Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Appuntamento Grande Cinema: Pompoko, Una tomba per le lucciole e Jin-Roh

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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8.0/10
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Immaginavo di vedere una storiella per bambini, e mi sono trovato commosso ad ammettere le mie colpe di essere umano.
"Pompoko" è una storia particolare, in cui ironia e sorrisi si mischiano all'amara essenza dell'avanzata umana sulla natura.
Per avvicinarsi a "Heisei Tanuki Gassen Pompoko" si devono però conoscere alcune leggende giapponesi (e orientali in genere), che vedono alcuni animali, tra cui i protagonisti di questo film, i Tanuki, avere doti di trasformazione, ovvero la capacità di prendere sembianze diverse. Concetto ripreso (per gli amanti) in "Wolf's Rain". La capacità di mascherare la propria vera forma ingannando gli occhi degli esseri umani diventa il fondamento di questo film, il cui evolversi vede man mano il deperimento delle tradizioni e della cultura nipponica piegarsi alle più moderne esigenze occidentali. Là dove c'era agricoltura e vita in armonia con la natura, avanza inesorabile e tentacolare la gigantesca città di Tokyo, nemica non solo delle foreste, ma anche di tutta una filosofia animata dalla natura stessa.
L'anime inizia in maniera geniale, attraverso la narrazione di una realtà sostenibile con la natura, mostrando nella loro vera forma i Tanuki, facendo immergere immediatamente in un'atmosfera quasi da documentario - meraviglia della poesia di Isao Takahata -,per poi trasformare gli stessi in veri e propri personaggi da "fiabetta".

Ed è nella gioiosa e sincera ingenuità dei Tanuki che si riconosce l'ideale di essere umano, là dove vivere in maniera simbiotica con la natura rende scevri dalle problematiche moderne e dal caos dell'industrializzazione. Un messaggio forte che diventa grido quando la città inizia ad avanzare inesorabile e le foreste vengono a perdersi in un deserto d'alberi abbattuti e strade e case. È in quel momento che i Tanuki iniziano a lottare, prima studiando, poi sbeffeggiando gli umani, per arrivare alla fine a uno scontro a viso aperto, scontro che può avere solo un finale.
Ci sono immagini che possono turbare, ma la realtà delle cose spesso impone anche questo, e Takahata non ha risparmiato nulla al suo spettatore, dalle risate, all'amarezza, dall'amore all'odio, dalla baldoria alla più seria morigeratezza. Il tutto contornato da un uomo ignaro, o quasi, di ciò che la natura prova o sente, e sempre più determinato a sottrarre spazi alle altre specie per procurarsi ciò di cui pensa d'aver bisogno.

Pensa, appunto, ma Takahata con i Tanuki spiega, e con somma ironia, che alla fine la vera gioia è quella di abbracciare la natura, e non di distruggerla, lasciando ai sorrisi dei bambini la verità su ciò a cui l'uomo aspira.
Il finale è commuovente, intenso, ma lascia un sorriso sul volto, altra piccola perla di quest'anime.
Belli, inoltre, sono i disegni, i tratti sia perfetti per le immagini più reali sia giocosi per i personaggi fiabeschi, e le musiche orecchiabili e canticchiabili. Perfetta secondo me è l'armonia della storia, in cui forse diventano un po' lunghe le scelte della regia d'indugiare tra feste e rimpianti delle vittorie più o meno effimere dei Tanuki.
Restano misteriose alcune scene che avrebbero dovuto portare a svolte epocali e invece sono binari morti. Insomma, quando arriva la Tv qualcosa di solito cambia, invece nulla, opinione pubblica lasciata a zero, quel passaggio non l'ho capito. Non per questo, però, non mi ha colpito il messaggio, il sensibile approccio che ha utilizzato l'autore, la grande ironia e l'accessibilità che ha voluto imprimere a un anime adatto a una platea così ampia.
Bello, davvero, da vedere e da mostrare.



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L'aeroplano vola, Marcondiro'ndera
L'aeroplano vola, Marcondiro'ndà.

Se getterà la bomba, Marcondiro'ndero
Se getterà la bomba chi ci salverà?


(Girotondo - F. De André)


Una sera di settembre alla stazione di Kōbe. L'Estate ha esalato il suo ultimo respiro, e insieme a lei un ragazzo, che tiene stretto a sé una scatola di latta. A pochi passi da lui il suo fantasma lo osserva morire.
La guerra è finita e lentamente la normalità sta riprendendo il suo corso. La gente cammina e ignora altra gente. Quella è una sera quasi normale, ma la ferita è ancora aperta e se si presta orecchio si può sentire riecheggiare nell'aria il rumore degli aerei.
Il ragazzo della stazione era uno dei tanti. La guerra trasforma le persone in numeri, che vanno a riempire le statistiche dei libri di storia.

Questo numero si chiamava Seita. Il film racconta con un approccio profondamente realistico un Giappone dilaniato dai bombardamenti e dalla miseria. Nella pellicola non sono impresse lunghe sequenze di battaglie tra fazioni opposte, o tra "buoni" e "cattivi", laddove questa distinzione possa significare qualcosa sul fronte. L'attenzione si focalizza invece su chi la guerra la vede arrivare dentro le proprie case e tenta, malgrado tutto, di portare avanti delle vite. Come Seita, che si ritrova improvvisamente a essere fratello, madre e padre di Setsuko, la sua sorellina, ancora troppo piccola e incapace di comprendere appieno il mondo esterno.

La guerra è vista con gli occhi dei bambini come un brutto sogno da cui non ci si riesce a svegliare. I cacciabombardieri sembrano degli strani uccelli che sputano fuoco dai loro becchi metallici e rilasciano uova che generano grandi lampi di luce. E quello che c'era prima un attimo dopo scompare. La gente scappa, qualcuno si ferma per raccogliere qualcun altro e prosegue a scappare. Altri dormono in mezzo alla strada senza svegliarsi più.
Poi tutto finisce, ancora una volta. Nelle strade si riversano alcuni amici, qualche parente e tanti sconosciuti che vagano spaesati e increduli. Si prova a ricostruire, a delineare, a dare un ordine al caos.

E davvero non è poi così difficile riconoscere in quelle ambientazioni anche un po' del nostro paese. L'anima rurale di quel Giappone, che sembra ormai quasi un ricordo, non è molto diversa dalla realtà contadina dell'Italia agli inizi del secolo scorso. Dopo il conflitto si cerca di tirare su ciò che è stato buttato giù. Si va avanti, ma si butta un occhio indietro, verso ciò è mutato e continua a mutare.

Questo è per me "Una tomba per le lucciole". Non un film di guerra, bensì un film sulla guerra. La guerra e la morte, quella nera e secca, come diceva Guccini. Di certo non è una visione facile e lo spettatore più sensibile potrebbe risultare turbato dalla crudezza di quest'opera. Quando il film venne presentato in contemporanea con "Il mio vicino Totoro" il contrasto fu notevole. Il realismo spietato di Takahata si presentava come qualcosa di diametralmente opposto all'immaginario fiabesco del collega Miyazaki. Il risultato fu un'opera di rara bellezza con un cuore caldo che ancora oggi batte forte e non fa pesare affatto i suoi anni, nonostante l'avvento della Computer Grafica. E io a mia volta non posso che consigliarlo caldamente a voi.

E mentre scrivo questa recensione l'estate sta tornando.



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"Jin-Roh" è un film diretto da Hiroyuki Okiura, basato sulla Kerberos saga di Mamoru Oshii.
La storia è ambientata negli anni '60 di una realtà parallela in una grigia Tokyo oppressa dalla crisi economica post-bellica e da violente agitazioni sociali. In questo scenario di turbolenza politica agiscono i Kerberos, un corpo speciale paramilitare della polizia metropolitana, autentiche macchine da guerra nate per fronteggiare cellule di gruppi dissidenti. Uno di questi agenti scelti, Kizuki Fuse, durante un'azione di guerriglia urbana, subisce il trauma di assistere impotente al suicidio di una giovane 'cappuccetto rosso' (corriere dei sovversivi). Allontanato dalla sua squadra e in piena crisi di coscienza, fa amicizia con Kei, che si finge sorella della kamikaze, ma il legame sentimentale non servirà a redimerlo e a cancellare la sua affiliazione al branco di 'lupi'. Il ritmo del racconto è scandito dagli episodi della favola di "Cappuccetto rosso" nella sua versione più sinistra e truculenta che fa da fil-rouge agli eventi narrati e ne diventa ben presto metafora.

Il regista mette in scena una spy-story tra fantapolitica e dramma psicologico in cui i personaggi si muovono come pedine di uno spietato gioco di potere, in un crudele e gelido mondo dove non c'è spazio per l'amicizia o l'amore e dove il doppio gioco e il tradimento diventano una regola di sopravvivenza. La trama ricorda per alcuni versi "La moglie del soldato" di N. Jordan.
Già dalle prime sequenze ci si dimentica di avere davanti un anime, sia per le tematiche sia per il confezionamento complessivo dell'opera. Il film è tratto da una saga che è stata sviluppata sotto forma di diversi media, dal dramma radiofonico alla graphic novel, dall'animazione al film live action, e sancisce la natura ibrida e crossover del progetto "Kerberos".

I personaggi hanno contorni ben delineati nella caratterizzazione e sono trattati come attori in carne e ossa. Colpisce l'inflessibile durezza di Fuse, nella sua apparente imperturbabilità lascia a malapena trasparire lo smarrimento interiore che mette a nudo tutta la sua disarmante umanità. Gli fa da contrappunto l'affascinante ambiguità di Kei, divisa tra la sognante innocenza dell'innamoramento e la disincantata dedizione alla causa rivoluzionaria. Il chara-design ha uno stile realistico e le movenze sembrano il risultato di un convincente studio di motion-capturing.
I bellissimi scenari di una Tokyo alternativa meritano una menzione per la loro accuratezza e per le ricercate tonalità dei colori che imprimono al film un'atmosfera cupa e straniante.
La colonna sonora di Hajime Mizoguchi è ispirata e coinvolgente, spicca il trascinante tema principale 'Jinroh', percorso da dilanianti assolo di chitarra che graffiano l'etere come rasoi rugginosi, e lo stupendo tema conclusivo 'Grace', cantato dall'eterea voce di Gabriela Robin.

Il film, soprattutto nelle prime scene che descrivono la rivolta sociale, vuole ricordare il clima di tensione in Giappone alla fine degli anni '60 durante le rivolte studentesche.
Gli autori, con sguardo freddo e distaccato, si rivolgono al passato del loro paese e attraverso una lucida e impeccabile sceneggiatura riescono a non assumere atteggiamenti compiaciuti né verso i ribelli né verso gli agenti filo-governativi.
Dopo i titoli di coda negli occhi dello spettatore non resta che un finale di tragica e struggente bellezza.