Chiisakobe
"La poesia dei gesti". Penso che questo sia il modo migliore per riassumere questo manga. È un po' difficile entrare nel mondo di "Chiisakobe" all'inizio. Non si è solitamente abituati nella lettura di un manga a tutta questa sospensione, specialmente verbale, almeno per quanto mi riguarda. Nonostante all'apparenza siano quattro bei volumoni, il testo occupa infatti in proporzione poco spazio. Non sono presenti scene molto movimentate o concitate. Il ruolo centrale è ricoperto dai piccoli gesti. Una volta entrati però in questo mondo atipico non si vorrebbe piú uscirne. Poche parole estremamente significative. Delicatezza e linguaggio non verbale conquistano il lettore. Per questo arrivo adesso a presentare quella che mi è sembrata l'unica pecca di questo manga, ovvero un finale un pochino forse troppo precipitoso in relazione allo sviluppo generale della storia. Ma questo non incide molto sul valore complessivo di un'opera che considero validissima e da dover leggere. Anzi, più che leggere, osservare.
Dopo averci terrorizzato con l’orrorifico Phantom Stalker Woman e il claustrofobico Dragon Head, il maestro Minetaro Mochizuki torna in Italia grazie a J-Pop Manga che pubblica Chiisakobe, miniserie in quattro volumi già premiata come miglior fumetto straniero al prestigioso Festival d’Angoulême nel 2017. Edito in Giappone sul settimanale Big Comic Spirits di Shogakukan, il manga è liberamente ispirato all’omonimo racconto del 1957 di Shugoro Yamamoto, scrittore monumento in patria, i cui romanzi più noti hanno goduto di trasposizioni teatrali e cinematografiche ad opera di importanti registi come Akira Kurosawa (Barbarossa, 1965) e Takashi Miike (Sabu, 2002).
Dopo aver terminato brillantemente gli studi di architettura, Shigeji è in piena crisi esistenziale. In fuga dalle responsabilità e dedito a solitari vagabondaggi beatnik, il giovane si ritrova improvvisamente senza genitori a causa di un rovinoso incendio che ha distrutto la casa patriarcale e la gloriosa ditta di famiglia, rinomata nel campo dell’edilizia tradizionale in legno. La sua più immediata reazione è quella di rinchiudersi a riccio, ma ben presto, facendo tesoro delle parole paterne circa la forza di volontà e il rispetto tra gli esseri umani, decide di rimboccarsi le maniche e di rimettere in sesto l’impresa, prendendosi cura degli operai e caricandosi tutto il peso sulle spalle. Ma l’incendio ha distrutto anche altri edifici nel quartiere, fra i quali un orfanotrofio. Quindi, per evitare ulteriori sofferenze a un gruppo di cinque bambini piuttosto problematici, l’amica d’infanzia Ritsu gli propone di ospitarli da lui, offrendogli tutto il suo sostegno. Non senza qualche indecisione, con dei modi tra il brusco e il maldestro, Shigeji dovrà fare i conti con una nuova famiglia allargata, tanto varia quanto imprevedibile, e aprirsi a un orizzonte inaspettato del proprio dramma.
Originariamente ambientato nel periodo Edo (1603 - 1868), Mochizuki spolvera il soggetto di Yamamoto da ogni patina vintage e lo trasporta ai giorni nostri, conferendogli un carattere di attualità del tutto fresco e verosimile. Attraverso l'originale approccio alla quotidianità e il meticoloso studio dei personaggi, Chiisakobe riesce a conciliare dramma e commedia, realtà e grottesco, sincerità ed esuberanza, condensandoli in un seinen sincero e toccante.
Sfogliando i volumetti, colpisce subito la differenza stilistica rispetto al suo ultimo manga pubblicato in Italia. Siamo lontani dal clima post apocalittico di Dragon Head, in cui Mochizuki aveva preferito l’espressività alle proporzioni dei personaggi (volti e prospettive deformanti, posture improbabili, chiaroscuri contrastati e dominanti di neri, sopracciglia che sembravano dotate di vita propria). Già con Tokyo Kaido aveva maturato un linguaggio più personale, sperimentando due tecniche contemporaneamente, con l’espediente metanarrativo del manga nel manga.
Chiisakobe rappresenta un ulteriore salto di qualità nel percorso di affinamento del tratto grafico e un drastico cambio di genere, che vira verso lo slice of life dal taglio realistico, complice anche il soggetto di estrazione squisitamente letteraria. Qui l'autore lavora per sottrazione e depura le sue tavole da ogni elemento superfluo. Il segno si fa più sintetico ed essenziale, le linee cinetiche e il tratteggio sono banditi, la griglia è ossessivamente equilibrata, per una messa in scena rigorosa, descrittiva, talmente algida e rarefatta da risultare quasi asettica. Ora è il bianco a predominare nelle eteree vignette e i grigi dei retini (di grande complessità e ricchezza di modulazioni), piuttosto che esaltare i volumi, donano alle vignette un elegante effetto tonale.
La storia parla di perdita e di necessaria ricostruzione, ma non lo fa in maniera pesante, al contrario emerge dalle tavole un senso di strana ironia, tutta giocata sulle compensazioni degli opposti. Si tratta di un umorismo inquieto che flirta con il malessere, lo stesso tipo di comicità dal retrogusto amaro che si può trovare nei film di Wes Anderson, verso cui Mochizuki sembra essere debitore. In particolare, il protagonista ricalca nei modi e nelle fattezze Luke Wilson/Richie ne I Tenenbaum (barba e capelli lunghi, occhiali da sole e fascia da tennista); i bambini, con le loro marcate caratterizzazioni (a metà strada tra le tenere creature e i piccoli mostri), ricordano molto da vicino i protagonisti di Moonlight Wedding; per finire con le consuete inquadrature dall’alto di oggetti disposti ordinatamente, che sono una delle peculiarità del regista texano più riconoscibili e citate. Queste suggestioni cinefile attenuano parzialmente le situazioni delicate e stemperano il pathos con una nota di poetica leggerezza.
Il mondo originale e tragicomico di Chiisakobe è popolato da una galleria di personaggi eccentrici e realistici allo stesso tempo, un concentrato di quirkiness, un mosaico di figure stralunate, nobilitate dal nitore dei disegni e dai dialoghi asciutti. A volte bisogna leggere fra le righe per coglierne l’intima essenza e la loro apparente freddezza espressiva è in contrasto con la loro profondità emotiva.
I due protagonisti, Shigeji e Ritsu, sono particolarmente laconici e spesso i loro dialoghi si limitano a poche battute, ma è proprio qui che si nota la straordinaria pantomima di Chiisakobe, che fa parlare il corpo con dettagli in primo piano. L'inclinazione di una testa, una smorfia delle labbra, i pugni serrati, la posizione delle braccia, sono spesso sintomi di una battaglia tutta interiore, in una teoria di gesti che ci rivela lo stato d’animo dei personaggi. A volte, per testimoniarne il disagio, l'autore ribalta le vignette di 90 gradi. Così come un semplice paio di sandali scompagnati tradisce tutta l'angoscia di Ritsu dopo la fuga dei bambini, di cui si sente responsabile.
L’entrata in scena di Yuko innesca un triangolo sentimentale potenzialmente esplosivo che farà palpitare i cuori dei lettori più romantici. A completare il quadro, una serie di attori comprimari, ognuno con la propria forza e una personalità ben definita, che non sono mai tragici o bidimensionali, e ai quali è difficile non affezionarsi. Attraverso l'ironia dolce/amara dei suoi personaggi, Chiisakobe ci parla in maniera lieve, originale e personalissima di sentimenti universali.
Un’altra cifra caratteristica di questo sofisticato seinen è da ricercare nella narrazione, strutturata in capitoli collegati fra loro da eleganti illustrazioni stilizzate di gusto Pop Art. Il ritmo tranquillo, contemplativo, a tratti sospeso e galleggiante, è scandito dalle doppie tavole panoramiche che danno respiro alla lettura. Non avvengono mai azioni particolarmente eclatanti, a coinvolgere è la delicatezza dei sentimenti, l'espressione delle emozioni, che possono toccare corde dolorosamente sensibili.
La regia di Minetaro Mochizuki è particolarmente attenta nel calibrare i tempi dell’azione e nella scelta di inquadrature inusuali, che privilegiano i punti di vista dall’alto. La raffinatezza dell’impianto grafico, il sapiente uso dei retini e una certa profusione di zoom sui dettagli, anche i più minimali, spingono visivamente il lettore all’interno di uno spaccato di vita incredibilmente reale. Fra le tante scene significative, la sequenza del negozio, tutta giocata sui piedi dei personaggi e sul particolare feticistico delle calze a fiori di Ritsu, il bento curato con amore che tradisce le intenzioni di chi lo ha preparato, i banali gesti quotidiani, i silenzi. Una lunga serie di dettagli apparentemente insignificanti che riescono a congelare un momento fugace e suggerire al lettore un’attitudine, uno stile di vita, una sensazione.
Poetico, gentile, toccante e superbamente disegnato, Chiisakobe adempie perfettamente al suo ruolo di oggetto atipico e originale dell’universo manga e ci mostra tutte le potenzialità del genere slice of life. Nel ritrarre un Giappone assolutamente moderno attraverso una storia antica, che sa di ancestrale, rende sicuramente un ottimo omaggio alla letteratura del gigante Shugoro Yamamoto, declinandolo ancora una volta attraverso un medium che gli calza a pennello.
Il suo sapore di verità ci fornisce infine un'interessante chiave di lettura: la scelta del tema della rinascita suggerirebbe una sorta di reazione al disastroso tsunami dell'11 marzo 2011. È la storia di un sopravvissuto, la testimonianza di chi rimane mentre i suoi parenti e la sua casa non esistono più. In questo senso, Chiisakobe si inserisce in una certa tradizione di opere catartiche. Il trauma di Shigeji come quello dell'intero paese, richiede istintivamente un bisogno di ricostruzione. Dopotutto, la via crucis di un giovane capellone barbuto, figlio di un falegname, che si carica simbolicamente delle sorti del mondo, non è forse un soggetto di cui abbiamo già sentito parlare?
Dopo aver terminato brillantemente gli studi di architettura, Shigeji è in piena crisi esistenziale. In fuga dalle responsabilità e dedito a solitari vagabondaggi beatnik, il giovane si ritrova improvvisamente senza genitori a causa di un rovinoso incendio che ha distrutto la casa patriarcale e la gloriosa ditta di famiglia, rinomata nel campo dell’edilizia tradizionale in legno. La sua più immediata reazione è quella di rinchiudersi a riccio, ma ben presto, facendo tesoro delle parole paterne circa la forza di volontà e il rispetto tra gli esseri umani, decide di rimboccarsi le maniche e di rimettere in sesto l’impresa, prendendosi cura degli operai e caricandosi tutto il peso sulle spalle. Ma l’incendio ha distrutto anche altri edifici nel quartiere, fra i quali un orfanotrofio. Quindi, per evitare ulteriori sofferenze a un gruppo di cinque bambini piuttosto problematici, l’amica d’infanzia Ritsu gli propone di ospitarli da lui, offrendogli tutto il suo sostegno. Non senza qualche indecisione, con dei modi tra il brusco e il maldestro, Shigeji dovrà fare i conti con una nuova famiglia allargata, tanto varia quanto imprevedibile, e aprirsi a un orizzonte inaspettato del proprio dramma.
Originariamente ambientato nel periodo Edo (1603 - 1868), Mochizuki spolvera il soggetto di Yamamoto da ogni patina vintage e lo trasporta ai giorni nostri, conferendogli un carattere di attualità del tutto fresco e verosimile. Attraverso l'originale approccio alla quotidianità e il meticoloso studio dei personaggi, Chiisakobe riesce a conciliare dramma e commedia, realtà e grottesco, sincerità ed esuberanza, condensandoli in un seinen sincero e toccante.
Sfogliando i volumetti, colpisce subito la differenza stilistica rispetto al suo ultimo manga pubblicato in Italia. Siamo lontani dal clima post apocalittico di Dragon Head, in cui Mochizuki aveva preferito l’espressività alle proporzioni dei personaggi (volti e prospettive deformanti, posture improbabili, chiaroscuri contrastati e dominanti di neri, sopracciglia che sembravano dotate di vita propria). Già con Tokyo Kaido aveva maturato un linguaggio più personale, sperimentando due tecniche contemporaneamente, con l’espediente metanarrativo del manga nel manga.
Chiisakobe rappresenta un ulteriore salto di qualità nel percorso di affinamento del tratto grafico e un drastico cambio di genere, che vira verso lo slice of life dal taglio realistico, complice anche il soggetto di estrazione squisitamente letteraria. Qui l'autore lavora per sottrazione e depura le sue tavole da ogni elemento superfluo. Il segno si fa più sintetico ed essenziale, le linee cinetiche e il tratteggio sono banditi, la griglia è ossessivamente equilibrata, per una messa in scena rigorosa, descrittiva, talmente algida e rarefatta da risultare quasi asettica. Ora è il bianco a predominare nelle eteree vignette e i grigi dei retini (di grande complessità e ricchezza di modulazioni), piuttosto che esaltare i volumi, donano alle vignette un elegante effetto tonale.
La storia parla di perdita e di necessaria ricostruzione, ma non lo fa in maniera pesante, al contrario emerge dalle tavole un senso di strana ironia, tutta giocata sulle compensazioni degli opposti. Si tratta di un umorismo inquieto che flirta con il malessere, lo stesso tipo di comicità dal retrogusto amaro che si può trovare nei film di Wes Anderson, verso cui Mochizuki sembra essere debitore. In particolare, il protagonista ricalca nei modi e nelle fattezze Luke Wilson/Richie ne I Tenenbaum (barba e capelli lunghi, occhiali da sole e fascia da tennista); i bambini, con le loro marcate caratterizzazioni (a metà strada tra le tenere creature e i piccoli mostri), ricordano molto da vicino i protagonisti di Moonlight Wedding; per finire con le consuete inquadrature dall’alto di oggetti disposti ordinatamente, che sono una delle peculiarità del regista texano più riconoscibili e citate. Queste suggestioni cinefile attenuano parzialmente le situazioni delicate e stemperano il pathos con una nota di poetica leggerezza.
Il mondo originale e tragicomico di Chiisakobe è popolato da una galleria di personaggi eccentrici e realistici allo stesso tempo, un concentrato di quirkiness, un mosaico di figure stralunate, nobilitate dal nitore dei disegni e dai dialoghi asciutti. A volte bisogna leggere fra le righe per coglierne l’intima essenza e la loro apparente freddezza espressiva è in contrasto con la loro profondità emotiva.
I due protagonisti, Shigeji e Ritsu, sono particolarmente laconici e spesso i loro dialoghi si limitano a poche battute, ma è proprio qui che si nota la straordinaria pantomima di Chiisakobe, che fa parlare il corpo con dettagli in primo piano. L'inclinazione di una testa, una smorfia delle labbra, i pugni serrati, la posizione delle braccia, sono spesso sintomi di una battaglia tutta interiore, in una teoria di gesti che ci rivela lo stato d’animo dei personaggi. A volte, per testimoniarne il disagio, l'autore ribalta le vignette di 90 gradi. Così come un semplice paio di sandali scompagnati tradisce tutta l'angoscia di Ritsu dopo la fuga dei bambini, di cui si sente responsabile.
L’entrata in scena di Yuko innesca un triangolo sentimentale potenzialmente esplosivo che farà palpitare i cuori dei lettori più romantici. A completare il quadro, una serie di attori comprimari, ognuno con la propria forza e una personalità ben definita, che non sono mai tragici o bidimensionali, e ai quali è difficile non affezionarsi. Attraverso l'ironia dolce/amara dei suoi personaggi, Chiisakobe ci parla in maniera lieve, originale e personalissima di sentimenti universali.
Un’altra cifra caratteristica di questo sofisticato seinen è da ricercare nella narrazione, strutturata in capitoli collegati fra loro da eleganti illustrazioni stilizzate di gusto Pop Art. Il ritmo tranquillo, contemplativo, a tratti sospeso e galleggiante, è scandito dalle doppie tavole panoramiche che danno respiro alla lettura. Non avvengono mai azioni particolarmente eclatanti, a coinvolgere è la delicatezza dei sentimenti, l'espressione delle emozioni, che possono toccare corde dolorosamente sensibili.
La regia di Minetaro Mochizuki è particolarmente attenta nel calibrare i tempi dell’azione e nella scelta di inquadrature inusuali, che privilegiano i punti di vista dall’alto. La raffinatezza dell’impianto grafico, il sapiente uso dei retini e una certa profusione di zoom sui dettagli, anche i più minimali, spingono visivamente il lettore all’interno di uno spaccato di vita incredibilmente reale. Fra le tante scene significative, la sequenza del negozio, tutta giocata sui piedi dei personaggi e sul particolare feticistico delle calze a fiori di Ritsu, il bento curato con amore che tradisce le intenzioni di chi lo ha preparato, i banali gesti quotidiani, i silenzi. Una lunga serie di dettagli apparentemente insignificanti che riescono a congelare un momento fugace e suggerire al lettore un’attitudine, uno stile di vita, una sensazione.
Poetico, gentile, toccante e superbamente disegnato, Chiisakobe adempie perfettamente al suo ruolo di oggetto atipico e originale dell’universo manga e ci mostra tutte le potenzialità del genere slice of life. Nel ritrarre un Giappone assolutamente moderno attraverso una storia antica, che sa di ancestrale, rende sicuramente un ottimo omaggio alla letteratura del gigante Shugoro Yamamoto, declinandolo ancora una volta attraverso un medium che gli calza a pennello.
Il suo sapore di verità ci fornisce infine un'interessante chiave di lettura: la scelta del tema della rinascita suggerirebbe una sorta di reazione al disastroso tsunami dell'11 marzo 2011. È la storia di un sopravvissuto, la testimonianza di chi rimane mentre i suoi parenti e la sua casa non esistono più. In questo senso, Chiisakobe si inserisce in una certa tradizione di opere catartiche. Il trauma di Shigeji come quello dell'intero paese, richiede istintivamente un bisogno di ricostruzione. Dopotutto, la via crucis di un giovane capellone barbuto, figlio di un falegname, che si carica simbolicamente delle sorti del mondo, non è forse un soggetto di cui abbiamo già sentito parlare?