Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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The Seven Deadly Sins
4.0/10
Recensione di SimoSimo_96
-
Tre motivi per guardare "The Seven Deadly Sins": il distributore è Netflix; te lo ha consigliato un amico fidato; ha avuto successo sul grande pubblico. Lo guardi e boom, scopri che i motivi per non guardarlo sono molto più di tre. Ma andiamo con ordine.
Trama: Elizabeth è la giovane figlia del re di Britannia e, dopo che il padre è stato spodestato dai Cavalieri Sacri con un colpo di stato, parte alla ricerca dei Peccati Capitali, sette cavalieri dati erroneamente per morti dieci anni prima e dotati di enormi poteri. Il suo intento è chiedere loro aiuto per riprendersi il regno. Durante la ricerca si imbatte in un giovane biondo col tatuaggio di un drago, Lord Meliodas, il capitano dei Sette.
I problemi di questa serie si potrebbero comodamente riassumere in tre parole e due simboli: copia-incolla + fanservice; ma ci sono in realtà molte cose da dire. Ecco perché tratterò prima gli aspetti positivi, che comunque non mancano. C'è una trama, non è né particolarmente originale né articolata, per carità, ma corrisponde a quanto basta per dare forma a una serie di epici scontri tra cavalieri inseriti nell'avventuroso viaggio della principessa alla ricerca dei suoi salvatori; non manca quindi ciò che viene prevalentemente richiesto a uno shonen d'avventura: una storia piena di combattimenti. Inoltre, un anime di questo genere, è consigliato presentarlo con opening avvincenti e ritmate, che carichino quindi lo spettatore di hype, così da godersi al meglio l'episodio di turno. E c'è anche questo; sia la prima che la seconda (soprattutto la seconda) sono sigle di apertura di ottimo livello e per di più anche le ending sono belle e rimangono impresse. L'apparato grafico è accettabile, altalenante ma abbastanza buono nel complesso.
Il primo di una lunga serie di problemi legati a quest'opera sono purtroppo i combattimenti. Ed è anche il problema peggiore, visto che parliamo di uno shonen. Scontri privi di pathos, per di più o troppo telefonati e prevedibili o del tutto incomprensibili nel loro esistere, saturi di power up completamente casuali (tranne uno che bene o male ha una sua logica) e scene di splatter abusate fino alla noia (fanservice allo stato puro, purtroppo). Non è ammissibile che i combattimenti abbiano delle pecche in un anime che dovrebbe avere nei combattimenti il suo cavallo di battaglia.
Secondo grosso problema è la caratterizzazione dei personaggi, che si divide in due gruppi: gruppo degli stereotipati (dei veri e propri copia e incolla) o gruppo dei privi di caratterizzazione (anche peggio degli stereotipati). Per correttezza è doveroso citare un'eccezione: Ban, il cui personaggio è ben definito, interessante e approfondito. Il resto è da buttare via.
Terzo problema è il trattamento del genere femminile. Oltre al fanservice, che è veramente abusato, si susseguono scene che sfiorano il ridicolo, facendo sembrare la bellissima Elizabeth una prostituta più che una principessa. Inoltre le ragazze, a parte il possesso di due belle tette, cosa che comunque non mi dispiace, non servono assolutamente a niente, il che non è un bene.
Quarto problema è il modo in cui viene sviluppata la trama; per inciso: non viene sviluppata affatto. Se si eliminano un paio di "colpi di scena" piazzati praticamente a caso nella storia, di questa trama non rimane quasi nulla. Anzi, alcuni "colpi di scena" addirittura rovinano quel poco di buono che c'è. Più che approfondimenti, quelli che si susseguono sono buchi e tappabuchi che ricordano gli adattamenti di light novel più che di manga.
Si potrebbe continuare, ma sarebbe inevitabile allora aggiungere degli spoiler, e preferisco quindi fermarmi qui.
Di quest'opera salvo tre cose: Ban e le due sigle di apertura. Il resto è veramente spazzatura, truccata con ombretto e rossetto e ben vestita, ma pur sempre spazzatura. Forse il chara design di Elizabeth posso aggiungere ai salvataggi, ma poi basta.
Trama: Elizabeth è la giovane figlia del re di Britannia e, dopo che il padre è stato spodestato dai Cavalieri Sacri con un colpo di stato, parte alla ricerca dei Peccati Capitali, sette cavalieri dati erroneamente per morti dieci anni prima e dotati di enormi poteri. Il suo intento è chiedere loro aiuto per riprendersi il regno. Durante la ricerca si imbatte in un giovane biondo col tatuaggio di un drago, Lord Meliodas, il capitano dei Sette.
I problemi di questa serie si potrebbero comodamente riassumere in tre parole e due simboli: copia-incolla + fanservice; ma ci sono in realtà molte cose da dire. Ecco perché tratterò prima gli aspetti positivi, che comunque non mancano. C'è una trama, non è né particolarmente originale né articolata, per carità, ma corrisponde a quanto basta per dare forma a una serie di epici scontri tra cavalieri inseriti nell'avventuroso viaggio della principessa alla ricerca dei suoi salvatori; non manca quindi ciò che viene prevalentemente richiesto a uno shonen d'avventura: una storia piena di combattimenti. Inoltre, un anime di questo genere, è consigliato presentarlo con opening avvincenti e ritmate, che carichino quindi lo spettatore di hype, così da godersi al meglio l'episodio di turno. E c'è anche questo; sia la prima che la seconda (soprattutto la seconda) sono sigle di apertura di ottimo livello e per di più anche le ending sono belle e rimangono impresse. L'apparato grafico è accettabile, altalenante ma abbastanza buono nel complesso.
Il primo di una lunga serie di problemi legati a quest'opera sono purtroppo i combattimenti. Ed è anche il problema peggiore, visto che parliamo di uno shonen. Scontri privi di pathos, per di più o troppo telefonati e prevedibili o del tutto incomprensibili nel loro esistere, saturi di power up completamente casuali (tranne uno che bene o male ha una sua logica) e scene di splatter abusate fino alla noia (fanservice allo stato puro, purtroppo). Non è ammissibile che i combattimenti abbiano delle pecche in un anime che dovrebbe avere nei combattimenti il suo cavallo di battaglia.
Secondo grosso problema è la caratterizzazione dei personaggi, che si divide in due gruppi: gruppo degli stereotipati (dei veri e propri copia e incolla) o gruppo dei privi di caratterizzazione (anche peggio degli stereotipati). Per correttezza è doveroso citare un'eccezione: Ban, il cui personaggio è ben definito, interessante e approfondito. Il resto è da buttare via.
Terzo problema è il trattamento del genere femminile. Oltre al fanservice, che è veramente abusato, si susseguono scene che sfiorano il ridicolo, facendo sembrare la bellissima Elizabeth una prostituta più che una principessa. Inoltre le ragazze, a parte il possesso di due belle tette, cosa che comunque non mi dispiace, non servono assolutamente a niente, il che non è un bene.
Quarto problema è il modo in cui viene sviluppata la trama; per inciso: non viene sviluppata affatto. Se si eliminano un paio di "colpi di scena" piazzati praticamente a caso nella storia, di questa trama non rimane quasi nulla. Anzi, alcuni "colpi di scena" addirittura rovinano quel poco di buono che c'è. Più che approfondimenti, quelli che si susseguono sono buchi e tappabuchi che ricordano gli adattamenti di light novel più che di manga.
Si potrebbe continuare, ma sarebbe inevitabile allora aggiungere degli spoiler, e preferisco quindi fermarmi qui.
Di quest'opera salvo tre cose: Ban e le due sigle di apertura. Il resto è veramente spazzatura, truccata con ombretto e rossetto e ben vestita, ma pur sempre spazzatura. Forse il chara design di Elizabeth posso aggiungere ai salvataggi, ma poi basta.
Children of the Whales
7.5/10
“Che il mare vi sia lieve, figli della Balena, come lo è la terra per chi lascia il mondo dei vivi.” Potremmo tradurlo così, il pensiero andante di quest’opera.
Fortemente ispirato dalle animazioni immaginate alla fine del secolo scorso, da cui attinge a piene mani, “Children of the Whales” ha un’impostazione a cavallo fra i sapori dello Studio Ghibli nel suo periodo di gloria più nota e un’impronta vagamente post-apocalittica, capace di richiamare, sebbene alla lontana, le atmosfere utopiche e distanti di mondi tenui e spaventosi come “Nausicaa della Valle del vento”, ma non solo: grazie a fondali artigianali che di primo impatto rievocano la nostalgia dello studio Squaresoft durante il periodo fra “Final Fantasy Tactics” e “Final Fantasy IX”, l’insieme guadagna un gusto più retrò, fiabesco ed esotico. Gli ambienti, caldi, esplicitamente manuali e preziosamente imperfetti, comunicano un calore ormai quasi del tutto sopito nelle opere moderne: immagini sempre differenti, sia per colore sia per i sentimenti che per fantasia; le sensazioni che riescono ad ispirare sanno di canapa acquarellata dalle intense sfumature, di fondi di caffè, di the raccolto con un cucchiaino, di polvere di zaffiro sul fondo del pestello, di grano al sole di mezzogiorno e tramonti lontani. Tutta questa magia manuale la si apprezza in modo netto nella colorazione dei cieli e degli spazi più ampi, dove di tanto in tanto si può notare addirittura una simulazione di texture che richiama le ipotetiche superfici usate per creare l’art. Il risultato di tale lavoro si traduce in fogli intrisi di pigmenti piacevoli e accompagnatori; un mix di mistero, nostalgia e scoperta, una cornice adatta alla storia che inizia con un criptico ed emozionante crescendo, ma che, purtroppo, non vedrà l’epilogo che meriterebbe.
Questa è la storia di Chakuro, un giovane adolescente che vive a bordo di una vera e propria nave rudimentale, una sorta di isola semovente capace di solcare un interminabile, torrido e misterioso oceano di sabbia. La “balena di fango” (questo è il nome della nave rocciosa su cui vivono) è la loro unica realtà, il loro piccolo mondo in continuo movimento. Ma com’è insito nella natura umana, ogni quesito prima o poi ha bisogno di una risposta, e quello più scontato è capire come mai un centinaio e passa di esseri umani ha sempre vissuto su questa nave misteriosa, nel bel mezzo di un mare di sabbia. E perché il mare è fatto... di sabbia? Come se non bastasse, la quasi totalità degli abitanti della Balena sembra nascere con una peculiarità unica, per non dire eccezionale: sono capaci di utilizzare la Thimia, una sorta di potere “magico” che funziona sulla breve distanza, e con cui è possibile interagire con persone e oggetti. Purtroppo, lo scotto da pagare per questo “dono” è una morte inevitabilmente precoce; difatti, i portatori di Thimia lasciano questo mondo intorno ai trenta, massimo trentacinque anni.
Queste domande e altre ancora continuano a fermentare in testa a Chakuro e ai suoi amici, e mentre un consiglio di anziani gestisce la situazione con un sospetto pragmatismo, la Balena di fango incrocia un’altra nave che pare disabitata. Qui Chakuro incontrerà una persona che cambierà la sua vita e quella di tutti gli abitanti della Balena... per sempre.
Un inizio piuttosto originale, un’opening davvero orecchiabile, una colonna sonora preziosa e una ending davvero eccezionale formano un comparto sonoro di tutto rispetto.
I protagonisti sono giovani, superstiti di qualcosa che non viene immantinente illustrato, ma che ricalca una sorta di “Waterworld” desertico, un vagare incerto che nasconde una lontana disperazione, ben ovattata dalle usanze di quello che si scoprirà passo dopo passo trattarsi di un ignaro popolo alla deriva di sé stesso, prima che di qualsiasi altro luogo.
Se il primo episodio introduce la storia a grandi linee, dal secondo getta le basi per ciò che sarà probabilmente una tragedia quantomeno inaspettata. Man mano che si prosegue, si percepisce un crescendo sempre più amaro e drammatico, con un cambio di passo lento e inesorabile, e con esso la narrazione diviene esasperata, tant’è che l’attenzione dello spettatore ne è inevitabilmente influenzata. Le rivelazioni e i colpi di scena, tuttavia, non appaiono scioccanti o apocalittici come potrebbero (e in alcuni frangenti dovrebbero) essere, poiché si possono percepire “nell’aria”, come una sentenza inabrogabile e per questo non eclatante, fino, comunque, al raggiungimento di un livello di crudezza e spietatezza che non si sarebbero certo potute immaginare, a inizio visione.
Nonostante tali premesse - che avrebbero dovuto caricare di orrore e sofferenza chi osserva -, si ha la sensazione di non percepire appieno questo treno di emozioni travolgenti, e probabilmente la causa è da attribuire al comportamento dei personaggi e alle loro animazioni: non sempre esternano stati d’animo ed emozioni che ci potremmo aspettare, e, almeno nella prima parte dell’anime, la narrazione stenta a decollare. L’impatto che ne scaturisce si traduce in un andamento blando, più di quanto ci si possa attendere; alcune pause fra dialoghi, determinati momenti morti e situazioni lente e reiterate non aiutano certo a mitigare questa sensazione.
Dopo un avvio farraginoso e altalenante, nell’ultimo terzo di storia, fortunatamente, si prende il volo. Il fantasma della guerra è presente anche in questa storia. Certo, in altre vesti e con altre forme, eppure ci racconta qualcosa che ricorda un “antisemitismo” osceno e sempre attuale, un odio atavico e razziale fra differenti popoli e imperi, una lotta che non è soltanto per la sopravvivenza del più forte, ma nasce dall’odio indiscriminato e da antiche profezie figlie di ignoranza e paura, e finisce per dilagare in soprusi e violenze senza freni, nel più classico, rivoltante e reale degli orrori umani.
Si viaggia così crudi e concreti verso un finale che muta ancora volto, proponendoci colpi di scena apprezzabili e inaspettati. Ed ecco quindi il sorgere di antiche leggende fra l’onirico e il fatato, creature arcaiche che si rivelano altresì rivisitazioni di miti e semidivinità legate alle essenze di queste città-nave semoventi, capaci di condizionare e plasmare addirittura l’andamento del creato, e che si sospetta siano state causa delle condizioni del mondo attuale. Una ascesa perpendicolare che aggiunge una massiccia dose di fantasy puro e, finalmente, un coinvolgimento totale.
“Children of the Whales” è pervaso di drammaticità per l’intera durata, va a braccetto con morte e dolore, e a conti fatti sono le emozioni le vere protagoniste di questa saga: l’intero spettro emotivo, per l’esattezza. Dalla serenità più dolce alla tristezza più profonda, nulla è trascurato, ma, alla fine dei conti, il prodotto ha l’inconfondibile sapore di una deludente incompletezza.
Gli ultimi due episodi aprono un intero mondo di ipotesi, di future storie e chissà cos’altro, il tutto accompagnato da disegni ancora più curati e una cura ai dettagli davvero favolosa; si tratta di un non-finale poetico, dolceamaro e introspettivo, che incanala lo spettatore a uno scenario ancora più grande e clamoroso che a quanto pare non vedremo mai, poiché non sono previste seconde stagioni... almeno al momento.
Bisogna essere onesti: se il manga è un must e racconta tutto ciò che qui manca, veder troncato di netto un lavoro così buono è veramente una grande delusione.
Fortemente ispirato dalle animazioni immaginate alla fine del secolo scorso, da cui attinge a piene mani, “Children of the Whales” ha un’impostazione a cavallo fra i sapori dello Studio Ghibli nel suo periodo di gloria più nota e un’impronta vagamente post-apocalittica, capace di richiamare, sebbene alla lontana, le atmosfere utopiche e distanti di mondi tenui e spaventosi come “Nausicaa della Valle del vento”, ma non solo: grazie a fondali artigianali che di primo impatto rievocano la nostalgia dello studio Squaresoft durante il periodo fra “Final Fantasy Tactics” e “Final Fantasy IX”, l’insieme guadagna un gusto più retrò, fiabesco ed esotico. Gli ambienti, caldi, esplicitamente manuali e preziosamente imperfetti, comunicano un calore ormai quasi del tutto sopito nelle opere moderne: immagini sempre differenti, sia per colore sia per i sentimenti che per fantasia; le sensazioni che riescono ad ispirare sanno di canapa acquarellata dalle intense sfumature, di fondi di caffè, di the raccolto con un cucchiaino, di polvere di zaffiro sul fondo del pestello, di grano al sole di mezzogiorno e tramonti lontani. Tutta questa magia manuale la si apprezza in modo netto nella colorazione dei cieli e degli spazi più ampi, dove di tanto in tanto si può notare addirittura una simulazione di texture che richiama le ipotetiche superfici usate per creare l’art. Il risultato di tale lavoro si traduce in fogli intrisi di pigmenti piacevoli e accompagnatori; un mix di mistero, nostalgia e scoperta, una cornice adatta alla storia che inizia con un criptico ed emozionante crescendo, ma che, purtroppo, non vedrà l’epilogo che meriterebbe.
Questa è la storia di Chakuro, un giovane adolescente che vive a bordo di una vera e propria nave rudimentale, una sorta di isola semovente capace di solcare un interminabile, torrido e misterioso oceano di sabbia. La “balena di fango” (questo è il nome della nave rocciosa su cui vivono) è la loro unica realtà, il loro piccolo mondo in continuo movimento. Ma com’è insito nella natura umana, ogni quesito prima o poi ha bisogno di una risposta, e quello più scontato è capire come mai un centinaio e passa di esseri umani ha sempre vissuto su questa nave misteriosa, nel bel mezzo di un mare di sabbia. E perché il mare è fatto... di sabbia? Come se non bastasse, la quasi totalità degli abitanti della Balena sembra nascere con una peculiarità unica, per non dire eccezionale: sono capaci di utilizzare la Thimia, una sorta di potere “magico” che funziona sulla breve distanza, e con cui è possibile interagire con persone e oggetti. Purtroppo, lo scotto da pagare per questo “dono” è una morte inevitabilmente precoce; difatti, i portatori di Thimia lasciano questo mondo intorno ai trenta, massimo trentacinque anni.
Queste domande e altre ancora continuano a fermentare in testa a Chakuro e ai suoi amici, e mentre un consiglio di anziani gestisce la situazione con un sospetto pragmatismo, la Balena di fango incrocia un’altra nave che pare disabitata. Qui Chakuro incontrerà una persona che cambierà la sua vita e quella di tutti gli abitanti della Balena... per sempre.
Un inizio piuttosto originale, un’opening davvero orecchiabile, una colonna sonora preziosa e una ending davvero eccezionale formano un comparto sonoro di tutto rispetto.
I protagonisti sono giovani, superstiti di qualcosa che non viene immantinente illustrato, ma che ricalca una sorta di “Waterworld” desertico, un vagare incerto che nasconde una lontana disperazione, ben ovattata dalle usanze di quello che si scoprirà passo dopo passo trattarsi di un ignaro popolo alla deriva di sé stesso, prima che di qualsiasi altro luogo.
Se il primo episodio introduce la storia a grandi linee, dal secondo getta le basi per ciò che sarà probabilmente una tragedia quantomeno inaspettata. Man mano che si prosegue, si percepisce un crescendo sempre più amaro e drammatico, con un cambio di passo lento e inesorabile, e con esso la narrazione diviene esasperata, tant’è che l’attenzione dello spettatore ne è inevitabilmente influenzata. Le rivelazioni e i colpi di scena, tuttavia, non appaiono scioccanti o apocalittici come potrebbero (e in alcuni frangenti dovrebbero) essere, poiché si possono percepire “nell’aria”, come una sentenza inabrogabile e per questo non eclatante, fino, comunque, al raggiungimento di un livello di crudezza e spietatezza che non si sarebbero certo potute immaginare, a inizio visione.
Nonostante tali premesse - che avrebbero dovuto caricare di orrore e sofferenza chi osserva -, si ha la sensazione di non percepire appieno questo treno di emozioni travolgenti, e probabilmente la causa è da attribuire al comportamento dei personaggi e alle loro animazioni: non sempre esternano stati d’animo ed emozioni che ci potremmo aspettare, e, almeno nella prima parte dell’anime, la narrazione stenta a decollare. L’impatto che ne scaturisce si traduce in un andamento blando, più di quanto ci si possa attendere; alcune pause fra dialoghi, determinati momenti morti e situazioni lente e reiterate non aiutano certo a mitigare questa sensazione.
Dopo un avvio farraginoso e altalenante, nell’ultimo terzo di storia, fortunatamente, si prende il volo. Il fantasma della guerra è presente anche in questa storia. Certo, in altre vesti e con altre forme, eppure ci racconta qualcosa che ricorda un “antisemitismo” osceno e sempre attuale, un odio atavico e razziale fra differenti popoli e imperi, una lotta che non è soltanto per la sopravvivenza del più forte, ma nasce dall’odio indiscriminato e da antiche profezie figlie di ignoranza e paura, e finisce per dilagare in soprusi e violenze senza freni, nel più classico, rivoltante e reale degli orrori umani.
Si viaggia così crudi e concreti verso un finale che muta ancora volto, proponendoci colpi di scena apprezzabili e inaspettati. Ed ecco quindi il sorgere di antiche leggende fra l’onirico e il fatato, creature arcaiche che si rivelano altresì rivisitazioni di miti e semidivinità legate alle essenze di queste città-nave semoventi, capaci di condizionare e plasmare addirittura l’andamento del creato, e che si sospetta siano state causa delle condizioni del mondo attuale. Una ascesa perpendicolare che aggiunge una massiccia dose di fantasy puro e, finalmente, un coinvolgimento totale.
“Children of the Whales” è pervaso di drammaticità per l’intera durata, va a braccetto con morte e dolore, e a conti fatti sono le emozioni le vere protagoniste di questa saga: l’intero spettro emotivo, per l’esattezza. Dalla serenità più dolce alla tristezza più profonda, nulla è trascurato, ma, alla fine dei conti, il prodotto ha l’inconfondibile sapore di una deludente incompletezza.
Gli ultimi due episodi aprono un intero mondo di ipotesi, di future storie e chissà cos’altro, il tutto accompagnato da disegni ancora più curati e una cura ai dettagli davvero favolosa; si tratta di un non-finale poetico, dolceamaro e introspettivo, che incanala lo spettatore a uno scenario ancora più grande e clamoroso che a quanto pare non vedremo mai, poiché non sono previste seconde stagioni... almeno al momento.
Bisogna essere onesti: se il manga è un must e racconta tutto ciò che qui manca, veder troncato di netto un lavoro così buono è veramente una grande delusione.
Recensione di gian.villani
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Premetto che mi sono iscritto a questo sito praticamente spronato da voler recensire questo manga, quindi già da qui potrete capire l'impatto che ha avuto su di me quella che io reputo una piccola opera d'arte.
Bisogna, secondo me, partire da una premessa: Dai non nasce come opera autonoma ma come trasposizione su carta di una delle saghe più importanti del mondo videoludico nipponico, cioè "Dragon Quest".
Parto da questo occorre chiarire che a differenza di altri manga che nascevano per esigenza di merchandising come ad esempio Saint Seiya, Dai ha raggiunto una maturità tale da poter essere senza dubbio considerata opera a sé, per giunta molto ben riuscita.
Non intendo dilungarmi sulla trama, ma preferisco soffermarmi sui Pro e i Contro che ho riscontrato leggendolo.
L'opera mostra chiaramente durante i vari capitoli la crescita del gruppo del prode guerriero. Fra i vari personaggi, infatti, ognuno, al momento della presentazione al pubblico, è caratterizzato da pecche che lo contraddistinguono e che nel corso dell'opera vengono limate con sapienza tramutandosi nei pregi e nelle caratteristiche degli stessi alla fine dell'opera.
La trama tende a decollare con un po' di lentezza, i primi capitoli sembrano narrare una storia lenta e noiosa oggettivamente, ma basta attendere poco per trovarsi proiettati in un mondo davvero ben curato che poco a poco attira sempre più il lettore.
Per quanto la trama forse risulti un po' troppo lineare (caratteristica di ogni possibile titolo Dragon Quest, caratterizzato da colpi di scena ben poco sconvolgenti), riesce a far nascere un forte legame fra il lettore e protagonisti, che ben descritti caratterialmente entrano facilmente nel cuore di chi segue la storia e le avventure del prode guerriero.
Il disegno è curatissimo e probabilmente è una delle caratteristiche che più lo avvicina a Toriyama, tanto che parte della critica lo identificava come uno dei reali creatori dell'opera, tesi sfatata ma tenendo comunque conto che coordinando la squadra di scrittori e disegnatori penso che una minima influenza ci sia stata.
Per me quest'opera riesce a rispecchiare l'idea di Dragon Quest, anzi a tratti la supera mostrando un mondo che va preso con leggerezza, questo è un manga semplice e lineare, non un evangelion né un Attack on Titan, è un opera che va letta senza la pretesa di trovare un obbligatorio colpo di scena, per quanto l'opera in realtà ne sia zeppa.
Per ora sembra che abbia elencato solo lati positivi, quindi mi soffermerò sul suo per me unico lato negativo: i continui clichè.
L'opera probabilmente paga due elementi: punto primo è un manga vecchio, quindi qualsiasi cosa che ad oggi risulta essere scontata lì per lì al momento della prima uscita forse non lo era; punto secondo, è pur sempre una storia ideata sulla base di Dragon Quest, che oggettivamente mantiene sempre una sua trama di fondo ben delineata. Probabilmente almeno una volta leggendolo vi troverete a pensare che un dato evento era davvero "scontato".
Detto ciò sarà difficile far sì che la nuova generazione possa avvicinarsi ad un'opera del genere, per quanto poca fama abbia avuto oggettivamente in nazioni diverse da quella nipponica. Per me il voto reale dell'opera sarebbe un otto e mezzo, ma preferisco alzarlo a nove per incoraggiare qualsiasi possibile lettore della mia recensione: non perdetevelo, è davvero bello!
Bisogna, secondo me, partire da una premessa: Dai non nasce come opera autonoma ma come trasposizione su carta di una delle saghe più importanti del mondo videoludico nipponico, cioè "Dragon Quest".
Parto da questo occorre chiarire che a differenza di altri manga che nascevano per esigenza di merchandising come ad esempio Saint Seiya, Dai ha raggiunto una maturità tale da poter essere senza dubbio considerata opera a sé, per giunta molto ben riuscita.
Non intendo dilungarmi sulla trama, ma preferisco soffermarmi sui Pro e i Contro che ho riscontrato leggendolo.
L'opera mostra chiaramente durante i vari capitoli la crescita del gruppo del prode guerriero. Fra i vari personaggi, infatti, ognuno, al momento della presentazione al pubblico, è caratterizzato da pecche che lo contraddistinguono e che nel corso dell'opera vengono limate con sapienza tramutandosi nei pregi e nelle caratteristiche degli stessi alla fine dell'opera.
La trama tende a decollare con un po' di lentezza, i primi capitoli sembrano narrare una storia lenta e noiosa oggettivamente, ma basta attendere poco per trovarsi proiettati in un mondo davvero ben curato che poco a poco attira sempre più il lettore.
Per quanto la trama forse risulti un po' troppo lineare (caratteristica di ogni possibile titolo Dragon Quest, caratterizzato da colpi di scena ben poco sconvolgenti), riesce a far nascere un forte legame fra il lettore e protagonisti, che ben descritti caratterialmente entrano facilmente nel cuore di chi segue la storia e le avventure del prode guerriero.
Il disegno è curatissimo e probabilmente è una delle caratteristiche che più lo avvicina a Toriyama, tanto che parte della critica lo identificava come uno dei reali creatori dell'opera, tesi sfatata ma tenendo comunque conto che coordinando la squadra di scrittori e disegnatori penso che una minima influenza ci sia stata.
Per me quest'opera riesce a rispecchiare l'idea di Dragon Quest, anzi a tratti la supera mostrando un mondo che va preso con leggerezza, questo è un manga semplice e lineare, non un evangelion né un Attack on Titan, è un opera che va letta senza la pretesa di trovare un obbligatorio colpo di scena, per quanto l'opera in realtà ne sia zeppa.
Per ora sembra che abbia elencato solo lati positivi, quindi mi soffermerò sul suo per me unico lato negativo: i continui clichè.
L'opera probabilmente paga due elementi: punto primo è un manga vecchio, quindi qualsiasi cosa che ad oggi risulta essere scontata lì per lì al momento della prima uscita forse non lo era; punto secondo, è pur sempre una storia ideata sulla base di Dragon Quest, che oggettivamente mantiene sempre una sua trama di fondo ben delineata. Probabilmente almeno una volta leggendolo vi troverete a pensare che un dato evento era davvero "scontato".
Detto ciò sarà difficile far sì che la nuova generazione possa avvicinarsi ad un'opera del genere, per quanto poca fama abbia avuto oggettivamente in nazioni diverse da quella nipponica. Per me il voto reale dell'opera sarebbe un otto e mezzo, ma preferisco alzarlo a nove per incoraggiare qualsiasi possibile lettore della mia recensione: non perdetevelo, è davvero bello!
Children of the Whales invece mi è piaciuto (ma lo apprezzo ancora di più in forma manga), all’anime ho dato giusto un mezzo voto di meno per il ritmo un po’ lento all’inizio. Magari ci fosse una s2, perchè negli ultimi numeri la storia s’è fatta ancor più interessante. Il terzo manga invece non ho mai avuto occasione di leggerlo, in compenso mi sto leggendo Dragonball come shonen avventuroso.
Tra l'altro sono felicissimo che abbiano annunciato il remake dell'anime per l'autunno, sicuramente seguirà una nuova edizione del manga che lo renderà più accessibile a tutti, come sarebbe giusto.
E visto che adoro La grande avventura di Dai sono stato ben lieto di buttarmi a capofitto in The seven deadly sins, che lo ricorda molto in diversi aspetti. Purtroppo, è vero che in qualche modo non riesco a togliermi dalla testa l'idea che la narrazione abbia diverse falle, che non riesca a raccontare al 100% i suoi personaggi, che hanno poteri e caratteristiche "perché sì". La narrazione migliora molto andando avanti, ma qualche falla la trovo sempre. E andando avanti con la storia anche i personaggi acquistano più spessore, e - qui ci riavvicinamo a Dai, con mia somma gioia - vengono fuori anche delle storie d'amore molto belle (cosa rara negli shounen di combattimento), che danno un senso ai personaggi femminili e alla coppia Meliodas/Elizabeth: se all'inizio sembri che lui voglia solo toccacciarla e lei non faccia nulla per reagire, andando avanti con la storia anche il loro rapporto assume un ruolo importante e più profondo di così.
Sono d'accordo su tutto, tranne per il fatto della superiorità su BHA. Per la storia è fantastica se non fosse per quello la terza stagine l'avrei tranquillamente abbandonata ma così non è stato.
Sicuramente la recensione è fin troppo cattiva nei confronti di Seven deadly sins.
Posa il fiasco. (da un estimatore di Meliodas & Co.)
Che poi io la conobbi con l'anime e già lì la prima stagione mi sembrò abbastanza autoconclusiva
La prima stagione di Nanatsu è stata più decente, ma questa recensione è quasi perfetta per la terza! Giusto un consiglio XD
Children of the Whales invece non ci arriva nemmeno alla sufficienza, un po' meh come contenuto
Grazie mille
Concordo su tutto.
La prossima volta che volete dare una recensione, assicuratevi di guardare tutto l'anime e di non basarsi solo sui poster e i trailer, altrimenti vi consiglio di cambiare lavoro.
Scusate se sono stata dura, grazie per aver letto fin qua.
Ma poi voglio dirti una cosa, accusi 7DS di essere noioso e ripetitivo ma hai tra le serie preferite "una serie di sfortunati eventi" ... 3 stagioni sempre uguali e fastidiosamente scontate? Sii oggettivo, non accanirti su qualcosa che non riesci ad apprezzare.
Secondo me 7DS è un buon shonen senza troppe pretese, potrebbe essere fatto meglio, ma certo non è spazzatura.
Questo assolutamente, non a caso adoro Merlin!
Bisogna comunque ammettere che nella prima parte di stagione, Elisabeth fosse un po' inutile okay il sostegno morale però
COFF... Comparto grafico ...COFF
Opinioni prettamente personali, oggettivamente l'anime è altro, è bene sottolinearlo. Per chi non l'ha visto andatevelo a guardare, su un certo sito aggregatore di anime ha una media di 8,1 su 10 con una votazione data da 620k di utenti.
Guarda non mi intendo di manga ne di giapponese... non so cosa sia un clicchè però posso dire con sicurezza che anime ne ho visti tanti e questo è davvero fatto bene dal mio punto di vista... da tutte le parti trovi i difetti che hai elencato te qua in questa recensione per questo non sono favorevole... finché vai dicendo che non ti piaciono i personaggi ok... che la storia non la trovi bella ok... ma quando cominci a parlare di power up casuali e ragazze palpate... bo sinceramente non li vedo come muoventi di critica... in boku no hero mydoria non ha fatto power up con una fottuta bambina attaccata alla schiena per farlo competere? Oppure parliamo di rubber che usa gear forth versione snake e poi ti citano un fottuto allenamento di 300 puntate prima mai visto! Si parla di dragon ball che goku ogni volta fa un livello nuovo di sayan solo perché è altamente incazzato! Naruto dove la volpe diventa da testa di cazzo ad affezionarsi al contenitore. Poi te ne posso citare 100 altri se vuoi di cose insensate.. se la vedi così dovresti recensire male tutti gli shounen
Io non ho visto l’anime, ma ho letto quasi tutti i volumi cartacei disponibili, e confermo quanto scritto nella recensione. È dura da accettare, ma è così. Uno shonen che sembra uscito dagli anni 90. Miglior shonen degli ultimi anni? Non scherziamo, il migliore è Magi The Labyrinth Of Magic, opera di un altro livello proprio (che insieme a FMA, per rappresenta il top di sempre per quanto riguarda gli shonen manga).
Forse ne dimentichi giusto qualcuno...
Battle shonen allo stesso livello? Fammi dei nomi.
Cioè ... non è che stiamo parlando di arte.. che quel che è bello è bello e quel che fa cagare fa cagare... parliamo di anime... dove ogni persona può gradire storie e animazioni differenti. La tua affermazione riguardo l'anime che hai citato è una tua singola opinione, nella massa può essere la più condivisa. Ma ti voglio ricordare... meglio sempre che parli per te.. sai quante cose non condivido eppure non è che me ne faccio un problema? Quella è la tua singola opinione e Ekros avrà la sua! E nessuno conferma che la tua valutazione conti più di quella di un altra persona.
Google is the way my friend, se vuoi un indizio però ti dico l'iniziale di alcuni di questi, uno comincia con l'H l'altro con la S.
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