Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi si parte per lo spazio profondo, con Legend of Galactic Heroes, Capitan Harlock e Rokushin Gattai GodMars.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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Nella filosofia politica è ormai opinione più o meno condivisa, a destra come a sinistra, che un eccessivo clima di benessere, portato da governi democratici, presto o tardi indirizzi al tramonto la civiltà, così drogata di piacere da perdere di vista valori e morale, legittimando di fatto la debolezza dello stato e la conseguente corruzione del governi. D'altro canto, però, non sono pochi i governi autoritari nati con le migliori intenzioni e forti del quasi totale supporto popolare che, pur attuando riforme più significative di una democrazia corrotta, poi finiscono anch'essi nell'irrigidirsi nel proprio potere assoluto, perdendo di vista gli obiettivi primari e condannando i loro popoli a lunghi periodi di stagnazione e immobilità politica ed economica. Se nell'arco di meno di un secolo, oggi, nel mondo reale, la politica internazionale ha designato senza appello la democrazia come miglior governo possibile tra quelli imperfetti, a suo modo di vedere adattabile a qualsiasi situazione sociale a prescindere dalle culture e dalla Storia dei popoli, chissà se tra qualche millennio la si penserà ancora così. Si tratta di dibattiti e riflessioni che faranno discutere per sempre storici e politologi, come dimostra, in un lontano XXXVI secolo spaziale, il tenente Yang Wen-li dell'Alleanza dei Pianeti Liberi, protagonista di quella che, per chi scrive, è la più adulta e matura produzione animata di sempre.

Fedele, lunghissima serie OVA (la più lunga della Storia: 110 episodi) che traspone il ciclo di romanzi scritti tra l'82 e il 1987 da Yoshiki Tanaka, "Legend of the Galactic Heroes" è scontro materiale, psicologico e ideologico, tra due punti di vista: quello di un giovane ammiraglio imperiale, Reinhard von Müsel, deciso a far tornare alla gloria un impero secolare ormai sulla via del tramonto; e appunto quello di Yang Wen-li, appartenente a un'Alleanza delle Repubbliche Unite, quest'ultima ormai preda di corruzione e degrado. Il secondo, privo di ambizioni ma dal grande genio strategico, sceglie la vita militare solo perché è l'unico modo per mantenersi: avrebbe voluto in verità fare lo storico di professione, tanto che il suo hobby è contestualizzare nella sua epoca l'intera Storia dell'uomo. Quello di Yang è un punto di vista in perenne evoluzione, che vuole capire il mondo: si rende conto che democrazia e dittatura non sono altro che governi che nascono, vivono e muoiono alternandosi continuamente e adattandosi alle situazioni culturali, storiche e geografiche, e non sa capire se, con il grande potere militare di cui presto entrerà in possesso, è giusto assecondare l'uno o l'altro; se mantenere in vita la democrazia ormai agonizzante di una sua Patria ormai ridotta al marciume, pur di tramandarne i valori ai posteri, o consegnarla ai nemici imperiali ora che questi stanno concentrando il loro potere in un giovanissimo genio, Reinhard, attorniato dai più capaci soldati dell'Impero, che sta rivoluzionando il sistema e trovando, pur al costo della sua dittatura, un'unanime acclamazione popolare, uno di quei sovrani illuminati che nascono una volta ogni mille anni. Il punto di vista di Reinhard, il "Marmocchio Biondo", invece, è quello di un giovane nobile indignato dai soprusi e dall'ipocrisia dei suoi simili, che mirando al potere assoluto, alla corona del Kaiser, intende riformare da zero l'assetto dell'impero, renderlo più giusto ed egualitario verso i cittadini, improntandolo all'ordine, all'onestà e alla meritocrazia. Per i suoi scopi dovrà però essere pronto a versare sangue (e molto), eliminare i suoi avversari politici per edificare solide fondamenta al suo potere, vincere le battaglie con l'Alleanza per fortificare la sua autorità, fare i conti con la sua coscienza riguardo ai milioni di corpi che cadranno sotto di lui. "Legend of the Galactic Heroes" è la storia di due eroi, diversi tra loro ma dalla grande caratura morale, le cui vite e battaglie, protagoniste assolute nel turbolento flusso della Storia, si incrociano influenzando le sorti dell'intera galassia.

Si parla di 110 episodi basati quasi interamente su dialoghi e battaglie spaziali tra gigantesche flotte di astronavi, con ogni puntata che mostra ora la fazione repubblicana, ora quella imperiale, discutere della situazione politica e militare in cui si trova, ipotizzare quali saranno le mosse nemiche, riflettere sui propri obiettivi, o anche solo combattere internamente, nella propria patria, contro intrighi di palazzo, colpi di stato o terrorismo da parte di terzi. Una lunga serie basata su interazioni tra personaggi e riflessioni sull'uomo, sull'etica dello Stato, sul come governare in nome del popolo (che non è sempre il frutto di libere elezioni, ma anche di un'autocrazia forte che elimina le fondamenta marce di un governo democratico impresentabile), ma spesso anche solo sulla vita personale dei due splendidi protagonisti, che vedono riflettere in essa le conseguenze delle proprie azioni. Chi scrive identifica l'opera per davvero, insieme al dimenticato Dougram, suo ideale precursore, come la più profonda mai partorita dall'animazione, dove la filosofia politica, quella vera, non è semplice apparenza per dare tono, ma è davvero il mezzo per far riflettere lo spettatore sul relativismo che governa le coscienze umane e i loro diversi punti di vista. Manca un qualsiasi tentativo di ricondurre le parti ai ruoli di buoni e cattivi: si raccontano le vite di due popoli estremamente diversi tra di loro, accumunati dall'orgoglio per la propria patria e il proprio governo, che lottano, uccidono, e all'occorrenza torturano o condannano a morte perché convinti dalla bontà della loro causa. I militari non sono solo sadici violenti, guerrafondai e approfittatori, ma anche e sopratutto persone del tutto normali, simpatiche, umanamente meritevoli, alle prese con la famiglia e le proprie amicizie: affettuosi padri di famiglia, onesti lavoratori, timidi soldati etc, che come chiunque altro possono avere scrupoli di coscienza in quello che fanno ma lo fanno lo stesso, perché loro per primi ci credono fermamente. Non c'è alcun artificioso e pretestuoso tentativo di fare la morale alle azioni di chicchesia, si viaggia nei territori di un ineccepibile realismo dei comportamenti.

Una tale, poderosa espressività che non può che soddisfare le sue ambizioni attraverso le caratterizzazioni e le interazioni dialogiche più memorabili: forte di un cast massiccio che non si vedrà più da nessun altra parte (la fine della serie regista al suo attivo più o meno 150 personaggi), "Legend of the Galactic Heroes" è pronto a consegnare all'altare della Storia individualità scolpite nella roccia, carismatiche al punto da imprimersi indelebilmente alla memoria, per mai più dimenticarsele. Se i due protagonisti principali, su cui si regge l'intera trama, sono indubbiamente Yang Wen-li e Reinhard, il macrocosmo di comprimari che gravita attorno loro raggiunge numeri e profondità impensabili, trovando individui capaci da soli, in virtù della loro fortissima personalità, di reggere ipoteticamente il peso di un'intera serie. Non si può non affezionarsi sinceramente a molti dei loro compagni in armi, all'allegro e riflessivo Rusty Attenborough, al timido Julian Minci, ma sopratutto ai sottoposti di Reinhard, tra un valoroso al contempo umile ammiraglio Wolfgang Mittermeyer, il suo ambizioso e ambiguo collega Oskar von Reuental o l'astuto calcolatore Paul von Oberstein (perfetta incarnazione del Principe machiavelliano nella sua assoluta mancanza di scrupoli nell'applicare la ragione di stato); ma sono solo le punte di diamante di un cast mastodontico e sempre caratterizzato in modo fantastico. Coerentemente con questo è perfetto il realismo nella costruzione dei rapporti interpersonali, così umani, privi di sensazionalismo o ricerca di facile spettacolarità, da bucare lo schermo creando un'empatia sempre sincera e devota. Shimao Kawanaka e, di riflesso, l'autore originale dei romanzi Yoshiki Tanaka, compiono un autentico miracolo di sceneggiatura nel tenere inchiodata l'attenzione dello spettatore in una lunga serie fittissima di dialoghi, il cui interesse risiede proprio in se stessi, nel conoscere le strategie che partoriranno le due parti, chi vincerà tra Reinhard e Yang nella loro battaglia generazionale, e sopratutto qual è, se è possibile stabilirlo, il punto di vista tra i due più condivisibile. Invece di inventare a casaccio un background politico/spaziale e far agire in esso gli attori, come se quest'ultimo non fosse poi così importante, "Legend of the Galactic Heroes" lo esplora minuziosamente, con lenti ritmi per permettere allo spettatore di non perdersi nella mole abnorme di date, luoghi e nomi: gli dà forma, poco per volta, con dialoghi e discussioni atti a caratterizzarlo, ma anche con veri e propri documentari storici, guardati dai personaggi per darsi una ripassata della Storia e della cultura dei luoghi. È quasi sconvolgente come la trasposizione di una lunga saga letteraria di 10 romanzi sbarchi in animazione senza perderci quasi in nulla, resa così bene, così approfondita, che presto si inizia a conoscere a tal punto le posizioni strategiche di città, stati e corridoi spaziali che è possibile capire o addirittura anticipare le strategie militari, ragionando, come farebbero i protagonisti, su quali saranno le conseguenze di ogni azione. Si raggiunge un livello di empatia e coinvolgimento raramente eguagliati. Medesima cura è rivolta alla caratterizzazione grafica delle due fazioni, ognuna ben rappresentata da abbigliamenti, rituali politici e addirittura inni nazionali, sopratutto l'Impero Galattico, plasmato sulle gerarchie sociali e il vestiario del regno prussiano del XIX secolo.

Esaurite le lodi che meritano i suoi contenuti, "Legend of the Galactic Heroes" non può esimersi dal venire giudicato per i semplici orpelli tecnici e grafici, pratica abbastanza inutile visto che, se anche fosse tecnicamente realizzato male, rimarrebbe comunque un capolavoro per profondità narrativa. Fortunatamente anche in questo è inattaccabile, trovando una confezione all'altezza: oltre a un ineccepibile lavoro di doppiaggio da parte dei seiyuu giapponesi, può vantare un buon lavoro in animazioni (seppur, per ovvie ragioni, nulla di trascendentale: del resto a cosa servono in una storia che fa dei dialoghi il suo punto di forza?) e di un chara design di pregevolissima fattura, realistico e particolareggiato, anche se, vista l'enorme lunghezza della serie, spesso rimaneggiato dalle diverse filiali dei due studi Artland e Magic Bus, e la cosa si nota spesso in cambiamenti abbastanza vistosi, dove di punto in bianco i volti diventano più "plasticosi" e patinati (ma rimangono giusto quisquilie che nulla tolgono alla gioia estetica generale). L'accompagnamento musicale, d'altro canto, è di livello altissimo, forte non solo delle tracce musicali di Shin Kawabe ma anche dell'uso, per la sua quasi totalità, di composizioni di Mozart, Beethoven, Mahler, Nielsen, Hellmesberger, Brahms, Tchaikovsky e altri compositori classici/romantici con risultati facilmente intuibili nel rendere maestose le scene più importanti della storia. Da notare anche la maturità del regista del non risparmiarsi in scene di sesso o di violenza brutale e disturbante visto il tenore "adulto" della storia, ma questo era scontato essendo una produzione riservata all'home video privo di paletti di censura.

Opera d'arte nel senso più nobile del termine, mai così tanto oggi dove è fin troppo facile leggere la parola "capolavoro" accostata a qualsiasi cosa, "Legend of the Galactic Heroes" è un affresco indimenticabile di personaggi, ma sopratutto un trattato ricco, ricchissimo, di chiavi di lettura e riflessioni sul significato della politica, dei meccanismi del potere, dell'uomo, della Storia e dei pregi e difetti dei due principali regimi politici; riflessioni che risaltano proprio in quest'epoca, quando è ancora radicato l'assunto teorico di un assetto politico mondiale democratizzato, adattabile a qualsiasi situazione. Chi ama la politica e la sua filosofia inevitabilmente non può non reputare l'opera come la più stimolante, bella e riuscita mai dedicata all'argomento, che non sfigurerebbe, a mio parere, neanche se accostata a certi classici della letteratura: visione semplicemente irrinunciabile, spettacolare nella sua totale mancanza di prevedibilità che rende la storia appassionante e incerta fino alla fine, nonostante, per ovvie ragioni, riservata unicamente a un pubblico ben preciso, che sa cosa vuole, che non ha problemi con un ritmo estremamente lento e divulgativo e che intende tratteggiare, con dovizia di particolari, background e personaggi (e nonostante questo mai, neanche una volta, lontanamente noioso, addirittura si finisce col rimpiangere che duri "solo" 110 puntate da quasi mezz'ora l'una). Da guardare dopo il lungometraggio introduttivo che esce pochi mesi prima, il pregevolissimo, "My Conquest is the Sea of Stars", mentre del tutto ininfluenti sono, per quanto piacevoli, l'ammasso di prequel animati usciti a posteriori, che raccontano l'infanzia dei protagonisti, e il lungometraggio "Ouverture to a New War", che espande la storia dei primi due episodi.



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"Capitan Harlock" è senza dubbio uno dei capisaldi dell'animazione giapponese, nonché della fantascienza in generale, per la sua originalità nel tratteggiare personaggi splendidi e completi in un contesto, l'universo e la Terra del futuro, così malinconicamente e pessimisticamente tratteggiato. Leiji Matsumoto credo che o piaccia o non piaccia: ha vari difetti, tra cui personaggi troppo simili tra le sue numerose serie, nonché lo scarso - se non inesistente - rispetto della continuity. Nonostante questo, io mi inserisco nel primo gruppo, quelli a cui piace.

Fra le varie serie da lui create, senza dubbio "Capitan Harlock" è la più completa, perché - almeno nella versione animata - ci viene presentato un conflitto, e quindi una trama, che ha un inizio e una fine.
Siamo nel futuro, nell'anno 2977. Harlock è un pirata dello spazio, in viaggio verso un'indefinita meta, alla ricerca della libertà estrema, a bordo della sua astronave, l'Arcadia - qui nella versione blu, la più bella e slanciata rispetto all'Arcadia verde delle altre serie. Insieme a lui viaggia un equipaggio di 40 membri, o meglio 41 (ma non faccio spoiler!), tra i quali spiccano Yuki, donna giovane e coraggiosa, Yattaran, simpaticamente intento a star dietro ai suoi modellini di astronavi, Tadashi, ragazzo irruento e poco riflessivo, e, infine, la misteriosa e interessante Meeme, aliena senza bocca ma che beve grandi quantità di alcool. Ci sarebbero poi il dottore, la cuoca, gli animali mascotte, ecc., ma sono talmente tanti e così ben caratterizzati che non c'è spazio per presentarli tutti in una recensione.
Questo strampalato gruppo, che oscilla tra il sublime e il ridicolo, è bandito dalla Terra, la quale è governata da una classe dirigente completamente apatica e dedita solo al divertimento. Anzi, l'intera umanità, con pochissime eccezioni, grazie al benessere ormai diffuso ovunque grazie alla tecnologia, è sprofondata nel più completo edonismo, incurante dei valori e della salvaguardia dello stesso pianeta.
In questo contesto, arriva una minaccia, di cui quasi nessuno sulla Terra, tanto meno i governanti, si preoccupano: un esercito alieno vuole conquistare il pianeta e farne la sua patria. Si tratta delle Mazoniane, popolo formato da bellissime donne, guidate da Raflesia, la loro regina. Harlock e i suoi, per vari motivi, si troveranno a combattere Raflesia, fino allo scontro finale.
In tutto questo, ogni personaggio è coinvolto profondamente, chi più chi meno. Inoltre, non mancheranno le apparizioni di due personaggi chiave del lejiverse, forse i migliori: Tochiro ed Emeraldas.

In 42 episodi la trama è molto ben sviluppata, spiegando passo passo - e quindi incuriosendo lo spettatore - tutti i retroscena, dalle vicende personali dei singoli membri dell'equipaggio all'origine (molto affascinante) del popolo mazoniano. Raflesia e il suo popolo sono un nemico singolare e per niente scontato, dal momento che, a differenza dei soliti "cattivi", hanno validissimi motivi per intraprendere l'azione di conquista della Terra. Sono un popolo guerriero, con valori, pregi ma anche difetti, che ricordano l'umanità del passato, imperfetta ma pronta ad autodeterminarsi. In confronto i terresti fanno una magra figura e, se è scontato tifare per Harlock, non lo è così tanto nei confronti degli umani.

La trama è ben diluita, sebbene, talvolta, ci siano diversi episodi troppo fini a se stessi, soprattutto a metà dell'intera serie. Nonostante questo, il ritmo generale non è intaccato e si arriva piacevolmente allo scontro decisivo tra Harlock e Raflesia.
La regia di Rintaro è come al solito adeguata. È un regista molto posato, che lascia parlare più la storia piuttosto che sottolineare sempre la propria presenza. Con questo non voglio dire che è una di quelle regie piatte dove non succede niente, semplicemente Rintaro non è uno invasivo e rende un servizio alla trama. Detto questo, ci sono ovviamente delle scelte registiche, che si esplicano soprattutto per via estetica: scene bicolore, inquadrature con animazione limitata "a effetto", rallentamenti suggestivi. Ottime le battaglie navali nello spazio, sempre chiare e mai noiose anche per chi, come me, trova tendenzialmente difficile seguire scene di lotta galattica.
Il 10 non è scattato per via del comparto grafico, che, al di là dei limiti dovuti al periodo in cui è stato prodotto, ho trovato fin troppo scabro - un anno dopo Harlock, le tv giapponesi trasmettevano cose come "Lady Oscar", animata davvero benissimo per essere una serie televisiva. Il character design rispecchia quello originalissimo (e che io apprezzo tanto) di Leiji Matsumoto, caratterizzato da donne bellissime e slanciate e uomini caricaturali al massimo, con l'eccezione dei pochissimi "bellocci" (Harlock e Tadashi). Tuttavia, la scarsa qualità dei disegni non rende giustizia all'impostazione base data ai personaggi: così, mentre i simpatici e brutti omini sono sempre fatti bene (a causa della loro rotonda semplicità), i bellissimi personaggi femminili sono spesso massacrati. I volti incantevolmente affusolati si trasformano in triangoli, appoggiati su colli che sono rettangolini troppo piccoli; le inverosimili ma suggestive sagome slanciate di questi corpi femminili, seducenti ed eterei, spesso sono malamente abbozzate. Gli occhi splendidamente lunghi e malinconici si riducono a poche linee, che danno una vaga parvenza del reale potenziale di questo character design. I fotogrammi veramente belli si contano sulle dita di una mano...
Le animazioni, come immaginabile, sono molto limitate; tuttavia le avrei potute accettare con più serenità, se i disegni di cui sopra fossero stati maggiormente curati. Invece così risultano un ulteriore punto a sfavore. Questo è un peccato, perché in compenso le scelte coloristiche, spesso stridenti, con rossi accostati a colori impensabili come il verde acido, mi sono piaciute molto e le ho trovate davvero adatte a questa storia ambientata in un futuro decadente.
Concludendo sul reparto grafico, però, posso dire che la qualità è estremamente costante e comunque, a livello funzionale, è adeguata. Ci sono state certe serie "matsumotiane" molto più recenti, di pochissimi episodi, con picchi qualitativi impressionanti (penso a "Space Symphony Maetel") e colori "all'evidenziatore" davvero stridenti con un chara che grida anni Settanta da tutte le linee.

Le musiche, seppure limitate nel numero dei brani, sono suggestive, evocative, adatte ai momenti, dalla malinconia all'azione degli scontri armati. Confesso, però, che a un certo punto avrei volentieri fatto a pezzi l'ocarina!
L'edizione italiana ha alti e bassi. Da un lato un doppiaggio espressivo e ben riuscito, con voci molto adatte a tutti i personaggi, in particolare Gianni Giuliano su Harlock e Noemi Gifuni su Raflesia. Colgono bene la solennità e la complessità dei rispettivi personaggi: ndimenticabile l'incontro e i dialoghi del penultimo episodio, nonostante sia stata completamente omessa la bella canzone presente nell'edizione originale. Tra i difetti troviamo qualche scelta di adattamento inspiegabile, come cambiare il nome di alcuni personaggi (senza chiari motivi): così Tadashi Daiba diventa Tadashi Dayu, Meeme diventa Met (?), Tochiro (ovviamente dovrebbe essere pronunciato Tociro) diventa Tokiro. Ma queste sono piccolezze rispetto ai dialoghi, che non sono censurati, ma spesso imprecisi e dedotti: evidentemente gli adattatori non dovevano disporre di copioni ben fatti, vista l'epoca, quasi sicuramente erano brutte traduzioni in inglese. Questo talvolta porta a qualche punto poco chiaro nei dialoghi e necessariamente ho dovuto rivedermi qualche episodio in giapponese, con sottotitoli fedeli, per chiarirmi del tutto le idee, per esempio le ultime parole che Raflesia dice a Harlock nell'episodio 41 e il momento in cui lui, nel 42, ci ripensa. La cosa è un po' fastidiosa, perché questa è una serie molto bella e ben congegnata e non mi piace l'idea che passi per difettosa. Qualche dubbio, però, m'è rimasto e non so se la visione dell'originale mi permetterà di scioglierlo: in particolare viene ribadito numerose volte che le Mazoniane sono tutte femmine e in un episodio viene chiaramente spiegato che si riproducono per via asessuata. Nell'episodio 26, però, tra la popolazione civile mazoniana compaiono anche maschi, bambini e adulti, nonché una coppia (maschio-femmina) con tanto di bebè. Ma tra le altre cose la serie ha subito qualche sforbiciata qua e là: alcune scene non avevano niente di censurabile e quindi credo che siano state fatte fuori a causa delle tempistiche televisive italiane, mentre altre sono state chiaramente eliminate perché troppo violente. Ma in generale il numero è ridotto: il sangue non manca, così come sono state risparmiate le nudità delle Mazoniane.

Concludo ripetendo quello che ho detto all'inizio: "Capitan Harlock" è una serie chiave del suo periodo e dovrebbe essere conosciuta e visionata da tutti. Detto questo, capisco che è fin troppo retrò e quindi chi ama l'azione spettacolare fine a se stessa potrebbe trovare questa serie noiosa, dal momento che punta più sul contenuto e sulle riflessioni, poetiche e malinconiche, che sul comparto grafico. Se qualcuno fosse attratto dalle serie di Matsumoto e non saprebbe da dove cominciare, allora sì, gli consiglierei vivamente questa: intrigante, riflessiva ma non pesante, con una conclusione soddisfacente e personaggi indimenticabili.



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God Mars è una produzione della Tokyo Movie Shinsha andata in onda tra il 1981 e il 1982, alla fine dell'età d'oro del super robot. God Mars continua ad essere un robotico tradizionale e quindi il combattimento contro il mostro della settimana è obbligatorio: tuttavia si vede chiaramente che la formula è agli sgoccioli. La durata del combattimento è ristretta al solo tempo necessario a pronunciare le tre sentenze fisse del rito (God Fire! Mars Flash! Final God Mars!); per curiosità l'ho cronometrato e incluso il tempo per l'esplosione finale il tutto si svolge in 30 secondi esatti. Un puro proforma quindi. Si capisce che la serie e' un compromesso, un anello di congiunzione tra l'ortodossia robotica e il robotico nuovo che prendera' il sopravvento a partire da "Macross" in poi.

I primi 25 episodi sono tradizionali, con i soliti invasori alieni (i Gishin) guidati dal solito mostruoso imperatore (Zule) che cercano di invadere la Terra, ma i combattimenti robotici sono ridotti al minimo, mentre la parte del leone la svolgono i combattimenti esper tra Mars e i comandanti nemici. La seconda parte della serie cambia registro, probabilmente a causa del successo dei film di Gundam, usciti al cinema proprio in quei mesi. L'ambientazione diviene puramente spaziale, con Takeru (il protagonista) che combatte contro il Presidente Gyron, dittatore del pianeta Marume. Che il nemico sia un presidente e non un imperatore è un chiaro segno dei tempi; tra l'altro, in questa parte della serie si vedono per la prima volta delle tute spaziali praticamente identiche come design a quelle di Gundam, che prima non si erano viste in nessuna serie robotica. I mostri contro cui combatte God Mars non sono affatto mostri, ma semplici mecha, che spesso non sono neppure antropomorfi o biomoformi.

Nella terza e ultima parte si ritorna alle origini: l'azione si sposta di nuovo sulla Terra, torna il mostruoso imperatore Zule, e le atmosfere virano dalla fantascienza al fantasy: Zule manda i suoi sottoposti mascherati (Gestalt) ad attaccare Takeru con la stessa verosimiglianza con cui oltre un decennio dopo vedremo essere lanciati gli attacchi contro Sailor Moon; cito questo titolo perché visivamente le scene sono pressoché identiche e c'è addirittura la controparte di Tuxedo Kamen sotto il nome di Rose Knight, graficamente reso come un curioso misto tra Tekkaman e Silver Surfer! Tutto ciò però non è necessariamente un male, il super robot non si è mai distinto per il realismo; perfino nella seconda parte della serie, quella più "realistica", abbiamo ampio spazio dedicato al veliero spaziale del pirata dello spazio Gash, misto tra Capitan Harlock, Char Aznable e uno qualunque dei biondi carismatici che andavano di moda in quegli anni. Il finale comunque esagera, perché Takeru finisce addirittura nel regno dei morti e libera le anime schiavizzate da Zule; nell'ultima puntata vince grazie al potere della preghiera. Non mi viene in mente nessun robotico precedente altrettanto irrealistico, anche se ci sono esempi posteriori (in particolare Dancougar ha un finale abbastanza simile e anche nell'insospettabile Z Gundam le anime dei morti intervengono ad aiutare il protagonista).

God Mars si distingue per la realizzazione tecnica di alto livello, per il chara design estremamente curato, per le ottime trasformazioni, musiche, animazioni: si tratta evidentemente di una serie ad alto budget, superiore alla media. Sorprende la consistenza del chara da un episodio all'altro, quando nelle serie dell'epoca era normale vedere abbinati disegni buoni ad altri molto meno buoni e vedere inconsistenze nell'aspetto o nell'abbigliamento dei protagonisti, dovuti al fatto che scene diverse venivano assegnate a studi diversi con insufficiente coordinamento e supervisione del risultato, chiaramente a causa degli stretti tempi televisivi e al contenimento del budget. Proprio per questa qualità tecnica ben sopra la media la serie si segue molto piacevolmente; va però anche ammesso che a livello di sceneggiatura e personaggi si poteva fare di più. Specialmente la parte sentimentale è trattata male e insufficientemente: non si possono far innamorare dei personaggi in 30 secondi, senza quasi motivo apparente, se non perché poi uno dei due deve morire eroicamente nella puntata successiva. Non funziona così. Inoltre se si vuol fare una serie triste, non basta mettere in continuazione musiche funeree e disegnare tutti i personaggi femminili con un'unica espressione da cerbiatto bastonato (sempre quella): bisogna invece mettere anche delle scene allegre e momenti felici, in modo che lo spettatore si affezioni ai personaggi e ci rimanga male quando muoiono.

I morti di God Mars non lasciano il segno, perché i personaggi rimangono superficiali, lontani dallo spettatore, privi del fascino che hanno in altre serie. La mancanza di approfondimento nei personaggi è tale che dopo 64 puntate continuiamo a non sapere nulla dei membri della Crasher Squad, compagni di squadra di Takeru ma di fatto inutili. Quello che manca maggiormente in God Mars è un cattivo carismatico, che attiri le simpatie del pubblico. È un peccato perché God Mars è tecnicamente una delle migliori serie mai prodotte e si fa guardare ben volentieri, specialmente per il chara dei personaggi femminili; come al solito le mie preferenze vanno ai capelli verdi e quindi a Rose, personaggio che però è sotto-sfruttato. Non tutto comunque è male e per esempio ho apprezzato il personaggio della madre di Takeru, a cui viene affidato abbastanza spazio: Takeru è il più "mammone" dei piloti robotici, ma questo è un punto a favore, dopo tutto si tratta di un ragazzo di soli 17 anni.

Concludo con un'osservazione sulla relazione con il manga Mars di Mitsuteru Yokoyama. L'anime è una creazione originale che non si ispira al manga e non è certamente tratto da questo: però lo omaggia in alcuni punti marginali. In particolare i nomi dei robot sono tratti dai nomi dei robot che compaiono nel manga; lo stesso vale per il nome del protagonista; nella prima parte dell'anime viene anche ripresa l'idea che la morte di Mars possa causare l'esplosione di Gaia e la fine della Terra. I poteri ESP vengono dal manga e le scene di combattimento seguono lo stile di Babil Junior, altro anime/manga di Yokoyama. Tutto il resto è diverso.