The Concierge
Luci soffuse e via a una introduzione in punta di piedi, dal retrogusto naif: una bambina corre a grandi passetti verso un luogo che pare incantato, una terra dai colori forti, pieni e splendidamente confusi. L’intensa pigmentazione e un dinamismo onirico portano lo spettatore, sempre attraverso i movimenti della giovanissima fanciulla, fin nelle braccia di Akino, la “concierge” di codesto luogo, ovvero colei che si occupa in primis dei clienti e dei loro bisogni, nuova coordinatrice di un enorme, lussuosissimo centro commerciale denominato Hokkyoku.
Presto si scoprirà che, fra secondi piani statici - capaci di stagliarsi in modo perentorio e silenzioso, sfondi simili a fondali di teatrini marionettistici e giochi di ombre minimali -, tale centro commerciale è dedicato esclusivamente agli animali - sì, avete capito bene - del mondo esterno, una civiltà piuttosto particolare: animali e umani convivono infatti in una comunità avanzata e apparentemente omogenea, e all’interno di tale locazione è possibile ammirare la vasta gamma di articoli dedicata ai loro bisogni e al loro svago, dal più sofisticato vestiario fino a cibi e ad attrezzi d’ogni sorta, ogni elemento adattato alle necessità di queste creature antropomorfe.
Il sorriso è stato inventato dall’animale più triste sulla Terra
Gli autori, pertanto, adottano le figure degli animali-umanoidi come veicoli d’emozioni e stati d’animo: niente li differenzia, se non l’aspetto, da comuni esseri umani.
S’imposta così una trama semplicissima eppur accattivante. Non esiste differenza fra bestia e uomo - esattamente come nella realtà, sia che voi leggiate tali parole in senso positivo che tremendamente negativo -, con l’unica differenza che, in questo caso, gli animali vestono giacche, indossano cravatte, calzature dotate di tacco, vistosi gioielli e borse ricercate. Nell’Hokkyoku ognuno è al proprio posto, e ogni cosa appare normalissima, consueta, abituale. Ciò innesca, forse senza troppa sorpresa, dinamiche di una comicità inusuale, un mix fra l’inesperienza della graziosa e insicura protagonista, la sopracitata Akino, e le abitudini di alcuni visitatori che, chiaramente, risulteranno inaspettate e di difficile gestione. Così, fra opossum con prole al seguito, pinguini dandy dall’eccelsa dialettica e dalla profondissima saggezza, gatti apprendisti pasticcieri con velleità artistiche ed esigenti giraffe piene di soldi, faremo la conoscenza di Todo, proprietario del centro commerciale, pretenzioso e integerrimo essere umano, non che iconica figura a cui tutti fanno riferimento e che “temono” con grande reverenza.
Very Important Animals
Il fulcro di questo mediometraggio sono appunto le figure animali di spicco intente a visitare l’Hokkyoku, e fra loro, i VIA sembrerebbero elementi piuttosto rari (in via d’estinzione); è chiaro che l’evoluzione sembra avanzata a uno stadio paritario fra umani e ciò che rimane di un mondo animale completamente snaturato, ma tutto ciò nasconde un incredibile segreto che scopriremo solo alla fine. L’intero film, tuttavia, verte sulla cultura - anzi, diremmo l’arte - del saper servire: qualcosa che, con tutte le dovute divergenze, nell’immaginario nipponico è vissuto e sentito in modo molto differente che qui in Occidente, concetto di base per cui Akino aspira a diventare in tutto e per tutto concierge di prim’ordine. Presto, la ragazza imparerà che per accontentare i clienti d’élite è necessario innanzitutto capire e prevedere il loro stato d’animo, “guardarli negli occhi”, anticipando i loro desideri: la vera e propria arte del servire e dell’allestire un luogo elegante e di rilievo che metta a proprio agio qualsiasi avventore.
La vicenda, ad ogni modo, nasconde un significato ben più importante e forse amaro: sebbene il prodotto non sia proprio esente da difetti e la prima metà possa risultare fin troppo piatta e decisamente monotona, senza ritmo e poco incisiva, il segmento finale ci regala una riflessione profonda ed esistenzialista: l’incontro fra capitalismo e consumismo moderno nei centri commerciali, nonché la verità nascosta dietro la presenza di animali antropomorfi derivanti da razze estinte ci portano a un messaggio trasversale che rimembra l’incessante, inarrestabile e spaventoso progresso umano, artefice di distruzione assoluta, consumismo atto a disintegrare risorse e vita ovunque. Una lenta dissoluzione contrapposta ai rimpianti di tali conseguenze, ergo: l’Hokkyoku non è altri che il simulacro silenzioso dei mea culpa di tale progresso, rendendo gli animali, vittime innocenti della sfrenata consumistica, ormai scomparsi, riportati (resuscitati) fra di noi “a nostra immagine e somiglianza”.
Dal punto di vista artistico “Benvenuti all’Hokkyoku” non delude né stupisce: colonna sonora incalzante, allegro accompagnamento spesso minimale ma incisivo che non si distacca più di tanto dalle atmosfere che lo stesso anime imposta.
Visivamente si presenta originale e curioso; una rivisitazione dell’avanguardia animata concepita venticinque, forse trent’anni fa. Le animazioni, semplici ma efficaci, danno vita a personaggi esemplificati, generati da uno stile dal tratto essenziale ma sinergico. Grandissima cura nei dettagli, studio di ingombri e ambienti davvero prezioso. Disposizione cinematografica di cibi, suppellettili e scorci d’arredo. Le scene appaiono come quadri ricamati in continuo movimento.
Con una buona dose d’ironia che alleggerisce e non guasta mai, il finale si scopre dolce e malinconico, attraversato da una vena poetica che finisce per accompagnare timidamente le vicende dei protagonisti, e ci regala una Akino tutto cuore e positività, chiudendo in un epilogo che rievoca chiaramente le immagini iniziali, come un cerchio che va a chiudersi dignitosamente.
Un lavoro apprezzabile, una storia divertente capace di strappare più di un sorriso e di iniettare una sostanziosa dose di luminosa positività; niente di trascendentale, ma scorrevole e piacevole.
Presto si scoprirà che, fra secondi piani statici - capaci di stagliarsi in modo perentorio e silenzioso, sfondi simili a fondali di teatrini marionettistici e giochi di ombre minimali -, tale centro commerciale è dedicato esclusivamente agli animali - sì, avete capito bene - del mondo esterno, una civiltà piuttosto particolare: animali e umani convivono infatti in una comunità avanzata e apparentemente omogenea, e all’interno di tale locazione è possibile ammirare la vasta gamma di articoli dedicata ai loro bisogni e al loro svago, dal più sofisticato vestiario fino a cibi e ad attrezzi d’ogni sorta, ogni elemento adattato alle necessità di queste creature antropomorfe.
Il sorriso è stato inventato dall’animale più triste sulla Terra
Gli autori, pertanto, adottano le figure degli animali-umanoidi come veicoli d’emozioni e stati d’animo: niente li differenzia, se non l’aspetto, da comuni esseri umani.
S’imposta così una trama semplicissima eppur accattivante. Non esiste differenza fra bestia e uomo - esattamente come nella realtà, sia che voi leggiate tali parole in senso positivo che tremendamente negativo -, con l’unica differenza che, in questo caso, gli animali vestono giacche, indossano cravatte, calzature dotate di tacco, vistosi gioielli e borse ricercate. Nell’Hokkyoku ognuno è al proprio posto, e ogni cosa appare normalissima, consueta, abituale. Ciò innesca, forse senza troppa sorpresa, dinamiche di una comicità inusuale, un mix fra l’inesperienza della graziosa e insicura protagonista, la sopracitata Akino, e le abitudini di alcuni visitatori che, chiaramente, risulteranno inaspettate e di difficile gestione. Così, fra opossum con prole al seguito, pinguini dandy dall’eccelsa dialettica e dalla profondissima saggezza, gatti apprendisti pasticcieri con velleità artistiche ed esigenti giraffe piene di soldi, faremo la conoscenza di Todo, proprietario del centro commerciale, pretenzioso e integerrimo essere umano, non che iconica figura a cui tutti fanno riferimento e che “temono” con grande reverenza.
Very Important Animals
Il fulcro di questo mediometraggio sono appunto le figure animali di spicco intente a visitare l’Hokkyoku, e fra loro, i VIA sembrerebbero elementi piuttosto rari (in via d’estinzione); è chiaro che l’evoluzione sembra avanzata a uno stadio paritario fra umani e ciò che rimane di un mondo animale completamente snaturato, ma tutto ciò nasconde un incredibile segreto che scopriremo solo alla fine. L’intero film, tuttavia, verte sulla cultura - anzi, diremmo l’arte - del saper servire: qualcosa che, con tutte le dovute divergenze, nell’immaginario nipponico è vissuto e sentito in modo molto differente che qui in Occidente, concetto di base per cui Akino aspira a diventare in tutto e per tutto concierge di prim’ordine. Presto, la ragazza imparerà che per accontentare i clienti d’élite è necessario innanzitutto capire e prevedere il loro stato d’animo, “guardarli negli occhi”, anticipando i loro desideri: la vera e propria arte del servire e dell’allestire un luogo elegante e di rilievo che metta a proprio agio qualsiasi avventore.
La vicenda, ad ogni modo, nasconde un significato ben più importante e forse amaro: sebbene il prodotto non sia proprio esente da difetti e la prima metà possa risultare fin troppo piatta e decisamente monotona, senza ritmo e poco incisiva, il segmento finale ci regala una riflessione profonda ed esistenzialista: l’incontro fra capitalismo e consumismo moderno nei centri commerciali, nonché la verità nascosta dietro la presenza di animali antropomorfi derivanti da razze estinte ci portano a un messaggio trasversale che rimembra l’incessante, inarrestabile e spaventoso progresso umano, artefice di distruzione assoluta, consumismo atto a disintegrare risorse e vita ovunque. Una lenta dissoluzione contrapposta ai rimpianti di tali conseguenze, ergo: l’Hokkyoku non è altri che il simulacro silenzioso dei mea culpa di tale progresso, rendendo gli animali, vittime innocenti della sfrenata consumistica, ormai scomparsi, riportati (resuscitati) fra di noi “a nostra immagine e somiglianza”.
Dal punto di vista artistico “Benvenuti all’Hokkyoku” non delude né stupisce: colonna sonora incalzante, allegro accompagnamento spesso minimale ma incisivo che non si distacca più di tanto dalle atmosfere che lo stesso anime imposta.
Visivamente si presenta originale e curioso; una rivisitazione dell’avanguardia animata concepita venticinque, forse trent’anni fa. Le animazioni, semplici ma efficaci, danno vita a personaggi esemplificati, generati da uno stile dal tratto essenziale ma sinergico. Grandissima cura nei dettagli, studio di ingombri e ambienti davvero prezioso. Disposizione cinematografica di cibi, suppellettili e scorci d’arredo. Le scene appaiono come quadri ricamati in continuo movimento.
Con una buona dose d’ironia che alleggerisce e non guasta mai, il finale si scopre dolce e malinconico, attraversato da una vena poetica che finisce per accompagnare timidamente le vicende dei protagonisti, e ci regala una Akino tutto cuore e positività, chiudendo in un epilogo che rievoca chiaramente le immagini iniziali, come un cerchio che va a chiudersi dignitosamente.
Un lavoro apprezzabile, una storia divertente capace di strappare più di un sorriso e di iniettare una sostanziosa dose di luminosa positività; niente di trascendentale, ma scorrevole e piacevole.
È un piccolo e delicato gioiello ricco di sfumature, con un sottotesto profondo e toccante... e un piccolo colpo di scena finale.
Una bimba sperduta e impaurita corre attraverso strani corridoi finendo nelle braccia di una sconosciuta signora, una professionale e gentile concierge di un centro commerciale alquanto esclusivo. La giovane Akino è al suo primo giorno di lavoro come concierge, è goffa, imbranata e commette gaffe su gaffe, tanto da essere sin da subito ripresa dal suo responsabile. Ma impara rapidamente qual è il compito principale di una concierge: capire i reali bisogni dei clienti e aiutarli affinché escano col sorriso. Akino da tutta sé stessa, ascoltando e approfondendo la conoscenza di ogni cliente, sia esso un gufo, una foca o un felino... già, perché i clienti del centro commerciale sono animali. Animali comuni, in via d'estinzione o estinti, con i loro bisogni, sogni e desideri. E Akino mette tutta sé stessa nel capire i loro reali bisogni, assecondandoli.
In tutta la prima parte del film Akino semina la sua generosità e altruismo, non senza commettere qualche gaffe o senza essere insultata da clienti poco rispettosi, anche a costo di mettere a rischio il proprio posto di lavoro. Ma poi raccoglie il frutto della sua semina, non per sé stessa, ma per aiutare il prossimo in situazioni difficili da superare.
Un viaggio di crescita interna, di presa di coscienza delle proprie capacità, che porta Akino da sbadata concierge a professionale concierge che accoglie fra le braccia una bimba che si è persa fra strani corridoi.
I personaggi sono sufficientemente delineati, qualcuno di più, qualcun altro meno, ma raramente risultano essere dei fogli di carta velina, forse anche per il fatto che ogni cliente tende a rappresentare un sentimento, un'emozione o una difficoltà comune nella vita di ognuno di noi, per cui ci è facile immedesimarsi in loro e sperare che Akino trovi il modo d'aiutarli.
Non mancano situazioni divertenti dovute a incomprensioni o alla necessità di essere in due posti diversi contemporaneamente, ma nemmeno situazioni più serie legate a ricordi di chi si è amato e non c'è più.
Una bimba sperduta e impaurita corre attraverso strani corridoi finendo nelle braccia di una sconosciuta signora, una professionale e gentile concierge di un centro commerciale alquanto esclusivo. La giovane Akino è al suo primo giorno di lavoro come concierge, è goffa, imbranata e commette gaffe su gaffe, tanto da essere sin da subito ripresa dal suo responsabile. Ma impara rapidamente qual è il compito principale di una concierge: capire i reali bisogni dei clienti e aiutarli affinché escano col sorriso. Akino da tutta sé stessa, ascoltando e approfondendo la conoscenza di ogni cliente, sia esso un gufo, una foca o un felino... già, perché i clienti del centro commerciale sono animali. Animali comuni, in via d'estinzione o estinti, con i loro bisogni, sogni e desideri. E Akino mette tutta sé stessa nel capire i loro reali bisogni, assecondandoli.
In tutta la prima parte del film Akino semina la sua generosità e altruismo, non senza commettere qualche gaffe o senza essere insultata da clienti poco rispettosi, anche a costo di mettere a rischio il proprio posto di lavoro. Ma poi raccoglie il frutto della sua semina, non per sé stessa, ma per aiutare il prossimo in situazioni difficili da superare.
Un viaggio di crescita interna, di presa di coscienza delle proprie capacità, che porta Akino da sbadata concierge a professionale concierge che accoglie fra le braccia una bimba che si è persa fra strani corridoi.
I personaggi sono sufficientemente delineati, qualcuno di più, qualcun altro meno, ma raramente risultano essere dei fogli di carta velina, forse anche per il fatto che ogni cliente tende a rappresentare un sentimento, un'emozione o una difficoltà comune nella vita di ognuno di noi, per cui ci è facile immedesimarsi in loro e sperare che Akino trovi il modo d'aiutarli.
Non mancano situazioni divertenti dovute a incomprensioni o alla necessità di essere in due posti diversi contemporaneamente, ma nemmeno situazioni più serie legate a ricordi di chi si è amato e non c'è più.