La canzone di Apollo
Serializzata tra Aprile e Novembre 1970 sulle pagine di Weekly Shonen King di Shonen Gahosha, la canzone di Apollo si rivolgerebbe, incredibilmente, ad un target shonen. Eppure la tematica e lo svolgimento della trama, incentrati sulla sessualità e l'impossibilità, per il protagonista, di amare, la perversione e la tragedia sembrano suggerire un'opera per un pubblico maturo.
Dopo una rapida introduzione, dove la metafora degli uomini che lottano per unirsi alla regina illustra il processo di fecondazione che dona e riproduce la vita, conosciamo Shogo Chikaishi, un malato pervertito che, incapace di amare, odia ogni coppia e sadicamente infierisce su animali e uomini per distruggere ogni parvenza di amore. Shogo, in clinica per una terapia correttiva a base di elettroshock, subisce, tra sogno e realtà, la condanna della dea Atena: figlio di una prostituta, senza padre, egli disprezza la bellezza e la nobiltà dell'amore, e per questo per l'eternità amerà e verrà amato, ma nella nuova coppia uno dei due... morirà. Per il tramite di dolorose storie d'amore episodiche, piene della classica fulgida potenza immaginifica di Tezuka, tra colpi di scena e una straordinaria inventiva, tra presente e futuro, secondo una tragedia destinata a ripetersi per sempre, il Maestro ci propone una particolare e del tutto originale "educazione sessuale" per i giovani, toccando la mitologia greca e il mito di Apollo e Dafne, un classico aìtion che giustifica l'alloro per gli artisti con la trasformazione di Dafne per sfuggire appunto all'importuno amante.
Gradevole l'edizione Goen in tre volumetti, anche se un po' cara e senza una minima presentazione.
Purtroppo, per un'opera che, nonostante i suoi cinquant'anni, è ancora godibilissima ed estremamente originale, manca come al solito una degna introduzione che possa opportunamente contestualizzare e aiutare ad una piena comprensione: è proprio lo stesso Tezuka, in una tarda intervista, a motivare la scelta del protagonista Shogo, così morboso ed oscuro, ma dai risvolti "eroici", con l'idea di riflettere la particolare temperie culturale dell'inizio anni '70, con le rivolte studentesche e le grandi incertezze su progresso e futuro.
Opera imperdibile per i fan di Tezuka, ma anche lettura imprescindibile per chi ama il manga o in generale il fumetto e la sua storia
Dopo una rapida introduzione, dove la metafora degli uomini che lottano per unirsi alla regina illustra il processo di fecondazione che dona e riproduce la vita, conosciamo Shogo Chikaishi, un malato pervertito che, incapace di amare, odia ogni coppia e sadicamente infierisce su animali e uomini per distruggere ogni parvenza di amore. Shogo, in clinica per una terapia correttiva a base di elettroshock, subisce, tra sogno e realtà, la condanna della dea Atena: figlio di una prostituta, senza padre, egli disprezza la bellezza e la nobiltà dell'amore, e per questo per l'eternità amerà e verrà amato, ma nella nuova coppia uno dei due... morirà. Per il tramite di dolorose storie d'amore episodiche, piene della classica fulgida potenza immaginifica di Tezuka, tra colpi di scena e una straordinaria inventiva, tra presente e futuro, secondo una tragedia destinata a ripetersi per sempre, il Maestro ci propone una particolare e del tutto originale "educazione sessuale" per i giovani, toccando la mitologia greca e il mito di Apollo e Dafne, un classico aìtion che giustifica l'alloro per gli artisti con la trasformazione di Dafne per sfuggire appunto all'importuno amante.
Gradevole l'edizione Goen in tre volumetti, anche se un po' cara e senza una minima presentazione.
Purtroppo, per un'opera che, nonostante i suoi cinquant'anni, è ancora godibilissima ed estremamente originale, manca come al solito una degna introduzione che possa opportunamente contestualizzare e aiutare ad una piena comprensione: è proprio lo stesso Tezuka, in una tarda intervista, a motivare la scelta del protagonista Shogo, così morboso ed oscuro, ma dai risvolti "eroici", con l'idea di riflettere la particolare temperie culturale dell'inizio anni '70, con le rivolte studentesche e le grandi incertezze su progresso e futuro.
Opera imperdibile per i fan di Tezuka, ma anche lettura imprescindibile per chi ama il manga o in generale il fumetto e la sua storia
"I wanted to run away from everyone, to live in a world of my own, where nobody would ever find me. This is that world, my world."
"When you love someone, it puts you above life and death."
Se pensate che queste citazioni vengano fuori da un anime psicologico anni '90 vi sbagliate di grosso. Le ho prese da "Apollo no Uta", quello che ritengo uno dei migliori Tezuka che abbia mai letto. Si tratta di una grande metafora della vita e dell'amore uomo-donna, in chiave psicologica, filosofica, con un forte nichilismo di fondo e un evidente richiamo alle tragedie greche (l'idea di base sulla quale si sviluppa il manga è il mito di Apollo e Daphne). Per la prima volta, il complesso di Edipo e la psico-analisi compaiono in un media di intrattenimento giapponese; "Apollo no Uta", infatti, è stato inizialmente concepito da Tezuka come mero manuale di educazione sessuale per i ragazzi del periodo, anche se il risultato finale è ben differente; l'infinita fertilità artistica del maestro, anche in questo caso, ha fatto sì che l'opera trascendesse a qualcosa di ben più profondo - un dramma umano struggente, dai molteplici livelli di lettura.
- Siccome non riponi alcuna fede nell'amore, dovrai affrontare infinite prove, soffrendo eternamente i dolori derivanti da questo sentimento -. Così si rivolge la dea Athena a Shogo, un ragazzo disadattato incapace di amare, forse per la durezza della società che lo circonda, oppure a causa del burrascoso rapporto che da sempre ha con la madre, che non si cura di lui, preferendo intrattenersi con i suoi numerosi amanti. Da quando, per caso, aprendo involontariamente la porta della camera da letto, Shogo l'ha vista fare sesso con un estraneo, non riesce più a tollerare l'atto sessuale in sé, fino al punto di arrivare ad uccidere in modo feroce gli animali che lo compiono. Secondo il dottore egli non è normale, ha dei problemi, e pertanto viene spedito in un manicomio di stato, sottoposto all'elettroshock, all'ipnosi e ad un'insolita seduta psicoanalitica. Buio totale. Ed ecco che compare Athena, con la sua implacabile condanna; Shogo verrà catapultato in mondi diversi, e in essi rivivrà ogni volta la stessa storia d'amore tragica in maniera differente, compiendo un processo di riabilitazione psicologica ciclico, onirico e denso di simbolismi.
"Apollo no Uta" ha veramente molte contaminazioni culturali, che vanno da citazioni alla bibbia (l'arca di Noé del secondo arco della storia) fino ad ammiccanti rimandi post-apocalittici ad Asimov (il quarto arco della storia, ovvero la quarta rivisitazione del mito greco di Apollo e Daphne, questa volta in salsa sci-fi, con reminescenze orwelliane). I viaggi onirici di Shogo dopo la condanna di Athena sembrano delle vere e proprie incursioni nell'inconscio, dove il mito, il mistero, i suggestivi panorami usciti dal pennino di Tezuka rendono "Apollo no Uta" un'opera d'arte dal fascino immenso - la scena del tramonto nel secondo arco, il nudo di Daphne, il cimitero dell'intera umanità dopo l'apocalisse. A scanso di equivoci, l'infinito ciclo della vita imposto dalla natura all'uomo viene suggerito da Tezuka nelle prime pagine del manga - che sia la dea Athena un simbolismo per raffigurare la natura, e Shogo l'uomo che non può sfuggire al suo castigo? -; tuttavia, l'eterno ciclo delle rinascite è riservato esclusivamente a chi non è capace di andare oltre la vita e la morte (come suggerisce la seconda citazione che ho riportato in testa alla recensione). C'è molto pensiero buddhista in "Apollo no Uta": è infatti noto che il Tezuka educatore si sia basato sugli insegnamenti di Siddhartha Gautama anche in altre sue opere, "Il Buddha" e "La Fenice" in primis. Nel simbolismo sessuale del manga, tra sogno e psicologia del transfert (si pensi all'innamoramento di Shogo per la sua psicoanalista), rieccheggia lo spettro del pensiero freudiano, a partire dall'evidente complesso di Edipo del protagonista, che arriva addirittura a baciare in bocca (con la lingua) la madre (!); a cercare nelle altre donne quella figura materna che tanto l'ha fatto soffrire.
E' un Tezuka molto chiuso e riflessivo, quello di "Apollo no Uta". In particolare il secondo arco della storia, nel quale viene raffigurata una natura idealizzata in cui i predatori convivono con le prede, mi è sembrato denso di riflessioni naturalistiche molto personali; Tezuka era un grande osservatore della natura, in particolare aveva una certa passione per gli insetti, che paragonerà agli esseri umani nel suo celebre "La cronaca degli insetti umani". E' la natura in sé, indissolubilmente legata al ciclo dell'eterna dicotomia eros-thanatos, che in "Apollo no Uta" sembra ossessionare l'autore fino nel profondo; il rapporto che quest'ultima ha con l'uomo, uno dei suoi innumerevoli prodotti, che, in quanto tale, deve contemplare oltre all'amore anche la morte, l'annullamento assoluto - il ciclo eterno, l'eterno castigo reso ancora più pesante dalla coscienza del bene e del male.
Nel primo arco della storia, il mito di Apollo e Daphne abbraccia una riflessione tipica dell'autore: il razzismo, l'odio verso il diverso - non a caso Shogo si ritrova catapultato nella seconda guerra mondiale, arruolato come cadetto dell'esercito nazista, in un'ambientazione che non può non ricordare il ben successivo capolavoro del maestro, "La storia dei tre Adolf" (1983). Lo stesso tema compare come leit motiv anche nell'arco sci-fi distopico, e viene propinato in modo molto schietto, con sanguinose scene dall'impatto molto forte, che impressionano tutt'ora nonostante il dolce tratto retrò del mangaka. Indubbiamente, "Apollo no Uta" è uno dei picchi massimi di autorialità del maestro, uno dei rari esempi in cui, con cinquecento pagine soltanto, si riescono a trattare argomenti molteplici attraverso un intreccio formalmente perfetto, che sfocia in un epilogo dal grande valore simbolico che mette in evidenza, a lettura conclusa, il messaggio finale dell'opera. Indubbiamente con questo manga Tezuka si rivolge più a se stesso che al suo lettore, rendendolo comunque testimone di una vasta gamma di pensieri, riflessioni sulla vera natura dell'amore, tanta bellezza, tanta poesia, il tutto con quell'alone di mistero che apre la strada a molteplici interpretazioni; il tutto con quella sincerità e schiettezza, mista a grande genio, di colui che ha elevato il fumetto a opera letteraria di indubbia caratura artistica.
"When you love someone, it puts you above life and death."
Se pensate che queste citazioni vengano fuori da un anime psicologico anni '90 vi sbagliate di grosso. Le ho prese da "Apollo no Uta", quello che ritengo uno dei migliori Tezuka che abbia mai letto. Si tratta di una grande metafora della vita e dell'amore uomo-donna, in chiave psicologica, filosofica, con un forte nichilismo di fondo e un evidente richiamo alle tragedie greche (l'idea di base sulla quale si sviluppa il manga è il mito di Apollo e Daphne). Per la prima volta, il complesso di Edipo e la psico-analisi compaiono in un media di intrattenimento giapponese; "Apollo no Uta", infatti, è stato inizialmente concepito da Tezuka come mero manuale di educazione sessuale per i ragazzi del periodo, anche se il risultato finale è ben differente; l'infinita fertilità artistica del maestro, anche in questo caso, ha fatto sì che l'opera trascendesse a qualcosa di ben più profondo - un dramma umano struggente, dai molteplici livelli di lettura.
- Siccome non riponi alcuna fede nell'amore, dovrai affrontare infinite prove, soffrendo eternamente i dolori derivanti da questo sentimento -. Così si rivolge la dea Athena a Shogo, un ragazzo disadattato incapace di amare, forse per la durezza della società che lo circonda, oppure a causa del burrascoso rapporto che da sempre ha con la madre, che non si cura di lui, preferendo intrattenersi con i suoi numerosi amanti. Da quando, per caso, aprendo involontariamente la porta della camera da letto, Shogo l'ha vista fare sesso con un estraneo, non riesce più a tollerare l'atto sessuale in sé, fino al punto di arrivare ad uccidere in modo feroce gli animali che lo compiono. Secondo il dottore egli non è normale, ha dei problemi, e pertanto viene spedito in un manicomio di stato, sottoposto all'elettroshock, all'ipnosi e ad un'insolita seduta psicoanalitica. Buio totale. Ed ecco che compare Athena, con la sua implacabile condanna; Shogo verrà catapultato in mondi diversi, e in essi rivivrà ogni volta la stessa storia d'amore tragica in maniera differente, compiendo un processo di riabilitazione psicologica ciclico, onirico e denso di simbolismi.
"Apollo no Uta" ha veramente molte contaminazioni culturali, che vanno da citazioni alla bibbia (l'arca di Noé del secondo arco della storia) fino ad ammiccanti rimandi post-apocalittici ad Asimov (il quarto arco della storia, ovvero la quarta rivisitazione del mito greco di Apollo e Daphne, questa volta in salsa sci-fi, con reminescenze orwelliane). I viaggi onirici di Shogo dopo la condanna di Athena sembrano delle vere e proprie incursioni nell'inconscio, dove il mito, il mistero, i suggestivi panorami usciti dal pennino di Tezuka rendono "Apollo no Uta" un'opera d'arte dal fascino immenso - la scena del tramonto nel secondo arco, il nudo di Daphne, il cimitero dell'intera umanità dopo l'apocalisse. A scanso di equivoci, l'infinito ciclo della vita imposto dalla natura all'uomo viene suggerito da Tezuka nelle prime pagine del manga - che sia la dea Athena un simbolismo per raffigurare la natura, e Shogo l'uomo che non può sfuggire al suo castigo? -; tuttavia, l'eterno ciclo delle rinascite è riservato esclusivamente a chi non è capace di andare oltre la vita e la morte (come suggerisce la seconda citazione che ho riportato in testa alla recensione). C'è molto pensiero buddhista in "Apollo no Uta": è infatti noto che il Tezuka educatore si sia basato sugli insegnamenti di Siddhartha Gautama anche in altre sue opere, "Il Buddha" e "La Fenice" in primis. Nel simbolismo sessuale del manga, tra sogno e psicologia del transfert (si pensi all'innamoramento di Shogo per la sua psicoanalista), rieccheggia lo spettro del pensiero freudiano, a partire dall'evidente complesso di Edipo del protagonista, che arriva addirittura a baciare in bocca (con la lingua) la madre (!); a cercare nelle altre donne quella figura materna che tanto l'ha fatto soffrire.
E' un Tezuka molto chiuso e riflessivo, quello di "Apollo no Uta". In particolare il secondo arco della storia, nel quale viene raffigurata una natura idealizzata in cui i predatori convivono con le prede, mi è sembrato denso di riflessioni naturalistiche molto personali; Tezuka era un grande osservatore della natura, in particolare aveva una certa passione per gli insetti, che paragonerà agli esseri umani nel suo celebre "La cronaca degli insetti umani". E' la natura in sé, indissolubilmente legata al ciclo dell'eterna dicotomia eros-thanatos, che in "Apollo no Uta" sembra ossessionare l'autore fino nel profondo; il rapporto che quest'ultima ha con l'uomo, uno dei suoi innumerevoli prodotti, che, in quanto tale, deve contemplare oltre all'amore anche la morte, l'annullamento assoluto - il ciclo eterno, l'eterno castigo reso ancora più pesante dalla coscienza del bene e del male.
Nel primo arco della storia, il mito di Apollo e Daphne abbraccia una riflessione tipica dell'autore: il razzismo, l'odio verso il diverso - non a caso Shogo si ritrova catapultato nella seconda guerra mondiale, arruolato come cadetto dell'esercito nazista, in un'ambientazione che non può non ricordare il ben successivo capolavoro del maestro, "La storia dei tre Adolf" (1983). Lo stesso tema compare come leit motiv anche nell'arco sci-fi distopico, e viene propinato in modo molto schietto, con sanguinose scene dall'impatto molto forte, che impressionano tutt'ora nonostante il dolce tratto retrò del mangaka. Indubbiamente, "Apollo no Uta" è uno dei picchi massimi di autorialità del maestro, uno dei rari esempi in cui, con cinquecento pagine soltanto, si riescono a trattare argomenti molteplici attraverso un intreccio formalmente perfetto, che sfocia in un epilogo dal grande valore simbolico che mette in evidenza, a lettura conclusa, il messaggio finale dell'opera. Indubbiamente con questo manga Tezuka si rivolge più a se stesso che al suo lettore, rendendolo comunque testimone di una vasta gamma di pensieri, riflessioni sulla vera natura dell'amore, tanta bellezza, tanta poesia, il tutto con quell'alone di mistero che apre la strada a molteplici interpretazioni; il tutto con quella sincerità e schiettezza, mista a grande genio, di colui che ha elevato il fumetto a opera letteraria di indubbia caratura artistica.
Analogamente a quanto fatto con Alabaster, anche in questo caso ho dovuto affrontare la lettura di Apollo's Song (questo il titolo internazionale di "Apollo no Uta") in lingua inglese. Mi sembra necessario premettere che la versione da me letta è quella edita dalla Vertical nel 2007 in un singolo volume di oltre cinquecento pagine. Ci troviamo di fronte a uno dei manga tezukiani più densi di simbolismi, riferimenti mitologici e significati nascosti, quasi alla stregua de La fenice e non posso fare a meno di sorprendermi e ammirare il maestro ancora una volta: è l'ennesima conferma che la mente di quest'uomo era un inesauribile vulcano di idee.
Attenzione: possibili spoiler.
L'incipit è costituito da una metafora sessuale spiazzante e al contempo straordinaria: un esercito di milioni di guerrieri completamente nudi si appresta a conquistare una regina dall'ampia veste circolare; a spuntarla, però, sarà un solo guerriero. Tale scena già di per sé è un mero assaggio dei temi universali trattati nell'opera. La vicenda vera e propria ruota attorno a Shogo, un ragazzo parecchio problematico che esplode in atti di feroce violenza nei confronti di coppie di animali: a causa di un'infanzia travagliata per via di un padre assente e una madre incapace di ricoprire il proprio ruolo, il giovane ha sviluppato un odio profondo per la felicità coniugale e, più in generale, per qualunque manifestazione d'amore. In cura da uno psichiatra, Shogo viene sottoposto a un elettroshock: il trauma darà vita a un'illusione (o forse no?) in cui una statua della dea Atena lo avverte che verrà punito per i suoi atti sacrileghi: dovrà subire l'eterno tormento di amare una donna senza poter mai coronare tale sentimento a causa della morte di uno dei due. A questo punto, Shogo vive tre esperienze il cui confine, a metà tra sogno e realtà, è reso volutamente labile dall'autore: non si ha mai la certezza che quanto si stia leggendo sia reale oppure un parto della mente deviata del protagonista. L'altro fondamentale protagonista della vicenda è l'enigmatica Himari, a un tempo sensuale e sensibile figura che segnerà per sempre la psiche di Shogo. Passando per il mito di Apollo e Dafne (come si intuisce dal titolo), il drammatico quanto filosofico epilogo si ricollega magistralmente all'inizio, con un inno all'eterno avvicendarsi dell'unione dei due archetipi maschile e femminile: l'amore di una coppia è all'origine della vita.
Vero cuore pulsante dell'opera sono le tre singole esperienze di Shogo, una più bella dell'altra, caratterizzate da ambientazioni che riecheggiano altri lavori di Tezuka: la seconda Guerra Mondiale (di lì a una dozzina di anni il maestro avrebbe scritto La storia dei tre Adolf), un'isola deserta popolata da animali con comportamenti quasi umani (che ricordano il suo Jungle Taitei) e un lontano futuro in cui esseri sintetici hanno in sostanza soppiantato l'umanità (una versione più cupa e adulta di alcuni temi trattati in Astro Boy). Da un punto di vista delle scelte grafiche, il maestro non delude mai e proprio qui, a lato della pagina, è possibile ammirare una delle sue tavole più belle: nel silenzio più totale, una coppia nuda contempla il tramonto del sole sul mare, creando un contrasto tra l'immensa palla di fuoco e la cornice naturale di roccia.
Apollo no Uta è un manga piuttosto impegnativo in grado di fornire al lettore una notevole dose di riferimenti culturali e spunti di riflessione su temi maturi di ampio respiro. In conclusione, non consiglierei quest'opera a chi si avvicina a Tezuka per la prima volta, ma è senza alcun dubbio un must per gli amanti del maestro e dei manga in generale.
Attenzione: possibili spoiler.
L'incipit è costituito da una metafora sessuale spiazzante e al contempo straordinaria: un esercito di milioni di guerrieri completamente nudi si appresta a conquistare una regina dall'ampia veste circolare; a spuntarla, però, sarà un solo guerriero. Tale scena già di per sé è un mero assaggio dei temi universali trattati nell'opera. La vicenda vera e propria ruota attorno a Shogo, un ragazzo parecchio problematico che esplode in atti di feroce violenza nei confronti di coppie di animali: a causa di un'infanzia travagliata per via di un padre assente e una madre incapace di ricoprire il proprio ruolo, il giovane ha sviluppato un odio profondo per la felicità coniugale e, più in generale, per qualunque manifestazione d'amore. In cura da uno psichiatra, Shogo viene sottoposto a un elettroshock: il trauma darà vita a un'illusione (o forse no?) in cui una statua della dea Atena lo avverte che verrà punito per i suoi atti sacrileghi: dovrà subire l'eterno tormento di amare una donna senza poter mai coronare tale sentimento a causa della morte di uno dei due. A questo punto, Shogo vive tre esperienze il cui confine, a metà tra sogno e realtà, è reso volutamente labile dall'autore: non si ha mai la certezza che quanto si stia leggendo sia reale oppure un parto della mente deviata del protagonista. L'altro fondamentale protagonista della vicenda è l'enigmatica Himari, a un tempo sensuale e sensibile figura che segnerà per sempre la psiche di Shogo. Passando per il mito di Apollo e Dafne (come si intuisce dal titolo), il drammatico quanto filosofico epilogo si ricollega magistralmente all'inizio, con un inno all'eterno avvicendarsi dell'unione dei due archetipi maschile e femminile: l'amore di una coppia è all'origine della vita.
Vero cuore pulsante dell'opera sono le tre singole esperienze di Shogo, una più bella dell'altra, caratterizzate da ambientazioni che riecheggiano altri lavori di Tezuka: la seconda Guerra Mondiale (di lì a una dozzina di anni il maestro avrebbe scritto La storia dei tre Adolf), un'isola deserta popolata da animali con comportamenti quasi umani (che ricordano il suo Jungle Taitei) e un lontano futuro in cui esseri sintetici hanno in sostanza soppiantato l'umanità (una versione più cupa e adulta di alcuni temi trattati in Astro Boy). Da un punto di vista delle scelte grafiche, il maestro non delude mai e proprio qui, a lato della pagina, è possibile ammirare una delle sue tavole più belle: nel silenzio più totale, una coppia nuda contempla il tramonto del sole sul mare, creando un contrasto tra l'immensa palla di fuoco e la cornice naturale di roccia.
Apollo no Uta è un manga piuttosto impegnativo in grado di fornire al lettore una notevole dose di riferimenti culturali e spunti di riflessione su temi maturi di ampio respiro. In conclusione, non consiglierei quest'opera a chi si avvicina a Tezuka per la prima volta, ma è senza alcun dubbio un must per gli amanti del maestro e dei manga in generale.