Direttamente dal Far East Film Festival, ecco le recensioni dei due film coreani Fatal Intuition e The World of Us.
Fatal Intuition
Fatal Intuition
Jang-woo, laconico dipendente di una fabbrica di gelati e titolare di un’umile lavanderia ereditata dai genitori deceduti alcuni anni prima, vive la propria modesta esistenza in una remota cittadina costiera della Corea, barcamenandosi ogni giorno tra casa e lavoro e prendendosi cura della sorella minore Eun-ji. Nella notte in cui l’uomo decide di vendere l’attività famigliare per potersi permettere una vita più agiata a Seoul, la sorella scompare tragicamente. È l’inizio di un’angosciante ricerca, che lo condurrà da un’eccentrica sensitiva vittima di inquietanti visioni: la ragazza potrebbe infatti essere la chiave per arrivare alla verità sulla sparizione di Eun-ji.
Dipanandosi tra il giallo puro e il thriller a tinte soprannaturali, Fatal Intuition rappresenta un tentativo riuscito a metà di coniugare due generi differenti, ma legati da una sottile affinità compositiva; ispirato a una storia vera che ha coinvolto un caro amico del regista Yun Jun-hyung (com’egli stesso ha asserito alla proiezione), il film, strutturato come un cupo revenge-movie dai risvolti giallistici, prende fin da subito la strada dell’horror psicologico tentando di far confluire due filoni paralleli in un unico binario narrativo. Si-eun, la stralunata medium che accompagnerà Jang-woo nella sua disperata ricerca, rappresenta infatti il punto di congiunzione tra il thriller e l’horror: le sue inquietanti visioni andranno a influire pesantemente sulle azioni del protagonista e sugli eventi che accadranno, contaminando l’intreccio con la costante presenza dell’elemento soprannaturale.
Ambientando l’opera in una cittadina marittima situata a sud-est della Corea, il regista pone particolare attenzione proprio sulle usanze e le pulsioni tipiche della provincia sudcoreana: sulla falsariga del Twin Peaks di David Lynch, Jun-hyung prova a modellare una realtà edificata su un ordine precario e innaturale, che nasconde innumerevoli ombre tra le pieghe della quotidianità.
Dipanandosi tra il giallo puro e il thriller a tinte soprannaturali, Fatal Intuition rappresenta un tentativo riuscito a metà di coniugare due generi differenti, ma legati da una sottile affinità compositiva; ispirato a una storia vera che ha coinvolto un caro amico del regista Yun Jun-hyung (com’egli stesso ha asserito alla proiezione), il film, strutturato come un cupo revenge-movie dai risvolti giallistici, prende fin da subito la strada dell’horror psicologico tentando di far confluire due filoni paralleli in un unico binario narrativo. Si-eun, la stralunata medium che accompagnerà Jang-woo nella sua disperata ricerca, rappresenta infatti il punto di congiunzione tra il thriller e l’horror: le sue inquietanti visioni andranno a influire pesantemente sulle azioni del protagonista e sugli eventi che accadranno, contaminando l’intreccio con la costante presenza dell’elemento soprannaturale.
Ambientando l’opera in una cittadina marittima situata a sud-est della Corea, il regista pone particolare attenzione proprio sulle usanze e le pulsioni tipiche della provincia sudcoreana: sulla falsariga del Twin Peaks di David Lynch, Jun-hyung prova a modellare una realtà edificata su un ordine precario e innaturale, che nasconde innumerevoli ombre tra le pieghe della quotidianità.
Se da un lato la fotografia crepuscolare – costantemente filtrata da vibranti variazioni cromatiche che virano dal blu elettrico al rosso acceso – conferisce alla pellicola un nostalgico retrogusto che riporta alla mente Suspiria e l’horror italiano degli anni ’80, dall’altro l’atmosfera della cittadina in cui sono ambientate le vicende non riesce a emergere dal mero ruolo di sfondo, finendo di fatto per depotenziare la carica folkloristica su cui l’elemento soprannaturale è (in parte) imperniato. Per tutta la durata della pellicola permane infatti il sentore che gli autori non siano riusciti a sfruttare appieno gli elementi inseriti, limitandosi a gettare carne al fuoco senza tuttavia prendersi la briga di amalgamare gli ingredienti; i temi sfiorati sono molti, ma nessuno di essi giunge infine a una degna conclusione. La stessa sceneggiatura soffre per l’eccesso di intenti, limitandosi a “fare il compitino” e relegando le questioni socialmente e moralmente più impegnate al semplice contorno.
In mezzo a un cast non particolarmente ispirato spicca uno Yoo Hae-jin in stato di grazia, che si cala con scioltezza nel ruolo del villain regalandoci un’interpretazione traboccante di una disturbante e morbosa freddezza; il protagonista invece, interpretato dal discreto Joo Won, soffre di un’eccessiva stereotipia che lo rende alquanto piatto e monocorde, come gran parte degli altri teatranti. Coronamento di tutto ciò è rappresentato da un epilogo eccessivamente forzato e buonista, che non riesce a concludere tutto ciò che si era iniziato: complice anche un montaggio a tratti leggermente confusionario, la trama si troverà spogliata di tutti gli accessori aggiunti in precedenza, limitandosi a portare a compimento il confronto tra “buoni e cattivi” – peraltro in modo non sempre convincente.
In mezzo a un cast non particolarmente ispirato spicca uno Yoo Hae-jin in stato di grazia, che si cala con scioltezza nel ruolo del villain regalandoci un’interpretazione traboccante di una disturbante e morbosa freddezza; il protagonista invece, interpretato dal discreto Joo Won, soffre di un’eccessiva stereotipia che lo rende alquanto piatto e monocorde, come gran parte degli altri teatranti. Coronamento di tutto ciò è rappresentato da un epilogo eccessivamente forzato e buonista, che non riesce a concludere tutto ciò che si era iniziato: complice anche un montaggio a tratti leggermente confusionario, la trama si troverà spogliata di tutti gli accessori aggiunti in precedenza, limitandosi a portare a compimento il confronto tra “buoni e cattivi” – peraltro in modo non sempre convincente.
Fatal Intuition potrebbe quindi rappresentare un decente divertissement per gli amanti del genere, ma purtroppo si sente il peso delle tante premesse accennate e infine lasciate decadere, così come le aspettative dello spettatore vanno via via affievolendosi.
Autore: Traxer-kun
Autore: Traxer-kun
Sun è una ragazzina di dieci anni, un po' timida e insicura, che si appresta a trascorre le vacanze estive con la malinconica consapevolezza di non godere di molta popolarità fra i suoi coetanei. Le piacerebbe molto legare con qualcuno e l'arrivo di Jia, coetanea appena trasferitasi nella scuola, sembra portare una svolta nella sua vita. Così si lancia con passione e slancio in una nuova e promettente amicizia. Il mondo però le crollerà addosso quando Jia, ricominciata la scuola e la routine di tutti i giorni, le volterà le spalle entrando a far parte del gruppo di ragazze più popolari della classe.
Quando la macchina da presa si sofferma ad altezza di bambino possono accadere dei piccoli miracoli di cinema che vanno dritti al cuore. La regista coreana Yoon Ga-eun, già autrice di due corti (Sprout e Guest) incanta il pubblico del Far East Film Festival con un'opera prima intensa ed emozionante, tutta coniugata al femminile e incentrata su una quotidianità infantile tanto "piccola" e ingenua quanto poetica e struggente. Già dalle prime inquadrature sorprende il modo naturale con cui il racconto procede addentrandosi nel mondo delle piccole protagoniste, che non si muovono con la tecnica di baby attori professionisti ma riescono a conservare quella freschezza e quella spontaneità che ha il sapore dolce e amaro della verità.
Quando la macchina da presa si sofferma ad altezza di bambino possono accadere dei piccoli miracoli di cinema che vanno dritti al cuore. La regista coreana Yoon Ga-eun, già autrice di due corti (Sprout e Guest) incanta il pubblico del Far East Film Festival con un'opera prima intensa ed emozionante, tutta coniugata al femminile e incentrata su una quotidianità infantile tanto "piccola" e ingenua quanto poetica e struggente. Già dalle prime inquadrature sorprende il modo naturale con cui il racconto procede addentrandosi nel mondo delle piccole protagoniste, che non si muovono con la tecnica di baby attori professionisti ma riescono a conservare quella freschezza e quella spontaneità che ha il sapore dolce e amaro della verità.
Le ansie, le insicurezze, le piccole debolezze delle bambine sono descritte in modo così attento e sfumato che anche i dettagli minimi sembrano serbare delle grandi verità. La regista non ci presenta una visione nostalgica e distaccata della vita infantile facendoci tornare bambini, ma ci spinge direttamente nella loro dimensione invitandoci a riflettere sulla delicatezza di quella speciale fase della vita, senza remore nel mettere gli adulti (che per lo più rimangono sullo sfondo) di fronte alle loro responsabilità. A completare il quadro e a confermare il gusto quasi documentaristico della pellicola, la scelta delle location (per lo più intimi interni domestici, aule scolastiche e irte strade di un anonimo quartiere di Seul) incorniciano un film solo in apparenza piccolo e semplice, in realtà ricco di sorprendente e commovente bellezza.
Autore: Bob71
Autore: Bob71
The world of us molto carino, ma con grandi sabalzi nel livello della sceneggiatura (3/5)
Gli unici film a cui ho dato 4/5 sono The devil's tattoo e Romans (non mi ricordo il titolo italiano)
@Spirit Eater: tu l'hai visto al FEFF oppure l'hai trovato su internet?
Lo slice of life è il mio genere preferito, aggiungiamoci questo tocco di bimb "coniugato al femminile" come scrive Bob, e credo ne esca qualcosa che visionerei molto volentieri.
Sottolineo infine un paio di passaggi del testo di Bob che ho molto apprezzato:
"Quando la macchina da presa si sofferma ad altezza di bambino possono accadere dei piccoli miracoli di cinema che vanno dritti al cuore"
e
"un film solo in apparenza piccolo e semplice, in realtà ricco di sorprendente e commovente bellezza"
Per il resto faccio i miei complimenti al buon bob per la spettacolare (anche troppo ) recensione di The World of Us, che purtroppo non sono riuscito a vedere ma che so di dover recuperare.
Sabato e domenica ero al FEFF. Ho visto sette film sabato e sei domenica
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