Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Recensione di DarkSoulRead
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Correva l’anno 2000, al caldo dentro i Game Boy c’erano ancora “Pokemon Rosso” e “Pokemon Blu”, il sole si affacciava infuocato sulle scuole ormai prossime alla chiusura estiva e tra noi bambini la stima e il rispetto erano proporzionali alle carte foil che si avevano nel deck. Erano i tempi delle batterie scariche e dei cavetti difettosi, e mentre tutti sognavano di essere il miglior allenatore Pokemon di Kanto, nelle sale veniva proiettato il primo lungometraggio Pokemon: “Pokemon il film - Mewtwo contro Mew”. “A chi comprerà il biglietto verrà anche regalata una carta speciale di Mew”, si diceva tra i corridoi di scuola. Ed era veramente cosi, constatarlo di persona fu impagabile. La mia trepidazione durante il viaggio in macchina per andare al cinema fu così intensa, che ad oggi è uno dei ricordi più vividi della mia infanzia.
Eccomi quindi ancora una volta a recensire un’opera che per me ha un considerevole valore affettivo.
Mewtwo è stato creato in laboratorio da un fossile di Mew, per essere il Pokemon più forte del pianeta. Quando capisce di essere soltanto una pedina per gli scopi degli esseri umani, si ribella ai suoi creatori, incendiando con i suoi poteri psichici il laboratorio in cui era rinchiuso. Tradito, infuriato e aspramente deluso dall’esistenza stessa, giura vendetta al genere umano. Convoca nell’isola in cui si è stabilito i migliori allenatori di Pokemon (tra cui figurano Ash, Misty e Brock), per sfidarli con il suo esercito di cloni.
La storia, abbastanza seriosa per il target a cui si rivolge (e soprattutto per il brand che rappresenta), si sviluppa ritmata in modo lineare ed efficace, con la giusta alternanza di combattimenti a momenti più riflessivi. I dialoghi presenti nella pellicola regalano buoni spunti di riflessione: “Abbiamo tante cose in comune: la stessa terra, la stessa aria, lo stesso cielo. Forse, se cominciassimo a considerare quello che ci accomuna, invece di mettere in risalto le differenze, un giorno chissà...” dice Meowth rivolgendosi al suo clone.
“Pokemon” non ha mai nascosto di essere una serie adatta perlopiù ai piccini, con personaggi dalla psicologia appena abbozzata e messaggi educativi (a volte un filo buonisti) ridondanti che sottolineano valori quali l’amicizia e la lealtà. Tuttavia, la caratterizzazione psicologica di Mewtwo è qualcosa di sbalorditivo, un evento più unico che raro nel mondo “Pokemon”.
Il clone di Mew è una vittima tramutata in carnefice, una cavia da laboratorio nata esclusivamente per soddisfare la bramosia umana, il cui senso di inadeguatezza sfocia spesso in domande esistenzialiste sul senso della vita.
Mewtwo è l’anello mancante tra umani e Pokemon.
La veste grafica, un ibrido tra CG e animazione classica, si presentava con una risoluzione leggermente migliore rispetto alla serie anime dell’epoca, con un buon dettaglio e animazioni convincenti per un impatto visivo tutt’oggi ancora valido. La colonna sonora, composta da sedici tracce, fa la sua ottima figura. Su tutte spicca proprio la splendida traccia 16 “Brother, My Brother”, composta precedentemente dai Blessid Union of Souls e leggibile in questa pellicola come un inno all’amicizia tra Ash e Pikachu.
Il primo lungometraggio Pokemon è un passo avanti, un’evoluzione, per restare in tema, e nella forma e nei contenuti. Seppur piuttosto prevedibile, risulta indimenticabile il finale, in cui trionfa al solito l’amicizia, dopo alcuni minuti particolarmente toccanti in cui lo spettatore viene lasciato un po’ sulle spine (meravigliosa la scena in cui il pianto di Pikachu libera Ash dalla pietrificazione); di certo non è l’originalità fatta plot twist, ma comunque resta emozionante.
Nell’infinito franchise “Pokemon”, tra videogiochi, carte, action figure, collezionabili, gadget e merchandising vario, i lungometraggi passano spesso in secondo piano, catalogati perlopiù come opere d’intrattenimento per bambini. Se avete voglia di ricredervi, provate a guardare “Pokemon il film - Mewtwo contro Mew”. Questo film vuole rivolgersi a tutte le età, e dimostra quanto il marchio “Pokemon” può essere efficace pure con un’impronta più matura.
La versione originale giapponese, contenente il prologo censurato nella versione occidentale dalla 4kids e noto da noi come cortometraggio dal titolo “Pokemon - Le origini di Mewtwo”, meriterebbe anche un 8.5, data la preziosità e l’importanza di quei dieci minuti. Il voto è comunque un otto pieno.
“Il modo in cui si viene al mondo è irrilevante, è ciò che fai del dono della vita che stabilisce chi sei”. È questo il congedo di Mewtwo. È questo il più bel film “Pokemon”.
Eccomi quindi ancora una volta a recensire un’opera che per me ha un considerevole valore affettivo.
Mewtwo è stato creato in laboratorio da un fossile di Mew, per essere il Pokemon più forte del pianeta. Quando capisce di essere soltanto una pedina per gli scopi degli esseri umani, si ribella ai suoi creatori, incendiando con i suoi poteri psichici il laboratorio in cui era rinchiuso. Tradito, infuriato e aspramente deluso dall’esistenza stessa, giura vendetta al genere umano. Convoca nell’isola in cui si è stabilito i migliori allenatori di Pokemon (tra cui figurano Ash, Misty e Brock), per sfidarli con il suo esercito di cloni.
La storia, abbastanza seriosa per il target a cui si rivolge (e soprattutto per il brand che rappresenta), si sviluppa ritmata in modo lineare ed efficace, con la giusta alternanza di combattimenti a momenti più riflessivi. I dialoghi presenti nella pellicola regalano buoni spunti di riflessione: “Abbiamo tante cose in comune: la stessa terra, la stessa aria, lo stesso cielo. Forse, se cominciassimo a considerare quello che ci accomuna, invece di mettere in risalto le differenze, un giorno chissà...” dice Meowth rivolgendosi al suo clone.
“Pokemon” non ha mai nascosto di essere una serie adatta perlopiù ai piccini, con personaggi dalla psicologia appena abbozzata e messaggi educativi (a volte un filo buonisti) ridondanti che sottolineano valori quali l’amicizia e la lealtà. Tuttavia, la caratterizzazione psicologica di Mewtwo è qualcosa di sbalorditivo, un evento più unico che raro nel mondo “Pokemon”.
Il clone di Mew è una vittima tramutata in carnefice, una cavia da laboratorio nata esclusivamente per soddisfare la bramosia umana, il cui senso di inadeguatezza sfocia spesso in domande esistenzialiste sul senso della vita.
Mewtwo è l’anello mancante tra umani e Pokemon.
La veste grafica, un ibrido tra CG e animazione classica, si presentava con una risoluzione leggermente migliore rispetto alla serie anime dell’epoca, con un buon dettaglio e animazioni convincenti per un impatto visivo tutt’oggi ancora valido. La colonna sonora, composta da sedici tracce, fa la sua ottima figura. Su tutte spicca proprio la splendida traccia 16 “Brother, My Brother”, composta precedentemente dai Blessid Union of Souls e leggibile in questa pellicola come un inno all’amicizia tra Ash e Pikachu.
Il primo lungometraggio Pokemon è un passo avanti, un’evoluzione, per restare in tema, e nella forma e nei contenuti. Seppur piuttosto prevedibile, risulta indimenticabile il finale, in cui trionfa al solito l’amicizia, dopo alcuni minuti particolarmente toccanti in cui lo spettatore viene lasciato un po’ sulle spine (meravigliosa la scena in cui il pianto di Pikachu libera Ash dalla pietrificazione); di certo non è l’originalità fatta plot twist, ma comunque resta emozionante.
Nell’infinito franchise “Pokemon”, tra videogiochi, carte, action figure, collezionabili, gadget e merchandising vario, i lungometraggi passano spesso in secondo piano, catalogati perlopiù come opere d’intrattenimento per bambini. Se avete voglia di ricredervi, provate a guardare “Pokemon il film - Mewtwo contro Mew”. Questo film vuole rivolgersi a tutte le età, e dimostra quanto il marchio “Pokemon” può essere efficace pure con un’impronta più matura.
La versione originale giapponese, contenente il prologo censurato nella versione occidentale dalla 4kids e noto da noi come cortometraggio dal titolo “Pokemon - Le origini di Mewtwo”, meriterebbe anche un 8.5, data la preziosità e l’importanza di quei dieci minuti. Il voto è comunque un otto pieno.
“Il modo in cui si viene al mondo è irrilevante, è ciò che fai del dono della vita che stabilisce chi sei”. È questo il congedo di Mewtwo. È questo il più bel film “Pokemon”.
Ponyo sulla scogliera
9.0/10
"Ponyo sulla scogliera" è probabilmente uno dei film dello Studio Ghibli più controversi, e generalmente dopo la visione le correnti di pensiero sono due: da una parte chi lo detesta, ritenendolo un film per mocciosi piuttosto sconclusionato, dall'altra chi lo adora, e le vie di mezzo per questa pellicola sono rare da trovare. Il sottoscritto fa parte della seconda categoria. Ritengo che "Ponyo sulla scogliera" sia da definirsi una delle opere più particolari di Miyazaki (un'impostazione simile la ricordo solamente per "Il mio vicino Totoro") e allo stesso tempo uno dei suoi esperimenti più felici, in tutti i sensi.
La prima cosa a colpire è il comparto tecnico, probabilmente uno dei più immensi lavori che la storia dell'animazione orientale e occidentale abbia mai conosciuto (paragonabile a opere mostruose come "Ghost in the Shell: Innocence" o "Akira"). Lo sfarzo e la fluidità delle animazioni sono assoluti, doppiando la qualità già egregia di quelle degli altri lavori Ghibli, senza contare che a tale fluidità si aggiungono fondali disegnati a pastello che creano un pregevole contrasto coi modelli in movimento, ma ancora più sbalorditiva è la resa dell'acqua, talmente ben realizzata in ogni suo minimo dettaglio e movimento, da sembrare un gigantesco essere vivente, forse il vero protagonista della pellicola stessa (tutta la sequenza della tempesta è da annali). Ma non finisce qui, dato che alle animazioni faraoniche, alla regia eccelsa del nostro amato Hayao (la cui qualità ormai è scontata) e al morbidissimo character design dello studio si aggiunge una palette cromatica vivace, iper-satura, tale da comunicare in sé stessa un senso di pura, semplice gioia: e il punto è proprio questo, poiché "Ponyo sulla scogliera" ha il pregio e il coraggio di essere un film incentrato al cento per cento sul comunicare gioia allo spettatore, e personalmente ci riesce alla grande.
Non c'è un singolo momento della pellicola, con una piccola eccezione di cui parlerò alla fine, in cui il film comunichi tristezza, o tenti di commuovere con i soliti cliché dei lungometraggi Disney (morte improvvisa di cari o amenità simili), anzi la sopracitata gioia pervade ogni singolo secondo, ogni singolo fotogramma e ogni singola azione dei protagonisti, con risultati egregi. La piccola pesciolina Brunhilde, rinominata Ponyo dal bambino di cui è innamorata nonché coprotagonista, Sosuke, è infatti un uragano, una vera forza della natura pronta a fare di tutto e ribellarsi a chiunque pur di andare sulla terraferma col proprio amato, anche a costo di scatenare una catastrofe; eppure, anche la catastrofe stessa è messa in scena in maniera tale da suscitare felicità, non quindi un evento distruttore ma vivificatore della natura stessa e delle vite dei protagonisti, bambini (prevalentemente Ponyo e Sosuke), adulti (la madre del bambino, Risa, e Fujimoto, stregone dei mari e padre della bimba dai capelli rossi) e anziani (le vecchiette del centro anziani in cui Risa lavora, a loro volta metafora della vecchiaia del regista).
Penso di aver comunicato abbastanza bene come questo film, nella sua oretta e quaranta di durata, potrebbe migliorarvi una brutta giornata senza problemi, ma vorrei soffermarmi per poco sulle critiche di insensatezza mosse dai suoi detrattori, dal mio punto di vista, se non si fosse già capito, piuttosto infondate. La pellicola è innanzitutto indirizzata a un pubblico di bambini, un po'come fu "Il mio vicino Totoro" all'epoca, ma anche messa in scena in sé stessa dall'ottica di un marmocchio di cinque anni, ancora capace di accettare la meraviglia nelle varie situazioni della propria vita senza porsi tante domande. Ecco quindi che Sosuke non reagisce alla trasformazione di Ponyo in graziosa bambina con terrore, ma con innocente stupore e felicità, in un mastodontico inno dell'infanzia dall'inizio alla fine della pellicola (sfido chiunque a rimanere impassibile di fronte al rapporto dei due protagonisti, davvero un duo straordinario). L'unico difetto personalmente imputabile alla pellicola è quell'unico già citato momento triste presente verso la fine, piuttosto superfluo, ma nulla che vada a inficiare la qualità incredibile dell'opera di Miyazaki.
"Ponyo sulla scogliera", quindi, si conferma come uno dei film più sottovalutati dello Studio Ghibli, un capolavoro con la C maiuscola, e dal mio punto di vista uno dei miei film preferiti del regista.
La prima cosa a colpire è il comparto tecnico, probabilmente uno dei più immensi lavori che la storia dell'animazione orientale e occidentale abbia mai conosciuto (paragonabile a opere mostruose come "Ghost in the Shell: Innocence" o "Akira"). Lo sfarzo e la fluidità delle animazioni sono assoluti, doppiando la qualità già egregia di quelle degli altri lavori Ghibli, senza contare che a tale fluidità si aggiungono fondali disegnati a pastello che creano un pregevole contrasto coi modelli in movimento, ma ancora più sbalorditiva è la resa dell'acqua, talmente ben realizzata in ogni suo minimo dettaglio e movimento, da sembrare un gigantesco essere vivente, forse il vero protagonista della pellicola stessa (tutta la sequenza della tempesta è da annali). Ma non finisce qui, dato che alle animazioni faraoniche, alla regia eccelsa del nostro amato Hayao (la cui qualità ormai è scontata) e al morbidissimo character design dello studio si aggiunge una palette cromatica vivace, iper-satura, tale da comunicare in sé stessa un senso di pura, semplice gioia: e il punto è proprio questo, poiché "Ponyo sulla scogliera" ha il pregio e il coraggio di essere un film incentrato al cento per cento sul comunicare gioia allo spettatore, e personalmente ci riesce alla grande.
Non c'è un singolo momento della pellicola, con una piccola eccezione di cui parlerò alla fine, in cui il film comunichi tristezza, o tenti di commuovere con i soliti cliché dei lungometraggi Disney (morte improvvisa di cari o amenità simili), anzi la sopracitata gioia pervade ogni singolo secondo, ogni singolo fotogramma e ogni singola azione dei protagonisti, con risultati egregi. La piccola pesciolina Brunhilde, rinominata Ponyo dal bambino di cui è innamorata nonché coprotagonista, Sosuke, è infatti un uragano, una vera forza della natura pronta a fare di tutto e ribellarsi a chiunque pur di andare sulla terraferma col proprio amato, anche a costo di scatenare una catastrofe; eppure, anche la catastrofe stessa è messa in scena in maniera tale da suscitare felicità, non quindi un evento distruttore ma vivificatore della natura stessa e delle vite dei protagonisti, bambini (prevalentemente Ponyo e Sosuke), adulti (la madre del bambino, Risa, e Fujimoto, stregone dei mari e padre della bimba dai capelli rossi) e anziani (le vecchiette del centro anziani in cui Risa lavora, a loro volta metafora della vecchiaia del regista).
Penso di aver comunicato abbastanza bene come questo film, nella sua oretta e quaranta di durata, potrebbe migliorarvi una brutta giornata senza problemi, ma vorrei soffermarmi per poco sulle critiche di insensatezza mosse dai suoi detrattori, dal mio punto di vista, se non si fosse già capito, piuttosto infondate. La pellicola è innanzitutto indirizzata a un pubblico di bambini, un po'come fu "Il mio vicino Totoro" all'epoca, ma anche messa in scena in sé stessa dall'ottica di un marmocchio di cinque anni, ancora capace di accettare la meraviglia nelle varie situazioni della propria vita senza porsi tante domande. Ecco quindi che Sosuke non reagisce alla trasformazione di Ponyo in graziosa bambina con terrore, ma con innocente stupore e felicità, in un mastodontico inno dell'infanzia dall'inizio alla fine della pellicola (sfido chiunque a rimanere impassibile di fronte al rapporto dei due protagonisti, davvero un duo straordinario). L'unico difetto personalmente imputabile alla pellicola è quell'unico già citato momento triste presente verso la fine, piuttosto superfluo, ma nulla che vada a inficiare la qualità incredibile dell'opera di Miyazaki.
"Ponyo sulla scogliera", quindi, si conferma come uno dei film più sottovalutati dello Studio Ghibli, un capolavoro con la C maiuscola, e dal mio punto di vista uno dei miei film preferiti del regista.
BuBu ChaCha
10.0/10
Recensione di hachi_rosa92
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Ho avuto occasione di rivedere questo anime per bambini per via del desiderio di mostrarlo a mio figlio. Quando l'ho recuperato, sono stata spinta dalla nostalgia. Ma man mano che procedevo con la visione, mi sono resa conto che si tratta di uno dei cartoni per bambini di qualità più elevata che io abbia mai visto. La prima stagione (i primi 26 episodi) sono di qualità superiore ai successivi 26, che sono comunque molto interessanti e abbastanza profondi, ma la prima parte è davvero un gioiellino dell'animazione.
La storia ruota attorno a Buddy, un bambino il cui cane ChaCha muore per proteggerlo da una macchina che sta per investirlo. Ma quando ChaCha sta per diventare una stella, decide di tornare indietro per restare vicino al suo caro amico Buddy, e si reincarna nella sua macchinina giocattolo. Questo non è per nulla un segreto tra loro: Buddy non fa altro che ripetere a tutti che ChaCha è tornato ma, comprensibilmente, nessuno gli crede (ad eccezione di Sara, che lo sa benissimo… essendo lei un fantasma).
Il tema centrale di questa serie è la morte, ma in senso positivo: la gestione del lutto cambia completamente, perché si acquista la consapevolezza che la morte è un passaggio naturale della vita. Le persone e gli animali, quando muoiono, diventano stelle; possono decidere di restare sulla terra, se esiste qualcosa a cui sono particolarmente legati; i fantasmi perciò non fanno paura, anzi, una dei migliori amici di Buddy è un fantasma; anche se ChaCha è ritornato per Buddy, non è detto che tutti possano farlo, ma dopo la morte non saranno tristi perché possono volare liberi nel cielo (la puntata sulla libellula è una delle più tristi ma al contempo colme di spirito di accettazione a cui io abbia mai assistito…). Questi sono tutti argomenti che vengono affrontati nel corso della serie, con una delicatezza e una dolcezza infinite.
In ogni puntata il piccolo Buddy vive delle avventure all'interno della sua cornice di quotidianità, e nel corso di ogni avventura… non è corretto dire che "impara" qualcosa, quanto piuttosto che "scopre" qualcosa. Buddy rappresenta la meraviglia che c'è in ogni bambino, l'emozione che si prova nelle piccole gioie quotidiane, anche le più piccole in assoluto, come sentire il vento che soffia tra gli alberi o accompagnare la mamma al supermercato. E si diverte sempre, vivendo avventure a volte anche molto spericolate che fanno sì che una storia fondamentalmente lenta e rilassata riesca ad essere allo stesso tempo incalzante e mai noiosa.
"BuBu ChaCha" è una serie che chiunque abbia dei figli dovrebbe assolutamente recuperare.
La storia ruota attorno a Buddy, un bambino il cui cane ChaCha muore per proteggerlo da una macchina che sta per investirlo. Ma quando ChaCha sta per diventare una stella, decide di tornare indietro per restare vicino al suo caro amico Buddy, e si reincarna nella sua macchinina giocattolo. Questo non è per nulla un segreto tra loro: Buddy non fa altro che ripetere a tutti che ChaCha è tornato ma, comprensibilmente, nessuno gli crede (ad eccezione di Sara, che lo sa benissimo… essendo lei un fantasma).
Il tema centrale di questa serie è la morte, ma in senso positivo: la gestione del lutto cambia completamente, perché si acquista la consapevolezza che la morte è un passaggio naturale della vita. Le persone e gli animali, quando muoiono, diventano stelle; possono decidere di restare sulla terra, se esiste qualcosa a cui sono particolarmente legati; i fantasmi perciò non fanno paura, anzi, una dei migliori amici di Buddy è un fantasma; anche se ChaCha è ritornato per Buddy, non è detto che tutti possano farlo, ma dopo la morte non saranno tristi perché possono volare liberi nel cielo (la puntata sulla libellula è una delle più tristi ma al contempo colme di spirito di accettazione a cui io abbia mai assistito…). Questi sono tutti argomenti che vengono affrontati nel corso della serie, con una delicatezza e una dolcezza infinite.
In ogni puntata il piccolo Buddy vive delle avventure all'interno della sua cornice di quotidianità, e nel corso di ogni avventura… non è corretto dire che "impara" qualcosa, quanto piuttosto che "scopre" qualcosa. Buddy rappresenta la meraviglia che c'è in ogni bambino, l'emozione che si prova nelle piccole gioie quotidiane, anche le più piccole in assoluto, come sentire il vento che soffia tra gli alberi o accompagnare la mamma al supermercato. E si diverte sempre, vivendo avventure a volte anche molto spericolate che fanno sì che una storia fondamentalmente lenta e rilassata riesca ad essere allo stesso tempo incalzante e mai noiosa.
"BuBu ChaCha" è una serie che chiunque abbia dei figli dovrebbe assolutamente recuperare.
Per "BuBu ChaCha"dico solo... Bubu Chacha è un’avventura, sai, che ti sorprenderà, prova a venire con noi. Vedrai che Bubu Chacha è inimitabile, può colorare tutti i sogni tuoi!!!(immaginatela tipo concerto metal con dita a corna del rock e headbanging a ritmo)
Grazie mille
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