Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo a titoli arrivati anche in Italia, con AnoHana, Trigun - Badlands Rumble e Il cuore di Cosette.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Mi aspetto il drammone, e trovo dei primi episodi tutto sommato divertenti. Mi aspetto quindi una commedia stile Toradora (medesimo, apprezzato staff) con fantasma appresso, ma poi l'anime si ributta sui lacrimoni della peggior scuola Key Visual. Mi aspetto lo "slice of life" realistico nonostante il tocco paranormale, ma trovo situazioni difficilmente credibili. Mi aspetto a quel punto la porcata, e invece trovo un prodotto ben confezionato, privo inoltre delle lungaggini della parte centrale di Toradora, e con una caratterizzazione dei personaggi tutto sommato ammirevole, seppur con alcune sbavature.

Portato in Italia in tempi record da Dynit, insieme all'altro successone del 2011 "Maho Shojo Madoka Magica", "AnoHana", doverosa abbreviazione di "Ano hi mita hana no namae o bokutachi wa mada shiranai" ("Ancora non conosciamo il nome del fiore che abbiamo visto quel giorno") narra la storia di cinque adolescenti, amici nella loro infanzia - formavano un gruppo nominato "Super Busters della pace" - ma che ormai, in seguito a un fatale incidente accaduto al sesto vivace membro del gruppo, Meiko Honma detta "Menma", non si frequentano più. Jinta Yadomi, il leader, è diventato un hikikomori che si rifiuta di andare a scuola, Naruko Anjo "Anaru" frequenta amiche superficiali e alla moda, Tetsudo Hisakawa "Poppo" gira per il mondo facendo lavoretti part-time mentre gli altri due, Atsumu Matsuyuki "Yukiatsu" e Chiriko Tsurumi "Tsuruko" sono invece rimasti in contatto tra loro diventando studenti modello con la testa sulle spalle.
Un bel giorno però Jinta riceve l'inaspettata visita di Menma in versione fantasma, che a quanto pare non riesce a raggiungere il Nirvana per un qualche motivo, un desiderio, che non riesce a ricordare. Solo Jinta può vederla e udire la sua voce, ma per aiutarla dovrà necessariamente riprendere i contatti con gli altri membri dei Super Busters della Pace.

Menma come veicolo per ricongiungersi con quel fatidico giorno, per fare i conti con il proprio passato, ordine nei propri sentimenti, e quindi crescere. Questo è in sintesi "AnoHana", ognuno dei cinque ragazzi porta un pesante senso di colpa nei confronti di Menma e c'è quindi chi non vede di buon occhio il suo improvviso ritorno. Se da un lato è plausibile un'esplosione di sentimenti repressi da dieci anni a questa parte con prevedibili e in parte stucchevoli fiumi di lacrime, dall'altra risulta meno credibile che, a distanza di tanti anni, i ragazzi provino ancora gli stessi sentimenti verso la loro amica defunta come se il tempo si fosse fermato. Con un hikikomori come Jintan è comprensibile, ma non per i restanti membri nel pieno della loro vita adolescenziale e scolastica.
Passando però sopra queste perplessità ci ritroviamo con una discreta serie tutta d'un pezzo di 11 episodi che possono regalare bellissimi momenti, un buon character design, personaggi interessanti da seguire nella loro maturazione, un piacevole accompagnamento sonoro - l'ending "Secret Base", è splendida - e un ottimo doppiaggio, tanto quello originale quanto quello italiano Dynit dopo le poco convincenti performance di Toradora.

"AnoHana" attinge alla tipologia di pubblico orfana di Clannad et similia, che non chiede, si commuove, si emoziona senza pretendere chissà quale risvolto realistico, chissà quale senso logico agli atteggiamenti dei personaggi, o degli attori, giacché "AnoHana", come del resto il precedente Toradora con i suoi esagerati melodrammi, si può considerare un anime teatrale, dove tutto è enfatizzato, dove tutto fa spettacolo, sta a voi decidere se accettare o meno questa loro natura. Coloro in cerca di realismo meglio si rivolgano altrove.



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Era il 1998 quando i Giapponesi salutavano le avventure animate di "Trigun", accontentandosi di seguire il Tifone Umanoide nelle sua versione originale cartacea. Nel 2009 terminano anche queste ultime, ma l'autore Yasuhiro Nightow promette che presto il biondo pistolero sarebbe arrivato sui grandi schermi.
Finalmente nel 2010 lo Studio Madhouse realizza il sogno dei fan portando il nuovo film "Trigun - Badlands Rumble" sui grandi schermi, ma quello che più colpisce non è il coinvolgimento dello stesso autore - cosa relativamente rara per film d'animazione - o la certezza dovuta all'intero cast della serie riunito (dal regista Satoshi Nishimura alle musiche di Tsuneo Imahori), ma è semplicemente l'emozione di rivedere quel cappotto rosso svolazzare al vento, il simbolo di una figura fermamente legata ai propri ideali e sempre sorridente. E' l'inconfondibile sagoma, nuovamente in movimento, di Vash The Stampede.

Il pericoloso criminale Gasback compie un terribile errore durante una rapina: ha calpestato una ciambella. Ma non è una ciambella qualsiasi, è la Sua Ultima Ciambella! E' per questo motivo che si ritrova letteralmente appiccicato addosso un tipo strambo e sregolato che, tuttavia, lo salva dal tradimento dei compagni.
Dopo 20 anni Gasback è ancora in libertà ma la sua taglia da 300.000.000 $$ attira cacciatori di taglie da tutto il pianeta, tra i quali c'è per "puro caso" il disinteressato Vash che farà la conoscenza di una bella pistolera.
L'opera fin dalle battute iniziali sfrutta la commedia nata dalle gag e dall'atipico stile di combattimento di Vash nato dalla sua finta stupidità, mentre il sipario sul plot principale si alza gradualmente tenendo sempre alta l'attenzione dello spettatore. Gli sceneggiatori in tal senso sono stati molto abili, perché sono riusciti a intessere una tela di eventi che permette contemporaneamente l'entrata in scena dei personaggi - nuovi o graditi ritorni - mentre la storia svela nuove sfumature e sviluppi, andando così a fornire una gradita simbiosi che elimina ogni forzatura (o quasi).
Tra le risate, gli atipici combattimenti e le tonnellate di bossoli che volano nell'aria, si va a espandere anche il background psicologico di Amelia, sfruttando abilmente il toccante passato - semplice ma d'impatto - e permettendo una crescita interiore non indifferente, innescata da un colpo di scena spiazzante che lascia a bocca aperta.
Tuttavia il finale propone qualche sfumatura prevedibile e blasonata in linea con lo stile di "Trigun", chiudendo però la storia con qualche piccolo dubbio.
Un finale approssimativo, quindi? Certo che no, perché le sorprese non sono finite qui. Il desiderio di divertire il pubblico fino alla fine, espresso dal regista, sfrutta ogni singolo minuto rimasto e, nella carrellata finale di immagini dei titoli di coda, offre piccoli scorci sui personaggi della storia, dove avviene un ultimo scambio di battute che regala l'attesa verità, sistemando l'ultimo pezzo del puzzle che forma così una storia ricca di sfumature emotive e sentimentali, donando nuovo spessore al tema del film. Il lancio dei dadi, una metafora leggermente criptica, regala però gradite chiavi di lettura.

Vasti deserti soleggiati, città in stile western ammucchiate a ridosso dei Plant e tanta gente dall'aspetto strambo che crea casino: insomma, l'ambientazione e l'atmosfera in stile western tipica della serie sono ancora presenti, se non maggiormente riuscite. La profonda cura dei disegni e delle animazioni dona paesaggi vivi e in movimento, dove gli strambi cacciatori di teste affollano strade e saloon facendo baldoria, dando vita a grandi risse o infastidendo gli abitanti.
La maggiore qualità tecnica permea ogni singolo fotogramma, ma a trarne grande profitto sono anche le scene d'azione, dove le sparatorie sono più belle da vedere che mai, sfruttando anche le nuove tecnologie d'animazione digitali, con un'ottima integrazione della computer grafica, creando addirittura il leggero spostamento d'aria nella scia dei proiettili e tanti altri particolari che rendono il tutto più vivo e movimentato.
La regia è perfettamente affine a quella della serie, visto che il regista è il medesimo, ma senza dubbio questa nuova veste più curata e tecnologica dona nuova bellezza alle atmosfere. Ottime invece sono le piccole scene che rimandano al passato, come un paio di inquadrature identiche a quelle della vecchia opening o di Vash che gioca con dei bambini: questi e altre piccole trovate ravvivano il cuore del fan più nostalgico.

Le musiche, ancora una volta affidate a Tsuneo Himahori, offrono un'ampia gamma di varietà passando dalla chitarra elettrica, per le situazioni più movimentate, a leggere pizzicate sulle corde di quella a acustica, per sottolineare i momenti più delicati o intimi. Ma ancora una volta a rubare la scena sono le bellissime arie profondamente radicate nella cultura musicale dei nativi americani, dove i tipici flauti e i tamburi subiscono raramente l'influenza delle melodie moderne.
Il tocco finale è dato però dalla traccia che fa da sfondo all'ultimo scontro, un'emozionante rivisitazione dell'indimenticabile "H.T.", la sigla di apertura della serie.

In Italia la Dynit ha proposto il film in DVD e Bluray, fornendo anche una limitata "First Press Edition", che offre un digipack contenente una cartolina metallizzata e un piccolo art book. Invece il contenuto dei dischi è il medesimo, ovvero un'altissima qualità audio e video, qualche gradito extra e l'immancabile audio multicanale.
Anche il doppiaggio è ben fatto, mentre si ritrovano con piacere le stesse voci della serie.

Dopo tanti anni "Trigun - Badlands Rumble" riporta con efficacia le avventure del tifone umanoide, riproponendo efficacemente tutte le ottime qualità della serie in una storia intrigante, ricca d'azione e sentimenti, e che diverte fino all'ultimo fotogramma.
"Badlands Rumble" è uno spin-off che nulla aggiunge alla serie, ma regala una nuova avventura memorabile di Vash The Stampede che difficilmente si dimentica, riproponendolo con una veste grafica più ricca e curata. Proprio per questo potrebbe anche essere un punto d'incontro con le nuove generazioni che non si sono mai avvicinate a "Trigun" proprio per l'età della fattura tecnica, in modo che possano scoprire questa perla dell'intrattenimento giapponese.



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Anno 1974: con Heidi di Isao Takahata, nasce il genere meisaku. È un successo fin da subito e da allora per oltre un decennio il meisaku (insieme al robotico) domina il panorama degli anime, specialmente in Italia, dove tutta l'animazione giapponese tra le fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta viene denominata informalmente con la locuzione "orfani e robot". Gli orfani si riferiscono principalmente ai meisaku, che arrivano in Italia due mesi prima dei robot e hanno pertanto l'onore della precedenza.

Anno 1997: il meisaku muore, ignominiosamente, con il Remì di Kozo Kusuba, remake del Remì originale di Osamu Dezaki. In quest'obbrobrio, non solo il sesso del protagonista viene cambiato, ma la storia viene del tutto stravolta e una più che ventennale tradizione viene gettata alle ortiche, strangolata dalla censura e dal buonismo. Tanto per citare un dettaglio significativo, noterò che per non offendere la sensibilità dei piccoli spettatori si decide di non far morire la scimmietta di Remì, la piccola Jolie Coer, mentre si lascia crepare tranquillamente il vecchio Vitali, tanto ai bambini il suo fato interessa ben poco e comunque viene mostrato in maniera così edulcorata che nessuno può starci male. I fan di lunga data del meisaku ci mettono una pietra sopra e imputano il disastro al cambiamento dei tempi. Viene abbandonata ogni speranza per una ripresa del genere.

Anno 2007: a sorpresa, senza nessuna avvisaglia, il meisaku resuscita. E non resuscita timidamente, con fatica, sommerso dai compromessi, ma in grande stile, con una serie ambiziosa in 52 episodi (da sempre la vera durata di un meisaku), tratta da uno dei più grandi capolavori della letteratura francese dell'Ottocento, I Miserabili di Victor Hugo. Un'opera che si distingue per il messaggio sociale e cristiano, per le scene commoventi e i buoni sentimenti, ma anche per le disgrazie, le morti, le guerre, le rivoluzioni; non mancano le storie d'amore, i segreti, i colpi di scena, in tutto il campionario del romanzesco ottocentesco. E tutto ciò coesiste con un intento politico di denuncia sociale.

Si tratta di un soggetto davvero difficile, perché I Miserabili non è un romanzo per l'infanzia e diventa quindi indispensabile adattarlo al tradizionale pubblico di destinazione del meisaku. Nel 2007 non è pensabile esporre i bambini alle scene più tragiche del romanzo; lo si faceva negli anni Settanta, anni in cui un meisaku poteva anche chiudersi con la morte del protagonista principale, ma quegli anni sono passati. Si apre quindi il problema di ridurre il carico di drammaticità, ma senza per questo stravolgere l'opera: idealmente andrebbero mantenute le scene principali del romanzo, il livello di pathos connesso e soprattutto lo spirito dell'originale. Mission impossible? Beh, direi quasi impossibile, visto che gli autori di Shoujo Cosette ci riescono. Certo, si perde la fedeltà completa al romanzo, ma si mantiene comunque un'opera di valore, commovente e che veicola lo stesso messaggio. Un compromesso più che accettabile per i tempi e per il target di destinazione dell'anime. Più che accettabile per un veterano del genere, naturalmente. Tuttavia probabilmente inaccettabile per le generazioni più giovani, che suppongo troveranno Shoujo Cosette eccessivamente drammatico, molto più tragico di una tipica opera per l'infanzia degli anni duemila. Perché gli abusi, gli atti di bullismo e le angherie sulla piccola Cosette non ci vengono risparmiati (in certe scene pare di rivedere le angherie di Irisa su Candy Candy); perché i morti sulle barricate nella Parigi in rivolta ci sono, e ce ne sono tanti - pare in certi punti di rivedere il finale di "Lady Oscar"; perché le morti tragiche per malattia, per fame, ci sono, e non sono edulcorate, anzi scene pure tristissime come la morte della madre di Peline nel famoso Peline Story sono superate in tragicità da Shoujo Cosette.

Visto il carico di morti e di ingiusti maltrattamenti, in tutto e per tutto paragonabile con quello dei più tristi meisaku del passato, ne sconsiglio decisamente la visione ai bambini e la consiglio invece agli adulti. Questi troveranno motivi di riflessione e d'interesse, perché a parte le puntate iniziali in cui Cosette è una bambina, la maggioranza della storia si svolge durante l'adolescenza di Cosette, e dedica ampio spazio alla sua storia d'amore con Marius sullo sfondo dei moti rivoluzionari del 1832. Shoujo Cosette tocca quindi temi estranei al meisaku classico, proprio per la maggiore età della protagonista nominale. Va specificato che il vero protagonista dell'opera, nonostante il titolo, non è Cosette ma il suo tutore, l'ex forzato ed evaso Jean Valjean, uomo che ha deciso di riscattarsi dinanzi a Dio seguendo la strada dell'amore verso il prossimo. Si tratta di un'opera corale, con un vasto cast di personaggi, tutti di grandissima levatura e in grado di rimanere impressi nello spettatore. Tra i migliori val la pena di citare la nemesi storica di Jean Valjean, l'inflessibile poliziotto Javert; inoltre il pericoloso e meschino locandiere Thénardier, perfetto nella sua grettezza e pochezza morale, padre dell'indimenticabile, bellissima e controversa Eponine, e del piccolo ma grande Gavroche. Ma anche tra i personaggi secondari che compaiono in poche scene ce ne sono di estremamente curati e di grande impatto.

Per quanto riguarda la produzione, basta dire che è della Nippon Animation, la casa che ha inventato il meisaku. I complimenti vanno al regista Hiroaki Sakurai, specialmente per il rispetto delle tempistiche pacate del meisaku classico; all'autrice della sceneggiatura Tomoko Konparu, veterana che si è formata alla scuola di Osamu Dezaki; a Hajime Watanabe e Takahiro Yoshimatsu, autori di un ottimo chara design, con uno stile moderno eppure retrò allo stesso tempo; ad Hayato Matsuo, compositore dell'eccellente colonna sonora. Immagini, sfondi e colori sono ottimi; le animazioni, piuttosto statiche, sono perfette per il genere di destinazione. Questa serie è un grande lavoro di cui si parla poco semplicemente perché è al di fuori del campo di interesse degli otaku moderni. Ma a chi si è stancato di guardare sempre le solite commedie scolastiche dico: fatevi un favore e date una possibilità a Cosette.