Ghost in the Shell 2 - Manmachine Interface
Masamune Shirow è un autore noto per il suo eccessivo zelo narrativo, che lo porta a creare opere dalla trama molto intricata e piena di numerose problematiche filosofiche, quindi poco accessibili ai meno avvezzi. Nonostante questo, Shirow ha saputo scolpire il suo nome nell'immaginario manga, grazie soprattutto al suo capolavoro "Ghost in the Shell", lavoro tuttora molto attuale, nonché capostipite della grandiosa saga animata.
"Manmachine Interface" è a tutti gli effetti il seguito di Ghost in the Shell (il capitolo 1.5 era una raccolta di storie brevi scollegate fra di loro), presentandoci la nuova vita di Motoko Aramaki dopo la fusione con il Burattinaio. L'atmosfera generale si discosta notevolmente dai toni polizieschi della prima serie, concentrandosi molto di più sulla realtà virtuale del cyberspazio, in maniera più genuinamente fantascientifica. In ogni caso, il risultato finale convince poco o, per l'esattezza, è un vero osso duro anche per lettore più paziente.
Se Shirow nelle sue opere precedenti non faceva molto per alleggerire la lettura, qui sembra quasi che faccia di tutto per rendere questo volumetto incomprensibile e saturo sotto ogni aspetto, in particolare c'è troppa verbosità e troppi tecnicismi, con dialoghi spaventosamente prolissi e dilungati, infarciti di termini ultratecnici che appiattiscono ogni scena, con una scorrevolezza pari a zero. Inoltre GitS non è appagante neppure dal lato visivo, in quanto lo sfruttamento eccessivo della computer grafica, utilizzata non solo per le ambientazioni ma anche per i personaggi stessi, risulta davvero pacchiano. Per l'esattezza, è molto più godibile il terzo scarso di pagine in bianco e nero rispetto ai due terzi abbondanti di pagine a colori, perché esse, prive delle sfumature cromatiche ottenute digitalmente, appaiono meno sofisticate e più immediate.
È presente anche una continua componente di fanservice, in quanto tutte le protagoniste sono alquanto formose e vengono mostrate in pose molto generose, con frequentissima nudità. Paradossalmente, questo grande utilizzo del fanservice, che in un manga "normale" sarebbe potuto risultare fastidioso, qui costituisce un ottimo polo d'attenzione per il lettore, inducendolo a proseguire la lettura nonostante la storia e i dialoghi siano lentissimi e sfiancanti.
Se credete che in MI possiate trovare qualche contenuto filosofico interessante, posso dirvi che quello che viene detto è pressapoco lo stesso di Ghost in the Shell, con qualche lieve elemento di novità purtroppo semisepolto sotto l'opulenza e il parossismo della sceneggiatura. Vi consiglio quindi, se cercate qualcosa di succoso, di andare a riprendervi la prima serie, ben più coinvolgente ed accurata, piuttosto che cimentarvi in questo indigeribile volume di onanismo tecnologico e retorico.
"Manmachine Interface" è a tutti gli effetti il seguito di Ghost in the Shell (il capitolo 1.5 era una raccolta di storie brevi scollegate fra di loro), presentandoci la nuova vita di Motoko Aramaki dopo la fusione con il Burattinaio. L'atmosfera generale si discosta notevolmente dai toni polizieschi della prima serie, concentrandosi molto di più sulla realtà virtuale del cyberspazio, in maniera più genuinamente fantascientifica. In ogni caso, il risultato finale convince poco o, per l'esattezza, è un vero osso duro anche per lettore più paziente.
Se Shirow nelle sue opere precedenti non faceva molto per alleggerire la lettura, qui sembra quasi che faccia di tutto per rendere questo volumetto incomprensibile e saturo sotto ogni aspetto, in particolare c'è troppa verbosità e troppi tecnicismi, con dialoghi spaventosamente prolissi e dilungati, infarciti di termini ultratecnici che appiattiscono ogni scena, con una scorrevolezza pari a zero. Inoltre GitS non è appagante neppure dal lato visivo, in quanto lo sfruttamento eccessivo della computer grafica, utilizzata non solo per le ambientazioni ma anche per i personaggi stessi, risulta davvero pacchiano. Per l'esattezza, è molto più godibile il terzo scarso di pagine in bianco e nero rispetto ai due terzi abbondanti di pagine a colori, perché esse, prive delle sfumature cromatiche ottenute digitalmente, appaiono meno sofisticate e più immediate.
È presente anche una continua componente di fanservice, in quanto tutte le protagoniste sono alquanto formose e vengono mostrate in pose molto generose, con frequentissima nudità. Paradossalmente, questo grande utilizzo del fanservice, che in un manga "normale" sarebbe potuto risultare fastidioso, qui costituisce un ottimo polo d'attenzione per il lettore, inducendolo a proseguire la lettura nonostante la storia e i dialoghi siano lentissimi e sfiancanti.
Se credete che in MI possiate trovare qualche contenuto filosofico interessante, posso dirvi che quello che viene detto è pressapoco lo stesso di Ghost in the Shell, con qualche lieve elemento di novità purtroppo semisepolto sotto l'opulenza e il parossismo della sceneggiatura. Vi consiglio quindi, se cercate qualcosa di succoso, di andare a riprendervi la prima serie, ben più coinvolgente ed accurata, piuttosto che cimentarvi in questo indigeribile volume di onanismo tecnologico e retorico.
Impresa non facile, quella di scrivere una recensione per questa opera; pure per uno come me, che è appassionato fan dell'intera saga, e che quindi un po' "mastica" le situazioni ed il linguaggio del fumetto, non è stato molto facile comprendere tutto.
Nulla si può dire sul disegno, ricchissimo di dettagli e curato in maniera maniacale dall'autore, veramente bellissimo (sempre che piaccia questo tipo di stile), ma per quanto riguarda la storia in se, mi sembra che Shirow si dilunghi un po' troppo in interminabili duelli cyber-informatici, zeppi di termini tecnici (con tanto di note esplicative ai margini, quando va bene), in una sorta di autocompiacimento, ed è piuttosto problematico seguire il filo conduttore, che comunque è piuttosto esile.
In effetti la prima cosa che mi viene in mente riguardo a questo manga, è un caleidoscopio: una girandola di immagini, colori e suggestioni che tendono un po' a soverchiare il lettore.
È comunque indispensabile, prima di leggere quest'opera, avere un minimo di dimestichezza con le tematiche Shirowiane e con il suo difficile, ma affascinante, mondo.
Nulla si può dire sul disegno, ricchissimo di dettagli e curato in maniera maniacale dall'autore, veramente bellissimo (sempre che piaccia questo tipo di stile), ma per quanto riguarda la storia in se, mi sembra che Shirow si dilunghi un po' troppo in interminabili duelli cyber-informatici, zeppi di termini tecnici (con tanto di note esplicative ai margini, quando va bene), in una sorta di autocompiacimento, ed è piuttosto problematico seguire il filo conduttore, che comunque è piuttosto esile.
In effetti la prima cosa che mi viene in mente riguardo a questo manga, è un caleidoscopio: una girandola di immagini, colori e suggestioni che tendono un po' a soverchiare il lettore.
È comunque indispensabile, prima di leggere quest'opera, avere un minimo di dimestichezza con le tematiche Shirowiane e con il suo difficile, ma affascinante, mondo.