Quando c'era Marnie
Di solito pensiamo: Studio Ghibli = Hayao Miyazaki, equazione troppo semplice e a volte sbagliata.
Lo studio Ghibli è una grande realtà in cui lavorano artisti con i contro-fiocchi: se Hayao è il frontrunner, non dobbiamo dimenticare gli altri che collaborano per la sceneggiatura, il chara, le musiche e tante altre cose. Hiromane Yonebayashi, il regista di questo film, è uno dei tanti collaboratori dello studio Ghibli che è partito dagli intercalari de “La principessa Mononoke”, passando ai disegni chiave de “La città incantata”, per raggiungere la regia con “Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento”.
La sua prima regia è stata divisiva, qualche polemica c’è stata anche per questo “Quando c’era Marnie”, ma non si può riuscire a piacere a tutti. Io non sono né fra gli estimatori più accesi né un denigratore di questo film. La storia, come mi è narrata, mi è tutto sommato piaciuta, ma l’ho considerata un po’ lenta e un po’ farraginosa in alcuni punti: e sì che Yonebayashi ha tentato di renderla il più semplice possibile.
Se la storia risente di alcune mancanze, l’apparato tecnico è eccezionale, le animazioni sono fluide, alcuni fondali semplicemente meravigliosi, le musiche adatte, i colori... beh, insomma, sto ripetendo i miei usuali complimenti per ogni opera dello studio Ghibli, uscita dalle mani di Hayao o Goro Miyazaki, complimenti di cui sono parco invece quando si tratta di un’opera di Isao Takahata, quello che consideravano l’intellettuale del gruppo.
Il film è ispirato a un romanzo per ragazzi inglese degli anni ‘60 ed è pero meno interessante di molte opere del World Masterpiece Theater che hanno reso felice la nostra infanzia. Ma è anche vero che quelle opere godevano di decine di episodi per rendersi amate, qui è solo un lungometraggio di poco più di cento minuti. Ricordo comunque che il romanzo è arrivato in Italia pubblicato da Kappalab, la casa editrice specializzata nei romanzi associati allo studio Ghibli o comunque all’animazione giapponese.
Ma il film è da vedere? Ni.
E un’opera carina, e poi basta; se si vuole, si possono anche trovare spunti per filosofeggiare, personaggi da psicoanalizzare, comportamenti da commentare per i fanciulli. Ma alla fine un film lo voto più con la pancia che con la testa: e la mia pancia gli assegna un magro sette.
Lo studio Ghibli è una grande realtà in cui lavorano artisti con i contro-fiocchi: se Hayao è il frontrunner, non dobbiamo dimenticare gli altri che collaborano per la sceneggiatura, il chara, le musiche e tante altre cose. Hiromane Yonebayashi, il regista di questo film, è uno dei tanti collaboratori dello studio Ghibli che è partito dagli intercalari de “La principessa Mononoke”, passando ai disegni chiave de “La città incantata”, per raggiungere la regia con “Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento”.
La sua prima regia è stata divisiva, qualche polemica c’è stata anche per questo “Quando c’era Marnie”, ma non si può riuscire a piacere a tutti. Io non sono né fra gli estimatori più accesi né un denigratore di questo film. La storia, come mi è narrata, mi è tutto sommato piaciuta, ma l’ho considerata un po’ lenta e un po’ farraginosa in alcuni punti: e sì che Yonebayashi ha tentato di renderla il più semplice possibile.
Se la storia risente di alcune mancanze, l’apparato tecnico è eccezionale, le animazioni sono fluide, alcuni fondali semplicemente meravigliosi, le musiche adatte, i colori... beh, insomma, sto ripetendo i miei usuali complimenti per ogni opera dello studio Ghibli, uscita dalle mani di Hayao o Goro Miyazaki, complimenti di cui sono parco invece quando si tratta di un’opera di Isao Takahata, quello che consideravano l’intellettuale del gruppo.
Il film è ispirato a un romanzo per ragazzi inglese degli anni ‘60 ed è pero meno interessante di molte opere del World Masterpiece Theater che hanno reso felice la nostra infanzia. Ma è anche vero che quelle opere godevano di decine di episodi per rendersi amate, qui è solo un lungometraggio di poco più di cento minuti. Ricordo comunque che il romanzo è arrivato in Italia pubblicato da Kappalab, la casa editrice specializzata nei romanzi associati allo studio Ghibli o comunque all’animazione giapponese.
Ma il film è da vedere? Ni.
E un’opera carina, e poi basta; se si vuole, si possono anche trovare spunti per filosofeggiare, personaggi da psicoanalizzare, comportamenti da commentare per i fanciulli. Ma alla fine un film lo voto più con la pancia che con la testa: e la mia pancia gli assegna un magro sette.
“Quando c’era Marnie” è un lungometraggio del 2014, uno dei tanti che porta il nome dell’ormai celeberrimo Studio Ghibli. Tratto dal soggetto originale di Joan Gale Robinson e affidato alla regia di Hiromasa Yonebayashi, curatore dei disegni chiave di molti capolavori Ghibli, tra i quali “La città Incantata” e “Il Castello Errante di Howl”. Questo film era a me sconosciuto fino a qualche tempo fa e tale sarebbe rimasto, se non fossi capitato, per puro caso, su un video YouTube di Dario Moccia, celebre divulgatore della cultura nipponica in Italia e grande appassionato di Ghibli, come il sottoscritto. Le parole tanto lusinghiere da lui spese per un film a me ignoto hanno stuzzicato la mia curiosità e invogliato ad approcciarmi a un’opera nuova, che ero certo mi sarebbe piaciuta.
La protagonista della storia è Anna, una ragazzina di soli dodici anni, rimasta orfana di entrambi i suoi genitori e che, dopo una lunga serie di dispute familiari, è finita a vivere con gli zii, che se ne prendono cura tanto amorevolmente. Anna, un tempo, almeno questo è ciò che si racconta all’inizio dell’opera, era una ragazzina solare e vivace, che sembrava andare d’accordo con tutti e si godeva gli anni spensierati della fanciullezza. All’inizio della storia, però, la ragazza che si pone dinanzi ai nostri occhi appare completamente diversa: timida, solitaria e scontrosa con chi cerca di aiutarla. Qualcosa deve esserle capitato e la mamma adottiva non si dà tregua, nel tentativo vano di strapparle almeno un sorriso, con la speranza che la gioia di un tempo possa riaffiorare sul suo volto. Tuttavia, un giorno, Anna viene colpita da uno dei suoi soliti attacchi d’asma e, su consiglio del dottore, se ne va a stare per qualche settimana dagli zii, in una tranquilla cittadina vicino al mare, in Hokkaido. Qui, Anna ha la possibilità di coltivare la sua passione per il disegno e visitare posti a lei sconosciuti, che sembrano essere usciti da una fiaba. Tra questi, una casa all’apparenza abbandonata e in cui vive una ragazza, su per giù della sua stessa età, Marnie. Quest’ultima, non si fa fatica a capirlo, nasconde un segreto, che, in un modo o in un altro, riuscirà a venire a galla.
“Quando c’era Marnie” è un film che ho apprezzato particolarmente, cosa che potrebbe apparire ovvia, data la mia familiarità con lo Studio Ghibli. Il film segue un andamento lento, tipico delle opere più profonde e psicologiche. All’introduzione, necessaria per comprendere il contesto e conoscere i personaggi, segue una parte centrale corposa, sulla quale mi sento di esprimere un parere contrastante con sé stesso. Bella e, con il senno di poi, fondamentale per il finale del film, ma a tratti troppo lenta e soprattutto vaga. Lo si capisce subito che qualcosa non va, che in questa storia c’è un mistero da svelare, ma cosa? Questo rappresenta pregio e difetto, contemporaneamente. Ti tiene sulle spine e ti porta a voler ardentemente sapere come andrà a finire questa storia, ma allo stesso tempo rischia di annoiare, e non dubito sia stato così per gli spettatori poco avvezzi a questo genere di opere. Nonostante ciò, come dicevo poc’anzi, tutto il filone mezzano serve per condurci, mano nella mano, al tanto agognato finale, che rappresenta indubbiamente il momento più alto del film. Tutti i nodi vengono al pettine, le nuvole si diradano definitivamente e quella storia che fino a un attimo prima avresti definito inconcludente si trasforma in una piccola perla. Emozionante e dolce, riesce a toccare le corde giuste per commuovere lo spettatore, e lo fa con una storia, a mio parere, tutt’altro che banale, in cui il passato e il presente si intrecciano, diventando un tutt’uno. Il finale è il vero carico da novanta, che assume un’aura mistica, grazie all’accompagnamento della chitarra e della voce stupenda di Priscilla Ahn e la sua “Fine On The Outside”. Le due protagoniste così diverse, ma allo stesso tempo così simili, sembrano completarsi perfettamente, come le due metà della mela di Platone. Diventano necessarie l’una per l’altra e il loro sodalizio, tanto puro e sincero, stringe il cuore dello spettatore in una morsa. Molto ben scritti anche i personaggi di contorno, specialmente gli zii di Hokkaido, la cui aria familiare ispira una genuina simpatia nei loro confronti. Semplice, ma efficace il character design di Masashi Andō, ma d’altronde stiamo parlando di un altro fenomeno, collaboratore storico di Miyazaki e Takahata. Stupendi i fondali, raffiguranti perlopiù il mare e la campagna. Il verde e il blu dominano le scene del film e riescono a catturare l’attenzione dello spettatore, che si sentirà completamente immerso all’interno di questo paesaggio bucolico, così vicino, ma allo stesso tempo così distante.
Insomma, come c’era da aspettarsi, mi sono ritrovato dinanzi all’ennesimo ottimo lavoro dello Studio Ghibli, che riesce ad ammodernare un romanzo del 1967 e a farlo proprio. La deduzione è una sola e scioccante: Miyazaki e Takahata sono due fuoriclasse, ma la baracca, nel corso degli anni, ha funzionato anche senza di loro, e questo, a mio modesto parere, è un grandissimo risultato.
La protagonista della storia è Anna, una ragazzina di soli dodici anni, rimasta orfana di entrambi i suoi genitori e che, dopo una lunga serie di dispute familiari, è finita a vivere con gli zii, che se ne prendono cura tanto amorevolmente. Anna, un tempo, almeno questo è ciò che si racconta all’inizio dell’opera, era una ragazzina solare e vivace, che sembrava andare d’accordo con tutti e si godeva gli anni spensierati della fanciullezza. All’inizio della storia, però, la ragazza che si pone dinanzi ai nostri occhi appare completamente diversa: timida, solitaria e scontrosa con chi cerca di aiutarla. Qualcosa deve esserle capitato e la mamma adottiva non si dà tregua, nel tentativo vano di strapparle almeno un sorriso, con la speranza che la gioia di un tempo possa riaffiorare sul suo volto. Tuttavia, un giorno, Anna viene colpita da uno dei suoi soliti attacchi d’asma e, su consiglio del dottore, se ne va a stare per qualche settimana dagli zii, in una tranquilla cittadina vicino al mare, in Hokkaido. Qui, Anna ha la possibilità di coltivare la sua passione per il disegno e visitare posti a lei sconosciuti, che sembrano essere usciti da una fiaba. Tra questi, una casa all’apparenza abbandonata e in cui vive una ragazza, su per giù della sua stessa età, Marnie. Quest’ultima, non si fa fatica a capirlo, nasconde un segreto, che, in un modo o in un altro, riuscirà a venire a galla.
“Quando c’era Marnie” è un film che ho apprezzato particolarmente, cosa che potrebbe apparire ovvia, data la mia familiarità con lo Studio Ghibli. Il film segue un andamento lento, tipico delle opere più profonde e psicologiche. All’introduzione, necessaria per comprendere il contesto e conoscere i personaggi, segue una parte centrale corposa, sulla quale mi sento di esprimere un parere contrastante con sé stesso. Bella e, con il senno di poi, fondamentale per il finale del film, ma a tratti troppo lenta e soprattutto vaga. Lo si capisce subito che qualcosa non va, che in questa storia c’è un mistero da svelare, ma cosa? Questo rappresenta pregio e difetto, contemporaneamente. Ti tiene sulle spine e ti porta a voler ardentemente sapere come andrà a finire questa storia, ma allo stesso tempo rischia di annoiare, e non dubito sia stato così per gli spettatori poco avvezzi a questo genere di opere. Nonostante ciò, come dicevo poc’anzi, tutto il filone mezzano serve per condurci, mano nella mano, al tanto agognato finale, che rappresenta indubbiamente il momento più alto del film. Tutti i nodi vengono al pettine, le nuvole si diradano definitivamente e quella storia che fino a un attimo prima avresti definito inconcludente si trasforma in una piccola perla. Emozionante e dolce, riesce a toccare le corde giuste per commuovere lo spettatore, e lo fa con una storia, a mio parere, tutt’altro che banale, in cui il passato e il presente si intrecciano, diventando un tutt’uno. Il finale è il vero carico da novanta, che assume un’aura mistica, grazie all’accompagnamento della chitarra e della voce stupenda di Priscilla Ahn e la sua “Fine On The Outside”. Le due protagoniste così diverse, ma allo stesso tempo così simili, sembrano completarsi perfettamente, come le due metà della mela di Platone. Diventano necessarie l’una per l’altra e il loro sodalizio, tanto puro e sincero, stringe il cuore dello spettatore in una morsa. Molto ben scritti anche i personaggi di contorno, specialmente gli zii di Hokkaido, la cui aria familiare ispira una genuina simpatia nei loro confronti. Semplice, ma efficace il character design di Masashi Andō, ma d’altronde stiamo parlando di un altro fenomeno, collaboratore storico di Miyazaki e Takahata. Stupendi i fondali, raffiguranti perlopiù il mare e la campagna. Il verde e il blu dominano le scene del film e riescono a catturare l’attenzione dello spettatore, che si sentirà completamente immerso all’interno di questo paesaggio bucolico, così vicino, ma allo stesso tempo così distante.
Insomma, come c’era da aspettarsi, mi sono ritrovato dinanzi all’ennesimo ottimo lavoro dello Studio Ghibli, che riesce ad ammodernare un romanzo del 1967 e a farlo proprio. La deduzione è una sola e scioccante: Miyazaki e Takahata sono due fuoriclasse, ma la baracca, nel corso degli anni, ha funzionato anche senza di loro, e questo, a mio modesto parere, è un grandissimo risultato.
“Quando c’era Marnie” è un film per tutta la famiglia, con una componente fantasy, ma che non guarda al folclore nipponico, ma piuttosto a quello occidentale.
Anche se l’ambientazione è “giapponessisima”, i nomi delle protagoniste, Anna e Marnie, e una serie di altri riferimenti, fanno subito capire che questa volta lo studio Ghibli strizzi l’occhio “anche” al pubblico occidentale, oltre che a quello nipponico, creando però un certo paradosso: se da una parte la tipica tendenza di Myazaki (che qui è solo il produttore) di utilizzare nei suoi lungometraggi il folclore giapponese fatto di divinità, demoni e antichi miti del Sol Levante mi ha spesso lasciato la sensazione di non riuscire a cogliere in modo esaustivo il messaggio che l’autore stesso voleva inviare, dall’altro tutti questi personaggi, riferimenti e miti a noi così lontani mi hanno sempre trasmesso quel certo fascino esotico e curiosità, tali da contribuire a far nascere in me la forte attrazione verso questo lontano Paese.
“Quando c’era Marnie” invece, essendo tratto da un romanzo degli anni sessanta del ‘900, ad opera della scrittrice inglese Joan Gale Robinson, di cui Myazaki è un grande estimatore, attinge a piene mani al nostro folclore, e insieme ad una regia e un montaggio che ricordano molto i film di Hollywood, rende la narrazione piuttosto fruibile alle nostre latitudini, ma come diretta conseguenza lo fa sembrare molto simile al tipico “cartone” di Natale della Disney. Esiste quindi la possibilità che, questa volta, la sensazione di “novità” abbia colpito più gli spettatori dell’Estremo Oriente, che quelli del nostro Ovest.
La storia, ambientata nell’odierno Giappone, ci fa conoscere la piccola e cagionevole Anna, che viene mandata in una località marina, per i mitigare i suoi problemi di salute. Il vissuto della giovane è piuttosto triste e questo la porta ad essere poco incline alle relazioni interpersonali (diciamo pure che è una vera e propria asociale), così, vagando per il villaggio con lo scopo di passare il tempo, subisce l’attrazione verso una vecchia casa apparentemente abbandonata, ed è a questo punto che, invece di fare la conoscenza di personaggi collegati alla tradizione scintoista, entriamo in contatto con un cliché del genere fantastico/horror delle storie occidentali (partendo da Lovecraft e passando per King), ma tranquilli, qui di horror non c’è niente. Da questo momento lo spettatore si ritrova davanti a una struttura narrativa molto abusata dalle nostre parti, che gli lascia quella sensazione di già visto, ma senza dargli la possibilità di capire dove lo si è visto, dato che, di queste case un po’ “speciali”, già partendo dai racconti della nostra infanzia, ne abbiamo incontrate a bizzeffe.
Il ritmo del racconto è tutt’altro che incalzante, e quindi c’è il rischio, nel caso siate un po’ stanchi, che le palpebre tendano a calare, tuttavia il fatto che ci sia più di un mistero da scoprire, e che comunque si cominci a provare una certa empatia verso la protagonista, permette di mantenere il giusto livello di attenzione. Lo sviluppo della storia è ben congegnato (è una sorta di mistery, ma senza delitti), tanto che, gradualmente, eventi e personaggi apparentemente separati e distanti tendono a convergere verso un finale tanto esplicativo quanto toccante, e sono capaci di rendere una storia, forse un po’ banale, un qualcosa di apprezzabile e coinvolgente (ma non travolgente).
Il comparto visivo è un ibrido tra la vecchia e nuova scuola, dato che c’è un grande utilizzo del “campo lungo”, dove tantissimi soggetti si muovono contemporaneamente, tipica prova di “forza” di Ghibli, ma, nello stesso tempo, viene utilizzata la computer grafica per i mezzi in movimento, e credo che ciò, per questo studio, sia la prima volta. La OST onestamente non mi ha lasciato molto.
In conclusione, “Quando c’era Marnie” è un discreto prodotto, che magari non entrerà nella storia dell’animazione, e non penso che sia nemmeno in cima alla classifica dei più amati di questo studio, ma che comunque vale la pena vedere. Meglio insieme, magari nel periodo natalizio. Voto: 7,5.
Anche se l’ambientazione è “giapponessisima”, i nomi delle protagoniste, Anna e Marnie, e una serie di altri riferimenti, fanno subito capire che questa volta lo studio Ghibli strizzi l’occhio “anche” al pubblico occidentale, oltre che a quello nipponico, creando però un certo paradosso: se da una parte la tipica tendenza di Myazaki (che qui è solo il produttore) di utilizzare nei suoi lungometraggi il folclore giapponese fatto di divinità, demoni e antichi miti del Sol Levante mi ha spesso lasciato la sensazione di non riuscire a cogliere in modo esaustivo il messaggio che l’autore stesso voleva inviare, dall’altro tutti questi personaggi, riferimenti e miti a noi così lontani mi hanno sempre trasmesso quel certo fascino esotico e curiosità, tali da contribuire a far nascere in me la forte attrazione verso questo lontano Paese.
“Quando c’era Marnie” invece, essendo tratto da un romanzo degli anni sessanta del ‘900, ad opera della scrittrice inglese Joan Gale Robinson, di cui Myazaki è un grande estimatore, attinge a piene mani al nostro folclore, e insieme ad una regia e un montaggio che ricordano molto i film di Hollywood, rende la narrazione piuttosto fruibile alle nostre latitudini, ma come diretta conseguenza lo fa sembrare molto simile al tipico “cartone” di Natale della Disney. Esiste quindi la possibilità che, questa volta, la sensazione di “novità” abbia colpito più gli spettatori dell’Estremo Oriente, che quelli del nostro Ovest.
La storia, ambientata nell’odierno Giappone, ci fa conoscere la piccola e cagionevole Anna, che viene mandata in una località marina, per i mitigare i suoi problemi di salute. Il vissuto della giovane è piuttosto triste e questo la porta ad essere poco incline alle relazioni interpersonali (diciamo pure che è una vera e propria asociale), così, vagando per il villaggio con lo scopo di passare il tempo, subisce l’attrazione verso una vecchia casa apparentemente abbandonata, ed è a questo punto che, invece di fare la conoscenza di personaggi collegati alla tradizione scintoista, entriamo in contatto con un cliché del genere fantastico/horror delle storie occidentali (partendo da Lovecraft e passando per King), ma tranquilli, qui di horror non c’è niente. Da questo momento lo spettatore si ritrova davanti a una struttura narrativa molto abusata dalle nostre parti, che gli lascia quella sensazione di già visto, ma senza dargli la possibilità di capire dove lo si è visto, dato che, di queste case un po’ “speciali”, già partendo dai racconti della nostra infanzia, ne abbiamo incontrate a bizzeffe.
Il ritmo del racconto è tutt’altro che incalzante, e quindi c’è il rischio, nel caso siate un po’ stanchi, che le palpebre tendano a calare, tuttavia il fatto che ci sia più di un mistero da scoprire, e che comunque si cominci a provare una certa empatia verso la protagonista, permette di mantenere il giusto livello di attenzione. Lo sviluppo della storia è ben congegnato (è una sorta di mistery, ma senza delitti), tanto che, gradualmente, eventi e personaggi apparentemente separati e distanti tendono a convergere verso un finale tanto esplicativo quanto toccante, e sono capaci di rendere una storia, forse un po’ banale, un qualcosa di apprezzabile e coinvolgente (ma non travolgente).
Il comparto visivo è un ibrido tra la vecchia e nuova scuola, dato che c’è un grande utilizzo del “campo lungo”, dove tantissimi soggetti si muovono contemporaneamente, tipica prova di “forza” di Ghibli, ma, nello stesso tempo, viene utilizzata la computer grafica per i mezzi in movimento, e credo che ciò, per questo studio, sia la prima volta. La OST onestamente non mi ha lasciato molto.
In conclusione, “Quando c’era Marnie” è un discreto prodotto, che magari non entrerà nella storia dell’animazione, e non penso che sia nemmeno in cima alla classifica dei più amati di questo studio, ma che comunque vale la pena vedere. Meglio insieme, magari nel periodo natalizio. Voto: 7,5.
Una storia che lascia veramente senza parole e tocca dentro e in profondità. La storia di una ragazza che soffre di asma, un'asma che si acuisce con la tensione dovuta al fatto di aver a che fare con le persone, ma che in realtà ha più a che fare con un sogno ricorrente nella mente della protagonista. Questa ragazza, Anna, vive una storia che sembra ambientata fuori, ma in realtà è prima di tutto ambientata dentro di lei.
Questo lo si capisce attraverso questo sogno in cui fa la conoscenza di Marnie, questa ragazza di buona famiglia che inizia a frequentare, ma che poi smette, a tratti, di farsi vedere, lasciando la povera Anna in preda alla tristezza, alla paura e alla depressione. Tuttavia, anche Marnie ha paura, perché si scopre che, nonostante abbia dei genitori che le vogliono bene, ci sono la matrigna e le due cameriere, le quali si dimostrano sempre rudi e si divertono a tormentarla. Quindi le due ragazze si separano. Questo è proprio il nucleo tematico della vicenda, la questione della solitudine. Molte persone pensano che stare da soli sia una cosa negativa, ma non necessariamente. Il punto non è essere da soli, ma sentirsi soli; ma in realtà noi non siamo soli, noi siamo sempre in presenza di qualcuno, soprattutto di noi stessi, ed è questo quello che il Maestro Yonebayashi vuole farci capire. Il punto è capire se si è felici con sé stessi, e poi solo allora si potrà cominciare a pensare di esseri felici con il prossimo e/o la prossima.
La vicenda è molto lenta ma semplice, ci fa vedere gli stati d'animo e mentali delle protagoniste, le quali vedono solo nella loro amicizia la chiave per uscire dalla loro prigione e sentirsi libere; proprio l'amicizia è il principale nucleo tematico della storia ivi narrata, perché, come si dice, un vero amico si vede nel momento del bisogno. Simbolica anche la canzone di chiusura "Free Outside", chiaro riferimento al senso di libertà che si prova nell'uscire anche semplicemente dalla propria casa.
Altro nucleo tematico fondamentale della vicenda è quello della famiglia, la quale è in questo caso sconvolta dalle tante perdite che subisce. Questo ci ricorda che non bisogna aspettare che i parenti ci lascino, ma bisogna cogliere sempre l'occasione per visitarli, assaporare ogni momento insieme a loro e parlare con loro, perché dopo sarà troppo tardi. Il messaggio appare quindi un chiaro e inequivocabile "carpe diem". Bellissimi e importanti anche i riferimenti (seppur indiretti) alla favola di Cenerentola, con la presenza di una matrigna e di due cameriere al posto delle due sorellastre, le quali si dimostrano tutt'altro che comprensive, soprattutto perché mosse dall'invidia provata nei confronti della ragazza nota come Marnie.
I paesaggi sono stupendi, realizzati come sempre con la tecnica dell'acquarello e quindi lontano dalla computer grafica. La musica gioca come sempre un ruolo molto piccolo, ma non per questo meno importante.
Questo lo si capisce attraverso questo sogno in cui fa la conoscenza di Marnie, questa ragazza di buona famiglia che inizia a frequentare, ma che poi smette, a tratti, di farsi vedere, lasciando la povera Anna in preda alla tristezza, alla paura e alla depressione. Tuttavia, anche Marnie ha paura, perché si scopre che, nonostante abbia dei genitori che le vogliono bene, ci sono la matrigna e le due cameriere, le quali si dimostrano sempre rudi e si divertono a tormentarla. Quindi le due ragazze si separano. Questo è proprio il nucleo tematico della vicenda, la questione della solitudine. Molte persone pensano che stare da soli sia una cosa negativa, ma non necessariamente. Il punto non è essere da soli, ma sentirsi soli; ma in realtà noi non siamo soli, noi siamo sempre in presenza di qualcuno, soprattutto di noi stessi, ed è questo quello che il Maestro Yonebayashi vuole farci capire. Il punto è capire se si è felici con sé stessi, e poi solo allora si potrà cominciare a pensare di esseri felici con il prossimo e/o la prossima.
La vicenda è molto lenta ma semplice, ci fa vedere gli stati d'animo e mentali delle protagoniste, le quali vedono solo nella loro amicizia la chiave per uscire dalla loro prigione e sentirsi libere; proprio l'amicizia è il principale nucleo tematico della storia ivi narrata, perché, come si dice, un vero amico si vede nel momento del bisogno. Simbolica anche la canzone di chiusura "Free Outside", chiaro riferimento al senso di libertà che si prova nell'uscire anche semplicemente dalla propria casa.
Altro nucleo tematico fondamentale della vicenda è quello della famiglia, la quale è in questo caso sconvolta dalle tante perdite che subisce. Questo ci ricorda che non bisogna aspettare che i parenti ci lascino, ma bisogna cogliere sempre l'occasione per visitarli, assaporare ogni momento insieme a loro e parlare con loro, perché dopo sarà troppo tardi. Il messaggio appare quindi un chiaro e inequivocabile "carpe diem". Bellissimi e importanti anche i riferimenti (seppur indiretti) alla favola di Cenerentola, con la presenza di una matrigna e di due cameriere al posto delle due sorellastre, le quali si dimostrano tutt'altro che comprensive, soprattutto perché mosse dall'invidia provata nei confronti della ragazza nota come Marnie.
I paesaggi sono stupendi, realizzati come sempre con la tecnica dell'acquarello e quindi lontano dalla computer grafica. La musica gioca come sempre un ruolo molto piccolo, ma non per questo meno importante.
Un anime stupendo, dolcissimo e tenero come pochi... la dolcezza e il sentimento trattati sono al pari de "La forma della voce", altro anime di cui mi sono innamorato. Non ho letto il romanzo, ma lo farò.
"Quando c'era Marnie" rappresenta uno di quei capolavori in cui lo spettatore vorrebbe essere catapultato solamente per esserne immerso nei paesaggi e nelle scenografie. La storia è di una tenerezza e di uno spessore incredibile: Anna non solo riesce ad uscire dal suo guscio di dolore e "diversità", ma scopre il perchè del legame con Marnie e il perchè questa appaia solamente a lei. Anna scopre che il dolore fa parte della vita di ognuno di noi e che non è l'unica a dover fronteggiare una vita di mancanze e sofferenza; ed è proprio durante tale percorso di crescita che scopre per mezzo della sua amica (e non solo) Marnie di non essere sola.
Vi sono piccolissimi difetti nella narrazione: alcune volte l'anime risulta poco credibile per via della difficoltà nel poter rappresentare al meglio i momenti di contatto con Marnie.
Una perla che non deve mancare nella vostra collezione e come vostro bagaglio culturale e sentimentale.
"Quando c'era Marnie" rappresenta uno di quei capolavori in cui lo spettatore vorrebbe essere catapultato solamente per esserne immerso nei paesaggi e nelle scenografie. La storia è di una tenerezza e di uno spessore incredibile: Anna non solo riesce ad uscire dal suo guscio di dolore e "diversità", ma scopre il perchè del legame con Marnie e il perchè questa appaia solamente a lei. Anna scopre che il dolore fa parte della vita di ognuno di noi e che non è l'unica a dover fronteggiare una vita di mancanze e sofferenza; ed è proprio durante tale percorso di crescita che scopre per mezzo della sua amica (e non solo) Marnie di non essere sola.
Vi sono piccolissimi difetti nella narrazione: alcune volte l'anime risulta poco credibile per via della difficoltà nel poter rappresentare al meglio i momenti di contatto con Marnie.
Una perla che non deve mancare nella vostra collezione e come vostro bagaglio culturale e sentimentale.
Sono venuta a conoscenza di questa storia tramite il qui presente film prodotto dallo Studio Ghibli nel 2014, scritto e diretto da Hiromasa Yonebayashi.
L’ho visto e amato profondamente, per poi andare a leggere, non molto tempo dopo, il romanzo da cui è stato tratto, cioè “When Marnie Was There” di Joan G. Robinson, pubblicato in Inghilterra nel lontano 1967. Ha visto una edizione italiana, da parte della Kappalab (casa editrice che porta in Italia i romanzi da cui sono stati tratti i film dello Studio Ghibli), solo dopo l’uscita del film, e quindi nel 2014.
Trama: farò un breve riassunto della trama di entrambe le opere; le differenze in realtà sono poche.
Anna è una bambina solitaria e silenziosa, rimasta orfana quando era molto piccola. Vive con i suoi genitori adottivi che un giorno decidono di mandarla a passare le vacanze estive in un paesino in riva al mare, da una coppia attempata, dove lei potrà respirare aria pulita e giocare con gli altri bambini della sua età. Infatti Anna soffre di asma, che le provoca ogni tanto qualche grave attacco, costringendola a letto. L’aria di città non l’aiuta, e quindi il dottore insisterà per far aderire i genitori adottivi a questa soluzione alternativa. Effettivamente le giornate in riva al mare e le lunghe passeggiate faranno bene alla salute fisica della bambina, ma lo stesso non si potrebbe dire per il fare amicizia: lei non riesce a socializzare e a comportarsi adeguatamente con i suoi coetanei, preferendo passare inosservata con la sua faccia ordinaria che la rende invisibile.
Tutto questo fino a quando non incontrerà Marnie, una strana bambina dai lunghi capelli biondi di circa la sua età: entrambe diventeranno amiche, ma una forza invisibile tenterà di dividerle. Infatti Marnie vive nella grande villa sulla palude, che sembra del tutto in rovina e disabitata, ma stranamente a volte prende vita, riempiendosi di feste e persone. Ben presto la situazione comincerà a prendere una spiega inaspettata, e Anna dovrà affrontare la realtà dei fatti.
Le sostanziali differenze tra le due opere sono l’epoca e il Paese in cui vengono ambientate. Nel romanzo siamo in Inghilterra, nell’estate del 1967; Anna vive a Londra e si trasferisce a Little Overton, questo piccolo paese marittimo. Nel film ci troviamo ai giorni nostri, in Giappone, la bambina abita a Sapporo, mentre il nome del villaggio non sarà specificato, indicando solo che si trova nell’Hokkaido orientale. Inoltre nel film viene detto che la vecchia coppia che ospiterà Anna per tutta l’estate sono dei parenti, mentre nel romanzo vengono definiti degli amici di famiglia.
Il lavoro dello Studio Ghibli è stato egregio; non si smentiscono mai con i soliti paesaggi e sfondi mozzafiato, le animazioni fluide e il disegno pulito, trasmettendo il profondo sentimento che il romanzo voleva donare ai suoi lettori in una forma visiva e udibile. Che importa se Anna nel film ama disegnare mentre nel romanzo a questo non viene fatto cenno? E’ un tocco in più che dona spessore a un personaggio che secondo me in una trasposizione visiva avrebbe perso molto: con i suoi disegni a colpo d’occhio possiamo capire cos’è che ama e il suo carattere. Vuole stare sola, osservare la natura e le persone da lontano, senza entrare a contatto con nessuno di loro, perché ha paura di rovinare tutto. Anna è scorbutica, antipatica e ordinaria. E’ meglio per lei stare distante, senza causare fastidi e disagi.
Nel romanzo questo sarà fin da subito chiaro, perché possiamo costantemente leggere le sue emozioni, nel film invece la passione del disegno permetterà a una “figura muta” di esprimersi.
Ci sono dei difetti da sottolineare? Non proprio. Il problema principale è l’adattamento italiano del film: le traduzioni prese fin troppo letterali dal giapponese porteranno spesso a frasi non proprio corrette o comunque di uso poco comune. Sarebbe meglio vederlo in giapponese, sottotitolato dai fan, in italiano o inglese, se ancora si trova.
Però posso dire che ho trovato pareri discordanti sul film (ma solo perché non ho discusso con nessuno del romanzo), tra chi l’ha amato come me e tra chi ne è rimasto indifferente. Questo mi ha fatto riflettere, portandomi a paragonare entrambe le opere a qualcosa di particolare, delicato e leggero come il vento: se ti accarezza in certi punti, ti strega, se no ti lascia abbastanza indifferente. Però penso che sia davvero impossibile riuscire a odiarlo, ma forse qualcuno di voi potrebbe sorprendermi, rivelandomi però i motivi che l’hanno spinto a questa conclusione.
“Quando c’era Marnie” non è solo una storia di amicizia, ma parla di come, anche una sola persona, possa fare la differenza nella vita di qualcun altro. Anna aveva bisogno di Marnie, e così viceversa. Il fato permetterà soltanto a due anime affini di reclamare il loro tempo insieme, nonostante tutto.
Concludo con qualche curiosità: il romanzo è considerato da Hayao Miyazaki uno dei cinquanta libri che hanno più influenzato il suo operato. Ora che c’è anche in italiano, non avete più scuse per non leggerlo!
Il titolo originale del romanzo doveva essere solo “Marnie”, ma, siccome stava per uscire il film omonimo di Alfred Hitchcock, l’autrice è stata costretta a cambiarlo.
Anna è altamente ispirata all’infanzia della stessa autrice.
Il paese marittimo esiste davvero ed è diventato una meta turistica per i fan del romanzo e del film.
L’idea di “Marnie” nacque quando durante l’estate l’autrice vide una bambina alla finestra, mentre qualcuno le pettinava i lunghi capelli biondi.
L’ho visto e amato profondamente, per poi andare a leggere, non molto tempo dopo, il romanzo da cui è stato tratto, cioè “When Marnie Was There” di Joan G. Robinson, pubblicato in Inghilterra nel lontano 1967. Ha visto una edizione italiana, da parte della Kappalab (casa editrice che porta in Italia i romanzi da cui sono stati tratti i film dello Studio Ghibli), solo dopo l’uscita del film, e quindi nel 2014.
Trama: farò un breve riassunto della trama di entrambe le opere; le differenze in realtà sono poche.
Anna è una bambina solitaria e silenziosa, rimasta orfana quando era molto piccola. Vive con i suoi genitori adottivi che un giorno decidono di mandarla a passare le vacanze estive in un paesino in riva al mare, da una coppia attempata, dove lei potrà respirare aria pulita e giocare con gli altri bambini della sua età. Infatti Anna soffre di asma, che le provoca ogni tanto qualche grave attacco, costringendola a letto. L’aria di città non l’aiuta, e quindi il dottore insisterà per far aderire i genitori adottivi a questa soluzione alternativa. Effettivamente le giornate in riva al mare e le lunghe passeggiate faranno bene alla salute fisica della bambina, ma lo stesso non si potrebbe dire per il fare amicizia: lei non riesce a socializzare e a comportarsi adeguatamente con i suoi coetanei, preferendo passare inosservata con la sua faccia ordinaria che la rende invisibile.
Tutto questo fino a quando non incontrerà Marnie, una strana bambina dai lunghi capelli biondi di circa la sua età: entrambe diventeranno amiche, ma una forza invisibile tenterà di dividerle. Infatti Marnie vive nella grande villa sulla palude, che sembra del tutto in rovina e disabitata, ma stranamente a volte prende vita, riempiendosi di feste e persone. Ben presto la situazione comincerà a prendere una spiega inaspettata, e Anna dovrà affrontare la realtà dei fatti.
Le sostanziali differenze tra le due opere sono l’epoca e il Paese in cui vengono ambientate. Nel romanzo siamo in Inghilterra, nell’estate del 1967; Anna vive a Londra e si trasferisce a Little Overton, questo piccolo paese marittimo. Nel film ci troviamo ai giorni nostri, in Giappone, la bambina abita a Sapporo, mentre il nome del villaggio non sarà specificato, indicando solo che si trova nell’Hokkaido orientale. Inoltre nel film viene detto che la vecchia coppia che ospiterà Anna per tutta l’estate sono dei parenti, mentre nel romanzo vengono definiti degli amici di famiglia.
Il lavoro dello Studio Ghibli è stato egregio; non si smentiscono mai con i soliti paesaggi e sfondi mozzafiato, le animazioni fluide e il disegno pulito, trasmettendo il profondo sentimento che il romanzo voleva donare ai suoi lettori in una forma visiva e udibile. Che importa se Anna nel film ama disegnare mentre nel romanzo a questo non viene fatto cenno? E’ un tocco in più che dona spessore a un personaggio che secondo me in una trasposizione visiva avrebbe perso molto: con i suoi disegni a colpo d’occhio possiamo capire cos’è che ama e il suo carattere. Vuole stare sola, osservare la natura e le persone da lontano, senza entrare a contatto con nessuno di loro, perché ha paura di rovinare tutto. Anna è scorbutica, antipatica e ordinaria. E’ meglio per lei stare distante, senza causare fastidi e disagi.
Nel romanzo questo sarà fin da subito chiaro, perché possiamo costantemente leggere le sue emozioni, nel film invece la passione del disegno permetterà a una “figura muta” di esprimersi.
Ci sono dei difetti da sottolineare? Non proprio. Il problema principale è l’adattamento italiano del film: le traduzioni prese fin troppo letterali dal giapponese porteranno spesso a frasi non proprio corrette o comunque di uso poco comune. Sarebbe meglio vederlo in giapponese, sottotitolato dai fan, in italiano o inglese, se ancora si trova.
Però posso dire che ho trovato pareri discordanti sul film (ma solo perché non ho discusso con nessuno del romanzo), tra chi l’ha amato come me e tra chi ne è rimasto indifferente. Questo mi ha fatto riflettere, portandomi a paragonare entrambe le opere a qualcosa di particolare, delicato e leggero come il vento: se ti accarezza in certi punti, ti strega, se no ti lascia abbastanza indifferente. Però penso che sia davvero impossibile riuscire a odiarlo, ma forse qualcuno di voi potrebbe sorprendermi, rivelandomi però i motivi che l’hanno spinto a questa conclusione.
“Quando c’era Marnie” non è solo una storia di amicizia, ma parla di come, anche una sola persona, possa fare la differenza nella vita di qualcun altro. Anna aveva bisogno di Marnie, e così viceversa. Il fato permetterà soltanto a due anime affini di reclamare il loro tempo insieme, nonostante tutto.
Concludo con qualche curiosità: il romanzo è considerato da Hayao Miyazaki uno dei cinquanta libri che hanno più influenzato il suo operato. Ora che c’è anche in italiano, non avete più scuse per non leggerlo!
Il titolo originale del romanzo doveva essere solo “Marnie”, ma, siccome stava per uscire il film omonimo di Alfred Hitchcock, l’autrice è stata costretta a cambiarlo.
Anna è altamente ispirata all’infanzia della stessa autrice.
Il paese marittimo esiste davvero ed è diventato una meta turistica per i fan del romanzo e del film.
L’idea di “Marnie” nacque quando durante l’estate l’autrice vide una bambina alla finestra, mentre qualcuno le pettinava i lunghi capelli biondi.
<b>Attenzione: la recensione contiene spoiler</b>
"Quando c'era Marnie" è un lungometraggio animato prodotto dallo Studio Ghibli e diretto da Hiromasa Yonebayashi, ispirato al romanzo di Joan G. Robinson "When Marnie Was There".
La trama è molto semplice, anche se non subito intuitiva, e ciò la rende più interessante, perché l'identità di Marnie viene svelata solo nel finale, che diverrà inaspettato grazie anche alla scarsa somiglianza tra le due ragazze protagoniste.
Anna Sasaki è una ragazzina molto introversa, che si definisce fuori dal "cerchio magico della società", i suoi attacchi d'asma e il suo carattere schivo la portano a isolarsi sempre di più nel suo mondo interiore di preoccupazioni e disegni. Quando la madre adottiva su consiglio del medico la manda in Hokkaido da alcuni parenti, Anna ha l'occasione di conoscere persone nuove, ma finisce al contrario per rovinare tutto e passare il resto dei giorni a girovagare in cerca di paesaggi da disegnare; uno di questi sarà la villa sull'acquitrino dove c'era Marnie.
Ciò che distrae lo spettatore dal sapere l'identità di Marnie è proprio il carattere della ragazza, che sembra aver creato un'amica immaginaria con la quale passare il tempo. Pian piano si scoprirà la vita di Marnie e quella di Anna mescolate insieme, le loro preoccupazioni e le loro gioie descritte in maniera delicata, passato e presente che si intrecciano, vite che si toccano e sentimenti che vengono finalmente espressi.
E alla fine la protagonista riesce grazie alla storia di Marnie a trovare un'amica, una donna con la sua stessa passione, e, più importante, quella che era la nonna che si era presa cura di lei durante la sua infanzia.
Il comparto tecnico è molto buono, i disegni sono nello stile semplice ed espressivo dello Studio Ghibli per quanto riguarda i personaggi, mentre i paesaggi sono molto curati, specialmente quelli dedicati alla villa, quelli luminosi dei paesaggi dell'Hokkaido e i cieli colorati nelle varie fasi della giornata che si specchiano nell'acquitrino.
Non mi sorprende che questo film sia stato candidato all'Oscar 2016 come miglior film d'animazione; consiglio la visione specialmente agli utenti più sensibili, che apprezzeranno sicuramente.
"Quando c'era Marnie" è un lungometraggio animato prodotto dallo Studio Ghibli e diretto da Hiromasa Yonebayashi, ispirato al romanzo di Joan G. Robinson "When Marnie Was There".
La trama è molto semplice, anche se non subito intuitiva, e ciò la rende più interessante, perché l'identità di Marnie viene svelata solo nel finale, che diverrà inaspettato grazie anche alla scarsa somiglianza tra le due ragazze protagoniste.
Anna Sasaki è una ragazzina molto introversa, che si definisce fuori dal "cerchio magico della società", i suoi attacchi d'asma e il suo carattere schivo la portano a isolarsi sempre di più nel suo mondo interiore di preoccupazioni e disegni. Quando la madre adottiva su consiglio del medico la manda in Hokkaido da alcuni parenti, Anna ha l'occasione di conoscere persone nuove, ma finisce al contrario per rovinare tutto e passare il resto dei giorni a girovagare in cerca di paesaggi da disegnare; uno di questi sarà la villa sull'acquitrino dove c'era Marnie.
Ciò che distrae lo spettatore dal sapere l'identità di Marnie è proprio il carattere della ragazza, che sembra aver creato un'amica immaginaria con la quale passare il tempo. Pian piano si scoprirà la vita di Marnie e quella di Anna mescolate insieme, le loro preoccupazioni e le loro gioie descritte in maniera delicata, passato e presente che si intrecciano, vite che si toccano e sentimenti che vengono finalmente espressi.
E alla fine la protagonista riesce grazie alla storia di Marnie a trovare un'amica, una donna con la sua stessa passione, e, più importante, quella che era la nonna che si era presa cura di lei durante la sua infanzia.
Il comparto tecnico è molto buono, i disegni sono nello stile semplice ed espressivo dello Studio Ghibli per quanto riguarda i personaggi, mentre i paesaggi sono molto curati, specialmente quelli dedicati alla villa, quelli luminosi dei paesaggi dell'Hokkaido e i cieli colorati nelle varie fasi della giornata che si specchiano nell'acquitrino.
Non mi sorprende che questo film sia stato candidato all'Oscar 2016 come miglior film d'animazione; consiglio la visione specialmente agli utenti più sensibili, che apprezzeranno sicuramente.
"Omoide no Marnie", letteralmente tradotto "Marnie dei ricordi", e portato in Italia col titolo "Quando c'era Marnie", è un lungometraggio della durata di circa cento minuti, diretto da Hiromasa Yonebayashi, prodotto dallo Studio Ghibli, e tratto dal romanzo "When Marnie Was There" di Joan G. Robinson.
Anna è un'introversa e poco socievole ragazzina di dodici anni, che vive da sempre con sua madre adottiva, in quanto orfana sin da piccola. A causa di forti attacchi d'asma, sotto consiglio del dottore la piccola è obbligata a trascorrere le vacanze estive in un piccolo paesino in riva al mare, dove abitano dei suoi parenti fino ad allora sconosciuti. Qui Anna farà la conoscenza di Marnie, una misteriosa ragazza dai capelli biondi che vive in una villa apparentemente disabitata, e con la quale riuscirà, per la prima volta in vita sua, a stringere un vero rapporto di amicizia.
Una trama semplice e delicata che, senza regalare intense scene d'azione o momenti eccessivamente smielati, segue la crescita personale della protagonista nel corso della sua breve vacanza in riva al mare. "Omoide no Marnie" è una storia dal ritmo lento e dai toni molto dolci, in grado di emozionare, di coinvolgere lo spettatore al suo interno, e alla fine anche di commuoverlo. L'opera racchiude in sé lo spirito dei vecchi film che hanno reso famoso lo Studio Ghibli in tutto il mondo e, ad eccezione del comparto tecnico che si è adattato agli standard odierni, sembra di vedere un prodotto d'altri tempi.
I personaggi principali sono pochi ma ottimamente caratterizzati, e lo sviluppo della protagonista è reso alla perfezione, senza forzature di alcun tipo.
Il continuo alternarsi di realtà e fantasia costituisce un altro grosso punto a favore dell'opera, ed è proprio grazie a questo elemento che la vicenda diventa misteriosa e intrigante quanto basta per tenere lo spettatore incollato allo schermo, nella speranza di scoprire la vera natura della villa e dei suoi abitanti.
Come precedentemente accennato, anche dal punto di vista tecnico "Omoide no Marnie" si difende più che bene. Graficamente non possono passare inosservati i meravigliosi fondali ricchi di dettagli e di colori intensi; uniti a un'ambientazione suggestiva e ben congegnata, l'effetto è assicurato. Il character design è semplice ed efficace, mentre le animazioni solamente discrete.
Il comparto sonoro è eccelso, ricrea sempre l'atmosfera adatta senza sbagliare un colpo, e propone un doppiaggio a mio avviso più che adeguato. Impossibile non citare la canzone conclusiva, "Fine on the Outside" di Priscilla Ahn, che cala perfettamente il sipario.
Il finale è sicuramente la parte più intensa e meglio riuscita, e attraverso una serie di rivelazioni tutt'altro che scontate riuscirà a smuovere l'animo dello spettatore, e a farsi ricordare per lungo tempo.
In conclusione, "Omoide no Marnie" è stato una grossa e gradita sorpresa e, se veramente si rivelasse essere l'ultimo film prodotto dallo studio Ghibli, sarebbe sicuramente una conclusione degna di tale nome. Un prodotto semplice ed emozionante, dinanzi al quale non si potrà rimanere indifferenti. Più che consigliato.
Anna è un'introversa e poco socievole ragazzina di dodici anni, che vive da sempre con sua madre adottiva, in quanto orfana sin da piccola. A causa di forti attacchi d'asma, sotto consiglio del dottore la piccola è obbligata a trascorrere le vacanze estive in un piccolo paesino in riva al mare, dove abitano dei suoi parenti fino ad allora sconosciuti. Qui Anna farà la conoscenza di Marnie, una misteriosa ragazza dai capelli biondi che vive in una villa apparentemente disabitata, e con la quale riuscirà, per la prima volta in vita sua, a stringere un vero rapporto di amicizia.
Una trama semplice e delicata che, senza regalare intense scene d'azione o momenti eccessivamente smielati, segue la crescita personale della protagonista nel corso della sua breve vacanza in riva al mare. "Omoide no Marnie" è una storia dal ritmo lento e dai toni molto dolci, in grado di emozionare, di coinvolgere lo spettatore al suo interno, e alla fine anche di commuoverlo. L'opera racchiude in sé lo spirito dei vecchi film che hanno reso famoso lo Studio Ghibli in tutto il mondo e, ad eccezione del comparto tecnico che si è adattato agli standard odierni, sembra di vedere un prodotto d'altri tempi.
I personaggi principali sono pochi ma ottimamente caratterizzati, e lo sviluppo della protagonista è reso alla perfezione, senza forzature di alcun tipo.
Il continuo alternarsi di realtà e fantasia costituisce un altro grosso punto a favore dell'opera, ed è proprio grazie a questo elemento che la vicenda diventa misteriosa e intrigante quanto basta per tenere lo spettatore incollato allo schermo, nella speranza di scoprire la vera natura della villa e dei suoi abitanti.
Come precedentemente accennato, anche dal punto di vista tecnico "Omoide no Marnie" si difende più che bene. Graficamente non possono passare inosservati i meravigliosi fondali ricchi di dettagli e di colori intensi; uniti a un'ambientazione suggestiva e ben congegnata, l'effetto è assicurato. Il character design è semplice ed efficace, mentre le animazioni solamente discrete.
Il comparto sonoro è eccelso, ricrea sempre l'atmosfera adatta senza sbagliare un colpo, e propone un doppiaggio a mio avviso più che adeguato. Impossibile non citare la canzone conclusiva, "Fine on the Outside" di Priscilla Ahn, che cala perfettamente il sipario.
Il finale è sicuramente la parte più intensa e meglio riuscita, e attraverso una serie di rivelazioni tutt'altro che scontate riuscirà a smuovere l'animo dello spettatore, e a farsi ricordare per lungo tempo.
In conclusione, "Omoide no Marnie" è stato una grossa e gradita sorpresa e, se veramente si rivelasse essere l'ultimo film prodotto dallo studio Ghibli, sarebbe sicuramente una conclusione degna di tale nome. Un prodotto semplice ed emozionante, dinanzi al quale non si potrà rimanere indifferenti. Più che consigliato.
Oddio, i feels... comunque è assurdo che lo studio Ghibli sforni continuamente capolavori!
Dunque, da come mi aspettavo, questo anime rispetto al romanzo è un po' diverso. Normalmente, per far stare un'intera storia in un'ora e mezza di film, dei tagli bisogna pur farli. E qui sono stati fatti intelligentemente, risistemando le scene in modo da rendere il prodotto finale piacevole e omogeneo.
Forse una cosa che non tutti apprezzeranno è che tutta la storia è stata portata dall' "English style" al "Japan style". Quindi sono stati cambiati i nomi dei luoghi, e persino tutti quelli dei personaggi (tranne Marnie e Anna). Mi è dispiaciuto solo per il pescatore, che nel libro il suo nome "Unditropp" aveva un significato preciso.
Tutto sommato gli artisti dello studio Ghibli hanno fatto davvero un ottimo lavoro. Graficamente, poi, è stato uno spettacolo per gli occhi. Si nota molto la differenza che questo genere di anime ha messo a confronto con quelli commerciali.
Voto: 10
Dunque, da come mi aspettavo, questo anime rispetto al romanzo è un po' diverso. Normalmente, per far stare un'intera storia in un'ora e mezza di film, dei tagli bisogna pur farli. E qui sono stati fatti intelligentemente, risistemando le scene in modo da rendere il prodotto finale piacevole e omogeneo.
Forse una cosa che non tutti apprezzeranno è che tutta la storia è stata portata dall' "English style" al "Japan style". Quindi sono stati cambiati i nomi dei luoghi, e persino tutti quelli dei personaggi (tranne Marnie e Anna). Mi è dispiaciuto solo per il pescatore, che nel libro il suo nome "Unditropp" aveva un significato preciso.
Tutto sommato gli artisti dello studio Ghibli hanno fatto davvero un ottimo lavoro. Graficamente, poi, è stato uno spettacolo per gli occhi. Si nota molto la differenza che questo genere di anime ha messo a confronto con quelli commerciali.
Voto: 10
Bisogna ammetterlo: anche quando non c'è di mezzo il maestro Hayao Miyazaki, lo studio Ghibli non sceglie mai a caso le storie che rappresenta e riesce quasi sempre a trasformarle in autentici capolavori. Così la nomination all'Oscar per questo "Omoide no Marnie" non deve essere considerata come una semplice scelta da parte dei selezionatori, ma quasi un atto dovuto: lasciarlo fuori dal quintetto che il ventotto febbraio 2016 concorrerà per l'attribuzione del riconoscimento cinematografico più ambito sarebbe stato un vero e proprio scandalo. Non ho visto gli altri film in competizione, ma, dipendesse da me, vincerebbe la statuetta a mani basse.
Raramente mostro tanto entusiasmo per un anime, film o serie che sia; però, a caldo, devo dire che mi è piaciuto proprio tutto: sceneggiatura, personaggi, grafica, colonna sonora. E quando questo capita non posso che fare chapeau e applaudire a scena aperta.
Anna è una ragazzina dodicenne che vive a Sapporo insieme ai suoi genitori adottivi; la sua infanzia difficile l'ha resa una persona che tende a isolarsi dagli altri per dedicarsi a quella che all'apparenza è la sua unica passione, ossia il disegno. A causa dell'asma che l'affligge le viene prescritto un periodo di riposo da trascorrere dove c'è aria buona; così viene mandata a trascorrere l'estate da degli zii che vivono vicino al mare. Da subito la ragazzina rimane affascinata da una vecchia casa apparentemente disabitata nel mezzo di un acquitrino; e sarà proprio qui che incontrerà Marnie, una graziosissima ragazza bionda della sua stessa età, che afferma di abitare da sempre proprio all'interno di quella casa.
Tratto da un romanzo della scrittrice inglese Joan G. Robinson e diretto da Hiromasa Yonebayashi, "Omoide no Marnie" è un film dolce e profondo, adattissimo anche alle fasce d'età più giovani: ma queste sono da sempre le caratteristiche che lo studio Ghibli ha sempre posto al centro del suo modo di fare animazione, è il suo personalissimo marchio di fabbrica che rende facilmente riconoscibili i suoi lavori tra migliaia di altri.
Che ci sia qualcosa di soprannaturale nella storia è evidente sin da subito e ciò può far nascere nello spettatore la sensazione che il mistero sia stato nascosto male e la presunzione di aver già capito tutto. Questo si rivelerà essere un grave errore, in quanto la verità verrà rivelata solo nel finale e costituirà una vera sorpresa (o almeno per me è stato così).
"Omoide no Marnie" è invece un film molto introspettivo; l'introspezione, però, non avviene solo all'interno della giovane protagonista, ma viene proiettata materialmente all'esterno attraverso la creazione di determinati personaggi o situazioni che guideranno Anna nel viaggio all'interno del proprio io alla ricerca di una verità che, a causa dei traumi subiti, non riusciva a vedere.
La tentazione di spoilerare qualcosa è molto forte, per cui mi trovo costretto a fermarmi qui. Mi resta solo da aggiungere che, se non si fosse capito, questo film è davvero molto bello e che quindi non posso far altro che consigliarlo vivamente a tutti.
Raramente mostro tanto entusiasmo per un anime, film o serie che sia; però, a caldo, devo dire che mi è piaciuto proprio tutto: sceneggiatura, personaggi, grafica, colonna sonora. E quando questo capita non posso che fare chapeau e applaudire a scena aperta.
Anna è una ragazzina dodicenne che vive a Sapporo insieme ai suoi genitori adottivi; la sua infanzia difficile l'ha resa una persona che tende a isolarsi dagli altri per dedicarsi a quella che all'apparenza è la sua unica passione, ossia il disegno. A causa dell'asma che l'affligge le viene prescritto un periodo di riposo da trascorrere dove c'è aria buona; così viene mandata a trascorrere l'estate da degli zii che vivono vicino al mare. Da subito la ragazzina rimane affascinata da una vecchia casa apparentemente disabitata nel mezzo di un acquitrino; e sarà proprio qui che incontrerà Marnie, una graziosissima ragazza bionda della sua stessa età, che afferma di abitare da sempre proprio all'interno di quella casa.
Tratto da un romanzo della scrittrice inglese Joan G. Robinson e diretto da Hiromasa Yonebayashi, "Omoide no Marnie" è un film dolce e profondo, adattissimo anche alle fasce d'età più giovani: ma queste sono da sempre le caratteristiche che lo studio Ghibli ha sempre posto al centro del suo modo di fare animazione, è il suo personalissimo marchio di fabbrica che rende facilmente riconoscibili i suoi lavori tra migliaia di altri.
Che ci sia qualcosa di soprannaturale nella storia è evidente sin da subito e ciò può far nascere nello spettatore la sensazione che il mistero sia stato nascosto male e la presunzione di aver già capito tutto. Questo si rivelerà essere un grave errore, in quanto la verità verrà rivelata solo nel finale e costituirà una vera sorpresa (o almeno per me è stato così).
"Omoide no Marnie" è invece un film molto introspettivo; l'introspezione, però, non avviene solo all'interno della giovane protagonista, ma viene proiettata materialmente all'esterno attraverso la creazione di determinati personaggi o situazioni che guideranno Anna nel viaggio all'interno del proprio io alla ricerca di una verità che, a causa dei traumi subiti, non riusciva a vedere.
La tentazione di spoilerare qualcosa è molto forte, per cui mi trovo costretto a fermarmi qui. Mi resta solo da aggiungere che, se non si fosse capito, questo film è davvero molto bello e che quindi non posso far altro che consigliarlo vivamente a tutti.
Alla fine stavo piangendo. Sarà il periodo un po' particolare della mia vita, la voglia di immergermi in un film che sospettavo mi avrebbe rapito e portato via un pezzo di anima, un po' il film stesso, ma alla fine, copiosamente, stavo piangendo.
E così Hiromasa Yonebayashi prosegue il già ben noto filone dello studio Ghibli, con una regia buona, delle animazioni che io, personalmente, amo alla follia. Una serie di interessanti stacchi e una discreta quantità di dolcezza e passione.
Nonostante questo incipit, nonostante il santo pianto liberatorio di commozione felice finale, devo ammettere che il film di per sé non è l'eccellenza. Attendevo qualcosa di diverso, anche verso la fine, quando tutto era deciso, quando si profilava un finale scontato quanto i saldi dopo Natale... ecco che devo ammettere che il film non mi ha colpito.
Sono soddisfatto, sia chiaro, soddisfattissimo: considerando la media dei film che girano nei cinema questo può sembrare un capolavoro. Ma così non è.
Dicevamo del disegno, ecco, quello risulta sempre molto piacevole, leggero, il dolce contrasto tra gli sfondi quasi mai ben definiti e le linee nitide e pulite dei soggetti principali. Non per nulla lo studio Ghibli qualche certezza la regala. Le musiche sono essenziali, relegate a poche scene fortemente caratterizzate, il finale si chiude su una melodia che, a risentirla, già mi spuntano nuovi goccioloni agli occhi.
La trama, invece, è il punto dolente del film. Un po' troppo scarna, lenta, eccessivamente semplicistica. Sembra studiata per i bimbi dell'asilo con bisogni speciali e non per un pubblico anche solo un minimo scaltro. I personaggi sono tutti caratterizzati ed eccessivamente inquadrati nel loro ruolo, risultando a volte quasi grotteschi nel loro continuo e ripetuto volersi attenere alla linea (rigida) del loro destino. Non ci sono novità, non sembra ci sia voglia di riscatto, da parte di nessuno (il finale su cui tanto speravo qualcosa fa intravedere in merito... ma è un po' poco).
Insomma, un film da vedere? Ovviamente sì. Perché anche se non si piangerà come ho fatto io (ma un nodino in gola lo avrete), anche se non è un capolavoro dello studio Ghibli, certamente è un film che racconta una storia, la racconta con una bella regia e con spunti che faranno riflettere (le prime frasi, sul cerchio - chi lo vedrà capirà - sono quelle che più mi hanno colpito), pertanto è uno di quei film che non si possono perdere. Ma sono un po' di parte, lo ammetto.
E così Hiromasa Yonebayashi prosegue il già ben noto filone dello studio Ghibli, con una regia buona, delle animazioni che io, personalmente, amo alla follia. Una serie di interessanti stacchi e una discreta quantità di dolcezza e passione.
Nonostante questo incipit, nonostante il santo pianto liberatorio di commozione felice finale, devo ammettere che il film di per sé non è l'eccellenza. Attendevo qualcosa di diverso, anche verso la fine, quando tutto era deciso, quando si profilava un finale scontato quanto i saldi dopo Natale... ecco che devo ammettere che il film non mi ha colpito.
Sono soddisfatto, sia chiaro, soddisfattissimo: considerando la media dei film che girano nei cinema questo può sembrare un capolavoro. Ma così non è.
Dicevamo del disegno, ecco, quello risulta sempre molto piacevole, leggero, il dolce contrasto tra gli sfondi quasi mai ben definiti e le linee nitide e pulite dei soggetti principali. Non per nulla lo studio Ghibli qualche certezza la regala. Le musiche sono essenziali, relegate a poche scene fortemente caratterizzate, il finale si chiude su una melodia che, a risentirla, già mi spuntano nuovi goccioloni agli occhi.
La trama, invece, è il punto dolente del film. Un po' troppo scarna, lenta, eccessivamente semplicistica. Sembra studiata per i bimbi dell'asilo con bisogni speciali e non per un pubblico anche solo un minimo scaltro. I personaggi sono tutti caratterizzati ed eccessivamente inquadrati nel loro ruolo, risultando a volte quasi grotteschi nel loro continuo e ripetuto volersi attenere alla linea (rigida) del loro destino. Non ci sono novità, non sembra ci sia voglia di riscatto, da parte di nessuno (il finale su cui tanto speravo qualcosa fa intravedere in merito... ma è un po' poco).
Insomma, un film da vedere? Ovviamente sì. Perché anche se non si piangerà come ho fatto io (ma un nodino in gola lo avrete), anche se non è un capolavoro dello studio Ghibli, certamente è un film che racconta una storia, la racconta con una bella regia e con spunti che faranno riflettere (le prime frasi, sul cerchio - chi lo vedrà capirà - sono quelle che più mi hanno colpito), pertanto è uno di quei film che non si possono perdere. Ma sono un po' di parte, lo ammetto.
Chi si aspettava con il ritiro di Miyazaki grandi cambiamenti all'interno dello Studio Ghibli può stare tranquillo, poiché il tutto prosegue all'insegna della tradizione che lo ha contraddistinto. Hiromasa Yonebayashi, dopo il discreto "Arrietty - Il mondo sotto il Pavimento" (sopravvalutato da critica e pubblico), ritorna quattro anni dopo con un nuovo film: "Quando C'era Marnie". La pellicola è giunta nei cinema italiani ad opera della solita Lucky Red, la quale confeziona per l'home video la solita doppia edizione sia in DVD che in Blu-Ray.
La storia è semplice: Anna, ragazzina di dodici anni malata d'asma, non ha amici e si sente sola. Per curare la sua malattia, ella viene inviata in un paesino sperduto di campagna, sperando che l'aria locale possa farle bene. In questo posto Anna incontrerà una strana ragazzina della sua età dai capelli biondi di nome Marnie. Sembra che in passato abbia già incontrato la ragazza, ma quando? Nonostante le molte domande, alla fine Anna stringerà amicizia con Marnie, cercando di scoprire di più sul suo passato.
Come in "Arrietty", abbiamo una storia veramente scarna: mai mente umana avrebbe potuto creare qualcosa di più semplicistico. I personaggi rappresentano i classici stereotipi 'ghibliani' (anche se manca la figura maschile) e una sceneggiatura eccessivamente didascalica si prefigge di spiegare tutto tramite il racconto diegetico finale, così arrivando a distruggere ogni alone di mistero intorno alla vicenda.
Tutta la pellicola gioca sul rapporto tra le due protagoniste; Anna è una ragazzina triste, cinica e solitaria che si sente fuori dal cerchio (e conseguentemente dal sistema), mentre Marnie è tutto l'esatto opposto, vista la sua allegria e il suo essere ricolma di attenzioni (o almeno è ciò che crede Anna). La contrapposizione oltre che comportamentale è anche fisica: Anna ha capelli corti di colore scuro e veste con maglietta e pantalone, mentre Marnie è una ragazzina bionda che indossa sempre una vestaglia lunga dal color chiaro, la quale le conferisce un'aura di angelica femminilità.
Eppure gli elementi per osare erano ben disseminati all'interno della pellicola. Il legame di Anna con Marnie poteva essere visto come un percorso di maturazione sessuale da parte della prima verso un amore di stampo lesbico, vista la continua ricerca da parte sua dell'affetto di Marnie. Il tutto è giocato però all'insegna di un precario equilibrio onirico, in cui la protagonista sembra andare consciamente incontro, poiché probabilmente per la prima volta nella sua vita sembra aver ritrovato un posto all'interno del cerchio, il quale però non corrisponde a quello imposto dal sistema sociale, bensì quello in cui ci si sente individualmente realizzati.
Essendo Anna una discreta disegnatrice, di conseguenza è un'attenta osservatrice della realtà da un punto di vista "esterno" al sociale, dimostrando in tal modo di saper cogliere le sfumature del mondo in modo sensibile e accorto. Ma il conforto derivatole da ciò le risulta solo momentaneo, perché i suoi disegni non possono, né ella vuole, condividerli con altri; l'unica a cui concede tale facoltà è Marnie.
A questo punto Yonebayashi potrebbe uscirsene con un bello quanto intrigante escamotage psicanalitico degno di Freud, cioè fare di Marnie la proiezione della bambola di Anna vestita in modo uguale a lei e inquadrata nei flashback per ben tre volte, e invece, incapace di osare, il regista opta per una soluzione banale, poiché non sorretta da "prove" tangibili disseminate nel corso della narrazione; il montaggio della pellicola non consente di far tornare il tutto, mostrando di avere i cronici problemi che affliggono film del genere, come ad esempio "Fight Club" di Fincher.
Se la sceneggiatura risulta alquanto fallace, la regia, seppur non eccezionale, ci si sente di promuoverla, vista la capacità di riuscire a realizzare due sequenze di ottimo spessore tecnico, delle quali vale la pena rammentare la scena del ricordo di Anna sui coniugi Okiwa, messa in scena con l'uso della soggettiva preceduta da una dissolvenza di Marnie, che conferisce alla sequenza un'impronta psicanalitica. Per il resto, ci si ritrova innanzi a una regia funzionale alla storia, con solite inquadrature atte a far risaltare l'abilità grafica dello Studio Ghibli, miste a primi piani per ritrarre la solitudine a sofferenza di Anna (seppur a un certo punto diventano sovrabbondanti).
Il tutto è accompagnato da un'eccellente fotografia crepuscolare, con dei colori caldo-decadenti, atti a simboleggiare lo stato d'animo della protagonista, per poi farsi più luminosa e chiara solo nel finale. La messa in scena, più che giapponese, è tipicamente europea, poiché il paesaggio di campagna sembra essere proprio dell'entroterra inglese, mentre la villa di Marnie è immersa in un posto simile alle Highland Scozzesi.
In sostanza, con sommo rammarico ci si ritrova innanzi a un filmetto capace di sprecare l'interessante soggetto per colpa di una sceneggiatura scricchiolante, la quale si dimostra poco accorta nel trattare bene gli infiniti temi che sembravano permeare la pellicola (amore lesbico, solitudine, malattia, visione della realtà etc.), preferendo il solito cliché del drammone tipico delle produzioni Ghibli extra Miyazaki e Takahata, a cui si conferisce un risalto fin troppo esagerato, finendo poi con lo sciogliere la vicenda con soluzioni accomodanti all'acqua di rose.
Si nota un'evoluzione verso terreni più ottimistici sulla poetica del "legame" da parte del regista, poiché, se in "Arrietty" l'unione durava poco e veniva recisa amaramente nel finale, qua invece il legame con Marnie serve a farne nascere probabilmente uno nuovo (anche se ciò significa far integrare Anna nel sistema, e ciò risulta inaccettabile). Da sottolineare perlomeno un'atmosfera differente da quella solita dei lungometraggi di tale studio, a favore di un'estetica leggermente più "deprimente" e "cupa", anche se la potenza delle immagini (che, per la riuscita di un film, le si deve rendere "autosufficienti"), viene offuscata da una didascalica quanto inutile spiegazione finale.
Il problema delle opere Ghibli non soggette alla regia dei fondatori (fa eccezione "I sospiri del mio cuore") è il loro essere delle pellicole incapaci di osare, poiché puntano solo a scimmiottare in modo depotenziato sia Miyazaki che Takahata; per questo motivo non deve stupire la loro tiepida accoglienza ai botteghini né la loro scarsa qualità artistica, vista l'incapacità delle nuove leve di emanciparsi da un certo modo di fare, a favore di nuove vie nella strada della sperimentazione animata.
La storia è semplice: Anna, ragazzina di dodici anni malata d'asma, non ha amici e si sente sola. Per curare la sua malattia, ella viene inviata in un paesino sperduto di campagna, sperando che l'aria locale possa farle bene. In questo posto Anna incontrerà una strana ragazzina della sua età dai capelli biondi di nome Marnie. Sembra che in passato abbia già incontrato la ragazza, ma quando? Nonostante le molte domande, alla fine Anna stringerà amicizia con Marnie, cercando di scoprire di più sul suo passato.
Come in "Arrietty", abbiamo una storia veramente scarna: mai mente umana avrebbe potuto creare qualcosa di più semplicistico. I personaggi rappresentano i classici stereotipi 'ghibliani' (anche se manca la figura maschile) e una sceneggiatura eccessivamente didascalica si prefigge di spiegare tutto tramite il racconto diegetico finale, così arrivando a distruggere ogni alone di mistero intorno alla vicenda.
Tutta la pellicola gioca sul rapporto tra le due protagoniste; Anna è una ragazzina triste, cinica e solitaria che si sente fuori dal cerchio (e conseguentemente dal sistema), mentre Marnie è tutto l'esatto opposto, vista la sua allegria e il suo essere ricolma di attenzioni (o almeno è ciò che crede Anna). La contrapposizione oltre che comportamentale è anche fisica: Anna ha capelli corti di colore scuro e veste con maglietta e pantalone, mentre Marnie è una ragazzina bionda che indossa sempre una vestaglia lunga dal color chiaro, la quale le conferisce un'aura di angelica femminilità.
Eppure gli elementi per osare erano ben disseminati all'interno della pellicola. Il legame di Anna con Marnie poteva essere visto come un percorso di maturazione sessuale da parte della prima verso un amore di stampo lesbico, vista la continua ricerca da parte sua dell'affetto di Marnie. Il tutto è giocato però all'insegna di un precario equilibrio onirico, in cui la protagonista sembra andare consciamente incontro, poiché probabilmente per la prima volta nella sua vita sembra aver ritrovato un posto all'interno del cerchio, il quale però non corrisponde a quello imposto dal sistema sociale, bensì quello in cui ci si sente individualmente realizzati.
Essendo Anna una discreta disegnatrice, di conseguenza è un'attenta osservatrice della realtà da un punto di vista "esterno" al sociale, dimostrando in tal modo di saper cogliere le sfumature del mondo in modo sensibile e accorto. Ma il conforto derivatole da ciò le risulta solo momentaneo, perché i suoi disegni non possono, né ella vuole, condividerli con altri; l'unica a cui concede tale facoltà è Marnie.
A questo punto Yonebayashi potrebbe uscirsene con un bello quanto intrigante escamotage psicanalitico degno di Freud, cioè fare di Marnie la proiezione della bambola di Anna vestita in modo uguale a lei e inquadrata nei flashback per ben tre volte, e invece, incapace di osare, il regista opta per una soluzione banale, poiché non sorretta da "prove" tangibili disseminate nel corso della narrazione; il montaggio della pellicola non consente di far tornare il tutto, mostrando di avere i cronici problemi che affliggono film del genere, come ad esempio "Fight Club" di Fincher.
Se la sceneggiatura risulta alquanto fallace, la regia, seppur non eccezionale, ci si sente di promuoverla, vista la capacità di riuscire a realizzare due sequenze di ottimo spessore tecnico, delle quali vale la pena rammentare la scena del ricordo di Anna sui coniugi Okiwa, messa in scena con l'uso della soggettiva preceduta da una dissolvenza di Marnie, che conferisce alla sequenza un'impronta psicanalitica. Per il resto, ci si ritrova innanzi a una regia funzionale alla storia, con solite inquadrature atte a far risaltare l'abilità grafica dello Studio Ghibli, miste a primi piani per ritrarre la solitudine a sofferenza di Anna (seppur a un certo punto diventano sovrabbondanti).
Il tutto è accompagnato da un'eccellente fotografia crepuscolare, con dei colori caldo-decadenti, atti a simboleggiare lo stato d'animo della protagonista, per poi farsi più luminosa e chiara solo nel finale. La messa in scena, più che giapponese, è tipicamente europea, poiché il paesaggio di campagna sembra essere proprio dell'entroterra inglese, mentre la villa di Marnie è immersa in un posto simile alle Highland Scozzesi.
In sostanza, con sommo rammarico ci si ritrova innanzi a un filmetto capace di sprecare l'interessante soggetto per colpa di una sceneggiatura scricchiolante, la quale si dimostra poco accorta nel trattare bene gli infiniti temi che sembravano permeare la pellicola (amore lesbico, solitudine, malattia, visione della realtà etc.), preferendo il solito cliché del drammone tipico delle produzioni Ghibli extra Miyazaki e Takahata, a cui si conferisce un risalto fin troppo esagerato, finendo poi con lo sciogliere la vicenda con soluzioni accomodanti all'acqua di rose.
Si nota un'evoluzione verso terreni più ottimistici sulla poetica del "legame" da parte del regista, poiché, se in "Arrietty" l'unione durava poco e veniva recisa amaramente nel finale, qua invece il legame con Marnie serve a farne nascere probabilmente uno nuovo (anche se ciò significa far integrare Anna nel sistema, e ciò risulta inaccettabile). Da sottolineare perlomeno un'atmosfera differente da quella solita dei lungometraggi di tale studio, a favore di un'estetica leggermente più "deprimente" e "cupa", anche se la potenza delle immagini (che, per la riuscita di un film, le si deve rendere "autosufficienti"), viene offuscata da una didascalica quanto inutile spiegazione finale.
Il problema delle opere Ghibli non soggette alla regia dei fondatori (fa eccezione "I sospiri del mio cuore") è il loro essere delle pellicole incapaci di osare, poiché puntano solo a scimmiottare in modo depotenziato sia Miyazaki che Takahata; per questo motivo non deve stupire la loro tiepida accoglienza ai botteghini né la loro scarsa qualità artistica, vista l'incapacità delle nuove leve di emanciparsi da un certo modo di fare, a favore di nuove vie nella strada della sperimentazione animata.
"Quando c'era Marnie" è uno dei pochi film d'animazione che è riuscito a colpirmi piacevolmente fin dai primi secondi. Ero partita con la sicurezza che sarebbe stato drammatico e che si sarebbe distaccato molto dagli altri lavori dello studio Ghibli, invece le tematiche sono simili e la drammaticità di alcune scene è perfettamente riuscita, senza risultare mai noiosa o forzata.
Ma iniziamo dalla trama. Sicuramente non sarà tra le storie più originali, soprattutto per chi è abituato alle storie anime drammatiche, sia dello studio Ghibli che non. Anna è una ragazzina di dodici anni che, da piccola, perse i genitori in un incidente d'auto. Da allora si è chiusa in sé stessa, non riuscendo a perdonare ai genitori l'abbandono, pur restando consapevole di non dover attribuire loro la colpa della scomparsa. Oltretutto, tra l'asma che ha da sempre e la sua incapacità di relazionarsi coi coetanei, Anna si sente isolata dal mondo, finendo per odiarsi: "In questo mondo c'è un cerchio magico, invisibile agli occhi altrui. Esso ha un dentro e un fuori. Io sono nel fuori... ma non m'importa". E' questo l'esordio del film, la frase con cui la protagonista della storia ci viene presentata. Una ragazza che non viene isolata, ma che si lascia isolare, che sceglie consapevolmente di non voler amare nessuno. Questo a causa del fatto che, come si scopre in seguito, anche i genitori adottivi non sembrano apprezzarla sinceramente, ma se ne prendono cura in cambio di un sussidio del governo.
La storia prende una svolta nel momento in cui il medico di Anna le prescrive di passare le vacanze estive in un posto tranquillo, vicino al mare, per far migliorare la sua asma. Qui, ospite di alcuni parenti, Anna rifiuta dapprima il contatto con gli altri ragazzi del luogo, ma si innamora in seguito di una splendida villa apparentemente abbandonata, a cui farà spesso visita. Ed è in questa villa che conoscerà Marnie, una ragazza vestita all'antica che compare soltanto la sera e con cui Anna si sente subito in empatia. Le due ragazze stringono un'amicizia in gran segreto, che va consolidandosi poco a poco, sempre di più.
Come dicevo, la trama non presenta nulla di davvero originale, è la classica storia d'amicizia tra due ragazze, ciascuna con i suoi traumi. Quello che mi ha colpito è la figura di Marnie. Si capisce fin dal principio che è un personaggio misterioso, che è legato ad Anna, più di quanto si possa credere, che nasconde dei segreti che verranno svelati soltanto alla fine del film. Eppure risulta affascinante non soltanto per la sua storia, che si scoprirà effettivamente solo in seguito. Ma anche e soprattutto per il modo in cui si lega alla protagonista. Dai dialoghi, dai modi in cui si aiutano a vicenda, anche dopo essersi raccontate dei loro rispettivi traumi passati, si intuisce subito che ad entrambe non importa di come l'altra è stata trattata, ma solo di come è ora. Le consolazioni ci sono sempre, così come i tentativi di superare le paure che le attanagliano, ma allo stesso tempo c'è la reale convinzione che la loro amicizia derivi dal loro stato attuale.
Oltre a questo, ho trovato molto straziante la storia di Marnie, perfettamente contestualizzata nella storia. I disegni sono classici, gli stessi a cui lo studio Ghibli ci ha sempre abituati. Le musiche poche, ma buone, soprattutto la canzone finale le cui parole ricalcano perfettamente il carattere di Anna.
Per quanto riguarda i personaggi secondari, sono rimasta vagamente delusa. A parte i genitori adottivi di Anna e la famiglia di Marnie, che hanno il giusto spazio nella storia, speravo di scoprire qualcosa di più sul misterioso pescatore muto, specie perché, dalle sue uniche parole, si intuisce che era anche lui in qualche modo legato alla misteriosa ragazza bionda.
Al di là di pochi vuoti, l'ho trovato davvero un ottimo film. Lo consiglio vivamente.
Ma iniziamo dalla trama. Sicuramente non sarà tra le storie più originali, soprattutto per chi è abituato alle storie anime drammatiche, sia dello studio Ghibli che non. Anna è una ragazzina di dodici anni che, da piccola, perse i genitori in un incidente d'auto. Da allora si è chiusa in sé stessa, non riuscendo a perdonare ai genitori l'abbandono, pur restando consapevole di non dover attribuire loro la colpa della scomparsa. Oltretutto, tra l'asma che ha da sempre e la sua incapacità di relazionarsi coi coetanei, Anna si sente isolata dal mondo, finendo per odiarsi: "In questo mondo c'è un cerchio magico, invisibile agli occhi altrui. Esso ha un dentro e un fuori. Io sono nel fuori... ma non m'importa". E' questo l'esordio del film, la frase con cui la protagonista della storia ci viene presentata. Una ragazza che non viene isolata, ma che si lascia isolare, che sceglie consapevolmente di non voler amare nessuno. Questo a causa del fatto che, come si scopre in seguito, anche i genitori adottivi non sembrano apprezzarla sinceramente, ma se ne prendono cura in cambio di un sussidio del governo.
La storia prende una svolta nel momento in cui il medico di Anna le prescrive di passare le vacanze estive in un posto tranquillo, vicino al mare, per far migliorare la sua asma. Qui, ospite di alcuni parenti, Anna rifiuta dapprima il contatto con gli altri ragazzi del luogo, ma si innamora in seguito di una splendida villa apparentemente abbandonata, a cui farà spesso visita. Ed è in questa villa che conoscerà Marnie, una ragazza vestita all'antica che compare soltanto la sera e con cui Anna si sente subito in empatia. Le due ragazze stringono un'amicizia in gran segreto, che va consolidandosi poco a poco, sempre di più.
Come dicevo, la trama non presenta nulla di davvero originale, è la classica storia d'amicizia tra due ragazze, ciascuna con i suoi traumi. Quello che mi ha colpito è la figura di Marnie. Si capisce fin dal principio che è un personaggio misterioso, che è legato ad Anna, più di quanto si possa credere, che nasconde dei segreti che verranno svelati soltanto alla fine del film. Eppure risulta affascinante non soltanto per la sua storia, che si scoprirà effettivamente solo in seguito. Ma anche e soprattutto per il modo in cui si lega alla protagonista. Dai dialoghi, dai modi in cui si aiutano a vicenda, anche dopo essersi raccontate dei loro rispettivi traumi passati, si intuisce subito che ad entrambe non importa di come l'altra è stata trattata, ma solo di come è ora. Le consolazioni ci sono sempre, così come i tentativi di superare le paure che le attanagliano, ma allo stesso tempo c'è la reale convinzione che la loro amicizia derivi dal loro stato attuale.
Oltre a questo, ho trovato molto straziante la storia di Marnie, perfettamente contestualizzata nella storia. I disegni sono classici, gli stessi a cui lo studio Ghibli ci ha sempre abituati. Le musiche poche, ma buone, soprattutto la canzone finale le cui parole ricalcano perfettamente il carattere di Anna.
Per quanto riguarda i personaggi secondari, sono rimasta vagamente delusa. A parte i genitori adottivi di Anna e la famiglia di Marnie, che hanno il giusto spazio nella storia, speravo di scoprire qualcosa di più sul misterioso pescatore muto, specie perché, dalle sue uniche parole, si intuisce che era anche lui in qualche modo legato alla misteriosa ragazza bionda.
Al di là di pochi vuoti, l'ho trovato davvero un ottimo film. Lo consiglio vivamente.
Andando molto in controtendenza, dico che l'osannatissimo film "When Manie Was There" non mi ha sconvolto l'anima e non solo ritengo che non sia all'altezza di competere con le perle sacre dello Studio Ghibli (molte firmate Miyazaki), ma nemmeno riesce a tenere testa a un "Arietty" dello stesso Hiromasa Yonebayashi. "Marnie dei ricordi" è una storia banale, e il dramma dell'abbandono è semplificato in modo fastidioso.
La trama ruota attorno al dramma di Anna bambina, introversa e poco socievole, che fatica a raccapezzarsi nella sua guerra da sindrome di abbandono, scegliendo quindi comportamenti apatici mixati da episodi di rabbia e scontrosità esplosive. Un problema di asma da stress spinge la madre adottiva della piccola a mandarla in campagna dagli zii, ed è qui che il tutto si svolge.
La sofferenza di Anna non riesce a trovare espressione fino a che non incrocia Marnie, ragazzina audace e falsamente estroversa che di fatto nasconde una facciata cupa e malinconica tanto quanto la sua. L'amicizia tra le due scatta a comando, in modo quasi troppo forzato, come scelta narrativa comoda che lo spettatore deve prendere come assioma a prescindere dalla coerenza che ha, e come per magia l'apertura arriva in un intrigo tra sogni e realtà dove Anna affronta il proprio dramma mentre scopre l'angoscia di Marnie.
Poteva essere carino, poteva essere profondo e lasciare qualcosa nello spettatore, invece è venuto fuori banale, raffazzonato e frettoloso. Il magico colpo di scena su "chi è Marnie" non è per nulla tale, lo si capisce immediatamente e voglio sperare non puntassero davvero sullo shock di questo segreto svelato, perché davvero colpisce poco e soprattutto il gratuito lieto fine con risoluzione del problema di Anna lascia un senso di minimizzazione irritante.
A salvare il pomeriggio ci sono ovviamente le ambientazioni, i fondali e i toni magici, classici cavalli da battaglia dello studio Ghibli, ma dramma nel dramma questa volta non abbiamo un comparto sonoro notevole come lo si è visto invece in "Arietty"; insomma, questo prodotto porta a casa la sufficienza, ma non valeva il biglietto del cinema.
La trama ruota attorno al dramma di Anna bambina, introversa e poco socievole, che fatica a raccapezzarsi nella sua guerra da sindrome di abbandono, scegliendo quindi comportamenti apatici mixati da episodi di rabbia e scontrosità esplosive. Un problema di asma da stress spinge la madre adottiva della piccola a mandarla in campagna dagli zii, ed è qui che il tutto si svolge.
La sofferenza di Anna non riesce a trovare espressione fino a che non incrocia Marnie, ragazzina audace e falsamente estroversa che di fatto nasconde una facciata cupa e malinconica tanto quanto la sua. L'amicizia tra le due scatta a comando, in modo quasi troppo forzato, come scelta narrativa comoda che lo spettatore deve prendere come assioma a prescindere dalla coerenza che ha, e come per magia l'apertura arriva in un intrigo tra sogni e realtà dove Anna affronta il proprio dramma mentre scopre l'angoscia di Marnie.
Poteva essere carino, poteva essere profondo e lasciare qualcosa nello spettatore, invece è venuto fuori banale, raffazzonato e frettoloso. Il magico colpo di scena su "chi è Marnie" non è per nulla tale, lo si capisce immediatamente e voglio sperare non puntassero davvero sullo shock di questo segreto svelato, perché davvero colpisce poco e soprattutto il gratuito lieto fine con risoluzione del problema di Anna lascia un senso di minimizzazione irritante.
A salvare il pomeriggio ci sono ovviamente le ambientazioni, i fondali e i toni magici, classici cavalli da battaglia dello studio Ghibli, ma dramma nel dramma questa volta non abbiamo un comparto sonoro notevole come lo si è visto invece in "Arietty"; insomma, questo prodotto porta a casa la sufficienza, ma non valeva il biglietto del cinema.
Sono appena tornato dalla visione di "Quando c'era Marnie" al cinema, sono soddisfatto e felice, voglioso di buttare giù a caldo qualche riga. Premetto che non si tratta di una recensione come le consuete, è tardi e il letto chiama, ma prima di dormire mi sembrava opportuno lasciare le mie opinioni. Sottolineo come sia andato al cinema totalmente vergine, senza informarmi su trama e produzione, anche se ahimè mi è toccato vedere un trailer.
"Molto bello, ma come mai i Giapponesi fanno sempre film così melodrammatici"?
La frase è stata detta da mia moglie a fine film, la mia risposta è stata: "Perché invece li fanno solo i Giapponesi?". In una fine estate dove si preannunciano code per vedere "Minions" e "Inside Out", arriva anche un cartone disegnato ancora in 2D, vecchia scuola, "Omoide no Marnie". Finalmente vado a vedere al cinema un film di animazione che non sia nella migliore delle ipotesi una divertente e piacevolissima 'cazzata' per farmi quattro risate. "Quando c'era Marnie" fa in effetti ridere ben poco, anzi, due ragazze nel nostro gruppo hanno versato diverse lacrime, anche se, non preoccupatevi, non vi lascerà quel nodo sullo stomaco che magari avrete provato con "Una tomba per le lucciole": alla fine il finale è veramente grazioso e piacevole, commovente e in grado di scaldarvi il cuore.
Protagonista della vicenda è Anna (sì, è una lei, dal trailer pensavo un lui!), una bambina che viene mandata dalla madre adottiva a vivere al mare per l'estate da parenti, visto che è malata di asma, che in realtà è l'ultimo dei problemi da cui la povera ragazzina è afflitta. E' ben più preoccupante come la sua condizione di orfana le crea problemi di autostima e di socializzazione: Anna infatti vede come unico sfogo alla sua creatività il disegno, che ama praticare lontano dallo sguardo di tutti. Che questa forzata vacanza dagli zii possa dare una svolta alla sua vita ed evitare che diventi una adolescente asociale, problematica o depressa? E chi cavolo è questa Marnie che c'è nel titolo?
Guardatevi il film, di certo non vi risponderò io!
Il film è bello, anzi, mi sbilancio, è molto bello.
Non è certo movimentato, né regala molti momenti allegri, ma è appassionante, perché la ricerca di Anna e il giallo intorno a Marnie è abbastanza intrigante. La protagonista tra l'altro è una tipa abbastanza sopra le righe, con molti problemi che sfociano in comportamenti problematici e preoccupanti, che le impediscono di stare insieme con le sue coetanee. Si intuisce sin da subito che questa vacanza forzata segnerà una svolta nella sua crescita, e gli incontri con Marnie avvengono in un'atmosfera che spazia tra il magico e l'onirico.
Il ritmo narrativo è misurato, ma non diventa mai eccessivamente lento. Curioso come non succeda poi molto, ma bastano i brevi incontri tra le due bambine a movimentarne la visione, ed è piacevole il continuo gioco tra sogno e realtà, in una spirale che solo verso la fine apparirà chiara. L'intreccio e la trama sono davvero piacevoli, così come lo è la resa psicologica della protagonista e il modo in cui vive l'amicizia con Marnie. Non vi sono forzature, la narrazione scorre in modo fluido e intelligente.
Dal punto di vista tecnico presenta dei fondali splendidi e una canzone finale stellare, "Fine on the Outside" di Priscilla Ahn. Meno esaltanti sono le animazioni, che sono contenute e generalmente funzionali, e che non fanno certamente gridare al miracolo. Fanno comunque bene il loro lavoro, così come il character design, curato, bello e azzeccato, ma non sempre costante.
Il doppiaggio italiano fa bene il suo dovere, l'adattamento permette di goderci il film a dovere, sebbene alcuni termini non li avrei usati - per esempio avrei evitato "schizzi" a favore di qualcosa di più immediato, e non ho ben capito un "intrigante" detto da Anna, che mi è sembrato fuori contesto. Si tratta ovviamente di impressioni, non ho visto l'originale e, anche se fosse, non so certo il giapponese.
Complimenti a Hiromasa Yonebayashi e Studio Ghibli, "Quando c'era Marnie" è per quel che mi riguarda promosso a pieni voti.
"Molto bello, ma come mai i Giapponesi fanno sempre film così melodrammatici"?
La frase è stata detta da mia moglie a fine film, la mia risposta è stata: "Perché invece li fanno solo i Giapponesi?". In una fine estate dove si preannunciano code per vedere "Minions" e "Inside Out", arriva anche un cartone disegnato ancora in 2D, vecchia scuola, "Omoide no Marnie". Finalmente vado a vedere al cinema un film di animazione che non sia nella migliore delle ipotesi una divertente e piacevolissima 'cazzata' per farmi quattro risate. "Quando c'era Marnie" fa in effetti ridere ben poco, anzi, due ragazze nel nostro gruppo hanno versato diverse lacrime, anche se, non preoccupatevi, non vi lascerà quel nodo sullo stomaco che magari avrete provato con "Una tomba per le lucciole": alla fine il finale è veramente grazioso e piacevole, commovente e in grado di scaldarvi il cuore.
Protagonista della vicenda è Anna (sì, è una lei, dal trailer pensavo un lui!), una bambina che viene mandata dalla madre adottiva a vivere al mare per l'estate da parenti, visto che è malata di asma, che in realtà è l'ultimo dei problemi da cui la povera ragazzina è afflitta. E' ben più preoccupante come la sua condizione di orfana le crea problemi di autostima e di socializzazione: Anna infatti vede come unico sfogo alla sua creatività il disegno, che ama praticare lontano dallo sguardo di tutti. Che questa forzata vacanza dagli zii possa dare una svolta alla sua vita ed evitare che diventi una adolescente asociale, problematica o depressa? E chi cavolo è questa Marnie che c'è nel titolo?
Guardatevi il film, di certo non vi risponderò io!
Il film è bello, anzi, mi sbilancio, è molto bello.
Non è certo movimentato, né regala molti momenti allegri, ma è appassionante, perché la ricerca di Anna e il giallo intorno a Marnie è abbastanza intrigante. La protagonista tra l'altro è una tipa abbastanza sopra le righe, con molti problemi che sfociano in comportamenti problematici e preoccupanti, che le impediscono di stare insieme con le sue coetanee. Si intuisce sin da subito che questa vacanza forzata segnerà una svolta nella sua crescita, e gli incontri con Marnie avvengono in un'atmosfera che spazia tra il magico e l'onirico.
Il ritmo narrativo è misurato, ma non diventa mai eccessivamente lento. Curioso come non succeda poi molto, ma bastano i brevi incontri tra le due bambine a movimentarne la visione, ed è piacevole il continuo gioco tra sogno e realtà, in una spirale che solo verso la fine apparirà chiara. L'intreccio e la trama sono davvero piacevoli, così come lo è la resa psicologica della protagonista e il modo in cui vive l'amicizia con Marnie. Non vi sono forzature, la narrazione scorre in modo fluido e intelligente.
Dal punto di vista tecnico presenta dei fondali splendidi e una canzone finale stellare, "Fine on the Outside" di Priscilla Ahn. Meno esaltanti sono le animazioni, che sono contenute e generalmente funzionali, e che non fanno certamente gridare al miracolo. Fanno comunque bene il loro lavoro, così come il character design, curato, bello e azzeccato, ma non sempre costante.
Il doppiaggio italiano fa bene il suo dovere, l'adattamento permette di goderci il film a dovere, sebbene alcuni termini non li avrei usati - per esempio avrei evitato "schizzi" a favore di qualcosa di più immediato, e non ho ben capito un "intrigante" detto da Anna, che mi è sembrato fuori contesto. Si tratta ovviamente di impressioni, non ho visto l'originale e, anche se fosse, non so certo il giapponese.
Complimenti a Hiromasa Yonebayashi e Studio Ghibli, "Quando c'era Marnie" è per quel che mi riguarda promosso a pieni voti.
"Quando c'era Marnie" (思い出のマーニー Omoide no Mānī?, lett. "Marnie dei ricordi") è un lungometraggio d'animazione giapponese diretto da Hiromasa Yonebayashi e prodotto dallo Studio Ghibli, basato sul romanzo "Quando c'era Marnie" di Joan G. Robinson e uscito nelle sale cinematografiche giapponesi il 19 luglio 2014.
Il film danza tra realtà e atmosfere oniriche, esponendo sentimenti e turbamenti della giovane protagonista Anna, alla ricerca di sé stessa e di un posto in un mondo che non sente suo e al quale non crede di appartenere. Inaridita nel cuore, depressa nella sua sofferenza, incontrerà la mano tesa e al contempo bisognosa di Marnie. Ed è attraverso la condivisione e l'accettazione dei propri timori che il disagio perde consistenza, facendo fiorire la giovane Anna e facendole comprendere di essere amata al di là del tempo e delle condizioni. Una storia d'amore assoluta e totale che si dipana mano a mano che i segreti vengono svelati in un percorso narrativo ben cadenzato e coinvolgente.
Un film da vedere, che sente l'influenza di Hayao Miyazaki, della sua poesia, negli sguardi, nei paesaggi, ma che in qualche modo ha l'ambizione di fare un passo oltre per acquisire una propria originale individualità.
Bella e azzeccata la colonna sonora di Priscilla Ahn.
Il film danza tra realtà e atmosfere oniriche, esponendo sentimenti e turbamenti della giovane protagonista Anna, alla ricerca di sé stessa e di un posto in un mondo che non sente suo e al quale non crede di appartenere. Inaridita nel cuore, depressa nella sua sofferenza, incontrerà la mano tesa e al contempo bisognosa di Marnie. Ed è attraverso la condivisione e l'accettazione dei propri timori che il disagio perde consistenza, facendo fiorire la giovane Anna e facendole comprendere di essere amata al di là del tempo e delle condizioni. Una storia d'amore assoluta e totale che si dipana mano a mano che i segreti vengono svelati in un percorso narrativo ben cadenzato e coinvolgente.
Un film da vedere, che sente l'influenza di Hayao Miyazaki, della sua poesia, negli sguardi, nei paesaggi, ma che in qualche modo ha l'ambizione di fare un passo oltre per acquisire una propria originale individualità.
Bella e azzeccata la colonna sonora di Priscilla Ahn.
Sarò sincera: da questo film non mi aspettavo granché, in quanto il trailer non mi aveva colpito molto, non con quella canzone in inglese che sembrava messa un po' a caso.
Invece "Omoide no Marnie" (letteralmente "Marnie dei ricordi"), tratto dal libro "When Marnie was There" dell'autrice inglese Joan Gale Robinson, si è rivelato una piacevole sorpresa. Coinvolgente e a tratti onirico, con un ritmo ben cadenzato e una trama che si dipana senza fretta, il film ci permette di conoscere pian piano le due protagoniste e il mistero che circonda entrambe, fino al finale a sorpresa che davvero rimane tale sino alla fine - almeno per chi non conosce già la trama.
Altra nota di merito e marchio dello studio Ghibli sono i personaggi secondari: nessuno viene lasciato da parte, in due pennellate - è proprio il caso di dirlo - ci vengono presentati personaggi a tutto tondo, a partire dai due anziani signori che ospitano la protagonista Anna per l'estate fino ad altri che avranno un ruolo fondamentale ai fini della trama.
La storia della Robinson era originariamente ambientata in Inghilterra, in un paesino del Norfolk che si affaccia sul mare del Nord, una zona paludosa e piena di acquitrini dove acqua e terra si confondono e danno vita a un "terzo mondo" nel quale i confini svaniscono ed è possibile fare incontri straordinari.
Paradossalmente, la trasposizione della storia in Giappone non fa altro che arricchire tale metafora, almeno a mio parere: il personaggio di Marnie si inserisce alla perfezione in un contesto come quello giapponese di fine Ottocento e inizio Novecento, quando parecchi stranieri si erano trasferiti in Giappone dopo l'apertura (forzata) all'Occidente. Diversa letteratura nipponica tratta tematiche legate all'incontro fra le "due" culture - perché agli occhi dei Giapponesi d'allora l'Occidente era uno, in questo non siamo diversi - e Marnie risulta essere un prodotto di questa "terza" cultura, perché cresce in Giappone ma in una casa occidentale, ricevendo probabilmente un'educazione che mescola elementi di entrambe.
I confini fra le due culture svaniscono, esattamente come nel mondo esterno dove l'alta e la bassa marea portano flussi e riflussi di passato e ricordi, dando origine a un mondo onirico dove i limiti tra Oriente e Occidente, tra passato e presente semplicemente svaniscono.
Unica dota di demerito è secondo me la colonna sonora: da uno studio che si è spesso contraddistinto per colonne sonore che sono veri e propri capolavori (in genere merito di Joe Hisaishi, ma anche la Cécile Corbel per "Karigurashi no Arrietty" si è rivelata una scelta azzeccata) mi aspettavo molto di più.
Soprattutto la canzone principale del film, della cantante statunitense Priscilla Ahn, risulta scialba e poco adatta. Se la colonna sonora fosse stata ai livelli a cui ci ha abituato lo studio Ghibli, sarebbe stato un 10.
Invece "Omoide no Marnie" (letteralmente "Marnie dei ricordi"), tratto dal libro "When Marnie was There" dell'autrice inglese Joan Gale Robinson, si è rivelato una piacevole sorpresa. Coinvolgente e a tratti onirico, con un ritmo ben cadenzato e una trama che si dipana senza fretta, il film ci permette di conoscere pian piano le due protagoniste e il mistero che circonda entrambe, fino al finale a sorpresa che davvero rimane tale sino alla fine - almeno per chi non conosce già la trama.
Altra nota di merito e marchio dello studio Ghibli sono i personaggi secondari: nessuno viene lasciato da parte, in due pennellate - è proprio il caso di dirlo - ci vengono presentati personaggi a tutto tondo, a partire dai due anziani signori che ospitano la protagonista Anna per l'estate fino ad altri che avranno un ruolo fondamentale ai fini della trama.
La storia della Robinson era originariamente ambientata in Inghilterra, in un paesino del Norfolk che si affaccia sul mare del Nord, una zona paludosa e piena di acquitrini dove acqua e terra si confondono e danno vita a un "terzo mondo" nel quale i confini svaniscono ed è possibile fare incontri straordinari.
Paradossalmente, la trasposizione della storia in Giappone non fa altro che arricchire tale metafora, almeno a mio parere: il personaggio di Marnie si inserisce alla perfezione in un contesto come quello giapponese di fine Ottocento e inizio Novecento, quando parecchi stranieri si erano trasferiti in Giappone dopo l'apertura (forzata) all'Occidente. Diversa letteratura nipponica tratta tematiche legate all'incontro fra le "due" culture - perché agli occhi dei Giapponesi d'allora l'Occidente era uno, in questo non siamo diversi - e Marnie risulta essere un prodotto di questa "terza" cultura, perché cresce in Giappone ma in una casa occidentale, ricevendo probabilmente un'educazione che mescola elementi di entrambe.
I confini fra le due culture svaniscono, esattamente come nel mondo esterno dove l'alta e la bassa marea portano flussi e riflussi di passato e ricordi, dando origine a un mondo onirico dove i limiti tra Oriente e Occidente, tra passato e presente semplicemente svaniscono.
Unica dota di demerito è secondo me la colonna sonora: da uno studio che si è spesso contraddistinto per colonne sonore che sono veri e propri capolavori (in genere merito di Joe Hisaishi, ma anche la Cécile Corbel per "Karigurashi no Arrietty" si è rivelata una scelta azzeccata) mi aspettavo molto di più.
Soprattutto la canzone principale del film, della cantante statunitense Priscilla Ahn, risulta scialba e poco adatta. Se la colonna sonora fosse stata ai livelli a cui ci ha abituato lo studio Ghibli, sarebbe stato un 10.