Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Baldios e Saki ed il manga City Hunter.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Baldios e Saki ed il manga City Hunter.
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Baldios
8.0/10
È davvero una gradita riscoperta Baldios, robotico d'annata (classe 1980) di tradizionalissimo impianto Super Robotico, per nulla brillante dal punto di vista tecnico, ma che, pur con questa lettera di presentazione, ha saputo conquistarsi una bella popolarità nel tempo, nonostante l'originale, devastante flop nel periodo di trasmissione originale su Family Gekijou. Il suo destino è quello, sentito troppe volte, dei titoli troppo all'avanguardia per il loro tempo: 39 episodi inizialmente previsti, ma le pessime vendite dei giocattoli e il feroce fiasco di ascolti (uno sconvolgente 1% fisso, nello stesso orario in cui, nel canale Nihon Television, la seconda serie di Lupin III e poi Rocky Joe 2 monopolizzano l'audience con cifre da capogiro) portano alla prematura chiusura della serie a soli 34, di cui gli ultimi due mai trasmessi. Un peccato mortale, perché oltre a difetti oggettivi Baldios ha dalla sua tutto un carico di innovazioni importanti per l'epoca, che superano abbondantemente i minus rendendolo di fatto, soprattutto guardato oggi, una visione appetitosa per gli appassionati del robotico d'autore.
Baldios è la storia di Marin Reigan, abitante di S-1, figlio del geniale scienziato che ha appena inventato una macchina in grado di ripulire il pianeta da tutte le radiazioni che lo stanno lentamente uccidendo. Purtroppo per loro. la fazione militare Aldebaran. comandata dal crudele Zeo Gattler. prende il potere con un colpo di stato e, desiderosa di muovere guerra a qualche pianeta per conquistarlo e renderlo una nuova patria, distrugge l'invenzione. Perso anche il padre, ucciso dai militari, Marin fugge da S-1 con un'astronave e, nel corso degli scontri, finisce in un varco spazio-dimensionale che lo catapulta sulla Terra, nell'anno 2100. Qui deciderà di unirsi all'organizzazione militare dei Blue Fixer, alla guida del potentissimo robottone Baldios, all'indomani dello scoppio del conflitto fra la Terra e Aldebaran. Pur con il classico schema dell'invasore extraterrestre, Baldios surclassa gli stereotipi presentandosi in modo più originale che mai, sfruttando l'abusato incipit come pretesto per avanzare una critica al militarismo e alla politica tra le più forti e memorabili di ogni tempo, molto più del Gundam dell'anno precedente (a cui non deve proprio nulla, non bisogna dimenticarsi del flop del Mobile Suit bianco, non se l'è visto quasi nessuno) e di pari livello espessivo a quell'Ideon, sempre di Tomino, la cui trasmissione inizia esattamente il mese prima.
La consueta "Fortezza delle Scienze", nascosta al mondo, in cui risiedono Baldios e gli eroici Blue Fixer, non è mai stata così dipendente dai diktat del governo: la Federazione Mondiale, retta da politici e burocrati incapaci, fa di tutto per metterla in seria difficoltà, stringendo accordi (puntualmente traditi) con gli invasori, dubitando della caratura del team e della fedeltà di Marin, dando ordini assurdi che avranno drammatiche ripercussioni sul destino della guerra e del pianeta... La serie, ben poco infantile nonostante il target, preme a dimostrare, episodio dopo episodio, come errate decisioni "altolocate", da parte di chi non combatte in prima linea, e la spietatezza dell'esercito siano letteralmente in grado di annientare l'intero pianeta che vorrebbero proteggere/conquistare, tra quotidiane stragi, familiari in pericolo che non possono essere salvati in quanto "bisogna scindere i problemi personali dal lavoro", radiazioni nucleari che rovinano la Terra, gente che muore di fame e attacca le riserve di cibo federali, soldati mandati a morire in battaglia come fossero scarti, milioni di civili di S-1 messi in ibernazione perché occupano troppo spazio nelle astronavi e servono più militari, etc. Baldios propone moniti antimilitaristi, antirazzisti ed ecologici che lasciano il segno, perché le conseguenze di tutti questi errori saranno spaventose ed apocalittiche. Si parla di un'opera immancabilmente troppo moderna per l'originale epoca di trasmissione, così focalizzata sul suo cupo melodramma, nei suoi tragici attori (con tanto di storia d'amore maledetta) da ridurre al minimo sindacale - ed è questo quello che probabilmente non è stato perdonato dagli spettatori - il contorno di azione robotica.
L'eroico Baldios appare pochissimo nel corso della serie, in quasi ogni episodio la sua classica sequenza di "agganciamento" è addirittura più lunga della battaglia vera e propria in cui distrugge con immane facilità i nemici di Aldebaran - tra parentesi, quasi sempre semplici astronavi/carne da macello, raramente bestioni più evoluti. Si parla di circa due/tre minuti a puntata, ma ce ne sono addirittura svariate di esse in cui non fa neppure la sua apparizione. Baldios è il primo titolo robotico in cui viene dato pochissimo spazio al robottone che dà il nome alla serie, come se non contasse quasi niente, e questo è indicativo di come lo staff Ashi Productions pensava a un titolo focalizzato su tutt'altro, in primis su storia e personaggi (e dove la maggior parte dell'azione è riservata alle azioni di infiltrazione dei Blue Fixer nelle basi di Aldebaran). Drammi e melodrammi sono gli unici protagonisti assoluti che tornano a ogni episodio, stupendo sempre più per crudeltà, cattiveria e ingegno (l'avventura contenuta negli ep.20-21, che molto probabilmente deve essere stata vista da un certo Hideo Kojima), fino a giungere all'epice delle famose tre puntate finali, emotivamente fortissime e dotate di un twist spiazzante, impossibili da anticipare ma la cui forza espressiva è stata raramente eguagliata.
Per tutti questi motivi Baldios merita l'immortalità, pur dovendo scontare svariati nei che inficiano il risultato finale impedendogli di assurgere a capolavoro dell'animazione. Il più eclatante dei quali, sicuramente, non può che essere il come la serie crolli su se stessa quando, per risaltare i suoi moniti, fa compiere ai "bersagli" della sua critica azioni di una stupidità senza fine, così fuori dalla realtà (qualsiasi essa sia) da sconfinare nel ridicolo involontario, facendo perdere forza al suo messaggio. Si tratta sicuramente di ingenuità pienamente figlie del loro tempo, ma che risaltano maggiormente contando come Baldios si proponeva all'epoca come estremamente "diverso" dai suoi colleghi Super Robotici, improntando a un forte realismo tutte le sue ambizioni. Trattare politici e militari talvolta come autentici minorati mentali, però, è abbastanza stupido e non depone molto alle sue ambizioni di raccontare una "guerra extraterrestre" come veramente dovrebbe essere combattuta. Fortunatamente si parla solo di circa 3/4 puntate su quest'andazzo, le altre sono pienamente credibili/accettabili. Secondo e ultimo minus, invece, è la sua scarsa confezione: pur potendo fregiarsi di un budget tutto sommato non terribile, la serie Ashi Productions lo sperpera in animazioni dalla qualità spesso dilettantesca/imbarazzante. Gli stessi aggettivi ben si adattano alla piatta direzione del regista Kazuyuki Hirokawa, incapace di rendere spettacolari le sequenze action/robotiche. Di miglior resa gli attraenti disegni di Osamu Kamijo, addirittura anticipatori di certi splendori cromatici di Macross, ma anche loro talvolta impacciati da approssimazioni e sproporzioni varie. Abbastanza terribile invece il mecha design: escluso il bel Baldios, tutti gli altri mecha sono di un anonimato imbarazzante, in particolar modo le atroci, comunissime "navicelle" di Aldebaran dalla forma di girino. I personaggi, infine, pur tragici e complessivamente ben caratterizzati, sono comunque privi di una profondità indimenticabile come ci si potrebbe aspettare, anche se è indubbio che questo potrebbe essere un problema del doppiaggio italiano (obbligato purtroppo).
A prescindere da questo, i vari difetti di Baldios non gli impediscono comunque di ritagliarsi la sua bella fetta di notorietà, dimostrandosi oggi una visione pressoché obbligatoria per gli amanti del robotico d'autore, l'ennesimo titolo avveniristico bocciato dagli ascolti perché troppo moderno ma giustamente riabilitato decenni dopo. Il finale, lasciato purtroppo aperto per colpa delle vicissitudini produttive, troverà definitiva conclusione (e consacrazione) nel lungometraggio che esce l'anno successivo con i soldi di Toei Animation: peccato però che quest'ultimo, pur rivelandosi degno, per arrivare dove arriva sentirà il bisogno di rinnegare alcuni fatti importanti della serie tv, presentandosi come una rielaborazione del segmento di storia che va dall'episodio 18 al 34. Nonostante questo, must see.
Come già accennato, per la visione bisogna rassegnarsi a guardare Baldios con le voci dell'adattamento storico italiano, realizzato nel 1982 da reti private, questo perché la sua unica disponibilità consiste nell'edizione Yamato Video sprovvista - come quasi sempre, del resto - di sottotitoli fedeli. Nonostante le solite frasi inventate dal direttore del doppiaggio, bisogna comunque riconoscere che il doppiaggio italiano è molto meno peggio di altri del periodo: mantiene inalterati quasi tutti i nomi originali di attori, armi e tecnologie (cambiano solo il prof. Takeshi Tsukikage, ribattezzato Jonathan Bannister, e la Federazione Mondiale che diventa Unione Mondiale) e di esso si capisce con un' approssimazione dell'85% il significato delle frasi e del senso della puntata. Certo, rimane il fatto che rappresenta un impedimento alla totale fruizione dell'opera e all'approfondita empatia con gli attori, ma in assenza di meglio (neanche l'ombra di un fansub in lingua inglese) ci si può accontentare (magari impostando la lingua giapponese per potersi godere quantomeno le belle sigle originali - nei dvd sono impostate in automatico quelle italiane).
Baldios è la storia di Marin Reigan, abitante di S-1, figlio del geniale scienziato che ha appena inventato una macchina in grado di ripulire il pianeta da tutte le radiazioni che lo stanno lentamente uccidendo. Purtroppo per loro. la fazione militare Aldebaran. comandata dal crudele Zeo Gattler. prende il potere con un colpo di stato e, desiderosa di muovere guerra a qualche pianeta per conquistarlo e renderlo una nuova patria, distrugge l'invenzione. Perso anche il padre, ucciso dai militari, Marin fugge da S-1 con un'astronave e, nel corso degli scontri, finisce in un varco spazio-dimensionale che lo catapulta sulla Terra, nell'anno 2100. Qui deciderà di unirsi all'organizzazione militare dei Blue Fixer, alla guida del potentissimo robottone Baldios, all'indomani dello scoppio del conflitto fra la Terra e Aldebaran. Pur con il classico schema dell'invasore extraterrestre, Baldios surclassa gli stereotipi presentandosi in modo più originale che mai, sfruttando l'abusato incipit come pretesto per avanzare una critica al militarismo e alla politica tra le più forti e memorabili di ogni tempo, molto più del Gundam dell'anno precedente (a cui non deve proprio nulla, non bisogna dimenticarsi del flop del Mobile Suit bianco, non se l'è visto quasi nessuno) e di pari livello espessivo a quell'Ideon, sempre di Tomino, la cui trasmissione inizia esattamente il mese prima.
La consueta "Fortezza delle Scienze", nascosta al mondo, in cui risiedono Baldios e gli eroici Blue Fixer, non è mai stata così dipendente dai diktat del governo: la Federazione Mondiale, retta da politici e burocrati incapaci, fa di tutto per metterla in seria difficoltà, stringendo accordi (puntualmente traditi) con gli invasori, dubitando della caratura del team e della fedeltà di Marin, dando ordini assurdi che avranno drammatiche ripercussioni sul destino della guerra e del pianeta... La serie, ben poco infantile nonostante il target, preme a dimostrare, episodio dopo episodio, come errate decisioni "altolocate", da parte di chi non combatte in prima linea, e la spietatezza dell'esercito siano letteralmente in grado di annientare l'intero pianeta che vorrebbero proteggere/conquistare, tra quotidiane stragi, familiari in pericolo che non possono essere salvati in quanto "bisogna scindere i problemi personali dal lavoro", radiazioni nucleari che rovinano la Terra, gente che muore di fame e attacca le riserve di cibo federali, soldati mandati a morire in battaglia come fossero scarti, milioni di civili di S-1 messi in ibernazione perché occupano troppo spazio nelle astronavi e servono più militari, etc. Baldios propone moniti antimilitaristi, antirazzisti ed ecologici che lasciano il segno, perché le conseguenze di tutti questi errori saranno spaventose ed apocalittiche. Si parla di un'opera immancabilmente troppo moderna per l'originale epoca di trasmissione, così focalizzata sul suo cupo melodramma, nei suoi tragici attori (con tanto di storia d'amore maledetta) da ridurre al minimo sindacale - ed è questo quello che probabilmente non è stato perdonato dagli spettatori - il contorno di azione robotica.
L'eroico Baldios appare pochissimo nel corso della serie, in quasi ogni episodio la sua classica sequenza di "agganciamento" è addirittura più lunga della battaglia vera e propria in cui distrugge con immane facilità i nemici di Aldebaran - tra parentesi, quasi sempre semplici astronavi/carne da macello, raramente bestioni più evoluti. Si parla di circa due/tre minuti a puntata, ma ce ne sono addirittura svariate di esse in cui non fa neppure la sua apparizione. Baldios è il primo titolo robotico in cui viene dato pochissimo spazio al robottone che dà il nome alla serie, come se non contasse quasi niente, e questo è indicativo di come lo staff Ashi Productions pensava a un titolo focalizzato su tutt'altro, in primis su storia e personaggi (e dove la maggior parte dell'azione è riservata alle azioni di infiltrazione dei Blue Fixer nelle basi di Aldebaran). Drammi e melodrammi sono gli unici protagonisti assoluti che tornano a ogni episodio, stupendo sempre più per crudeltà, cattiveria e ingegno (l'avventura contenuta negli ep.20-21, che molto probabilmente deve essere stata vista da un certo Hideo Kojima), fino a giungere all'epice delle famose tre puntate finali, emotivamente fortissime e dotate di un twist spiazzante, impossibili da anticipare ma la cui forza espressiva è stata raramente eguagliata.
Per tutti questi motivi Baldios merita l'immortalità, pur dovendo scontare svariati nei che inficiano il risultato finale impedendogli di assurgere a capolavoro dell'animazione. Il più eclatante dei quali, sicuramente, non può che essere il come la serie crolli su se stessa quando, per risaltare i suoi moniti, fa compiere ai "bersagli" della sua critica azioni di una stupidità senza fine, così fuori dalla realtà (qualsiasi essa sia) da sconfinare nel ridicolo involontario, facendo perdere forza al suo messaggio. Si tratta sicuramente di ingenuità pienamente figlie del loro tempo, ma che risaltano maggiormente contando come Baldios si proponeva all'epoca come estremamente "diverso" dai suoi colleghi Super Robotici, improntando a un forte realismo tutte le sue ambizioni. Trattare politici e militari talvolta come autentici minorati mentali, però, è abbastanza stupido e non depone molto alle sue ambizioni di raccontare una "guerra extraterrestre" come veramente dovrebbe essere combattuta. Fortunatamente si parla solo di circa 3/4 puntate su quest'andazzo, le altre sono pienamente credibili/accettabili. Secondo e ultimo minus, invece, è la sua scarsa confezione: pur potendo fregiarsi di un budget tutto sommato non terribile, la serie Ashi Productions lo sperpera in animazioni dalla qualità spesso dilettantesca/imbarazzante. Gli stessi aggettivi ben si adattano alla piatta direzione del regista Kazuyuki Hirokawa, incapace di rendere spettacolari le sequenze action/robotiche. Di miglior resa gli attraenti disegni di Osamu Kamijo, addirittura anticipatori di certi splendori cromatici di Macross, ma anche loro talvolta impacciati da approssimazioni e sproporzioni varie. Abbastanza terribile invece il mecha design: escluso il bel Baldios, tutti gli altri mecha sono di un anonimato imbarazzante, in particolar modo le atroci, comunissime "navicelle" di Aldebaran dalla forma di girino. I personaggi, infine, pur tragici e complessivamente ben caratterizzati, sono comunque privi di una profondità indimenticabile come ci si potrebbe aspettare, anche se è indubbio che questo potrebbe essere un problema del doppiaggio italiano (obbligato purtroppo).
A prescindere da questo, i vari difetti di Baldios non gli impediscono comunque di ritagliarsi la sua bella fetta di notorietà, dimostrandosi oggi una visione pressoché obbligatoria per gli amanti del robotico d'autore, l'ennesimo titolo avveniristico bocciato dagli ascolti perché troppo moderno ma giustamente riabilitato decenni dopo. Il finale, lasciato purtroppo aperto per colpa delle vicissitudini produttive, troverà definitiva conclusione (e consacrazione) nel lungometraggio che esce l'anno successivo con i soldi di Toei Animation: peccato però che quest'ultimo, pur rivelandosi degno, per arrivare dove arriva sentirà il bisogno di rinnegare alcuni fatti importanti della serie tv, presentandosi come una rielaborazione del segmento di storia che va dall'episodio 18 al 34. Nonostante questo, must see.
Come già accennato, per la visione bisogna rassegnarsi a guardare Baldios con le voci dell'adattamento storico italiano, realizzato nel 1982 da reti private, questo perché la sua unica disponibilità consiste nell'edizione Yamato Video sprovvista - come quasi sempre, del resto - di sottotitoli fedeli. Nonostante le solite frasi inventate dal direttore del doppiaggio, bisogna comunque riconoscere che il doppiaggio italiano è molto meno peggio di altri del periodo: mantiene inalterati quasi tutti i nomi originali di attori, armi e tecnologie (cambiano solo il prof. Takeshi Tsukikage, ribattezzato Jonathan Bannister, e la Federazione Mondiale che diventa Unione Mondiale) e di esso si capisce con un' approssimazione dell'85% il significato delle frasi e del senso della puntata. Certo, rimane il fatto che rappresenta un impedimento alla totale fruizione dell'opera e all'approfondita empatia con gli attori, ma in assenza di meglio (neanche l'ombra di un fansub in lingua inglese) ci si può accontentare (magari impostando la lingua giapponese per potersi godere quantomeno le belle sigle originali - nei dvd sono impostate in automatico quelle italiane).
City Hunter
10.0/10
Aggiorno la mia recensione fatta sotto mentite spoglie, per recensire ancora una volta questo manga fantastico, il primo manga che ho letto, il mio preferito. Cominciare a leggere fumetti giapponesi così, poi rischia di lasciarti l'amaro in bocca per i confronti che suscita. Ogni volta che prendo in mano un volume finisce che lo leggo tutto, e tant'è, ormai credo sia successo almeno quattro volte per ogni volume.
In City Hunter si trovano echi di tanti altri shonen, come Ranma ad esempio, ma l'opera ha una sua originalità. Ancorato negli anni '80, a mio parere perfeziona tanti canoni dell'epoca, superandoli, e superando nonostante l'età tanta parte della produzione fumettistica mondiale. Un'opera di prim'ordine: azione, divertimento sfrenato che a tratti fa lacrimare dal ridere, sentimenti e quel minimo di profondità nell'analisi dei personaggi che Hojo non fa mai mancare.
City Hunter è forse IL manga poliziesco, IL manga d'azione. La tecnica dell'autore nel descrivere le scene, nell'organizzare la narrazione, nel raccontare, raggiunge apici che raramente si vedono in un fumetto, specialmente in un fumetto giapponese. Hojo detta standard di altissimo livello: è un vero maestro nel bucare la quarta dimensione, trascinando il lettore dentro e fuori un mondo nel quale tutti si innamoreranno, come le clienti della premiata ditta di investigatori City Hunter, di Ryo (o di Kaori, a seconda dei gusti).
Il manga non ha una vera storia: sono tanti episodi, tanti personaggi umani, a volte teneri, a volte violenti, spesso simpatici, che danno un senso di calore e di appartenenza. L'arco narrativo si sviluppa lungo tutti i volumi, in uno scenario verosimile, descrivendo persone vere quanto improbabili che alla fine finiscono per mancarci. City Hunter è un manga leggero che sa commuovere ed eccitare: un'opera magari senza trovate spumeggianti alla base, ma con tante piccole perle che sembrano quasi piovere addosso dal nulla.
L'opera stenta un po' e rischia di scivolare nel ripetitivo in un qualche punto nella parte centrale: ma è l'autore stesso a prendere spunto ironico da questo e farsi un'autocritica a riguardo (nel fumetto!); e allora il tutto DECOLLA letteralmente.
L'edizione Star Comics era decente, l'edizione Panini vale i soldi che costa, per quanto la cosa mi faccia male al cuore (ma proprio la Panini doveva pubblicarlo?). I lettori assidui di manga che però non hanno mai incrociato Hojo sulla loro strada, oltre che provarne un sacrosanto imbarazzo, potrebbero non apprezzarlo come quest'opera merita perché è uno di quei lavori da cui chiunque ha preso qualunque cosa, sia per quanto riguarda gli shonen, sia per quanto riguarda gli shojo. Sì, perché la particolarità principale di questo autore è la sua capacità di condire con profondità di sentimenti e riflessioni situazioni frizzanti, ricche di azione, avventura e comicità. Per questo City Hunter resta un'opera indimenticabile. che piacerà quasi a chiunque ami i manga e l'umorismo giapponese, a tutte le età e ad entrambi i sessi.
In City Hunter si trovano echi di tanti altri shonen, come Ranma ad esempio, ma l'opera ha una sua originalità. Ancorato negli anni '80, a mio parere perfeziona tanti canoni dell'epoca, superandoli, e superando nonostante l'età tanta parte della produzione fumettistica mondiale. Un'opera di prim'ordine: azione, divertimento sfrenato che a tratti fa lacrimare dal ridere, sentimenti e quel minimo di profondità nell'analisi dei personaggi che Hojo non fa mai mancare.
City Hunter è forse IL manga poliziesco, IL manga d'azione. La tecnica dell'autore nel descrivere le scene, nell'organizzare la narrazione, nel raccontare, raggiunge apici che raramente si vedono in un fumetto, specialmente in un fumetto giapponese. Hojo detta standard di altissimo livello: è un vero maestro nel bucare la quarta dimensione, trascinando il lettore dentro e fuori un mondo nel quale tutti si innamoreranno, come le clienti della premiata ditta di investigatori City Hunter, di Ryo (o di Kaori, a seconda dei gusti).
Il manga non ha una vera storia: sono tanti episodi, tanti personaggi umani, a volte teneri, a volte violenti, spesso simpatici, che danno un senso di calore e di appartenenza. L'arco narrativo si sviluppa lungo tutti i volumi, in uno scenario verosimile, descrivendo persone vere quanto improbabili che alla fine finiscono per mancarci. City Hunter è un manga leggero che sa commuovere ed eccitare: un'opera magari senza trovate spumeggianti alla base, ma con tante piccole perle che sembrano quasi piovere addosso dal nulla.
L'opera stenta un po' e rischia di scivolare nel ripetitivo in un qualche punto nella parte centrale: ma è l'autore stesso a prendere spunto ironico da questo e farsi un'autocritica a riguardo (nel fumetto!); e allora il tutto DECOLLA letteralmente.
L'edizione Star Comics era decente, l'edizione Panini vale i soldi che costa, per quanto la cosa mi faccia male al cuore (ma proprio la Panini doveva pubblicarlo?). I lettori assidui di manga che però non hanno mai incrociato Hojo sulla loro strada, oltre che provarne un sacrosanto imbarazzo, potrebbero non apprezzarlo come quest'opera merita perché è uno di quei lavori da cui chiunque ha preso qualunque cosa, sia per quanto riguarda gli shonen, sia per quanto riguarda gli shojo. Sì, perché la particolarità principale di questo autore è la sua capacità di condire con profondità di sentimenti e riflessioni situazioni frizzanti, ricche di azione, avventura e comicità. Per questo City Hunter resta un'opera indimenticabile. che piacerà quasi a chiunque ami i manga e l'umorismo giapponese, a tutte le età e ad entrambi i sessi.
Saki
5.0/10
Recensione di npepataecozz
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E' risaputo che gli anime, oltre ad essere prodotti di puro intrattenimento, vengono anche usati come strumenti atti a promuovere alcuni aspetti o attività caratteristiche della tradizione giapponese, ed è questo il caso di "Saki", anime prodotto nel 2009 che pubblicizza il gioco del Mahjong.
Personalmente non conoscevo questo gioco: sapevo dell'esistenza di queste tessere perché utilizzate in uno dei giochi proposti da "Windows" nel suo pacchetto base, ma il modo in cui quest'ultimo le utilizza è del tipo "scarta la coppia" e non ha nulla a che vedere, a quanto ho capito, col vero Mahjong.
Sottopormi alla visione di un anime basato su un gioco di cui non capisco nulla non è una novità: prima di "Saki", infatti, avevo già visto le due serie di "Chihayafuru", che promuovevano il Karuta; ad essere sincero, mi sono avvicinato a questo anime proprio nella speranza di trovarci qualcosa di simile e magari imparare qualcosa di nuovo. Nonostante le evidenti similitudini, però, "Saki" si rivelerà essere un prodotto molto meno apprezzabile rispetto a "Chihayafuru". Vediamo perché.
Cominciamo con la trama: Saki Miyanaga è una studentessa del primo anno delle superiori che detesta il Mahjong a causa della sua famiglia, che da un lato la costringeva a giocare e dall'altro si mostrava sempre insoddisfatta sia che vincesse sia che perdesse. Per cercare di evitare malumori Saki inventò un metodo di gioco col quale fosse possibile ottenere punteggio sempre pari a zero, il che le consentiva di non vincere ma anche di non perdere le partite che giocava. Questo tipo di tecnica, però, era talmente complessa da trasformare la ragazza in un'ottima giocatrice, e la cosa fu subito notata dal piccolo club di Mahjong della scuola; Saki viene così reclutata nel club e qui diventa consapevole delle sue grandi capacità, riscoprendo, allo stesso tempo, l'amore per questo gioco. Inoltre, la ragazza stringerà una profonda amicizia con una sua compagna di club, Nodoka Haramura, con la quale formulerà una solenne promessa: quella di partecipare insieme ai campionati nazionali.
L'anime può essere diviso in due parti: le competizioni e la componente slice of life.
Per quanto riguarda la prima, l'anime descrive le gesta delle ragazze nel campionato interscolastico di Mahjong: si parte col torneo a squadre per poi passare al torneo individuale. E' questa la parte migliore: del gioco non ci ho capito quasi nulla, e difficilmente chi non lo conosce riuscirà a impararne le regole seguendo questa serie, ma l'anime riesce a sfruttare bene la parte istintiva dello spettatore che lo porta a tifare per le protagoniste. Nonostante questo, però, i troppi inutili flashback alla "Holly & Benji" rischiano di rendere tediosa l'attesa tra una mossa e l'altra; in più gli effetti speciali associati alle varie giocatrici, come la capacità di diventare invisibili, di generare folate di vento, di generare blackout e tanto altro, sono assolutamente ridicoli e, spesso, fastidiosissimi.
L'altra componente, quella slice of life, è di una noia mortale. Se si decide, come in questo caso, di creare un cast composto al 99% da ragazze, poi trovare degli spunti interessanti fuori dalle sale da gioco diventa veramente difficile. Nonostante questo l'autore insiste di continuo nel proporre la vita quotidiana delle ragazze, anche se queste, in effetti, non hanno molto da offrire o da dire. Risultato: ore ed ore di pura noia.
Tirando le somme il mio giudizio definitivo non può che essere negativo: pur essendomi appassionato a guardare le partite di un gioco che non conoscevo, non posso ignorare i tanti, troppi aspetti negativi legati a questa serie, che ha cercato di offrire più di quanto era nelle sue possibilità, fallendo in pieno e rovinando in gran parte anche quanto di buono era stato realizzato.
Personalmente non conoscevo questo gioco: sapevo dell'esistenza di queste tessere perché utilizzate in uno dei giochi proposti da "Windows" nel suo pacchetto base, ma il modo in cui quest'ultimo le utilizza è del tipo "scarta la coppia" e non ha nulla a che vedere, a quanto ho capito, col vero Mahjong.
Sottopormi alla visione di un anime basato su un gioco di cui non capisco nulla non è una novità: prima di "Saki", infatti, avevo già visto le due serie di "Chihayafuru", che promuovevano il Karuta; ad essere sincero, mi sono avvicinato a questo anime proprio nella speranza di trovarci qualcosa di simile e magari imparare qualcosa di nuovo. Nonostante le evidenti similitudini, però, "Saki" si rivelerà essere un prodotto molto meno apprezzabile rispetto a "Chihayafuru". Vediamo perché.
Cominciamo con la trama: Saki Miyanaga è una studentessa del primo anno delle superiori che detesta il Mahjong a causa della sua famiglia, che da un lato la costringeva a giocare e dall'altro si mostrava sempre insoddisfatta sia che vincesse sia che perdesse. Per cercare di evitare malumori Saki inventò un metodo di gioco col quale fosse possibile ottenere punteggio sempre pari a zero, il che le consentiva di non vincere ma anche di non perdere le partite che giocava. Questo tipo di tecnica, però, era talmente complessa da trasformare la ragazza in un'ottima giocatrice, e la cosa fu subito notata dal piccolo club di Mahjong della scuola; Saki viene così reclutata nel club e qui diventa consapevole delle sue grandi capacità, riscoprendo, allo stesso tempo, l'amore per questo gioco. Inoltre, la ragazza stringerà una profonda amicizia con una sua compagna di club, Nodoka Haramura, con la quale formulerà una solenne promessa: quella di partecipare insieme ai campionati nazionali.
L'anime può essere diviso in due parti: le competizioni e la componente slice of life.
Per quanto riguarda la prima, l'anime descrive le gesta delle ragazze nel campionato interscolastico di Mahjong: si parte col torneo a squadre per poi passare al torneo individuale. E' questa la parte migliore: del gioco non ci ho capito quasi nulla, e difficilmente chi non lo conosce riuscirà a impararne le regole seguendo questa serie, ma l'anime riesce a sfruttare bene la parte istintiva dello spettatore che lo porta a tifare per le protagoniste. Nonostante questo, però, i troppi inutili flashback alla "Holly & Benji" rischiano di rendere tediosa l'attesa tra una mossa e l'altra; in più gli effetti speciali associati alle varie giocatrici, come la capacità di diventare invisibili, di generare folate di vento, di generare blackout e tanto altro, sono assolutamente ridicoli e, spesso, fastidiosissimi.
L'altra componente, quella slice of life, è di una noia mortale. Se si decide, come in questo caso, di creare un cast composto al 99% da ragazze, poi trovare degli spunti interessanti fuori dalle sale da gioco diventa veramente difficile. Nonostante questo l'autore insiste di continuo nel proporre la vita quotidiana delle ragazze, anche se queste, in effetti, non hanno molto da offrire o da dire. Risultato: ore ed ore di pura noia.
Tirando le somme il mio giudizio definitivo non può che essere negativo: pur essendomi appassionato a guardare le partite di un gioco che non conoscevo, non posso ignorare i tanti, troppi aspetti negativi legati a questa serie, che ha cercato di offrire più di quanto era nelle sue possibilità, fallendo in pieno e rovinando in gran parte anche quanto di buono era stato realizzato.
Anche secondo me City Hunter non è da 10 ma se per qualcuno vale 10 vabbè gusti suoi anche perché a quanto leggo è quantomeno giustificata con pareri personali validi. Credo che l'importante sia "rapportare" i propri voti tra le varie opere e non semplicemente dare voti 10 (mi è piaciuto abbastanza) o 2 (non mi è piaciuto) e a quanto vedo l'autore della recensione di City Hunter solitamente segue con logica.
Baldios è uno degli anime che ricordo con più affetto della mia infanzia. Visto oggi è graficamente orribile, ma Marin e Aphrodia mi son rimasti nel cuore. Per i tempi era favoloso.
Avrà letto la prima edizione sottiletta della Star
Comunque credo che sia lo stile di Hojo, anche Occhi di gatto, mi pare di ricordare, seguiva la stessa modalità narrativa.
La parte strettamente competitiva è molto appassionante (imparare le regole del mah jong non è poi così difficile), oltretutto la possibilità di ribaltare l'esito delle gare con mosse (calcolate a volte, improbabili altre) le rende coinvolgenti fino all'ultimo secondo. L'aggiuna di capacità "soprannaturali" dà un tocco di suspense in più ai match ("Stealth Momo" è un mito, tanto che verrà pure parodiata in "Watamote").
Ma ancor meglio è la parte slice of life, con il suo sottotesto yuri: tutte, ma proprio tutte, le protagoniste e le loro avversarie hanno un passato e una storia personale che non vengono trascurati, e che servono a rendere ancora più credibili il loro modo di giocare e le loro relazioni interpersonali. E non dimentichiamo infine che c'è Hisa Takei, presidentessa del club di mah jongg della Kiyosumi, uno dei miei personaggi femminili preferiti in assoluto!
La Planet ha pubblicato la Perfect Edition, stranamente ad un prezzo umano
Non concordo. Sicuramente Baldios è più disperato rispetto a Ideon, anzi è il più tragico anime mai realizzato, perché si conclude con una condanna assoluta e irrevocabile del futuro del genere umano. Ideon invece si chiude con una nota di speranza, seppure post-mortem. Inoltre Baldios è anche più di rottura rispetto a Ideon, per vari motivi. Uno è lo stravolgimento dello schema a mostro della settimana, che in superficie rimane, ma in sostanza è svuotato di tutto il suo significato. Diciamo la verità: i bambini guardavano i robottoni per il mostro della settimana, perché si entusiasmavano per il combattimento, e non per il resto. Io all'età di 8 anni ero certamente così, non mi interessava nulla di tutto il contorno e vedevo Goldrake solo per i combattimenti: e sono sicuro di rientrare nella norma. Baldios invece rende il combattimento insignificante, anzi "brutto", combattendo il più delle volte contro debolissimi minidischi (quindi si tratta di un massacro più che di un combattimento) oppure contro mecha piuttosto scarsi, sconfiggendoli in pochi secondi, senza nessuna gloria, con poche scene di lotta accompagnate da una colonna sonora lugubre e tristissima. Insomma una totale rottura con il passato: lungi dal glorificare il combattimento lo mostra per quello che è, uno schifo: il tutto in maniera perfettamente coerente con la sua vena antimilitarista. In questo Baldios è molto più antimilitarista di Gundam (sì, vogliamo la pace, ma intanto guarda quanto sono fichi i nostri mobil suit) e di qualunque altro robotico che abbia mai visto. I combattimenti di Ideon invece sono assolutamente nella norma e per nulla di rottura. Ideon è di rottura per altre cose, ma non più di Baldios. Il film di Ideon è diretto meglio del film di Baldios, ma il finale di Baldios è superiore e di maggiore effetto, grazie al colpo di scena degli ultimi minuti.
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