Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Cosa si può dire riguardo a quest'anime che non sia già stato detto? Esso, mi par di capire, è stato vivisezionato per benino in ogni sua parte. Perciò penso che io non aggiungerò nulla di nuovo, ma più semplicemente darò il mio personale punto di vista.

Partiamo dal presupposto che la sottoscritta si è approcciata a questa serie ben sapendo che non era il classico majokko. Quindi durante la visione io ero del tutto consapevole che non stavo per vedere le cuginette della "Magica Emi", piuttosto che le nipotine de "L'incantevole Creamy". Che tra l'altro, anche se i suddetti anime a suo tempo li ho visti (e rivisti), non sono (e non erano) tra i generi che io prediligo. Quello che voglio dire è che son partita con la guardia ben alzata e già preparata ad aspettarmi qualche "stranezza" in corso d' opera. Io credo che questo abbia innalzato le mie aspettative, influenzato la mia reazione e di conseguenza il mio giudizio. Ma non si poteva evitare. L'anime in questione è uscito quasi nove anni fa. Impossibile non essere contaminati dalle varie critiche o apprezzamenti, anche evitando scrupolosamente gli spoiler.

La mia primissima sensazione? L'ho associato immediatamente a un altro anime ormai datato, "Il fantastico mondo di Paul", una storia un po' inquietante (per i bambini degli anni '80 di sicuro) sulla falsa riga di "Alice nel Paese delle Meraviglie" (e stramberie!).

Ma veniamo all'oggetto di questa recensione.
Chi è Madoka? Madoka è una comunissima studentessa delle scuole medie, dall'indole dolce e gentile, che un giorno, insieme alla sua amica del cuore Sayaka, s'imbatte in una specie di gatto, Kyubey, il quale offre loro una grande opportunità: esaudire un loro personale desiderio in cambio della possibilità di diventare delle maghe che sconfiggono le streghe.

Non sembra in tutto e per tutto un majokko? Eh... "sembra", ma dietro l'angolo sta ad attenderti la "fregatura".

L'atmosfera grottesca e cupa che si delinea ad ogni strega che compare in scena è a dir poco "fuori luogo" per un innocente majokko. L'impatto visivo, un decoupage "su cartone", associato a quello musicale dei cori polifonici, lo possiamo definire scioccante. E di sicuro l'effetto è accentuato se chi guarda è un inconsapevole spettatore dell'età scolare, che si aspetta solo maghette sorridenti e melense, ritornelli noiosi e orecchiabili, e colori pastello al profumo di confetti e marzapane. Proprio no.
Questo anime è un pentolone in cui dentro ci hanno buttato di tutto, con il risultato di stordirti. E forse lo scopo era proprio quello. E' un vero tranello che furbescamente gli autori hanno imbastito per i poveri spettatori (soprattutto per le gaie e leggiadre pulzelle), ingannati da una caramella ben incartata e colorata, ma dal sapore inaspettatamente acre. I miei complimenti, ma di sicuro nella trappola non ci si cade più dopo tanti anni dalla sua messa in onda. Senza dubbio, i giovani spettatori del 2011 si saranno avvicinati a quest'anime leggeri e soavi, per poi trovarsi invece un'amara sorpresa (e molto probabilmente, a saperlo, manco l'avrebbero preso in considerazione). Ma il pubblico più informato, quello venuto dopo e quello che cercava "la novità", non si sarà fatto prendere per il naso più di tanto.
A parer mio, se lo scopo principale degli autori era quello di prendere in contropiede lo spettatore, questo depistaggio avrà avuto il suo massimo risultato all'uscita di questa serie, nove anni fa. Le reazioni successive, inevitabilmente, son state tutte contaminate (compresa la mia).

"Che cos'è" allora questo "Madoka Magica"?

Graficamente ci troviamo dentro al surrealismo e al cubismo più estremo. Tanto sta, che di primo acchito, quello a cui ho pensato mentre vedevo scene strepitose, ciniche e agghiaccianti, assurdamente paradossali (surreali appunto) è stato: "Sono caduta dentro le maglie intricate di un copriletto patchwork".
Musicalmente... beh, che dire? Il comparto sonoro è stato gestito magistralmente. Non c'è dubbio che il gruppo Kalafina ha dato un ottimo contributo affinché quest'anime diventasse quello è. Senza le loro tipiche sonorità (che a tratti ricordano molto Enya), a sottolineare tutti quei giochi grafici da capogiro, questa serie avrebbe reso la metà. Non da meno, io personalmente ho apprezzato moltissimo l'inserimento della rivisitazione del "Saltarello" di Zoltan, che ritroviamo qua e là nelle prime puntate e poi a fine ending nell'annunciare l'episodio successivo. Ottimo richiamo al periodo medievale, e dovuto direi, se il tema trattato è appunto la magia (ma di quale colore mai sarà? Mah!).
E se visivamente cadiamo nel vortice onirico della metafisica, e in quello sonoro ci facciamo travolgere da danze e canti del XIV secolo, da un punto di vista letterario precipitiamo nel buco nero della New Weird. Ambientazioni tetre, gotiche, raccapriccianti e originali accompagnano tematiche altrettanto grandi e oscure (troppo grandi per delle ragazzine delle medie) con chiari contenuti allegorici di tipo filosofico. Qui si parla di morte, vita, dipendenza, gratitudine, desideri e aspettative... E pure di entropia (manca la Teoria delle Stringhe e siamo a un passo dalla fisica quantistica).

E quindi, in dodici episodi ti fai un bel bagno nei quadri surrealisti di Dalì e cubisti di Picasso, nella musica pop barocca delle Kalafina e nei balli folkloristici medievali di Zoltan, nella letteratura gotica di E. Allan Poe e in quella drammatica di Goethe (Mefistofele non è difficile da identificare), nelle filosofie distopiche di film come "Matrix" e nei grovigli-crepe spazio-temporali di "Ritorno al futuro".
Un po' troppa roba in pentola (tanto per stare i tema di maghe) per un semplice majokko, vi pare?

A questo punto mi sembra doveroso spendere due parole anche per il protagonista di questo anime: il "gatto".
Sì. E' questa sorta di "supertelegattone" a farla da padrone, che al pari di un Mike Buongiorno dell'era di "Superflash", ti propina il domandone finale da cento milioni di dollari, generando suspense da cardiopalma. Presentatore indiscusso di questo super quiz, quindi, nonché commerciale mascotte a rappresentarlo. E' lui che tira a suo piacimento tutti i fili di questa ingarbugliata matassa. Non c'è dubbio quindi che sia Kyubey il personaggio più intrigante. Enigmatico e ambiguo fin da subito, eppure entra in scena in punta di piedi, si può dire. In fin dei conti altro non fa (?) che porre a queste ragazzine un quesito: "Per esaudire un tuo desiderio, sei disposta a diventare una maga che lotta contro le streghe?". Che "tradotto" in generale vorrebbe dire anche: "Cosa si è disposti a sacrificare pur di vedere realizzato un tuo sogno? E ne varrebbe la pena? E, se sì, quali aspettative avresti una volta realizzato?"
In realtà non è tanto semplice la domanda, e nemmeno la risposta da dare. Sebbene io ne avessi già pensata una pronta all'uso e consumo immediato: "Il mio desiderio sarebbe quello di poter esaudire qualsiasi mio desiderio". (E avrei zittito il gatto)
Perciò, non è stata la domanda posta dal "supertelegattone" di sorta a turbarmi, ma è stata la sua semplice presenza. All'inizio non mi era chiaro ciò che mi infastidiva (e che allo stesso tempo mi inquietava) di questa apparente, innocua creatura. Però poi ho capito. Era la sua staticità, il suo essere inespressivo. Caratteristiche che potrebbero essere confuse con la crudeltà, ma non è la stessa cosa. Per tutto il tempo questo gattone scompare e appare senza scomporsi, mantenendo una sua flemma e logica rigorosa che ai nostri occhi potrà sembrare spietata. Non c'è labiale e nessun cambiamento espressivo del volto, mai. E come una maschera carnevalesca vedremo questo personaggio sempre con quel mezzo sorriso fisso che, a seconda dei nostri sentimenti (e sottolineo "nostri"), ci parrà crudele, freddo, terrificante, sterile o indifferente. Se ci pensate, questa staticità crea frustrazione e disturbo (è un po' quello che si verifica nelle conversazioni via SMS con l'uso degli emoticon).
Ergo, Kyubey è il personaggio più interessante e quello da osservare più attentamente.

Il personaggio più deludente invece è Madoka, che puta caso porta il nome del titolo di questo anime. Delude perché sembra non fare molto, sembra essere inutile. "Sembra". E non aggiungo altro, altrimenti cado in un antipatico spoiler. Ma quello che posso dire è che, prima che si capisca che ruolo lei abbia in tutta questa vicenda, (e ce l'ha)... ce ne passa di acqua sotto i ponti! E dunque aspettatevi che questa "protagonista" rimanga nell'ombra per un bel po', e cercate di portare pazienza. Ma, a dirla tutta, di pazienza ce ne vuole davvero molta. Troppa. Perché troppo lenta è l'evoluzione dei personaggi, della protagonista stessa (Madoka?) e di tutta la trama in generale. E questa è la pecca principale di questa serie. Rimani incollato al video per deliziarti vista e udito in attesa che finalmente il tutto decolli. Quando arriva il momento (siamo ben oltre la metà della serie), tutto si dipana in modo repentino, e come fuochi d'artificio scoppiano all'improvviso colpi di scena uno dopo l'altro, ammaliandoti e illuminando di risposte il cielo buio dei tuoi dubbi. E a quel punto lo spettatore, dopo tanta attesa, suspense e gratificazione per questo vero spettacolo pirotecnico inatteso, si aspetterebbe (maledette aspettative) un finale col botto (anzi, almeno tre, visto che stiamo parlando di fuochi d'artificio!)... E invece?

E invece... Guardatevelo e fatevi la vostra personale opinione. Di sicuro, se non amate i majokko, questo anime fa al caso vostro. Da vedere, insomma. E non fate caso al mio 7,5, i numeri sono soggettivi e hanno un valore diverso per ognuno di noi.
Essendo una a cui piacciono le storie originali e i colpi di scena, se nel 2011, anno in cui uscì questo anime, fossi stata un'ignara (paziente e poco esigente) studentessa delle medie, gli avrei dato in tutta probabilità un 10 (ma senza lode).

8.0/10
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Un'opera nata ben venti anni fa e sopravvissuta alle intemperie editoriali di un mondo, quello nipponico, in forte modificazione a livello di gusti ed andamenti artistici (aver cambiato tre riviste nel corso della propria vita ed esser rimasti ancora sulla cresta dell'onda è, comunque, notevole), "Dorohedoro" spicca non solo per la caparbietà nel sopravvivere, ma anche per la peculiarità.
Seinen di rara fattura, "Dorohedoro" non è altro che la trasposizione di quello che è il suo titolo: dal fango al fango (泥/doro = fango). Fangoso è il modo in cui è stato disegnato (tratti sporchi, senza alcuna perizia, con un inchiostratura talmente pervasiva da rendere lugubre qualsiasi ambientazione), fangoso è il mondo in cui i protagonisti vivono, fangosi sono i personaggi stessi.
Non è una novità il racconto del dissidio tra chi ha determinati poteri e chi non li detiene nella sfera del fantasy e dell'animazione nipponica, ma una strutturazione così argomentata e solida dei maghi e degli umani si era raramente potuta osservare. La bellezza dei primi volumi è proprio nel giramento di testa che proviamo nell'introdurci in questi due mondi distinti, ma paralleli, nei loro abitanti, nelle loro somiglianze (tante) e dissomiglianze. Da una parte queste povere formiche umane adoperate come cavie, dall'altra una sottospecie di monarchia che permette ai maghi di espletare i propri "bisogni" stregoneschi. Il fango è persino nella magia: non un qualcosa che si impara, ma biologicamente insita in questa sottospecie di individui alla fine umani o comunque umanoidi. Generatori di fumo e tubicini/vasi che si interdigitano nel corpo dei maghi. Questa magia, o meglio, questo fumo, altro non è che il fango di cui sono succubi - e fangosa è la sua caratteristica fisica, il come appare. Su questo apparato sporco e nerastro, fuliginoso, Kyuu Hayashida, la creatrice, gioca come farebbe un creatore - o, meglio, come farebbe un demone. "Dorohedoro" è ricco di spunti comici e di intromissioni, appunto, demoniache, che come un terzo mondo parallelo, o piuttosto come una sottospecie di intermundia, riduce lo stress del dover essere costantemente immersi nel nero e nella pece. La cosmologia demoniaca di "Dorohedoro", che riprende motivi cristiani, ma anche shintoisti, è un collante fondamentale e contribuisce concettualmente a quello che è il punto di base del manga e il fondamento di tutte le sue storie ed anche delle relative magagne: l'ambizione. I mondi di "Dorohedoro" non sono statici e la "mobilità sociale" è la norma. Così come i maghi agognano di divenire, almeno temporalmente, demoni, così gli umani agognano di divenire maghi.
Queste passioni oscure, mescolate a una storia di vendetta quasi ontologica e millenaria, creano Dorohedoro ed il suo fango. Peccato davvero che nel corso degli anni ed in particolare dal 17° volume in avanti l'Autrice dà adito, tramite un falso comunicato di chiusura imminente dell'opera, al dubbio che le idee su come concludere tutto ciò siano quantomeno scarse. È stato abbastanza triste constatare che, purtroppo, ciò era abbastanza vero - e confermato dalla stessa Artista in una postfazione finale.

Attenzione: questa parte contiene spoiler
Il problema vero non è tanto nella intricatezza dello strisciante finale, che si trascina per volumi e volumi senza una parvenza di terminazione, quanto nel fatto che nel reale finale del 22° volume ci sia la perdita di tutti quei valori, o non-valori, di cui pareva impregnata la società generale. È inconcepibile che il finale di "Dorohedoro" possa essere il "e vissero tutti e felici e contenti", eppure tale è stato. Il male, mai realmente e manicheisticamente chiaro nella sua ubicazione, si palesa improvvisamente nella creatura da abbattere, creatura non banale - intendiamoci - e vera summa del fango di cui abbiamo accennato prima. Creatura che ha un significato profondo ed "ontologico", specchio di soprusi e violenze; forse significato sociologico, direi. Eppure, che la Autrice abbia dovuto ricorrere ad espedienti di dubbio gusto e molto distanti dallo spirito di un'opera seinen dice molto. Fondamento di "Dorohedoro" è sempre stata la organicità, la fisiologia della magia, di quel fumo prodotto dalla maggioranza di maghi (e dalla minoranza, i cosiddetti "occhi crociati", mondo di mezzo tra umani e stregoni, sorge un'ondata di ressentiment di egregia fattura sociale). Il fumo aveva un effetto ignoto al mago stesso, che era costretto ad adattare la propria vita alle proprie innate e sconosciute capacità. È, pertanto, incredibile come la Hayashida abbia potuto capovolgere questo postulato e dare al protagonista un potere palesemente ex post, quindi modulato a posteriori sul proprio essere. Potrebbe essere una banalità, ma l'idea - di per sé anche parzialmente comica, come il resto dell'opera - è comunque in completo contrasto con lo spirito poco vago e molto pratico di "Dorohedoro".

Questo manga, in sintesi, ospita il massimo della crudezza, della disperazione e del dolore, uniti a protagonisti dalla caratterizzazione fantastica e dalla comicità barbaramente umana. Tutto l'universo di "Dorohedoro" si distingue, dal primo all'ultimo dei personaggi umani, dal primo all'ultimo dei personaggi stregoneschi e dal primo all'ultimo dei personaggi demoniaci. Il mondo è coerente, è immersivo, è sporco e catartizzante. Eppure l'additare "il Male" come nemico improvviso e generale, utilizzare mezzi da shounen - quali un potere improvviso improvvisamente utile al dirimere la matassa - per riportare "il Bene" nel mondo, ossia lo statu quo precedente alle vicende, è stata una mossa di cattivo gusto.

Fine parte contenente spoiler

"Dorohedoro", comunque, rimane un unicum, sia per come nasce che per come muore.

P.S.: nei primi volumi l'Autrice inserisce costanti rimandi alla band "Slipknot". I rimandi spariscono intorno a metà dell'opera. Forse, forse era un preannuncio che avrei dovuto cogliere.

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“The Fake” è un film del coreano Yeon Sang-Ho, del 2013. Avete presente la classica frase: “Questo film non è per tutti”? Ecco, per quanto fastidiosa possa essere alle volte, perché parte dal presupposto che una persona non sia caratterialmente pronta a vedere un determinato contenuto - indipendentemente dalla sua età -, in questo caso è quella che riassume meglio il film. Non certo per una morale contorta, o per una trama complessa... In “The Fake” sono proprio i contenuti ad essere forti, brutali e violenti.

La storia è ambientata in una piccola cittadina della Corea del Sud, che rischia di essere sommersa a causa della costruzione di una diga. Gli abitanti dovrebbero essere ricollocati e, per disperazione e ignoranza, si affidano al reverendo Sung e al meschino Choi, che fingono di voler costruire una chiesa e delle case per gli sfollati, ma che in realtà progettano di fuggire coi soldi. L’unica persona che si rende conto della truffa è Min-chul, un ubriacone con un torbido passato alle spalle, che viene odiato da tutta la comunità.

Questo è il secondo film del regista e, come nel suo lavoro precedente, Yeon Sang-Ho utilizza uno stile, sia narrativo sia grafico, spietato. La terra da lui descritta sembra sull’orlo della disperazione, c’è un’eterna foschia che avvolge le strade e i campi, e i colori sono molto cupi.
Persino il chara design dei personaggi è volutamente marcato, le espressioni dei protagonisti anticipano le loro azioni, in particolar modo quelle di Min-chul, ricolmo solo di rancore, destinato a vivere sempre “fuori posto”.
Ma il punto forte del film è il fatto che, seppur la trama lasci intendere il contrario, non ci sono dei “buoni” e dei “cattivi”. Non esiste buonismo di alcun tipo. Anche l’eroe di turno, o comunque il personaggio che dovrebbe impersonarlo, non è un eroe, anzi... è un personaggio che viene facile odiare, un pessimo padre, un pessimo marito, un pessimo uomo, con cui non si può empatizzare, che non ha possibilità di redenzione.
E’ da lui che nasce la spirale di violenza che rende questo film così crudo. Lui rappresenta il fallimento umano, l’incapacità dell’uomo di vivere senza illusioni.
La gente del villaggio, d’altra parte, non è niente più di un branco di pecore che, vuoi per ignoranza, vuoi per paura, si aggrappa a qualsiasi falsa promessa possibile.

E, in questo panorama di disillusione e violenza, c’è lei: la religione. Qui demolita senza risparmio, vista come il culmine dell’illusione della società e di chi non riesce ad accettare la durezza della realtà e l’incombenza della morte. Una truffa vera e propria, un coacervo di bugie.

Insomma, tirando le somme, è un film che personalmente consiglio caldamente. Ovviamente va visto con le giuste aspettative, quindi non guardatelo come un banale film d’azione animato.