Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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È innegabile, lo Studio Deen ha fatto un lavoro straordinario nel realizzare questo film. In quegli anni, questo studio di animazione lavorava anche alla fortunata serie animata di "Lamù", icona popolarissima nel Giappone di quel decennio, e alla quale aveva lavorato lo stesso Mamoru Oshii precedentemente. Lo stesso Studio Deen avrebbe di lì a poco intrapreso la produzione di titoli quali "Maison Ikkoku" e "Ranma 1/2".

In "Tenshi no Tamago", il character design di Amano è supportato da una cura maniacale nella realizzazione dei fondali, delle espressioni e delle animazioni, queste ultime definite con gran precisione nonostante la generale lentezza, intrinseca alla natura di questo film. Per non parlare delle musiche, la cui registrazione coinvolse un'orchestra estremamente preparata. La colonna sonora è assai ispirata e suggestiva all'ascolto.
Da un punto di vista puramente rappresentativo questo film è inattaccabile, si nota pressoché immediatamente quanto fosse ingente il budget investito. Da questo punto di vista non ha nulla da invidiare alle pietre miliari Disney come "Bambi" e "Fantasia". Sicuramente per alcune persone può essere un film noioso, ma non credo che sia quello il problema più grave di questo lungometraggio.

Per come concepisco io l'arte, il primo grave errore commesso in questo film è che "Tenshi no Tamago" non è fatto per nessuno. Oshii non ha pensato a questo film come a un racconto né come a un messaggio da esprimere e trasmettere nei confronti di qualcuno. Sembra uno schizzo su tela fatto solo per il pittore stesso, disorientato, il quale cerca di ritrovare la propria strada e guarda sé stesso allo specchio, esercitandosi qua e là in riflessioni esistenziali assai acute e profonde, ma senza mettere insieme i pezzi in alcun modo, o meglio senza far convergere tali riflessioni in una ben definita direzione e conferire alla sua creazione un senso compiuto. Arte significa esprimersi, ed esprimersi significa stabilire un contatto con chi ti ascolta. Ma in questo film, Mamoru Oshii sta balbettando tra sé e sé.
Quel che viene rappresentato è in due parole un futuro distopico. Ma "1984" di Orwell era un'opera di denuncia, ed era dotata di un carattere ben definito. Oshii invece sembra, con "Tenshi no Tamago", sprofondare a più riprese nel puro nichilismo, nell'anti-arte. Infatti l'arte distrugge per costruire, mentre l'anti-arte distrugge per distruggere. Ecco il secondo grave errore che a mio avviso è stato commesso, nel proporre un film come questo agli spettatori. Tra le altre cose il ruolo dell'artista consiste, a mio modo di vedere, nello stimolare sanamente e costruttivamente l'immaginazione delle persone. Perché non importa in cosa si creda o non si creda, la nostra necessità è quella di creare un futuro nel quale possiamo soffrire di meno e vivere più felici. Persino Leopardi, il poeta del "pessimismo cosmico", afferma - nel suo celebre componimento intitolato "La Ginestra" - la necessità di associazione tra esseri umani per potersi riscattare dalla nostra condizione misera e precaria. Persino Schopenhauer, impropriamente definito filosofo pessimista sia dal mondo cristiano della sua epoca che da quello contemporaneo, non considerava affatto il suicidio come una soluzione per l'uomo.

Forse chi ha vissuto le stesse esperienze di Oshii può in qualche modo entrare in sintonia con gli stati d'animo espressi in questo suo lungometraggio, ma allo spettatore non passerà alcun messaggio che lo stimoli a superare queste condizioni interiori. Non tutti se ne accorgono, ma "Galaxy Express 999" di Leiji Matsumoto, altro titolo dai toni fortemente distopici, è una storia di formazione e di crescita nella sua estrema drammaticità, per ammissione esplicita dell'autore. È questo che manca a "Tenshi no Tamago".
Il messaggio che passa a visione terminata è il non-sense, il dramma di vivere, di morire e di rinascere, ma soprattutto l'inquietudine esistenziale. Non basta. Gli esseri umani non possono continuare a vivere fermandosi a questo.
Ma certo è che "L'uovo dell'angelo" non ha avuto successo, era inevitabile, ed è un bene che sia andata così.

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E' un'opera davvero difficile da recensire a parole, trattandosi di una quasi completa esperienza visiva e uditiva. L'intelletto, qui, tramite la sensorialità, è colui che ha il ruolo predominante nel godimento.
Non trattasi di un'opera complessa a livello di trama, onanistica o comunque ingarbugliata. Le vicende sono lineari, semplici e anche piuttosto paradigmatiche.

Quest'opera si basa, infatti, su una serie di topoi letterari e artistici abbastanza conosciuti. L'amore puro fra una vergine e un giovane, ostacolato dalle vicende, dal circostante, sorge nei primordi della letteratura europea (ricordiamo anche, con una certa differenziazione, "Dafni e Cloe" di Longo Sofista) e asiatica, ma Eiichi Yamamoto è riuscito, ispirandosi a un simil-saggio di Michelet, a reinterpretare tutto ciò in chiave medievale, usando quell'aura oppressiva decadente e baronale dei villaggi europei dei nostri secoli di mezzo. Manzoni, nei "Promessi sposi", non fece diversamente. La stessa grande sofferenza fisica, la prostrazione dovuta all'ingiustizia subita, rappresentata qui dallo stupro, è stata usata successivamente da Miura in "Berserk", in una maniera molto simile, direi fin troppo convergente.
Questa tribolazione e afflizione assoluta scatenano le passioni umane più profonde, determinano una scarica vitalistica senza precedenti che, come d'altronde è anche l'ipotesi di Michelet sulla genesi del fenomeno stregonesco, in un mondo moralmente gestito dall'oppressione ascetica cristiana non può che chiedere appoggio e aita a una figura percepita come antagonistica, ma vitale, ossia quella demoniaca. Anche questo è, alla fine, la base di un topos che, partendo dal "Faust" di Marlowe, Goethe e Bulgakov (con tutte le differenze), passando per il forse più similare "Il monaco" di Lewis, termina con il già citato e, a quanto pare, molto similare "Berserk". Il sacrificio durante l'Eclissi non è altro che lo scatenarsi di forze ataviche e primigènie dopo un'enorme sofferenza.

"Dovette la forza inventiva e dissimulatrice [dell'uomo] svilupparsi sotto una lunga oppressione e costrizione" (F. Nietzsche, "Al di là del bene e del male", 44)

Come ho cercato di mostrare, "Kanashimi no Belladonna" non è alcunché di nuovo nel complesso, ma la tecnica adoperata, la sua sperimentalità, ha permesso di creare qualcosa di completamente nuovo, di fantastico. La oppressione del potentato locale produce la nascita di un eterno sabba, di un infinito baccanale di colori e di suoni. Probabilmente, se a quest'opera fossero associati anche degli odori, di incenso, di fiori, di carne ansimante, l'esperienza già pregna a livello visivo e uditivo dello spettatore sarebbe assoluta, massima.
Quel sentore di rock progressivo pare davvero ben azzeccato, con la sua preponderanza della linea di basso così ritmica, ma martellante e quindi contigua all'aspetto psichedelico delle immagini, morbide, ma spesso ripetentisi e circolari. Probabilmente, intendo, anche un altro genere musicale, magari più classico, o più moderno, se ben fatto, avrebbe permesso di ottenere un risultato buono, ma credo che il rock progressivo, in questo caso, sia difficilmente superabile.
Il fatto che quest'opera sia stata ideata negli anni '70, effettivamente, è stata una grande fortuna, o una necessità. Le musiche, se fosse stata prodotta anche sei-sette anni dopo, sarebbero dovute essere molto differenti, e il tema stesso, il ruolo preponderante della donna, la sua sofferenza e poi la sua emancipazione, ben evidenziata dal finale verosimilmente ispirato a Cristo e a Giovanna d'Arco, non avrebbero avuto lo stesso sapore, se ideato in un altro periodo storico.

A mio parere un'opera completa, un baccanale di emozioni da non perdere in alcun modo, soprattutto nella versione Blu-ray 4k restaurata nel 2016.

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Andrò controcorrente ma io ho preferito questo doujinshi alla serie animata per due ragioni principali.
Tra questi ci sono sicuramente i disegni di ABe, che rendono ancor più calda ed "angelica" l'atmosfera già di per se surreale di Haibane Renmei.
Il secondo motivo, ben più importante, è che personalmente pur riconoscendo il valore dell'anime, non lo ho gradito in maniera eccessiva. Potevano benissimo comprimerlo e farne uscire un po' di episodi in meno, cosa che di sicuro lo avrebbe reso più fruibile oltre che maturo.
Questo manga raccoglie la parte di storia che nell'anime viene mostrata durante la prima puntata, quella che più mi ha coinvolto emotivamente. Oltre questa troveremo scorci di vita quotidiana, descrizioni importanti della cittadina e, cosa più importante di tutte, nell'ultima parte verrà mostrato anche il passato di Rakka, altro punto che ho apprezzato dell'anime.

Certo dipende dai punti di vista, ma dal mio la storia di questo manga non andava estesa, o almeno non come si è fatto con l'anime. Sono quindi assenti qui fastidiosi piagnistei e inutili discorsi circolari fasullamente pregni di carica spirituale, oltre che slice of life al limite della noia.
Ritengo che la storia di Haibane Renmei sia intrisa di significati cristiani, che caratterizzano quest'opera non solo scenicamente parlando, ma in senso più spirituale.
Molti limitano il cristianesimo ad un aspetto solo estetico, sostenendo invece che Haibane sia più orientaleggiante. Ma per quanto l'aspetto orientale sia presente e per quanto ABe non sia religioso, io reputo questo il manga più cristiano che abbia mai visto. Probabilmente l'autore ha inserito determinati concetti in maniera inconscia, sfruttando idee archetipiche presenti inconsapevolmente in ognuno di noi. Alla base di tutto c'è il concetto di Fede che deve prevaricare sul bisogno di conoscenza se si vuole essere salvati per espiare le proprie colpe. La Fede in questo caso è nel sistema di regole dettate dal capi religiosi, che invitano gli angeli a non peccare, mossi da desideri individuali, e aspettare pazientemente che arrivi per ognuno il giorno della salvezza.
C'è davvero tanta poeticità nell'idea di ABe. Consiglio questo manga solo a chi ha avuto modo di apprezzare la serie animata.