a loro volta dei veri e propri archi narrativi autoconcludenti (e spesso, prima facie, "in-concludenti"). Manca in altre parole il "come" si è arrivati ad un mondo come quello rappresentato nella serie.
La serie sembra più aver a cuore gli eventuali accenni alle questioni etico/morali sulle implicazioni e le interazioni tra tecnologia e umani, in alcuni approfondendole, in altri sfiorandole in superficie e dandole come dato di fatto.
Di sicuro, l'aspetto su cui "The gene of AI" non prende una posizione è il fornire una risposta ai possibili quesiti di ogni genere che potrebbero sorgere dai temi trattati: nei vari flash di quotidianità "slice of life" che inserisce negli episodi fornisce una visione piuttosto neutra e, per certi versi scontata, di ciò che accade, come se fosse tutto normale, tutto scontato, acquisito e accettabile da ogni punto di vista.
In alcuni episodi si vede il protagonista, dott. Sodu, che modifica, copia e sostituisce le “reti neurali” degli umanoidi per risolvere problemi di "salute" o comportamentali. E' moralmente ed eticamente condivisibile? Nell'anime tale attività viene fatta senza problemi ma la risposta a questa domanda? Sembra rimessa allo spettatore....
E se fosse "NO", si potrebbe obiettare che copiare una rete neurale su un nuovo corpo potrebbe prolungare la durata della vita dell'umanoide in caso di incidente, un po' alla "Ghost in the shell". Ma resta sempre il dubbio: è etico? E il backup è la stessa "persona" dell'originale?
Stessa questione quando la serie affronta temi più sentimentali quali le relazioni tra esseri umani, umanoidi e robot. Anche in questo caso abbiamo episodi in cui si affrontano le relazioni romantiche "miste" o quelle interpersonali in cui umani, gli umanoidi e i robot sono essere trattati allo stesso modo in tutti i casi. E c'è anche una questione di sentimenti non corrisposti tra l'assistente del protagonista che è una umanoide (Risa) e il protagonista che sembra inafferrabile/sfuggente e compie sempre la scelta di non considerarla. Ma non perché umanoide, ma perché interessato solo alla sua ossessione: trovare un umanoide copia di sua madre. In "The gene of AI", la maggior parte dei personaggi appare solo in un episodio, ad eccezione proprio di Sudo e Risa che quasi fino alla fine (il famigerato 9° episodio) non sono stati molto ben delineati. Lo spettatore deve attendere gli ultimi tre episodi finali per si possa iniziare a vedere un minimo di trama più avvincente e comprendere, ad esempio, la personalità di Risa e la sua triste storia di umanoide con il suo bisogno di amore. Se Sudo è una sorta di "genio" emotivamente distaccato, anche se più gentile ed educato dei soliti stereotipi, Risa è una giovane donna vivace e ottimista, con una natura altamente emotiva. Tra i due sembra più umana Risa rispetto a Sudo.
Nel campo sentimentale, "The gene of AI" si spinge anche oltre, in termini di rappresentanza e accettazione di forme di romanticismo e sessualità non etero e lo fa in modo piuttosto ampio utilizzando due personaggi umanoidi "secondari". Kaoru è un individuo "not binary" che ha utilizzato la tecnologia per modificare il proprio corpo, mentre Miyoshi è una lesbica con un "crush" per Risa. In questo senso sembra che "the gene of AI" cerchi di provare a sostenere il messaggio che “l’intelligenza artificiale, in tutte le sue espressioni/varianti, non abbia sesso o genere”. E gli umanoidi sono rappresentati come uguali agli umani in coscienza, intelligenza ed emotività. Hanno anche l'identità di genere e presumibilmente possono anche subire cambiamenti di sesso.
E con questi temi, questa serie più che sembrare di "fantascienza" sembra virare, partendo da esempi di interazione tra umani, umanoidi e robot, più sulla lotta ai pregiudizi in ogni sua forma, cercando di convincere surrettiziamente lo spettatore con esempi possibili e concreti che “[...]spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dall'opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa [...]” (L. A. Seneca).
Attenzione: questa parte contiene spoiler
Negli ultimi tre episodi si ha un profondo cambio di rotta e dalla classica struttura episodica, "The gene of AI" riprende il filo della storia dei suoi due protagonisti per arrivare al solito finale aperto nel quale l'AI non è più uno strumento al servizio degli umani ma ritorna ad essere quell'entità ambigua, manipolatrice e surrettiziamente pericolosa per umani, umanoidi e robot perché capace di influenzare gli eventi fino a ritornare ai classici cliché della entità antagonista e dominatrice dell'uomo, suo creatore. E forse questo cambiamento è anche il vero punto di debolezza delle serie assieme al comparto tecnico non propriamente definibile "di eccellenza". La contraddizione intrinseca è evidente e castrante: se il superamento del pregiudizio sembrava essere il vero significato del "gene dell'intelligenza artificiale", inizialmente sembra che l'opera ambisca a raggiungere uno scopo che generalmente non si pensa sia concesso ad opere di questo tipo, sconfinando e proponendo la sua personalissima idea di "utopia". Poi, dopo alcuni episodi definibili come "filler", riprende una parvenza di trama per dare un'immagine in cui c'è addirittura un umanoide che sabota la sua mente per dimostrare, uccidendo a caso un'umana, che l'IA governa tutto sbagliando e influenzando gli eventi e le menti di tutti (ricordando male "Psyco-Pass").
La svolta di trama degli ultimi tre episodi mi ha lasciato un po' d'amaro in bocca: se il dramma di Risa commuove e la scena della partenza attribuisce un tocco di "umanità" in più in una possibile relazione tra umani e umanoidi come flebile messaggio di speranza dell'utopia, il senso di "The gene of AI" resta impigliato nel detto "All that glitters is not gold". Forse avrà un senso compiuto in una successiva serie. Incompleto.
"The gene of AI" ("AI no Idenshi" - "Il gene dell'intelligenza artificiale") è un dramma psicologico pseudo-fantascientifico andato in onda durante l'estate del 2023 e terminato alla fine di settembre. Trasposto dal manga omonimo creato da Kyuri Yamada, "AI no Idenshi" è stato serializzato dal 2015 al 2017. Il suo successo lo ha visto ricevere due spin-off, con "AI no Idenshi: Blue Age" ancora attualmente in corso. La premessa in qualche modo cyberpunk coinvolge un mondo in cui il una discreta parte della popolazione del pianeta è composta da "umanoidi". Queste creature artificiali hanno i loro problemi sia sociali sia psicologici, che richiedono particolari cure simili a quelle che vengono somministrate agli umani.
Inizialmente ho seguito l'anime fino al nono episodio e poi mi sono fermato, decidendo di riprenderlo dopo qualche mese perché il suo incedere fino a quel punto, onestamente, non mi entusiasmava nonostante sia un discreto consumatore di anime sci-fi, cyberpunk, "esistenzialisti", ecc. Non riuscivo soprattutto ad apprezzare la indeterminatezza del suo essere "di fantascienza" fino a quando, ripensandoci, ho cercato di cambiare il metro di giudizio e paragoni e arrivare al 12° episodio.
Se nel passato mi sono infervorato per opere che in un certo senso scavavano nel rapporto "creato-creatore" e tutte le implicazioni sempre in un'ottica di "contrapposizione" o di esposizione dei possibili "pericoli" o criticità nelle interazioni tra umani e non umani (che siano replicanti, umanoidi, robot, mera IA, ecc.), facevo fatica a "digerire" una serie come "The gene of AI" dove tutti questi temi sono, in un certo senso, superati o meglio dati per risolti: la serie da una visione delle interazioni tra umani, non umani, robot e IA definita e stabile in cui le questioni filosofiche ontologico-metafisiche lasciano spazio ai problemi anche più banali del "day by day" dell'integrazione, in cui l'IA non è presentata come intrinsecamente "cattiva", "ostile" o pericolosa per l'umanità, ma in modo "neutrale" come se fosse "normale" che gli "umanoidi" possano essere "difettosi", avere problemi simili, anche di natura psicologica, a quelli degli umani di cui hanno ereditato anche i limiti, "fisici" e "mentali". Se il tema della "sensibilità" e dell'autocoscienza di sé da parte di umanoidi, replicanti e robot è già stato affrontato nella letteratura, nei fumetti/manga, nella cinematografia e nell'animazione, in "The gene of AI" l'originalità è insita nel modo in cui costruisce la realtà "futuribile/futuristica" che rappresenta: un mondo in cui l'intelligenza artificiale, i robot, gli umanoidi e gli esseri umani coesistono, in apparenza in pace, ciascuno consapevole del proprio ruolo.
Scritto così, sembra banale. E forse un po' lo sarebbe: lasciamo perdere i contesti "super avanzati" di auto che volano da sole, mezzi iper veloci che consentono spostamenti senza troppe perdite di tempo, teletrasporto, clonazione o sistemi di cura degli umani che li rendono quasi immuni da qualsiasi malattia o disturbo, ecc... tutti elementi che danno un'idea di futuro non ancora realizzato o nemmeno immaginabile.
Abbiamo invece l'illustrazione del concetto di intelligenza artificiale con robot antropomorfi e umanoidi, con questi ultimi due quasi indistinguibili dagli umani.
I robot si distinguono dagli umani e dagli umanoidi grazie ad una sorta di "girocollo" (collare con un anello...); gli umanoidi hanno come unico elemento facilmente visibile le pupille orizzontali (simil caprini/ovini).
Gli umanoidi hanno personalità "uniche" (nel senso che hanno un loro carattere che li contraddistingue) e possono subire crisi psicologiche al pari degli umani, possono avere dei disturbi simili alle malattie, possono invecchiare o subire decadimenti cognitivi, possono provare sentimenti o emozioni o amore verso i loro simili o verso gli umani, possono essere attratti da umanoidi o umani anche dello stesso sesso provando anche il disagio di non essere in linea con il "sentiment" prevalente a livello di sociale, ecc. ossia sono esseri artificiali e manipolabili con i limiti tipici degli umani.
E la prima domanda che può sorgere spontaneamente tra gli spettatori è: perché delle entità anche senzienti, copie in tutto e per tutto degli umani, hanno tutti i limiti di questi ultimi? Perché il loro creatore non si è prodigato per creare copie di sé perfette o almeno migliori rispetto all'originale? In "Blade Runner" ad esempio, i replicanti sono superiori e in tutto agli umani ad eccezione dell'aspettativa di vita; in "Ghost in the shell" gli umani hanno superato il tema della mortalità potendo trasferire il "ghost" anima da un corpo cibernetico ad un altro con tutti i rischi della "corruzione" dei dati, della duplicazione "abusiva", ecc., fermo restando che anche un "umano" può "ibridarsi" con componenti non organiche al fine di migliorare le proprie prestazioni. "The gene of AI" mostra una realtà "intermedia" dove, tuttavia, è possibile manipolare i dati, ricordi, programmazione di cervelli sintetici al fine di superare problemi, disturbi, difetti, o anche solo ad libitum, ecc.
Quello di cui ho sentito la mancanza nella serie in recensione è un vero e proprio filo conduttore che faccia da trait d'union tra i vari episodi che sono spesso anche suddivisi in sotto episodi che rappresentano a loro volta dei veri e propri archi narrativi autoconcludenti (e spesso, prima facie, "in-concludenti"). Manca in altre parole il "come" si è arrivati ad un mondo come quello rappresentato nella serie.
La serie sembra più aver a cuore gli eventuali accenni alle questioni etico/morali sulle implicazioni e le interazioni tra tecnologia e umani, in alcuni approfondendole, in altri sfiorandole in superficie e dandole come dato di fatto.
Di sicuro, l'aspetto su cui "The gene of AI" non prende una posizione è il fornire una risposta ai possibili quesiti di ogni genere che potrebbero sorgere dai temi trattati: nei vari flash di quotidianità "slice of life" che inserisce negli episodi fornisce una visione piuttosto neutra e, per certi versi scontata, di ciò che accade, come se fosse tutto normale, tutto scontato, acquisito e accettabile da ogni punto di vista.
In alcuni episodi si vede il protagonista, dott. Sodu, che modifica, copia e sostituisce le “reti neurali” degli umanoidi per risolvere problemi di "salute" o comportamentali. E' moralmente ed eticamente condivisibile? Nell'anime tale attività viene fatta senza problemi ma la risposta a questa domanda? Sembra rimessa allo spettatore....
E se fosse "NO", si potrebbe obiettare che copiare una rete neurale su un nuovo corpo potrebbe prolungare la durata della vita dell'umanoide in caso di incidente, un po' alla "Ghost in the shell". Ma resta sempre il dubbio: è etico? E il backup è la stessa "persona" dell'originale?
Stessa questione quando la serie affronta temi più sentimentali quali le relazioni tra esseri umani, umanoidi e robot. Anche in questo caso abbiamo episodi in cui si affrontano le relazioni romantiche "miste" o quelle interpersonali in cui umani, gli umanoidi e i robot sono essere trattati allo stesso modo in tutti i casi. E c'è anche una questione di sentimenti non corrisposti tra l'assistente del protagonista che è una umanoide (Risa) e il protagonista che sembra inafferrabile/sfuggente e compie sempre la scelta di non considerarla. Ma non perché umanoide, ma perché interessato solo alla sua ossessione: trovare un umanoide copia di sua madre. In "The gene of AI", la maggior parte dei personaggi appare solo in un episodio, ad eccezione proprio di Sudo e Risa che quasi fino alla fine (il famigerato 9° episodio) non sono stati molto ben delineati. Lo spettatore deve attendere gli ultimi tre episodi finali per si possa iniziare a vedere un minimo di trama più avvincente e comprendere, ad esempio, la personalità di Risa e la sua triste storia di umanoide con il suo bisogno di amore. Se Sudo è una sorta di "genio" emotivamente distaccato, anche se più gentile ed educato dei soliti stereotipi, Risa è una giovane donna vivace e ottimista, con una natura altamente emotiva. Tra i due sembra più umana Risa rispetto a Sudo.
Nel campo sentimentale, "The gene of AI" si spinge anche oltre, in termini di rappresentanza e accettazione di forme di romanticismo e sessualità non etero e lo fa in modo piuttosto ampio utilizzando due personaggi umanoidi "secondari". Kaoru è un individuo "not binary" che ha utilizzato la tecnologia per modificare il proprio corpo, mentre Miyoshi è una lesbica con un "crush" per Risa. In questo senso sembra che "the gene of AI" cerchi di provare a sostenere il messaggio che “l’intelligenza artificiale, in tutte le sue espressioni/varianti, non abbia sesso o genere”. E gli umanoidi sono rappresentati come uguali agli umani in coscienza, intelligenza ed emotività. Hanno anche l'identità di genere e presumibilmente possono anche subire cambiamenti di sesso.
E con questi temi, questa serie più che sembrare di "fantascienza" sembra virare, partendo da esempi di interazione tra umani, umanoidi e robot, più sulla lotta ai pregiudizi in ogni sua forma, cercando di convincere surrettiziamente lo spettatore con esempi possibili e concreti che “[...]spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dall'opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa [...]” (L. A. Seneca).
Attenzione: questa parte contiene spoiler
Negli ultimi tre episodi si ha un profondo cambio di rotta e dalla classica struttura episodica, "The gene of AI" riprende il filo della storia dei suoi due protagonisti per arrivare al solito finale aperto nel quale l'AI non è più uno strumento al servizio degli umani ma ritorna ad essere quell'entità ambigua, manipolatrice e surrettiziamente pericolosa per umani, umanoidi e robot perché capace di influenzare gli eventi fino a ritornare ai classici cliché della entità antagonista e dominatrice dell'uomo, suo creatore. E forse questo cambiamento è anche il vero punto di debolezza delle serie assieme al comparto tecnico non propriamente definibile "di eccellenza". La contraddizione intrinseca è evidente e castrante: se il superamento del pregiudizio sembrava essere il vero significato del "gene dell'intelligenza artificiale", inizialmente sembra che l'opera ambisca a raggiungere uno scopo che generalmente non si pensa sia concesso ad opere di questo tipo, sconfinando e proponendo la sua personalissima idea di "utopia". Poi, dopo alcuni episodi definibili come "filler", riprende una parvenza di trama per dare un'immagine in cui c'è addirittura un umanoide che sabota la sua mente per dimostrare, uccidendo a caso un'umana, che l'IA governa tutto sbagliando e influenzando gli eventi e le menti di tutti (ricordando male "Psyco-Pass").
La svolta di trama degli ultimi tre episodi mi ha lasciato un po' d'amaro in bocca: se il dramma di Risa commuove e la scena della partenza attribuisce un tocco di "umanità" in più in una possibile relazione tra umani e umanoidi come flebile messaggio di speranza dell'utopia, il senso di "The gene of AI" resta impigliato nel detto "All that glitters is not gold". Forse avrà un senso compiuto in una successiva serie. Incompleto.