Fra gli autori più attesi della scorsa edizione di Lucca spiccava sicuramente il nome di Suehiro Maruo, fumettista, illustratore e pittore giapponese, figura leggendaria per gli amanti delle letture più trasgressive e fonte di ispirazione per le nuove generazioni di mangaka. Il sensei è stato ospite dello stand di Coconino Press (editore italiano di riferimento per le sue opere), dove è stato accolto con calore dalla platea lucchese, celebrato con una bella mostra a Palazzo Ducale e protagonista di un’esclusiva masterclass nel Convento di Santa Maria dei Servi. Si è poi concesso ai numerosi fan firmando copie della sua opera più recente, il quarto e ultimo volume di Tomino la dannata, la miniserie che racconta l’odissea di un gruppo di freaks in fuga dalla spirale di degrado che li tiene prigionieri, sullo sfondo di un Giappone alternativo degli anni ‘30.
Nel corso del tempo Maruo si è conquistato un numero sempre maggiore di estimatori, che hanno fatalmente subito il fascino della sua estetica intrisa di sangue e violenza, e delle sue storie dal gusto rètro, fra le cui pieghe si intravede una graffiante satira della società contemporanea. Il raffinatissimo tratto grafico, che si esalta nelle complesse trame floreali in stile art nouveau, crea una torbida miscela tra purezza dei disegni e oscenità ostentate, che trasuda in ogni tavola. Accostando inopinatamente il sublime all’infimo, Maruo riesce a veicolare al contempo un senso di attrazione e repulsione. I suoi personaggi sono imbevuti di languida sensualità, hanno lineamenti angelici e le labbra voluttuose come bambole di porcellana, ma la loro avvenenza è spesso proporzionale alla loro abiezione e spietatezza, un’apoteosi di eros e tanathos.
L’incontro è stato condotto da Paolo La Marca e Livio Tallini, curatori delle collane Gekiga e Doku per Coconino Press. La traduzione è stata affidata a Midori Yamane (ex editor della rivista Morning di Kodansha, insegna sceneggiatura e fumetto a Roma), che ha anche tradotto per la prima volta in italiano il maestro Maruo, in occasione della prima pubblicazione de Il vampiro che ride (2000) e Midori: La ragazza delle Camelie (2003). A completare il catalogo Coconino delle opere del maestro: Notte putrescente (2003), raccolta di racconti brevi tradotta da Dario Sevieri, che ha curato anche i due racconti tratti da Edogawa Ranpo, La strana storia dell’isola Panorama (2011) e Il bruco (2012), e il secondo volume de Il vampiro che ride (2014). Infine la più recente pubblicazione è Tomino la dannata, con traduzione di Vincenzo Filosa.
In un'intervista affermava di aver mandato un racconto alla rivista Garo all’inizio della sua carriera.
È vero ma non è andata bene, il racconto non era erotico e non ha suscitato alcun interesse.
Nel periodo del suo debutto in Giappone c’erano due correnti principali, da un lato la scuola di Tezuka e dall’altro la scuola gekiga. Subito dopo hanno cominciato a emergere nuovi mangaka come Otomo e Hiseuchi Michio. Anche il maestro si inserisce in questa scia?
Quando ho iniziato il mio stile si poteva definire underground, anche se ero stato rifiutato da Garo la mia direzione era comunque segnata e poi, a poco a poco, il mio nome ha cominciato a circolare nell’ambiente delle case editrici.
Il nome del maestro viene spesso associato a Garo anche se in realtà ha pubblicato pochissimo su quella rivista. La maggior parte dei racconti venivano pubblicati su altre riviste meno conosciute (per es. Manga Piranha).
Su Garo ho pubblicato una sola volta, quindi non accosterei il mio stile a quella rivista.
Durante l’adolescenza il maestro era affascinato da un manga molto famoso in Giappone, 8 Man (Eitoman) di Kazumasa Hirai (sceneggiatura) e Jiro Kuwata (disegni), che si è cimentato a ridisegnare. Il primo volume pubblicato in Giappone che raccoglie le storie di Maruo include anche un racconto dal titolo Ribon no Kishi, che potrebbe ricordarci il fumetto omonimo di Tezuka (La principessa Zaffiro), ma in realtà la storia è completamente diversa. Si tratta di solo quattro pagine, ma vi si concentrano tutti gli elementi che caratterizzano l’universo di Maruo: sessualità, perversione, grottesco.
Ribon no kishi è la prima storia che ho realizzato ma non ha alcun rapporto con l’opera di Tezuka, l’unica cosa in comune è il fiocco indossato dalla protagonista.
Sono stato influenzato soprattutto dal cinema, in particolare dal cinema espressionista tedesco degli anni ’30.
Anche l’opera dell’artista e illustratore Takabatake Kasho (1888-1966) ha avuto un certo ascendente presso il maestro Maruo, con la sua estetica raffinata legata al Giappone degli anni ’20 e ’30 (primo periodo Showa).
Sono attratto non tanto dalla sua tecnica o dal suo stile, quanto dal fascino dei personaggi che popolano i suoi quadri.
All’interno dei suoi fumetti compaiono tantissimi omaggi. Per esempio abbiamo accostato una sua vignetta con una molto simile di Tsuge Yoshiharu.
In questo caso si tratta di un posto realmente esistente a Taiwan. Entrambi (sia io che Tsuge) abbiamo preso spunto da una fotografia. Quando Tsuge ha realizzato la sua vignetta, mi è piaciuta l’idea e l’ho usata a mia volta.
Leggendo i fumetti del maestro si possono trovare tantissimi riferimenti al cinema. Una citazione estrapolata dal catalogo della mostra a Palazzo Ducale recita così: “il cinema è stato il mio testo scolastico e le sale cinematografiche sono state la mia vera scuola”.
È stata una vera scuola in tutti i sensi, sia dal punto di vista formale che da quello dei contenuti.
Abbiamo cercato di raccogliere una serie di suggestioni e omaggi tratti dai suoi manga, ad esempio questa illustrazione tratta dal manga Only You (1985) è chiaramente ispirata al Il portiere di notte (film del 1974 di Liliana Cavani con Charlotte Rampling).
Confermo, tuttavia il mio è un personaggio maschile invece che femminile, quindi si può dire che rispetto allo spunto di partenza i miei personaggi subiscono sempre un qualche tipo di cambiamento.
L’influenza de Il portiere di notte si nota anche in un altro racconto, Mottomo Itaiyugi (1981), dove troviamo lo stesso costume nel protagonista, così come il riferimento al nazismo. Abbiamo un altro fumetto, Inugami Hakase (1989), dove compare un personaggio che assomiglia in modo impressionante alla grande Bette Davis nel film Che fine ha fatto Baby Jane (1962). E poi questa immagine che unisce una foto di John Waine, una foto di Miwa Akihiro (cantante e personaggio pubblico giapponese) e un’illustrazione del maestro.
In quest’ultimo caso non si tratta di un vero e proprio omaggio, semplicemente mi piaceva la foto e l’ho riprodotta.
Dal cinema italiano è tratta anche quest’illustrazione, ispirata a Morte a Venezia di Luchino Visconti (1971).
Questo film è uno dei miei preferiti.
Sfogliando la bibliografia del maestro mi è capitato di notare un paio di titoli realizzati per June, una delle prime riviste di Boys Love dedicata al pubblico femminile. Com’è nata questa collaborazione?
Questa storia non mi è nata in modo spontaneo, è stata la stessa rivista a chiedermi espressamente questo lavoro e siccome non rifiuto mai le collaborazioni, ho accettato.
Un altro racconto breve, pubblicato su Manga Piranha nel 1982, mi ha ricordato molto un film di Pier Paolo Pasolini, Teorema (1962), in cui il protagonista (Terence Stamp) ha una storia d’amore prima con la padrona di casa, poi con il marito e infine con la figlia.
Pasolini mi piace, ho visto molti suoi film. A volte è di difficile comprensione ma il suo cinema mi affascina.
C’è qualche altro regista italiano che l’hanno ispirata per i suoi manga?
Sicuramente Federico Fellini di Amarcord.
Nei suoi manga degli esordi si notano spesso dei personaggi ispirati ai divi della vecchia Hollywood (Clark Gable, Marlene Dietrich). Da dove nasce questa passione?
Mi piace l’idea di divo che c’era una volta, ha un fascino del tutto particolare. Questa concezione di divismo è andata sempre più scomparendo.
Rimanendo in tema di suggestioni cinematografiche, leggendo Tomino la dannata non si può non pensare a Freaks di Tod Browning. Qual è il suo rapporto con questo film?
Tomino ha in comune molte scene con quel film, soprattutto quelle ambientate all’interno del circo. Comunque in Giappone negli anni ‘20 erano molto comuni i misemono, compagnie itineranti che si producevano in spettacoli stravaganti con insoliti e strani personaggi.
I personaggi del Dottor Caligari, capolavoro dell’espressionismo tedesco, si muovono in maniera bidimensionale, lungo i muri, e anche le ombre sono dipinte nel film. Leggendo i suoi lavori, mi chiedevo se la bidimensionalità dei personaggi, a livello di disegno, possa generare dell’inquietudine e dell’orrore in più rispetto al cinema.
La penso esattamente così.
Ho fatto questa scelta perché mi è sembrata una situazione ancora più estrema, cercavo di riprodurre un rapporto che quanto più si allontanasse da un’idea di normalità.
Spesso nelle sue illustrazioni ci sono omaggi a grandi scrittori, per es. a Mishima Yukio.
Di Mishima mi piace molto la sua idea di estetica legata alla cura del corpo e all’immagine di sé. Questa illustrazione era destinata al cd un gruppo punk.
C'è un’altra illustrazione tratta da una foto in cui Mishima è in una posa che lo ritrae nell’iconografia di San Sebastiano, un tema decisamente in linea col suo stile. Ha mai pensato di trasporre a fumetti un racconto di Mishima?
Non l’ho mai fatto e non penso lo farò mai, non penso che le sue storie siano adattabili al manga.
Poi c’è l’incontro con Edogawa Ranpo per i due titoli tradotti in italiano La strana storia dell’isola Panorama e Il bruco. Com’è nata l’idea di realizzare queste storie che sembrano perfette per questo tipo di manga.
Edogawa Ranpo ha scritto tante storie. Ho cercato di scegliere quelle che mai nessuno avrebbe potuto adattare per il cinema.
Infatti uno dei maggiori pregi del fumetto è proprio quello di poter rappresentare cose che difficilmente si prestano in altri linguaggi.
Esattamente.
Leggendo le sue opere si possono riscontrare altri riferimenti letterari, come per esempio quello a Yumeno Kyusaku. Se pensiamo al titolo originale di Notte putrescente, Yume no Q-SAKU, è evidente il gioco di parole in omaggio allo scrittore. Un altro collegamento a questo scrittore lo troviamo in una raccolta che Coconino Press pubblicherà il prossimo anno, L’inferno in bottiglia. Quali sono gli aspetti che più lo affascinano di Yumeno Kyusaku?
È difficile esprimere esattamente quello che mi colpisce, in una parola le definirei le “cose strane” che lui racconta. Penso che se anche voi leggeste le opere di Yumeno Kyusaku sensei vi piacerebbero molto.
In realtà in Italia è stato tradotto solo un racconto per una rivista accademica, nient’altro per quanto riguarda altri romanzi e racconti.
L’ho semplicemente copiata. Io non traggo ispirazione, io copio. (ridendo)
Però il punto è riuscire a sovrapporre elementi da piani diversi, non è una copia fine a se stessa ma è contestualizzata all’interno della storia.
Il riferimento più evidente lo troviamo verso il muzan-e, un particolare genere di stampe giapponesi di carattere estremamente sanguinolento, diffusesi alla fine del periodo Edo e Meiji. (Uno dei più noti esempi è la collezione Ventotto famosi omicidi con versi, degli artisti Yoshitoshi e Yoshiiku del 1860, che raffigura atti raccapriccianti di omicidio e tortura, n.d.r). Nell’artbook Muzan-e (in inglese Bloody Ukio-e) disegnato in collaborazione con il maestro Kazuichi Hanawa, Maruo ha rivisitato in chiave moderna questa antica arte mettendo in scena (e in versi) le atrocità dei nostri tempi.
Il progetto è nato da una mia idea ma non potendo realizzare da solo le 28 tavole previste ho chiesto l’intervento di Hanawa.
Muzan-e: da Yoshitoshi (28 famosi omicidi con versi) alla coppia Maruo/Hanawa (Bloody Ukio-e)
Osservando attentamente la nuova edizione di Midori uscita in Giappone ci siamo accorti di alcune modifiche alle tavole rispetto all’originale (che è la stessa della prima edizione italiana di Coconino Press). Ha dovuto fare i conti con la censura?
Nient’affatto, semplicemente non ero soddisfatto di alcune tavole e le ho modificate a mio piacimento.
Quindi nell’eventualità di una nuova edizione, anche in Italia faremo affidamento alle tavole rivedute e corrette. Ha mai avuto problemi con la censura?
Non ricordo di aver mai avuto a che fare con la censura, dal momento che lavoro principalmente per riviste che hanno un loro codice di autoregolamentazione in funzione del tipo di pubblico a cui si rivolgono.
Spesso nei suoi fumetti vengono rappresentati insetti e rettili, a volte anche solo con una funzione decorativa, sulla tavola o sui personaggi. Da dove nasce questa passione?
Non so spiegarmi il perché, so solo che mi piace disegnare gli insetti.
Un’immagine ricorrente, che viene subito in mente quando si pensa a Maruo, è quella di qualcuno che lecca un occhio, è diventato ormai una specie di marchio distintivo.
Nella maggior parte dei casi, i disegnatori in Giappone usano un pennino del tipo G-pen, con il quale si può modulare lo spessore del tratto in base alla pressione che si esercita sul foglio. Io preferisco usare pennini con punte per linee molto sottili.
Cosa pensa dell’avvento del digitale nel campo dell’illustrazione? Si affida ad un team di assistenti di supporto per rispettare le scadenze?
Mi interessa il digitale. Immagino che si possa guadagnare tempo usandolo, ma ancora non lo conosco, per cui continuo a lavorare in modo tradizionale. Non mi sono mai servito di assistenti e non penso lo farò mai.
Ha avuto problemi con la serializzazione su rivista di Tomino la dannata?
In effetti è stata la prima volta che ho lavorato su una serie così lunga e confesso di aver incontrato qualche difficoltà.
Probabilmente si trova più a suo agio con le storie brevi, è un approccio che si avvicina di più al modo di concepire il fumetto occidentale rispetto a quello giapponese.
È proprio così. Non farò mai più serie lunghe.
Vorrei sapere quali sono le opere o gli autori che più l’hanno ispirata a inizio carriera e se oggi c’è qualche fumetto moderno a cui è particolarmente legato.
Non c’è nessun fumettista a cui sono particolarmente legato.
Illustrazioni dal booklet cd del primo album omonimo dei Naked City
Lei è uno dei decani dell’horror. In che relazione è il suo lavoro con quello dei colleghi del genere? Vi parlate, vi confrontate tra voi?
Io parlo poco in generale, quindi no, non c’è contatto tra noi.
Quali sono stati gli autori e le opere che ritiene importanti per la sua formazione, e che hanno influenzato il suo stile?
Ci sono tantissimi autori, sia del cinema che dei manga che della letteratura, che stimo. Sono talmente tanti che non riuscirò mai a elencarli tutti.
Lo scorso anno Lucca ha ospitato il maestro Junji Ito. Lei lo conosce?
Non ho letto le sue opere, pertanto mi è difficile rispondere.
Che rapporto ha col fumetto occidentale?
Conosco Moebius e la bande dessinée, e poco altro. In generale conosco pochissimo del fumetto occidentale.
Ci può raccontare come è entrato nel mondo dei manga?
Quand’ero piccolo avevo già deciso che sarei diventato un fumettista. Crescendo, non ho mai avuto un lavoro fisso, normale come la maggior parte dei giapponesi.
Lei ha ambientato la maggior parte dei lavori nel Giappone degli anni venti o anni trenta, mentre il Vampiro che ride invece ha un’ambientazione attuale. Come mai questa scelta?
In realtà io avevo voglia di fare un lavoro ambientato nell’epoca moderna, quindi finalmente ho realizzato un’idea che serbavo da lungo tempo.
Circa la sua tecnica. Lei è stato paragonato a De Sade, che era particolarmente minuzioso nelle sue opere. Nelle sue tavole, le illustrazioni sembrano quasi un erbario. Quanto tempo le richiede la preparazione di tutto ciò?
Io prendo come riferimento libri o artbook e prendo i disegni che mi piacciono. Non mi interessa chi le ha fatte, prendo semplicemente libri di litografie occidentali che mi piacciono.
Addirittura si arrivano a vedere i peli sulle zampe degli insetti. Quanto alle tempistiche di realizzazione delle tavole?
Qualche volta ci impiego anche due giorni. Uso anche il maru-pen, con cui si riescono a ottenere i chiaroscuri.
Ha mai letto le opere di De Sade? Le piacerebbe fare un fumetto sulle sue opere?
Le sue opere mi piacciono tantissimo. Mi piace quest’idea, se fosse possibile, perché no?
Lei è appassionato di musica e band occidentali. La ispirano anche mentre lavora alle sue tavole?
Al momento mi piace molto la colonna sonora del musicista dell’ultimo film di Stanley Kubrick, Eyes Wide Shut. La metto in sottofondo mentre disegno.
Su Il Vampiro che ride, quanto c’è della cultura occidentale in quest’opera, e quanto invece del folklore orientale?
Non lo so, in verità. In giapponese esistono due termini per definire il vampiro, che sono “vampire” e “kyuketsueki” (ovvero demone che succhia sangue): l’uno non ricollega necessariamente all’altro. Il pubblico giapponese non collega kyuketsueki al vampiro, immediatamente.
Quando preferisce lavorare? Di giorno oppure di notte?
In verità io ho una vita molto normale. Mi alzo, faccio colazione, alle otto inizio a lavorare, e non lavoro per molte ore al giorno. A differenza di moltissimi altri colleghi che so che lavorano moltissimo, io sono pigro.
“La luna è un buco nel cielo” è il titolo della mostra a lei dedicata qui a Lucca. Quanto nei suoi lavori riguarda l’apparenza e quanto invece a ciò che sta dietro all’apparenza?
Non ha un significato profondo come potreste pensare. All’occhio di un bambino la luna potrebbe sembrare semplicemente un buco, e non una stella. E’ un tipo di visione molto infantile, la mia.
Qual è la differenza nel lavorare a serie corte, piuttosto che a quelle lunghe?
A me piace di più lavorare alle storie brevi, ci lavoro ben più facilmente. Su quelle lunghe invece mi annoio, mi viene voglia di lasciar perdere. Nel mercato giapponese, il mainstream è composto dalle serie lunghe, perché sono quelle che vendono e rendono di più. Io condivido invece il pensiero di Osamu Tezuka, che diceva che la storia breve è quella più interessante, perché si devono rendere più cosa in uno spazio più conciso. Le case editrici però non sono interessate a questo.
L'isola dei morti di Arnold Böcklin come set di Tomino la dannata
Eppure sembra che anche lei sia rimasto affascinato dalle storie lunghe, come Tomino la Dannata. Come mai?
Ho pensato che forse non avrò mai più l’occasione di realizzare una storia lunga, nella mia vita. Almeno una volta nella vita, volevo farlo.
Potremmo dire che le sue opere non si riducono all’horror fine a se stesso, bensì vogliono disegnare anche il degrado della società, e così via?
È molto difficile da spiegare. Mi piace il film l’esorcista, ad esempio. Quando vedo un film così, mi emoziono e quel tipo di sensazione vorrei riprodurla nei miei manga. Nel mio pensiero, il cinema è mio diretto rivale e non voglio perdere al confronto con esso.
Cosa ne pensa degli adattamenti delle opere di Edogawa Ranpo che anche lei ha trasposto in fumetto?
Non mi sono piaciuti, e proprio per questo ho pensato che avrei voluto io rendere onore all’originale attraverso il mio fumetto.
C’è qualcosa che la spaventa, o che le fa ribrezzo?
Il terremoto. Inoltre ad ottobre Tokyo è stata colpita dal tifone Hagibis, che ha inondato tantissime zone a causa delle piogge. Dove abito io a Tokyo, ad esempio, è vicino al fiume Arakawa ed è una di quelle aree che doveva essere evacuata. Avevo molta paura. Mi sono spostato a Kyoto.
E da piccolo, invece, cosa la spaventava?
Dove abitavo io da piccolo si vedeva il cimitero, vicino. Mi faceva tanta paura. Inoltre c’era una serie TV horror che mi faceva paura; non era una produzione di alta qualità, eppure mi spaventava tantissimo. Addirittura una volta ho chiesto a un’amichetta di accompagnarmi a casa la sera, perché da solo avevo troppa paura.
Suehiro Maruo è un indiscusso maestro dell’ero guro, corrente artistica nata in Giappone, incentrata su un immaginario truculento che affonda le proprie radici nell’edonismo nichilista della Tokyo del primo periodo Showa e che avrebbe fatto proseliti in tutti i media negli anni a venire. Cavalcando ad esempio l'esplosione, tanto di film horror quanto di pinku eiga (film soft core), la via giapponese all’exploitation movie, negli anni ’60 e ’70. Caratterizzando l'opera di scrittori come Edogawa Ranpo o di band come i Cali Gari degli anni 90. Ma anche fonte di ispirazione per mangaka come Kazuichi Hanawa, Henmaru Machino, Shintaro Kago e Go Nagai. L’ero-guro è un genere in cui l’assurdo ha sempre voce in capitolo, non a caso viene indicato anche come ero guro nansensu.
Illustrazione con Salvador Dalì e Henri de Toulouse Lautrec
Erotico e grottesco formano uno stretto connubio nell'immaginario giapponese da molto prima che la corrente dell’ero guro nascesse e si diffondesse nella Tokyo degli anni 20. Almeno sin dai tempi delle oniriche effusioni tra la moglie di un pescatore e due piovere in una delle più celebri incisioni erotiche di Hokusai. È proprio a un sottogenere degli ukio-e che Maruo guarda con interesse. Si tratta dei muzan-e, le illustrazioni sanguinolente. Incisioni su legno (xilografie) diffuse in tarda epoca Edo e nel periodo Meiji (metà dell'800), con artisti come Yoshitoshi e Yoshiiku. Efferate scene di tortura e violenza a cui lo stesso Maruo ha reso omaggio, con un altro esponente dell'ero guro, Kanawa, in un libro del 1988. Nella continua ricerca del bello da parte di Maruo, il sangue e la violenza hanno però spesso una cornice pacifica, naturale, armoniosa. Un contratto forte, esacerbato da paesaggi splendidi, laghetti pieni di ninfee, farfalle liberty alla Mucha.
È il grande Jean Giraud/Moebius a definire Maruo, nella prefazione a un’edizione francese di un suo volume, un artista ossessionato dall'idea di infrangere ogni tabù. Ed è così che dobbiamo veramente vedere la sua arte? È corretto pensare che le sue opere siano anche da considerarsi una sorta di satira del manga commerciale oltre che, più in generale, della società giapponese contemporanea? È una visione con cui lo stesso Maruo concorda. Del resto, non è difficile vedere ne' Il vampiro che ride, e negli adolescenti protagonisti alle prese con la loro trasformazione, una rilettura disturbante proprio del manga commerciale che in quasi cinquant’anni fa respinse il giovane Maruo. Per fortuna, verrebbe da dire, considerando quanto personale, fecondo e seminale è stato il suo percorso artistico successivo.
Nel corso del tempo Maruo si è conquistato un numero sempre maggiore di estimatori, che hanno fatalmente subito il fascino della sua estetica intrisa di sangue e violenza, e delle sue storie dal gusto rètro, fra le cui pieghe si intravede una graffiante satira della società contemporanea. Il raffinatissimo tratto grafico, che si esalta nelle complesse trame floreali in stile art nouveau, crea una torbida miscela tra purezza dei disegni e oscenità ostentate, che trasuda in ogni tavola. Accostando inopinatamente il sublime all’infimo, Maruo riesce a veicolare al contempo un senso di attrazione e repulsione. I suoi personaggi sono imbevuti di languida sensualità, hanno lineamenti angelici e le labbra voluttuose come bambole di porcellana, ma la loro avvenenza è spesso proporzionale alla loro abiezione e spietatezza, un’apoteosi di eros e tanathos.
Nato a Nagasaki nel 1956, il giovane Maruo è un tipo introverso e taciturno che lascia la scuola a quindici anni per trasferirsi a Tokyo. Sono i primi anni Settanta e la sua più grande aspirazione è diventare un mangaka per la popolare rivista Weekly Shonen Jump. Il suo sogno però è destinato a infrangersi sul rifiuto da parte degli editor, che respingono il suo lavoro come inadatto. Dopo anni di crisi creativa la vita di Maruo prende un’altra piega quando decide di passare dagli eroi shonen alle creature della notte, dai sogni per ragazzi agli incubi per adulti. È così che nel 1980, con il racconto Ribon no kishi, esordisce nel circuito delle riviste erotiche, che gli consentono di esprimersi liberamente e di sviluppare un linguaggio assolutamente personale e inconfondibile. Il primo tankobon risale al 1982, Barairo no Kaibutsu, che viene pubblicato da Seirinkogeisha, editore del circuito underground. Da allora, comincia a diffondersi la sua fama presso il pubblico internazionale e la sua arte illustra i booklet cd di gruppi come The Stalin e Naked City. La pubblicazione italiana de Il vampiro che ride (2000), Midori: la ragazza delle camelie e Notte putrescente (2003), segnano l’esordio di Maruo in Italia, che irrompe nel mercato editoriale con il suo stile folgorante, originale ed estremo, tanto raffinato nella forma quanto perturbante nei contenuti.
Masterclass
Venerdì 1 novembre, in una sala presso il Chiostro di Santa Maria dei Servi, si è tenuta quella che è ormai una piccola tradizione di Lucca, ovvero la masterclass a numero chiuso dei grandi maestri giapponesi (vedi anche Kaoru Mori, Mamoru Oshii, Taiyo Matsumoto, Shintaro Kago). Quest’anno è stata la volta di Suehiro Maruo che ha conversato alla presenza di un gruppo di fumettisti, studenti d’arte e professionisti del settore, che hanno potuto rivolgere delle domande.L’incontro è stato condotto da Paolo La Marca e Livio Tallini, curatori delle collane Gekiga e Doku per Coconino Press. La traduzione è stata affidata a Midori Yamane (ex editor della rivista Morning di Kodansha, insegna sceneggiatura e fumetto a Roma), che ha anche tradotto per la prima volta in italiano il maestro Maruo, in occasione della prima pubblicazione de Il vampiro che ride (2000) e Midori: La ragazza delle Camelie (2003). A completare il catalogo Coconino delle opere del maestro: Notte putrescente (2003), raccolta di racconti brevi tradotta da Dario Sevieri, che ha curato anche i due racconti tratti da Edogawa Ranpo, La strana storia dell’isola Panorama (2011) e Il bruco (2012), e il secondo volume de Il vampiro che ride (2014). Infine la più recente pubblicazione è Tomino la dannata, con traduzione di Vincenzo Filosa.
Gli esordi
In un'intervista affermava di aver mandato un racconto alla rivista Garo all’inizio della sua carriera.È vero ma non è andata bene, il racconto non era erotico e non ha suscitato alcun interesse.
Nel periodo del suo debutto in Giappone c’erano due correnti principali, da un lato la scuola di Tezuka e dall’altro la scuola gekiga. Subito dopo hanno cominciato a emergere nuovi mangaka come Otomo e Hiseuchi Michio. Anche il maestro si inserisce in questa scia?
Quando ho iniziato il mio stile si poteva definire underground, anche se ero stato rifiutato da Garo la mia direzione era comunque segnata e poi, a poco a poco, il mio nome ha cominciato a circolare nell’ambiente delle case editrici.
Il nome del maestro viene spesso associato a Garo anche se in realtà ha pubblicato pochissimo su quella rivista. La maggior parte dei racconti venivano pubblicati su altre riviste meno conosciute (per es. Manga Piranha).
Su Garo ho pubblicato una sola volta, quindi non accosterei il mio stile a quella rivista.
Durante l’adolescenza il maestro era affascinato da un manga molto famoso in Giappone, 8 Man (Eitoman) di Kazumasa Hirai (sceneggiatura) e Jiro Kuwata (disegni), che si è cimentato a ridisegnare. Il primo volume pubblicato in Giappone che raccoglie le storie di Maruo include anche un racconto dal titolo Ribon no Kishi, che potrebbe ricordarci il fumetto omonimo di Tezuka (La principessa Zaffiro), ma in realtà la storia è completamente diversa. Si tratta di solo quattro pagine, ma vi si concentrano tutti gli elementi che caratterizzano l’universo di Maruo: sessualità, perversione, grottesco.
Ribon no kishi è la prima storia che ho realizzato ma non ha alcun rapporto con l’opera di Tezuka, l’unica cosa in comune è il fiocco indossato dalla protagonista.
Il cinema
Conosciamo la passione del maestro per il cinema e il teatro. In che modo hanno influenzato il suo lavoro, sia in termini di estetica che di contenuti?Sono stato influenzato soprattutto dal cinema, in particolare dal cinema espressionista tedesco degli anni ’30.
Anche l’opera dell’artista e illustratore Takabatake Kasho (1888-1966) ha avuto un certo ascendente presso il maestro Maruo, con la sua estetica raffinata legata al Giappone degli anni ’20 e ’30 (primo periodo Showa).
Sono attratto non tanto dalla sua tecnica o dal suo stile, quanto dal fascino dei personaggi che popolano i suoi quadri.
All’interno dei suoi fumetti compaiono tantissimi omaggi. Per esempio abbiamo accostato una sua vignetta con una molto simile di Tsuge Yoshiharu.
In questo caso si tratta di un posto realmente esistente a Taiwan. Entrambi (sia io che Tsuge) abbiamo preso spunto da una fotografia. Quando Tsuge ha realizzato la sua vignetta, mi è piaciuta l’idea e l’ho usata a mia volta.
Leggendo i fumetti del maestro si possono trovare tantissimi riferimenti al cinema. Una citazione estrapolata dal catalogo della mostra a Palazzo Ducale recita così: “il cinema è stato il mio testo scolastico e le sale cinematografiche sono state la mia vera scuola”.
È stata una vera scuola in tutti i sensi, sia dal punto di vista formale che da quello dei contenuti.
Abbiamo cercato di raccogliere una serie di suggestioni e omaggi tratti dai suoi manga, ad esempio questa illustrazione tratta dal manga Only You (1985) è chiaramente ispirata al Il portiere di notte (film del 1974 di Liliana Cavani con Charlotte Rampling).
Confermo, tuttavia il mio è un personaggio maschile invece che femminile, quindi si può dire che rispetto allo spunto di partenza i miei personaggi subiscono sempre un qualche tipo di cambiamento.
L’influenza de Il portiere di notte si nota anche in un altro racconto, Mottomo Itaiyugi (1981), dove troviamo lo stesso costume nel protagonista, così come il riferimento al nazismo. Abbiamo un altro fumetto, Inugami Hakase (1989), dove compare un personaggio che assomiglia in modo impressionante alla grande Bette Davis nel film Che fine ha fatto Baby Jane (1962). E poi questa immagine che unisce una foto di John Waine, una foto di Miwa Akihiro (cantante e personaggio pubblico giapponese) e un’illustrazione del maestro.
In quest’ultimo caso non si tratta di un vero e proprio omaggio, semplicemente mi piaceva la foto e l’ho riprodotta.
Dal cinema italiano è tratta anche quest’illustrazione, ispirata a Morte a Venezia di Luchino Visconti (1971).
Questo film è uno dei miei preferiti.
Sfogliando la bibliografia del maestro mi è capitato di notare un paio di titoli realizzati per June, una delle prime riviste di Boys Love dedicata al pubblico femminile. Com’è nata questa collaborazione?
Questa storia non mi è nata in modo spontaneo, è stata la stessa rivista a chiedermi espressamente questo lavoro e siccome non rifiuto mai le collaborazioni, ho accettato.
Un altro racconto breve, pubblicato su Manga Piranha nel 1982, mi ha ricordato molto un film di Pier Paolo Pasolini, Teorema (1962), in cui il protagonista (Terence Stamp) ha una storia d’amore prima con la padrona di casa, poi con il marito e infine con la figlia.
Pasolini mi piace, ho visto molti suoi film. A volte è di difficile comprensione ma il suo cinema mi affascina.
C’è qualche altro regista italiano che l’hanno ispirata per i suoi manga?
Sicuramente Federico Fellini di Amarcord.
Nei suoi manga degli esordi si notano spesso dei personaggi ispirati ai divi della vecchia Hollywood (Clark Gable, Marlene Dietrich). Da dove nasce questa passione?
Mi piace l’idea di divo che c’era una volta, ha un fascino del tutto particolare. Questa concezione di divismo è andata sempre più scomparendo.
Rimanendo in tema di suggestioni cinematografiche, leggendo Tomino la dannata non si può non pensare a Freaks di Tod Browning. Qual è il suo rapporto con questo film?
Tomino ha in comune molte scene con quel film, soprattutto quelle ambientate all’interno del circo. Comunque in Giappone negli anni ‘20 erano molto comuni i misemono, compagnie itineranti che si producevano in spettacoli stravaganti con insoliti e strani personaggi.
I personaggi del Dottor Caligari, capolavoro dell’espressionismo tedesco, si muovono in maniera bidimensionale, lungo i muri, e anche le ombre sono dipinte nel film. Leggendo i suoi lavori, mi chiedevo se la bidimensionalità dei personaggi, a livello di disegno, possa generare dell’inquietudine e dell’orrore in più rispetto al cinema.
La penso esattamente così.
La letteratura
C’è un racconto breve di Maruo che si rivela quasi come una variante sul tema di Imo mushi (Il bruco), opera di Edogawa Ranpo già adattata dal maestro, in cui il rapporto tra un marito mutilato e sua moglie si riflette in quello tra un padre e sua figlia.Ho fatto questa scelta perché mi è sembrata una situazione ancora più estrema, cercavo di riprodurre un rapporto che quanto più si allontanasse da un’idea di normalità.
Spesso nelle sue illustrazioni ci sono omaggi a grandi scrittori, per es. a Mishima Yukio.
Di Mishima mi piace molto la sua idea di estetica legata alla cura del corpo e all’immagine di sé. Questa illustrazione era destinata al cd un gruppo punk.
C'è un’altra illustrazione tratta da una foto in cui Mishima è in una posa che lo ritrae nell’iconografia di San Sebastiano, un tema decisamente in linea col suo stile. Ha mai pensato di trasporre a fumetti un racconto di Mishima?
Non l’ho mai fatto e non penso lo farò mai, non penso che le sue storie siano adattabili al manga.
Poi c’è l’incontro con Edogawa Ranpo per i due titoli tradotti in italiano La strana storia dell’isola Panorama e Il bruco. Com’è nata l’idea di realizzare queste storie che sembrano perfette per questo tipo di manga.
Edogawa Ranpo ha scritto tante storie. Ho cercato di scegliere quelle che mai nessuno avrebbe potuto adattare per il cinema.
Infatti uno dei maggiori pregi del fumetto è proprio quello di poter rappresentare cose che difficilmente si prestano in altri linguaggi.
Esattamente.
Leggendo le sue opere si possono riscontrare altri riferimenti letterari, come per esempio quello a Yumeno Kyusaku. Se pensiamo al titolo originale di Notte putrescente, Yume no Q-SAKU, è evidente il gioco di parole in omaggio allo scrittore. Un altro collegamento a questo scrittore lo troviamo in una raccolta che Coconino Press pubblicherà il prossimo anno, L’inferno in bottiglia. Quali sono gli aspetti che più lo affascinano di Yumeno Kyusaku?
È difficile esprimere esattamente quello che mi colpisce, in una parola le definirei le “cose strane” che lui racconta. Penso che se anche voi leggeste le opere di Yumeno Kyusaku sensei vi piacerebbero molto.
In realtà in Italia è stato tradotto solo un racconto per una rivista accademica, nient’altro per quanto riguarda altri romanzi e racconti.
L’arte
Passando agli elementi presi dal mondo dell’Arte, sono riconoscibili nelle opere del maestro diversi riferimenti, come per esempio nel particolare di una tavola di Midori, che riprende una stampa ukio-e del 1881 di Tsukioka Yoshitoshi (ritrae un tanuki con uno scroto enorme). Poi c’è anche la citazione di un famoso quadro di Renè Magritte, Golconda.L’ho semplicemente copiata. Io non traggo ispirazione, io copio. (ridendo)
Però il punto è riuscire a sovrapporre elementi da piani diversi, non è una copia fine a se stessa ma è contestualizzata all’interno della storia.
Il riferimento più evidente lo troviamo verso il muzan-e, un particolare genere di stampe giapponesi di carattere estremamente sanguinolento, diffusesi alla fine del periodo Edo e Meiji. (Uno dei più noti esempi è la collezione Ventotto famosi omicidi con versi, degli artisti Yoshitoshi e Yoshiiku del 1860, che raffigura atti raccapriccianti di omicidio e tortura, n.d.r). Nell’artbook Muzan-e (in inglese Bloody Ukio-e) disegnato in collaborazione con il maestro Kazuichi Hanawa, Maruo ha rivisitato in chiave moderna questa antica arte mettendo in scena (e in versi) le atrocità dei nostri tempi.
Il progetto è nato da una mia idea ma non potendo realizzare da solo le 28 tavole previste ho chiesto l’intervento di Hanawa.
Muzan-e: da Yoshitoshi (28 famosi omicidi con versi) alla coppia Maruo/Hanawa (Bloody Ukio-e)
Osservando attentamente la nuova edizione di Midori uscita in Giappone ci siamo accorti di alcune modifiche alle tavole rispetto all’originale (che è la stessa della prima edizione italiana di Coconino Press). Ha dovuto fare i conti con la censura?
Nient’affatto, semplicemente non ero soddisfatto di alcune tavole e le ho modificate a mio piacimento.
Quindi nell’eventualità di una nuova edizione, anche in Italia faremo affidamento alle tavole rivedute e corrette. Ha mai avuto problemi con la censura?
Non ricordo di aver mai avuto a che fare con la censura, dal momento che lavoro principalmente per riviste che hanno un loro codice di autoregolamentazione in funzione del tipo di pubblico a cui si rivolgono.
Spesso nei suoi fumetti vengono rappresentati insetti e rettili, a volte anche solo con una funzione decorativa, sulla tavola o sui personaggi. Da dove nasce questa passione?
Non so spiegarmi il perché, so solo che mi piace disegnare gli insetti.
Un’immagine ricorrente, che viene subito in mente quando si pensa a Maruo, è quella di qualcuno che lecca un occhio, è diventato ormai una specie di marchio distintivo.
Il mestiere del disegno
Il maestro ha un approccio che si distacca molto da quello di molti suoi colleghi giapponesi, con uno stile che sembra cesellato, molto preciso. Ci può raccontare qualcosa sul suo metodo di lavoro, o sugli strumenti che utilizza?Nella maggior parte dei casi, i disegnatori in Giappone usano un pennino del tipo G-pen, con il quale si può modulare lo spessore del tratto in base alla pressione che si esercita sul foglio. Io preferisco usare pennini con punte per linee molto sottili.
Cosa pensa dell’avvento del digitale nel campo dell’illustrazione? Si affida ad un team di assistenti di supporto per rispettare le scadenze?
Mi interessa il digitale. Immagino che si possa guadagnare tempo usandolo, ma ancora non lo conosco, per cui continuo a lavorare in modo tradizionale. Non mi sono mai servito di assistenti e non penso lo farò mai.
Ha avuto problemi con la serializzazione su rivista di Tomino la dannata?
In effetti è stata la prima volta che ho lavorato su una serie così lunga e confesso di aver incontrato qualche difficoltà.
Probabilmente si trova più a suo agio con le storie brevi, è un approccio che si avvicina di più al modo di concepire il fumetto occidentale rispetto a quello giapponese.
È proprio così. Non farò mai più serie lunghe.
Vorrei sapere quali sono le opere o gli autori che più l’hanno ispirata a inizio carriera e se oggi c’è qualche fumetto moderno a cui è particolarmente legato.
Non c’è nessun fumettista a cui sono particolarmente legato.
Illustrazioni dal booklet cd del primo album omonimo dei Naked City
Press cafè
Sabato 2 novembre, in una sala al primo piano della Camera di Commercio di Lucca, si tenuto il consueto Press Cafè, conferenza stampa aperta ai giornalisti accreditati di varie testate specializzate. L’incontro è stato condotto da Paolo La Marca e coadiuvato dalla traduttrice Midori Yamane.Lei è uno dei decani dell’horror. In che relazione è il suo lavoro con quello dei colleghi del genere? Vi parlate, vi confrontate tra voi?
Io parlo poco in generale, quindi no, non c’è contatto tra noi.
Quali sono stati gli autori e le opere che ritiene importanti per la sua formazione, e che hanno influenzato il suo stile?
Ci sono tantissimi autori, sia del cinema che dei manga che della letteratura, che stimo. Sono talmente tanti che non riuscirò mai a elencarli tutti.
Lo scorso anno Lucca ha ospitato il maestro Junji Ito. Lei lo conosce?
Non ho letto le sue opere, pertanto mi è difficile rispondere.
Che rapporto ha col fumetto occidentale?
Conosco Moebius e la bande dessinée, e poco altro. In generale conosco pochissimo del fumetto occidentale.
Ci può raccontare come è entrato nel mondo dei manga?
Quand’ero piccolo avevo già deciso che sarei diventato un fumettista. Crescendo, non ho mai avuto un lavoro fisso, normale come la maggior parte dei giapponesi.
Lei ha ambientato la maggior parte dei lavori nel Giappone degli anni venti o anni trenta, mentre il Vampiro che ride invece ha un’ambientazione attuale. Come mai questa scelta?
In realtà io avevo voglia di fare un lavoro ambientato nell’epoca moderna, quindi finalmente ho realizzato un’idea che serbavo da lungo tempo.
Circa la sua tecnica. Lei è stato paragonato a De Sade, che era particolarmente minuzioso nelle sue opere. Nelle sue tavole, le illustrazioni sembrano quasi un erbario. Quanto tempo le richiede la preparazione di tutto ciò?
Io prendo come riferimento libri o artbook e prendo i disegni che mi piacciono. Non mi interessa chi le ha fatte, prendo semplicemente libri di litografie occidentali che mi piacciono.
Addirittura si arrivano a vedere i peli sulle zampe degli insetti. Quanto alle tempistiche di realizzazione delle tavole?
Qualche volta ci impiego anche due giorni. Uso anche il maru-pen, con cui si riescono a ottenere i chiaroscuri.
Ha mai letto le opere di De Sade? Le piacerebbe fare un fumetto sulle sue opere?
Le sue opere mi piacciono tantissimo. Mi piace quest’idea, se fosse possibile, perché no?
Lei è appassionato di musica e band occidentali. La ispirano anche mentre lavora alle sue tavole?
Al momento mi piace molto la colonna sonora del musicista dell’ultimo film di Stanley Kubrick, Eyes Wide Shut. La metto in sottofondo mentre disegno.
Su Il Vampiro che ride, quanto c’è della cultura occidentale in quest’opera, e quanto invece del folklore orientale?
Non lo so, in verità. In giapponese esistono due termini per definire il vampiro, che sono “vampire” e “kyuketsueki” (ovvero demone che succhia sangue): l’uno non ricollega necessariamente all’altro. Il pubblico giapponese non collega kyuketsueki al vampiro, immediatamente.
Quando preferisce lavorare? Di giorno oppure di notte?
In verità io ho una vita molto normale. Mi alzo, faccio colazione, alle otto inizio a lavorare, e non lavoro per molte ore al giorno. A differenza di moltissimi altri colleghi che so che lavorano moltissimo, io sono pigro.
“La luna è un buco nel cielo” è il titolo della mostra a lei dedicata qui a Lucca. Quanto nei suoi lavori riguarda l’apparenza e quanto invece a ciò che sta dietro all’apparenza?
Non ha un significato profondo come potreste pensare. All’occhio di un bambino la luna potrebbe sembrare semplicemente un buco, e non una stella. E’ un tipo di visione molto infantile, la mia.
Qual è la differenza nel lavorare a serie corte, piuttosto che a quelle lunghe?
A me piace di più lavorare alle storie brevi, ci lavoro ben più facilmente. Su quelle lunghe invece mi annoio, mi viene voglia di lasciar perdere. Nel mercato giapponese, il mainstream è composto dalle serie lunghe, perché sono quelle che vendono e rendono di più. Io condivido invece il pensiero di Osamu Tezuka, che diceva che la storia breve è quella più interessante, perché si devono rendere più cosa in uno spazio più conciso. Le case editrici però non sono interessate a questo.
L'isola dei morti di Arnold Böcklin come set di Tomino la dannata
Eppure sembra che anche lei sia rimasto affascinato dalle storie lunghe, come Tomino la Dannata. Come mai?
Ho pensato che forse non avrò mai più l’occasione di realizzare una storia lunga, nella mia vita. Almeno una volta nella vita, volevo farlo.
Potremmo dire che le sue opere non si riducono all’horror fine a se stesso, bensì vogliono disegnare anche il degrado della società, e così via?
È molto difficile da spiegare. Mi piace il film l’esorcista, ad esempio. Quando vedo un film così, mi emoziono e quel tipo di sensazione vorrei riprodurla nei miei manga. Nel mio pensiero, il cinema è mio diretto rivale e non voglio perdere al confronto con esso.
Cosa ne pensa degli adattamenti delle opere di Edogawa Ranpo che anche lei ha trasposto in fumetto?
Non mi sono piaciuti, e proprio per questo ho pensato che avrei voluto io rendere onore all’originale attraverso il mio fumetto.
C’è qualcosa che la spaventa, o che le fa ribrezzo?
Il terremoto. Inoltre ad ottobre Tokyo è stata colpita dal tifone Hagibis, che ha inondato tantissime zone a causa delle piogge. Dove abito io a Tokyo, ad esempio, è vicino al fiume Arakawa ed è una di quelle aree che doveva essere evacuata. Avevo molta paura. Mi sono spostato a Kyoto.
E da piccolo, invece, cosa la spaventava?
Dove abitavo io da piccolo si vedeva il cimitero, vicino. Mi faceva tanta paura. Inoltre c’era una serie TV horror che mi faceva paura; non era una produzione di alta qualità, eppure mi spaventava tantissimo. Addirittura una volta ho chiesto a un’amichetta di accompagnarmi a casa la sera, perché da solo avevo troppa paura.
La luna è un buco nel cielo
Mostra di tavole originali di Suehiro Maruo, dal 12/10 al 3/11, Palazzo Ducale, Lucca. Con estratti dal catalogo a cura di Alessandro Apreda.Suehiro Maruo è un indiscusso maestro dell’ero guro, corrente artistica nata in Giappone, incentrata su un immaginario truculento che affonda le proprie radici nell’edonismo nichilista della Tokyo del primo periodo Showa e che avrebbe fatto proseliti in tutti i media negli anni a venire. Cavalcando ad esempio l'esplosione, tanto di film horror quanto di pinku eiga (film soft core), la via giapponese all’exploitation movie, negli anni ’60 e ’70. Caratterizzando l'opera di scrittori come Edogawa Ranpo o di band come i Cali Gari degli anni 90. Ma anche fonte di ispirazione per mangaka come Kazuichi Hanawa, Henmaru Machino, Shintaro Kago e Go Nagai. L’ero-guro è un genere in cui l’assurdo ha sempre voce in capitolo, non a caso viene indicato anche come ero guro nansensu.
Illustrazione con Salvador Dalì e Henri de Toulouse Lautrec
Erotico e grottesco formano uno stretto connubio nell'immaginario giapponese da molto prima che la corrente dell’ero guro nascesse e si diffondesse nella Tokyo degli anni 20. Almeno sin dai tempi delle oniriche effusioni tra la moglie di un pescatore e due piovere in una delle più celebri incisioni erotiche di Hokusai. È proprio a un sottogenere degli ukio-e che Maruo guarda con interesse. Si tratta dei muzan-e, le illustrazioni sanguinolente. Incisioni su legno (xilografie) diffuse in tarda epoca Edo e nel periodo Meiji (metà dell'800), con artisti come Yoshitoshi e Yoshiiku. Efferate scene di tortura e violenza a cui lo stesso Maruo ha reso omaggio, con un altro esponente dell'ero guro, Kanawa, in un libro del 1988. Nella continua ricerca del bello da parte di Maruo, il sangue e la violenza hanno però spesso una cornice pacifica, naturale, armoniosa. Un contratto forte, esacerbato da paesaggi splendidi, laghetti pieni di ninfee, farfalle liberty alla Mucha.
È il grande Jean Giraud/Moebius a definire Maruo, nella prefazione a un’edizione francese di un suo volume, un artista ossessionato dall'idea di infrangere ogni tabù. Ed è così che dobbiamo veramente vedere la sua arte? È corretto pensare che le sue opere siano anche da considerarsi una sorta di satira del manga commerciale oltre che, più in generale, della società giapponese contemporanea? È una visione con cui lo stesso Maruo concorda. Del resto, non è difficile vedere ne' Il vampiro che ride, e negli adolescenti protagonisti alle prese con la loro trasformazione, una rilettura disturbante proprio del manga commerciale che in quasi cinquant’anni fa respinse il giovane Maruo. Per fortuna, verrebbe da dire, considerando quanto personale, fecondo e seminale è stato il suo percorso artistico successivo.
Nella gallery troverai i riferimenti iconografici della masterclass.
L'opera di Maruo è pregna dei riferimenti più disparati. Personalmente ci ho trovato spesso gli omaggi al surrealismo cinematografico. Il dettaglio dell'occhio mi ricorda il celebre taglio truculento de Un Chien Andalou.
Così come è facile riscontrare spesso dei sottotesti omoerotici. Le citazioni di Mishima e dei lavori di Visconti (Morte a Venezia, ma non solo) me lo conferma.
Non vorrei andare OT però non riesco a vedere le foto della galleria perchè dice che non sono un utente registrato e maggiorenne(?)
Prova ad andare nelle impostazioni del tuo profilo, nella sezione Privacy e Notifiche scorri fino all'ultima voce e imposti No a Nascondi Immagini VM18.
Articolo davvero molto interessante, grazie anche per la carrellata di scatti sulla mostra e masterclass, è un peccato non averle viste dal vivo.
Grazie!
Non so se sia solo una mia impressione, ma devo dire di aver trovato molte delle sue risposte alquanto striminzite (passatemi il termine). Probabilmente è una persona di poche parole, ma mi avrebbe fatto piacere scoprire qualche aneddoto in più su di lui e sul suo lavoro.
L'interesse nei suoi confronti comunque rimane e non escludo di recuperare in futuro qualche sua altra opera.
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