Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Una storia con la stessa credibilità di una promessa elettorale, che tra alti e bassi si trascina fino a strappare una sufficienza. Tutto qui?

Trama e storia
Fumiya Tomozaki è il miglior giocatore del Giappone in un videogame chiamato Atafami, ma è anche un nerd introverso, taciturno e solitario che non presta attenzione al proprio modo di vestire, di parlare e, in generale, a nessuna attività da normie.
Un giorno organizza un incontro con il secondo classificato del gioco, che si scopre essere la sua compagna di classe Aoi Hinami. La ragazza è l’esatto contrario di lui: solare, sempre esteticamente impeccabile, costantemente circondata di persone, voti scolastici altissimi, la migliore anche nello sport. In sostanza lei rimane terribilmente delusa da lui, ma, invece di piantarlo lì e dedicarsi ad altro, gli tira su un ‘pippone’ infinito che non mi avrebbero fatto neanche i miei genitori nella mia fase ribelle, e cerca di convincerlo a migliorarsi. Perché “la vita è un god-tier game”.

‘Stacce’.

Ad ogni modo Tomozaki, che probabilmente è alla prima esperienza di un dialogo con un essere umano di sesso femminile, accetta di provare seriamente a giocare al gioco della vita (senza maiuscole, perché non è quello edito da Hasbro)... e quindi lei inizierà a fargli da life coach, guidandolo passo dopo passo, dandogli delle missioni da svolgere per guadagnare “punti esperienza” e “sbloccare skill”, e stabilendo degli obiettivi nel breve e medio termine.

Ammetto che sulla carta l'idea mi aveva intrigato parecchio, ma la verità è che ben presto l’impianto inizia a scricchiolare sotto il peso di dialoghi non sempre brillanti, di una Aoi fastidiosa come un dente cariato e di una crescita troppo verticale del protagonista. Soprattutto, il castello di sabbia si sgretola sotto i propri stessi sofismi, nel momento in cui la protagonista femminile, così dannatamente brillante, è anche terribilmente inquadrata, conformista e “giapponese”. Specchio estremizzato della cultura in cui vive, Aoi porta il concetto di competitività al parossismo e, al contempo, ha una tale chiusura mentale da non riuscire a concepire il fatto che un gioco di così alto livello non possa certo essere limitato da un’unica classifica basata sulla realizzazione sociale o sulle performance, né essere vincolato ad un singolo percorso per raggiungere la vittoria. Vittoria poi... sempre secondo l’ideale standard mainstream nipponico.

Ecco, se volessi farne un'analisi per cui il mio professore di letteratura sarebbe stato contento, avrei potuto dire che Aoi è lo strumento tramite cui l'autore critica la società giapponese per la sua sterilità, per l'ipocrisia e per la costante pressione omologatrice in tutti gli ambiti formativi. Ma la verità è che io non credo affatto che ci sia una tale profondità in questo anime.

Eppure, mi chiedo, è davvero credibile che Aoi, con la sua spiccata intelligenza e le sue capacità di analisi e programmazione, innalzi sé stessa a messia e portatrice dell'unica verità? Dall'alto del proprio acume dovrebbe saperlo bene che il suo modo così diretto e competitivo di giocare ad Atafami non le ha mai permesso di superare Tomozaki, il re delle combo. Quindi, perché con la vita dovrebbe andare diversamente? Apparentemente, non si pone mai il problema di avere un approccio sbagliato, o che quantomeno il suo sia solo uno dei possibili modi di affrontare la vita. Sebbene lui dica in più di una circostanza che i giochi sono innanzitutto una sfida con sé stessi, prima che con gli avversari, palesando di fatto ciò che lei non riesce a capire: non ci può essere una vittoria completa, piena e realizzante, se si rimane concentrati solo sul battere gli altri. Se anziché considerarli innanzitutto persone, li si vede solo come pedine insignificanti o avversari da sconfiggere.
Tomozaki affronterà poi davvero la questione con Aoi, ma solo nell’ultimo episodio, gestendo peraltro l’intero lunghissimo dialogo in modo abbastanza superficiale e piuttosto deludente.

E quindi in buona sostanza per undici episodi ciò che abbiamo è Tomozaki che da bravo cagnolino si impegna a svolgere i compiti che gli vengono assegnati... solo che dopo tre episodi ha già raggiunto un livello di accettabilità tale per cui il gioco non risulta più divertente, scivolando in una sorta di slice of life noiosetto con un po’ di harem. Anche i vari archi narrativi non sono niente di che, e mancano decisamente di mordente... cosa inevitabile, considerando che Aoi è sempre dipinta una spanna sopra a tutti e pressoché invincibile. Non è che ti aspetti che il palco crolli alla prima occasione della prima stagione, sapendo che ci sono una decina di light novel da serializzare.
Ad ogni modo ammetto che gli insegnamenti di Hinami, seppur banali e anche un po’ faciloni, raramente sono campati per aria o sbagliati. Nel senso... curare l’igiene personale e il proprio aspetto, mantenere una postura migliore, lavorare sull’eloquio, cercare di avere argomenti di dialogo, uscire dalla propria bolla, prepararsi a un appuntamento in precedenza... sono tutti consigli che darei a molti dei miei conoscenti meno brillanti.

E niente, se vi pare che io abbia sproloquiato inutilmente per 5000 caratteri, che i miei siano solo paralogismi da bar o, peggio, che io stia vaneggiando a suon di circonlocuzioni sul nulla... beh, allora è meglio se lasciate stare questo anime, perché tale filosofia da strapazzo è ciò di cui questa serie è fatta.

Sviluppo dei personaggi
Di Fumiya Tomozaki ho già detto quasi tutto qui sopra: lui è scialbo e poco intrigante, anche anaffettivo mi sento di dire, e resta tale anche nel corso del proprio percorso di maturazione, quindi dal punto di vista dell’analisi caratteriale non c’è poi molto da aggiungere.
Il centro attorno a cui ruota la serie non sono tanto le storielle di una banalità sconcertante che vengono raccontate, ma la crescita del protagonista e il suo intrecciare relazioni con i compagni di classe estroversi e con le ragazze. Quindi, ci si aspetterebbe che venga posto un grosso accento sulle sfide che deve affrontare, sulla difficoltà e gli squilibri dovuti a un cambio di vita radicale, in un percorso fatto di risultati faticosamente raggiunti, ma anche di obiettivi mancati. Sul prendere consapevolezza dei punti di forza, ma anche delle proprie debolezze. Sugli aspetti legati all’etica e al rispetto, che alcune delle quest sembrano trascurare quasi completamente.
E in parte tutto questo è presente, soprattutto nei primi episodi e negli ultimi, ma purtroppo la crescita di Tomozaki è eccessivamente veloce, e già dopo poche puntate il protagonista diventa sostanzialmente un normale ragazzo un po’ introverso, riuscendo a farsi accettare più o meno da tutti, mettendo a segno dei colpi anche piuttosto rilevanti e perdendo praticamente del tutto la connotazione da “reietto” con cui partiva inizialmente.
E questo è piuttosto grave secondo me: manca completamente l’aspetto legato alla reticenza con cui i cambiamenti vengono accolti dagli altri, è surreale la facilità con cui tutti si sbarazzano dei propri bias, in un periodo difficile come l’adolescenza, dove è davvero difficile affrancarsi dai pregiudizi.

Anche di Aoi Hinami ho già scritto sopra, ma vorrei accentuare maggiormente l’aspetto del fastidio che questo personaggio mi provoca. Non c’è un solo momento in cui abbandoni la propria maschera, e la cosa è evidente e addirittura conclamata in uno degli ultimi episodi. Risulta quindi falsa quanto la proverbiale banconota da tre euro. Intendiamoci, è una cosa buona, eh! Quando un personaggio di fantasia riesce a suscitare delle emozioni, positive o negative che siano, personalmente ritengo sia una cosa positiva. Peccato che alla fine questa insofferenza sia l'unica emozione che mi è rimasta di tutta la serie, e quindi emotivamente la cosa non contribuisce certo a spingere il voto verso l'alto.
Il suo power level inoltre è eccessivo, e lo si nota nei vari confronti con Mimimi, una delle ragazze dell’harem che sostanzialmente è l’eterna seconda. Vederla arrivare seconda dopo una bella battaglia darebbe un minimo di verve allo scontro, ma qui si ha sempre l’impressione che sia tutto inutile, e l’assenza di una reale competizione porta ad annoiare e a rendere il personaggio stupidamente iper-potente. È il “boss finale”, ma lo si capiva lo stesso anche senza fare piazza pulita di ogni possibile accenno di concorrenza attorno a lei.
Su Aoi, inoltre, non abbiamo una sola informazione riguardo al passato. Se è così fissata con la realizzazione personale, se è tanto importante per lei emergere come alfa del branco, sarebbe stato interessante avere almeno degli indizi riguardanti la motivazione che la spinge. Posto che ce ne sia una, ovviamente.
Soprattutto, esattamente cosa vuole da Tomozaki? Perché lo fa? Quali sono le sue motivazioni? Cosa spera di ricavare da tutto questo tempo ed energie spesi in questo processo di ingegneria sociale per quello che, nella sua ottica, dovrebbe essere un NPC (Non-Playable Character)?

Ci sono anche altri personaggi secondari, ma, alla fine, non ha molto senso analizzarli, per ora (per alcuni varrà la pena nella seconda stagione).
Mimimi è la classica tizia super-allegra e positiva, con la sindrome dell’eterna seconda.
Kikuchi è timida e introversa e vuole fare la scrittrice.
E così via, niente di innovativo ma neanche sgradevoli, semplicemente sono figure che si adagiano su cliché abbastanza consolidati.

Disegni
I disegni non mi sono sembrati niente di che. La parte che mi è parsa la più piacevole è la sigla di apertura, che trovo molto carina, poi per il resto siamo nella norma per prodotti di questo tipo. Non brilla, ma non scade neppure mai nell’inguardabile. Si lascia guardare e alla fine è piacevole. Le animazioni non presentano mai difficoltà per cui sia necessario fare un’analisi.

Dialoghi e scrittura
In questo caso qui non aggiungo niente: ho già ampiamente affrontato il punto nei primi due blocchi.

In definitiva
Una storia con la stessa credibilità di una promessa elettorale, che tra alti e bassi si trascina fino a strappare una sufficienza. Tutto qui?
No... a dire il vero c’è di più.
Però anche sì... alla fine è tutto qui.

7.5/10
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“Il semplice non è mai facile da mettere in pratica da chi fa di tutto per complicarlo” (J.P. Malfatti)

"Pseudo Harem" ("Giji Hāremu"), serie anime di 12 episodi tratti dal manga scritto e illustrato da Yū Saitō, sembra farsi beffe dei soliti cliché delle rom-com scolastiche con il solito protagonista imbranato ma gentile, accerchiato o assaltato da un nugolo di avvenenti ragazze che lo vogliono conquistare e offre allo spettatore una classica storia d'amore tra studenti delle scuole superiori che più semplice e normale non si poteva realizzare.
Tuttavia, per conferire alla trama un quid novi "Pseudo Harem" introduce uno stratagemma tanto comico quanto semplice: consentire alla protagonista Rin di interpretare grazie alla sue straordinarie doti recitative più "ragazze" molto caratterizzate che consentono alla protagonista di giocare con la persona che le piace a simulare situazioni tipiche del corteggiamento mascherandosi dietro gli stereotipi delle protagoniste delle commedie romantiche, definite "harem", di tanti manga e anime. Mi riferisco alle classiche figure delle ragazze tsundere, civettuole, ingenue, seriose, easy going, ecc. E il protagonista maschile, il senpai di Rin Eiji, si presta a fare da spalla alla poliedrica ragazza impersonando a sua volta l'ingenuotto di turno per far sì che la trama si svolga in modo comico e leggero, soprattutto negli episodi iniziali.

"Il gioco è bello se dura poco"

Lo stratagemma sembra funzionare benino: non conosco il manga ma visto che è composto da soli sei volumi posso solo ipotizzare che la mangaka abbia avuto l'intelligenza di proporre una storia senza troppe (e anche inutili) digressioni finalizzate ad "allungare il brodo", ad esempio ostacolando la storia di amore dei due protagonisti con l'introduzione degli altrettanto classici "incidenti di percorso" quali altri/e pretendenti, genitori che si trasferiscono in Europa per lavoro in modo da dividerli, tragedie familiari e, soprattutto, crisi psicologico-esistenziali dovute al carattere contorto dei protagonisti.

In "Pseudo Harem" non si ritrova nulla di quanto sopra citato. La trama è tanto semplice quanto efficace. Forse troppo concentrata sulla comicità delle situazioni dei due protagonisti e senza molte interazioni con altri personaggi che vengono centellinati e introdotti solo quando realmente serve (mi riferisco, ad esempio, alla sorellina di Rin o agli amici universitari di Eiji) come "contorno" ad un duo che sembra funzionare bene.

Ulteriore pregio è rappresentato dalla circostanza che le gag comiche di Rin (ossia le sue interpretazioni attoriali di ragazze diverse da lei) con cui lei cerca di far capire i suoi sentimenti a Eiji sono molto utilizzate all'inizio della serie, tanto da rendere gli episodi un po' troppo spezzettati e poco collegati tra loro, ma col il prosieguo della storia l'utilizzo è molto più centellinato anche perché la trama si evolve nel senso sperato non solo dai protagonisti, ma anche dagli spettatori fino all'epilogo finale con il flash forward in cui vediamo Rin e Eiji nel loro futuro da adulti. Giusto per fare un paragone, "Pseudo Harem" non è incappato nell'errore di "The girl I like forgot her glasses"...

In un certo senso "Pseudo Harem" mi ha ricordato "HoriMyia" (mi riferisco alla prima serie dell'anime) sebbene quest'ultima abbia conferito ai propri protagonisti una tridimensionalità più approfondita e abbia introdotto più personaggi: entrambe le serie sono accomunate dalla centralità dei due protagonisti e dal loro realismo senza orpelli, melodrammi e sovrastrutture surreali utili solo per compiacere un certo target di pubblico più incline alle storie contorte fino all'inverosimile.

Analizzando invece "Pseudo Harem" dal punto di vista del comparto tecnico, la realizzazione non l'ho trovata molto curata sia dal punto di vista del chara design, sia per i disegni dei fondali (al limite della decenza) sia per le animazioni. Se il viso che ho trovato molto carino di Rin e le sue espressioni sono rese magistralmente con menzione agli sguardi, i restanti personaggi, incluso Eiji, sono disegnati quasi in modo approssimativo e ricorrendo spesso al deformed per sottolineare la comicità di alcune situazioni, si è cercato di mettere una toppa alla superficialità di alcuni disegni.

Se si è alla ricerca di una serie autoconclusiva, leggera, spensierata, comica e molto dolce (molto "heartwarming"), costruita e articolata anche in modo intelligente (alcune scene fondamentali sono rivelate solo nell'ultimo episodio), "Pseudo Harem" non deluderà le aspettative spettatore consapevole del maggior pregio di questa serie: la semplicità.

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Siamo alle solite... un ragazzo incapace di chiacchierare con una ragazza. Una trama piatta, senza una buona commistione tra personaggi e storia, e una sceneggiatura obsoleta, con cadute patetiche che non la rendono di certo una buona commedia romantica. Nulla contro questo genere, ma ci vuole qualcosa di più. In uno scolastico è fondamentale andare a scavare nella psicologia dei protagonisti, per cercare delle linee in comune con chi guarda. La forza di questo genere è racchiusa nell'immedesimazione con i personaggi: tutti siamo andati a scuola e tutti sappiamo bene cosa si prova e come ci si comporta in determinate situazioni. In questo caso la sceneggiatura è debole, non vengono espressi i pensieri dei due protagonisti; ed è fondamentale far parlare la mente, il monologo interiore è parte integrante del genere scolastico e della commedia sentimentale. Ci sta cadere nel grottesco per qualche battuta, ma è imperativo scavare nella psiche dei protagonisti, per creare aspettativa nello spettatore. Ascoltare i ragionamenti, le riflessioni, le idee e tutto ciò che balena nella testa dei personaggi è ciò che porta all'immedesimazione o allo straniamento. Quando vedo uno scolastico, vorrei prima di tutto tornare indietro nel tempo e rivivere quella che è stata la mia esperienza al liceo. Oppure entrare in contatto con quella che è la mente dei protagonisti e cercare di capire cosa farei io nella loro situazione. Nulla di tutto ciò accade per i dodici episodi della serie. "The Dreaming Boy is a Realist" rimane quindi una delusione, uno tra i tanti scolastici senza né anima né significato.

Nulla di eccezionale neanche dal punto di vista tecnico. Peccato, perché la casa di produzione della serie - lo Studio Gokumi - è tornata a realizzare una produzione animata dopo cinque anni dall'ultima. Eppure, a lavorare su questo anime sono state più di cinquanta persone. Tuttavia, dal punto di vista della messa in scena ho il dovere di evidenziare alcuni lati negativi. Primo tra tutti i fondali e gli sfondi, che sono appena abbozzati, piatti e senza il minimo particolare; poi il character design dei personaggi è debole e rende i personaggi quasi delle maschere, i visi sono tutti uguali (o comunque molto simili) e sembra che abbiamo lavorato solo sui capelli.

Ormai sembra pura utopia trovare uno scolastico del calibro di "Just Because!" Quasi nulla è rimasto dopo la visione di questo anime. Come si fa a provare emozioni quando i protagonisti della serie sembra che non ne provino? Non che la trama debba per forza essere il punto di forza di questo genere - e infatti di solito non lo è -, ma in questo caso non vi sono le caratteristiche per far sì che una trama debole sia sufficiente. "Insomniacs After School" - per esempio -, pur avendo una storia semplice e senza troppo ritmo, fa del suo punto di forza il continuo scavare nel rapporto tra i due protagonisti. In "The Dreaming Boy is a Realist" i due protagonisti, Natsukawa e Sajo, non vengono esplorati quanto necessario. Non viene fatta parlare la loro mente, non vengono espressi i loro pensieri, come non viene creato un rapporto degno di questo nome. Tutto succede in modo casuale e i personaggi sembrano vere e proprie marionette senza una propria psicologia, senza la minima emozione, marionette che agiscono in modo quasi casuale.

Ecco di seguito le mie valutazioni.
Scrittura filmica: soggetto 50/100; sceneggiatura: 37/100; essenzialità, coerenza e ridondanza informazioni 7/10.
Messa in scena: character design 25/50; doppiaggio 6/10; sfondi e fondali 4/10; animazione tecnica, fotografia e luci 35/50.
Colonna sonora: canzoni 5/10; musica e rumori 18/30.
Montaggio: montaggio, ritmo, tecnica 16/30.
Analisi critica: originalità, spirito critico e significati 41/100.
Totale: 244/500, ovvero 48,8.