Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi ci dedichiamo a titoli del 2002 con il live action Hero, il manga Princess Princess e l'anime Arcade Gamer Fubuki.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Oggi ci dedichiamo a titoli del 2002 con il live action Hero, il manga Princess Princess e l'anime Arcade Gamer Fubuki.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
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Hero
8.0/10
Potente e iperrealista, "Hero" (2002) è la personale risposta di Zhang Yimou a "La tigre e il dragone" (2000), il kolossal firmato dal taiwanese Ang Lee che ha riportato in auge il wu xia pian (alla lettera 'cappa e spada') ridefinendo i canoni estetici del genere. Con "Hero" il regista cinese prende quelle stesse istanze e le porta alle estreme conseguenze elevando le coreografie dei duelli allo stato di una danza elegante e sensuale con i contendenti calati in scenari da favola.
Ambientato in una Cina mitica e antica, divisa in sette regni, il film narra le gesta di Senzanome, un infallibile guerriero che racconta al re di Qin, futuro imperatore, come sia riuscito a sconfiggere i tre sicari che tramavano per assassinare lo stesso re oppressore del loro popolo: Spada spezzata, Neve che vola e Cielo.
Attraverso l'uso del flashback il racconto di Senzanome si divide in cinque azioni differenti, ognuna caratterizzata da un combattimento dallo stile peculiare e da un preciso colore dominante: si va dal rosso al blu, dal bianco al verde fino al nero dell'intreccio principale; un cromatismo esaltato da una fotografia sfolgorante e spettacolare. Il colore è sempre stato un elemento importante per il regista ma in questo caso diventa protagonista assoluto al pari degli attori.
La cura per il dettaglio nella messa in scena è maniacale: i costumi, le scenografie, le musiche, i dialoghi sono studiati con una tale attenzione da non lasciare nulla al caso. Alcune sequenze risultano addirittura ridondanti con un gusto esagerato per l'inquadratura e per il particolare figurativo che rischia di eccedere nel barocco, come nella paradossale scena del duello 'acquatico' combattuto sulla superficie del lago o lo scontro tra le due primedonne immerso in un vorticoso turbine di foglie autunnali, quest'ultimo tutto girato sui toni caldi del rosso e dell'oro.
I protagonisti, tutti interpreti di prima grandezza, non tradiscono le aspettative. Oltre all'atletico e convincente Jet Li (fino a quel momento relegato a stereotipati ruoli in action movie di terza) il cast stellare annovera divi del calibro di Tony Leung, Maggie Cheung, Donnie Yen e Zhang Ziyi: sostanzialmente il gotha del cinema di Hong Kong contemporaneo.
Approvato e sponsorizzato dal governo, il film è stato accusato di avallare le discutibili politiche totalitaristiche della Cina in materia di diritti civili, in quanto farebbe passare l'idea che l'unità e la stabilità sarebbero da anteporre alle libertà individuali, d'altronde lo stesso Zhang Yimou ha negato una tale interpretazione, sottolineando il messaggio pacificatorio di fondo. In ogni caso siamo lontani anni luce dai precedenti lavori del cineasta, più rivolti verso un'estetica realista, attenti alle tematiche sociali e critici sulle contraddizioni legate allo sviluppo galoppante del colosso asiatico.
Infine siamo di fronte ad uno sterile esercizio stilistico o all'ennesimo capolavoro di Zhang Yimou? Una cosa è certa, non è un film per tutti data la non facilissima fruibilità, vuoi per la scansione in capitoli e il ritmo sincopato degli archi narrativi, vuoi per l'alto tasso specialistico dell'azione coreografica che potrebbe risultare pesante e indigesto ai non appassionati del genere wu xia pian. Ma al di là di letture più o meno politiche, l'intreccio è molto ben congegnato e non risparmia colpi di scena a ripetizione, mentre da un punto di vista puramente visivo "Hero" rimane un'esperienza cinematografica unica e indimenticabile come poche altre.
Ambientato in una Cina mitica e antica, divisa in sette regni, il film narra le gesta di Senzanome, un infallibile guerriero che racconta al re di Qin, futuro imperatore, come sia riuscito a sconfiggere i tre sicari che tramavano per assassinare lo stesso re oppressore del loro popolo: Spada spezzata, Neve che vola e Cielo.
Attraverso l'uso del flashback il racconto di Senzanome si divide in cinque azioni differenti, ognuna caratterizzata da un combattimento dallo stile peculiare e da un preciso colore dominante: si va dal rosso al blu, dal bianco al verde fino al nero dell'intreccio principale; un cromatismo esaltato da una fotografia sfolgorante e spettacolare. Il colore è sempre stato un elemento importante per il regista ma in questo caso diventa protagonista assoluto al pari degli attori.
La cura per il dettaglio nella messa in scena è maniacale: i costumi, le scenografie, le musiche, i dialoghi sono studiati con una tale attenzione da non lasciare nulla al caso. Alcune sequenze risultano addirittura ridondanti con un gusto esagerato per l'inquadratura e per il particolare figurativo che rischia di eccedere nel barocco, come nella paradossale scena del duello 'acquatico' combattuto sulla superficie del lago o lo scontro tra le due primedonne immerso in un vorticoso turbine di foglie autunnali, quest'ultimo tutto girato sui toni caldi del rosso e dell'oro.
I protagonisti, tutti interpreti di prima grandezza, non tradiscono le aspettative. Oltre all'atletico e convincente Jet Li (fino a quel momento relegato a stereotipati ruoli in action movie di terza) il cast stellare annovera divi del calibro di Tony Leung, Maggie Cheung, Donnie Yen e Zhang Ziyi: sostanzialmente il gotha del cinema di Hong Kong contemporaneo.
Approvato e sponsorizzato dal governo, il film è stato accusato di avallare le discutibili politiche totalitaristiche della Cina in materia di diritti civili, in quanto farebbe passare l'idea che l'unità e la stabilità sarebbero da anteporre alle libertà individuali, d'altronde lo stesso Zhang Yimou ha negato una tale interpretazione, sottolineando il messaggio pacificatorio di fondo. In ogni caso siamo lontani anni luce dai precedenti lavori del cineasta, più rivolti verso un'estetica realista, attenti alle tematiche sociali e critici sulle contraddizioni legate allo sviluppo galoppante del colosso asiatico.
Infine siamo di fronte ad uno sterile esercizio stilistico o all'ennesimo capolavoro di Zhang Yimou? Una cosa è certa, non è un film per tutti data la non facilissima fruibilità, vuoi per la scansione in capitoli e il ritmo sincopato degli archi narrativi, vuoi per l'alto tasso specialistico dell'azione coreografica che potrebbe risultare pesante e indigesto ai non appassionati del genere wu xia pian. Ma al di là di letture più o meno politiche, l'intreccio è molto ben congegnato e non risparmia colpi di scena a ripetizione, mentre da un punto di vista puramente visivo "Hero" rimane un'esperienza cinematografica unica e indimenticabile come poche altre.
Princess Princess
8.0/10
Lel
-
Voto: 8 1/2
Questo è stato uno dei primi manga che ho letto. Princess Princess, di Mikiyo Tsuda, che sotto un altro nome è una famosa autrice di Boy's Love (o Yaoi, comunque fumetti con personaggi omosessuali e con trama a sfondo sessuale).
Per quanto questo fumetto possieda le caratteristiche necessarie per essere uno Yaoi o anche solo uno Shonen Ai, non lo è, ne lo diventa. Questa è una cosa che mi è piaciuta molto.
Non perchè non mi piaccia il genere, ma perchè l'autrice è riuscita a donare una sorta di equilibrio all'opera, riuscendo a farla piacere sia alle fan del Boy's love che a coloro che non lo sono, creando anche situazioni divertenti ed ambigue che però non scadono mai (a mio parere) in qualcosa di puramente sessuale.
Passiamo alla trama. Originale, non c'è che dire, già dal primo volume mi sono ritrovata stupita ma anche divertita da ciò che mi si presentava davanti. Non si perde molto tempo a svelare i segreti della scuola, a parlare delle principesse e dei personaggi principali, il che è un bene perchè il manga dà spazio ad altre situazioni e non presenta quei noiosi personaggi secondari che compaiono senza poi dare nulla al lettore.
Difatti ho adorato ogni singolo personaggio del manga (in particolar modo Youjiro, per il suo carattere in contrapposizione con il visetto d'angelo) e li ricordo tutti con piacere.
Il disegno è <b>molto</b> bello. Il tratto della Tsuda sembra essersi affinato in quest'opera, ma rimane comunque riconoscibile e i volti sono più o meno tutti uguali. Difatti non si distinguono i personaggi dal viso quanto dai capelli e dalle espressioni (Mikoto è perennemente imbronciato, Tooru sembra sempre piuttosto rilassato mentre Youjiro ha sempre sulle labbra un sorrisetto falso o strafottente). I vestiti sono disegnati magistralmente, gli sfondi sono quasi inesistenti; alla Tsuda piacciono i primi piani.
Diciamo che questo 8 1/2 è il voto più alto che può raggiungere nel suo genere, una commedia dai toni ambigui e divertenti che mantiene allegri e che (a parer mio) non si dimentica. Consigliato.
Questo è stato uno dei primi manga che ho letto. Princess Princess, di Mikiyo Tsuda, che sotto un altro nome è una famosa autrice di Boy's Love (o Yaoi, comunque fumetti con personaggi omosessuali e con trama a sfondo sessuale).
Per quanto questo fumetto possieda le caratteristiche necessarie per essere uno Yaoi o anche solo uno Shonen Ai, non lo è, ne lo diventa. Questa è una cosa che mi è piaciuta molto.
Non perchè non mi piaccia il genere, ma perchè l'autrice è riuscita a donare una sorta di equilibrio all'opera, riuscendo a farla piacere sia alle fan del Boy's love che a coloro che non lo sono, creando anche situazioni divertenti ed ambigue che però non scadono mai (a mio parere) in qualcosa di puramente sessuale.
Passiamo alla trama. Originale, non c'è che dire, già dal primo volume mi sono ritrovata stupita ma anche divertita da ciò che mi si presentava davanti. Non si perde molto tempo a svelare i segreti della scuola, a parlare delle principesse e dei personaggi principali, il che è un bene perchè il manga dà spazio ad altre situazioni e non presenta quei noiosi personaggi secondari che compaiono senza poi dare nulla al lettore.
Difatti ho adorato ogni singolo personaggio del manga (in particolar modo Youjiro, per il suo carattere in contrapposizione con il visetto d'angelo) e li ricordo tutti con piacere.
Il disegno è <b>molto</b> bello. Il tratto della Tsuda sembra essersi affinato in quest'opera, ma rimane comunque riconoscibile e i volti sono più o meno tutti uguali. Difatti non si distinguono i personaggi dal viso quanto dai capelli e dalle espressioni (Mikoto è perennemente imbronciato, Tooru sembra sempre piuttosto rilassato mentre Youjiro ha sempre sulle labbra un sorrisetto falso o strafottente). I vestiti sono disegnati magistralmente, gli sfondi sono quasi inesistenti; alla Tsuda piacciono i primi piani.
Diciamo che questo 8 1/2 è il voto più alto che può raggiungere nel suo genere, una commedia dai toni ambigui e divertenti che mantiene allegri e che (a parer mio) non si dimentica. Consigliato.
Arcade Gamer Fubuki
7.0/10
Prima che l'enorme successo commerciale di "Keroro" prendesse il sopravvento sulla sua vena artistica, Mine Yoshizaki era un disegnatore di "doujinshi". Il suo tratto grafico essenziale, fresco e moderno, ammirabile tramite vari artbook, cavalca perfettamente la corrente stilistica degli anni Novanta, delle loli sorridenti e della tecnologia ludica. Ed è proprio dai videogiochi che l'autore trae i suoi primi manga amatoriali: tale passione (insieme a quella dei "Gunpla") è ben visibile in tutti i suoi lavori successivi, fino a diventare uno dei suoi tratti distintivi al punto che oggi l'autore viene richiesto anche come character design di videogame vari.
"Arcade Gamer Fubuki" è l'apoteosi di questo speciale rapporto che Mine Yoshizaki ha con i videogames; disegnato nel 1998 e trasposto in animazione dallo studio Shaft diversi anni dopo in 4 OAV, la storia ci catapulta nel mondo delle competizioni arcade, in un Giappone dove ormai i videogiochi hanno assunto un'importanza sociale ed economica planetaria, e i tornei vengono trasmessi su scala internazionale. Fubuki è la nostra protagonista, che a prima vista sembra una studentessa come tante, ma che all'occorrenza è capace di manifestare un'eccezionale abilità nei videogame, grazie anche alle sue "Passion Panties", delle speciali mutandine che amplificano lo spirito e la passione verso i videogame, rendendola così una giocatrice imbattibile.
Vinto con una certa facilità il torneo di Tokyo, dalla regione del Kanto arriva quella che sarà la sua prima grande rivale e che le farà assaporare il gusto della sconfitta. A ciò si aggiunge la solita misteriosa organizzazione che da dietro le quinte (ma neanche tanto) mira alla conquista del mondo tramite la materializzazione dei videogiochi stessi.
Arcade Gamer Fubuki è puro "divertissement", assurdo nei suoi risvolti e terribilmente stupido, ma non per questo privo di momenti esilaranti. La tipologia narrativa utilizzata è quella del manga sportivo con l'aggiunta però dell'elemento fantastico dato dai poteri speciali e da un pizzico di ecchi. Sul fronte dei personaggi il misterioso uomo mascherato che più volte appare per aiutare e dare consigli alla protagonista risulta sicuramente il più interessante, e l'unico che copre una certa rilevanza sulla trama e sui (pochi) colpi di scena, lasciando agli altri ruoli di comparse, data la brevità della serie, ognuno dei quali però con caratteristiche e abilità distintive.
Graficamente la mini-serie si attesta su livelli medi televisivi; il character design è quello piacevole di Mine Yoshizaki, mentre per le musiche è stato chiamato il compositore Ryuichi Katsumata, attivo in campo videoludico (ovviamente), ma celebre in particolare per la OST di genere eurobeat di Initial D. Qui si limita a dare un tono "16bit" alla colonna sonora.
È un'idiozia per pochi Arcade Gamer Fubuki, coloro privi della "passione" arcade metaforizzata dalle candide mutandine di Fubuki non capirebbero lo spirito demenziale di un dinosauro che ti sfida a Fighting Vipers 2, né tanto meno coglierebbero le numerosi citazioni; per i sopravvissuti dei puzzolenti cabinati di ogni genere sarà invece un piacevole tuffo nel passato che non c'è più, nel quale Yoshizaki immaginava all'alba del nuovo millennio un mondo conquistato dal gaming nipponico, allorché in realtà le cose andranno diversamente.
Una curiosità: "Fubuki" nasce in realtà come fan-sequel di "Game Center Arashi" di Mitsuru Sugaya, datato 1978 e primo manga avente come tema principale i videogiochi. Il misterioso personaggio con i denti sporgenti e il simbolo sulle mutandine di Fubuki con la tipica astronave di Space Invaders provengono infatti da quella vecchia serie.
"Arcade Gamer Fubuki" è l'apoteosi di questo speciale rapporto che Mine Yoshizaki ha con i videogames; disegnato nel 1998 e trasposto in animazione dallo studio Shaft diversi anni dopo in 4 OAV, la storia ci catapulta nel mondo delle competizioni arcade, in un Giappone dove ormai i videogiochi hanno assunto un'importanza sociale ed economica planetaria, e i tornei vengono trasmessi su scala internazionale. Fubuki è la nostra protagonista, che a prima vista sembra una studentessa come tante, ma che all'occorrenza è capace di manifestare un'eccezionale abilità nei videogame, grazie anche alle sue "Passion Panties", delle speciali mutandine che amplificano lo spirito e la passione verso i videogame, rendendola così una giocatrice imbattibile.
Vinto con una certa facilità il torneo di Tokyo, dalla regione del Kanto arriva quella che sarà la sua prima grande rivale e che le farà assaporare il gusto della sconfitta. A ciò si aggiunge la solita misteriosa organizzazione che da dietro le quinte (ma neanche tanto) mira alla conquista del mondo tramite la materializzazione dei videogiochi stessi.
Arcade Gamer Fubuki è puro "divertissement", assurdo nei suoi risvolti e terribilmente stupido, ma non per questo privo di momenti esilaranti. La tipologia narrativa utilizzata è quella del manga sportivo con l'aggiunta però dell'elemento fantastico dato dai poteri speciali e da un pizzico di ecchi. Sul fronte dei personaggi il misterioso uomo mascherato che più volte appare per aiutare e dare consigli alla protagonista risulta sicuramente il più interessante, e l'unico che copre una certa rilevanza sulla trama e sui (pochi) colpi di scena, lasciando agli altri ruoli di comparse, data la brevità della serie, ognuno dei quali però con caratteristiche e abilità distintive.
Graficamente la mini-serie si attesta su livelli medi televisivi; il character design è quello piacevole di Mine Yoshizaki, mentre per le musiche è stato chiamato il compositore Ryuichi Katsumata, attivo in campo videoludico (ovviamente), ma celebre in particolare per la OST di genere eurobeat di Initial D. Qui si limita a dare un tono "16bit" alla colonna sonora.
È un'idiozia per pochi Arcade Gamer Fubuki, coloro privi della "passione" arcade metaforizzata dalle candide mutandine di Fubuki non capirebbero lo spirito demenziale di un dinosauro che ti sfida a Fighting Vipers 2, né tanto meno coglierebbero le numerosi citazioni; per i sopravvissuti dei puzzolenti cabinati di ogni genere sarà invece un piacevole tuffo nel passato che non c'è più, nel quale Yoshizaki immaginava all'alba del nuovo millennio un mondo conquistato dal gaming nipponico, allorché in realtà le cose andranno diversamente.
Una curiosità: "Fubuki" nasce in realtà come fan-sequel di "Game Center Arashi" di Mitsuru Sugaya, datato 1978 e primo manga avente come tema principale i videogiochi. Il misterioso personaggio con i denti sporgenti e il simbolo sulle mutandine di Fubuki con la tipica astronave di Space Invaders provengono infatti da quella vecchia serie.
"Arcade Gamer Fubuki" lo cerco da una vita; qualcuno mi aiuti a reperirlo!
Hero non ho avuto il piacere di vederlo con calma, se non di sfuggita su Sky, dello stesso regista ho visto il successivo "La Foresta dei Pugnali Volanti" e non mi ha fatto impazzire, ho invece apprezzato molto "Lanterne Rosse".
Princess Princess non è decisamente il mio genere, comunque ottime recensioni.
Arcade Gamer Fubuki mi incuriosisce...
Devo avere il DVD da qualche parte... un giorno di questi magari me lo rivedo così posso dire la mia in modo più approfondito visto che attualmente mi ricordo ben poco di quest'opera. Ricordo che non mi aveva né entusiasmato né particolarmente deluso, sicuramente non gli avrei dato un 8 dunque, ma a rivederlo tanti anni dopo chissà che effetto mi farà
Piuttosto esiste anche il sequel "Princess Princess Plus"
http://www.animeclick.it/manga.php?xtit=Princess+Princess+Plus
ma la Star Comics non lo ha pubblicato, e non riesco nemmeno a trovare scan in inglese per leggerlo.
Arcade Gamer Fubuki lo vidi un po di tempo fa, ed è una bellissima stronzata, è talmente stupido che non mi son neanche posto il problema di chiedermi se mi fosse piaciuto oppure no... Del resto sono solo 4 episodi... Si dimenticano in fretta...
Ps: Credevo di esser l'unico a conoscerlo...
La frase finale :
SPOILER
"Sotto un unico cielo"
FINE SPOILER
E' un qualcosa di indescrivibile. Il film non è complesso da seguire come dice il recensore, ha una struttura alla Rashamon di Akira Kurosawa, ma è seguibile anche da chi non è avvezzo al cinema d'autore, visto che comunque, dura solo un'ora e mezza.
Eccola. La aspettavo. Sapevo che sarebbe arrivata. Disinformazione, aggravata per di più dall'assunto che soltanto una produzione statunitense o occidentale possa produrre film meritevoli. Hero fu in toto una produzione cinese. Gli Stati Uniti, tuttavia, ebbero la loro parte anche in questa storia. Poiché la distribuzione del titolo in Occidente venne rimandata per ben due anni dalla casa statunitense detentrice dei diritti, la Miramax, fu la pressione del regista Quentin Tarantino, che prestò il suo nome per la promozione del film (il "Quentin Tarantino presenta" sulla locandina del film e sui DVD e BD occidentali), a decretarne l'uscita nel mercato occidentale. Ma non solo. Quel "Quentin Tarantino presenta" portò gran parte degli spettatori a presumere che il regista fosse proprio Tarantino e non Zhang Yimou, o, nella migliore delle ipotesi, che Tarantino avesse prodotto il film. Di qui il tuo infelice commento.
Arcade Gamer Fubuki mi ispira. Non sono un fan di Mine Yoshizaki, ma se ci sono di mezzo i videogiochi da sala è il mio campo.
Non so spiegare bene il perché, forse a causa delle troppe battaglie e minori risvolti romantici di questo film, che si dimostra più di altri un vero e proprio film di guerra, genere che non mi è mai piaciuto...
Princess Princess potrei leggerlo in scan quando ne avrò modo, ma per il momento lo segno soltanto, con tutta la roba che ho già prenotata e con l'inizio delle stagione estiva con tutti quegli anime sono già abbastanza piena çAAAç
Arcade Gamer Fubuki lo volevo vedere da diverso tempo, peccato per l'assenza di sub ita ç___ç Vabbè, almeno mi alleno nel mio scarsissimo inglese
Ed è su questo che non sono d'accordo: vero, al contrario di te io apprezzo di più il cinema asiatico, ma è un dato di fatto che ci sono capolavori asiatici e capolavori americani come pure schifezze orientali e schifezze americane...
Made in USA non vuol dire per definizione capolavoro, come non sono sinonimi di capolavoro "anime" o "J-movie" o "film cinese" che sia!!! Tanto per fare un esempio, basta pensare ai remakes americani di alcuni J-horror, come Ju-on: io ritengo che non siano minimamente paragonabili agli originali...
E non è neanche vero che i film orientali sono di meno, è solo che da noi si dà ad essi scarsa importanza, ne vengono importati di meno e purtroppo capita spesso che vadano in onda anche in prima visione TV ad orari assurdi, in cui ben poche persone possono guardarli ed apprezzarli!!!
Non ho detto che in america ci sono solo film belli e in cina solo film brutti. Non mettetemi in bocca cose che non ho detto.
Sapresti, altrimenti, che i maestri che hanno fatto la storia del grande cinema non sono in maggioranza americani. Certo, gli americani non possono essere esclusi, ma l'europa ha fatto il suo mestiere.
Se anche volessi basare la tua argomentazione sulla quantità (l'america produce più film di tutti quindi in proporzione deve avere un numero maggiore di buoni registi), mi dispiacerebbe informarti che l'India è la maggiore produttrice di film al mondo.
Ora, sommando le produzioni cinematografiche di India e Cina, considerando che da noi arriva un millesimo di quanto viene girato, e probabilmente filtrato da case di distrubuzione occidentali che selezionano in base a criteri discutibili, mi potresti gentilmente dire quale conoscenza hai del cinema orientale per poterlo giudicare inferiore a quello occidentale?
Curiosità: Game Center Arashi fu acquistato anche da noi,ma mai adattato e trasmesso
Non sto parlando di film bello e film brutto.
Sto parlando di qualità a livello tecnico.
Reputo gli americani i piu capaci sotto questo punto di vista.
Lo so anch'io che in america escono una marea di boiate.
Adoro i registi europei del cinema d'essai che usano tecniche low-cost o girano in digitale,
ma a livello di qualità tecniche (da queste si esclude totalmente la storia del film) sono una spanna sotto agli americani.
Neanche mi è sfiorato in mente di metterla sulla quantità.
Anche perche non avrebbe senso.
La mia conoscienza del film orientali non sarà sviluppatissima, ma, per quelli che ho visto, non mi invoglia ad approfondire.
o io ho le traveggole oppure tu hai modificato il tuo commento. Propendo più per la seconda, però, dal momento che il mio commento sopra non si spiegherebbe altrimenti, come non si spiegherebbe quello di Kabutomaru. Da Del resto lo hanno fatto gli americani a Come se fosse stato fatto dagli americani ce ne passa, no? Un minimo di onestà, suvvia.
Ora, lasciami rispondere alla tua argomentazione. Perdonami, ma pure questa lascia molto a desiderare. Non so, forse non ho capito il tuo punto, ma fare cinema non è affatto una gara a chi produce più film, tesi dalla quale sembri derivare che in una maggiore produzione numerica - quella statunitense - risieda necessariamente una qualità numerica maggiore. È una tesi, la tua, semplicistica oltre che riduttiva della complessità degli altri cinema che tu stesso ammetti di non conoscere. Insomma, non credi di parlare di aria fritta? Non a caso, a mo' di giustificazione e per correggere il tiro, nel tuo terzo commento la butti sul personale lamentando il fatto che non ti piacciono gli attori, la regia e la fotografia dei film orientali. Laddove prima parlavi della relazione quantità numerica minore-qualità numerica minore, ora parli di qualità tecnica inferiore. È evidente: i film orientali non sono di tuo gradimento per qualità tecnica inferiore. Personalmente, in un film non cerco tanto la mera qualità tecnica, quanto la qualità artistica che mi permetta di riflettere su di me e sul mondo in modi sempre nuovi. Questione di gusti.
@trage89:
"Ma mi sembra di parlare con delle anatre..."
Ehm, non mi pare che qualcuno qui abbia voluto mancarti di rispetto, perciò ti invito a fare altrettanto (anche se a me le anatre sono simpatiche )...
Scusatemi, moderatori...
Fra l'altro so che esiste il romanzo, quanto mi piacerebbe leggerlo! Ho anche letto quello da cui è tratto Lanterne rosse (film che ho recensito proprio oggi perché l'ho rivisto pochi giorni fa, e non mi stanco mai di rivederlo) e ne vale la pena, anche perché approfondisce maggiormente il rapporto che c'è fra Songlian e Feipu.
Ma veniamo a noi, perche proprio non ho capito quando io sosterrei la tesi sulle quantità. Ammetto di non conoscere il cinema orientale, avrò visto si e no un paio di dozzine di film e da quelli baso il mio pensiero che i film orientali (per lo piu... cioè genericamente parlando...) non sono all'altezza di quelli di wollywood tecnicamente parlando.
---sinceramente in un film cerco... Ecc...---
Si, certo, anch'io, ciò non toglie che io possa lo stesso giudacare il comparto tecnico dietro un film a parte. Che poi tutto questo è nato da un mio commento per elogiare un film orientale semplicemente paragonandolo a una produzione americana. Non mi sembra di aver fatto niente di sbagliato...
è come se vedendo la nuova Mondeo esclamassi "Diavolo, sembra un'auto tedesca!" e il signor Ford dovrebbe essere fiero del mio commento... Ok, dai tedeschi sono usciti aborti come l'audi a2, ma restano comunque i migliori in fatto di design. Oppure se vado da un mastro birraio italiano e assaggio una tripel e gli dico "Cavoli, sembra una vera birra belga!" lui ne sarà onorato.
(parlo di auto e birra perche quelle sono cose che conosco meglio dei film cinesi)
Spero si sia capito il concetto.
@sonoko: si è vero... Ti chiedo scusa... E poi anche a me stanno simpatiche le anatre... Soprattutto all'arancia...
Vuoi dunque dirmi che un qualsiasi Kim Ki-duk, un Park Chan-wook o un Lee Chang-dong (cinema sudcoreano) non sono tecnicamente - aaah, che brutta parola - all'altezza di un qualsiasi film statunitense (metti tu il regista che preferisci)? Ti invito a riconsiderare la tua posizione guardando uno dei film dei registi succitati e poi ne riparliamo.
Trage89, tu sbagli quando seguiti a sostenere la superiorità statunitense in fatto di cinema partendo dal presupposto che "i film orientali (per lo piu... cioè genericamente parlando...) non sono all'altezza di quelli di wollywood tecnicamente parlando.". Non capisci che in questo modo non rendi giustizia al cinema altro per quello che è? Perché associarlo a quello statunitense quando, per molti versi, gli si discosta profondamente? Non trovi che sia ingiusto e terribilmente limitante nei confronti del cinema non statunitense?
Che poi, sto regista qua, per me, ha sicuramente imparato ancora dagli americani a fare film...
---non trovi che sia ingiusto...---
Si, ma anche realistico...
Agli amanti di quest'autore, qualora non l'avessero ancora visto, consiglio la visione di Sangue facile, una divertente commedia che si rifà a un noir dei fratelli Cohen (Blood simple).
PS: Un grazie a chi ha selezionato la mia recensione per la rubrica!
Vorrei sapere quali film su Rai 4 hai visto...
Comunque l'America a livello di cinema se ne è scesa assai. Oramai è alla frutta e gente come Zack Snyder e Michael Bay, rappresenta la morte del cinema e per far lavorare questi due zappatori, gente come Landis e Carpenter sta ferma ai box...
Dopo Arnofrosky, non vedo nuovi autori e registi americani emergenti.
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