Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

7.0/10
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"Akira" mi ha lasciato la sensazione di aver visto l’episodio finale di una serie (che non esiste) e non un film stand-alone.

Lo spettatore viene catapultato nella città di “Nuova Tokyo” nell'anno 2019 (in un’ambientazione cyber punk stile “Blade Runner”), dopo che un conflitto nucleare ha distrutto la precedente capitale del "Sol Levante". Questa metropoli, in preda a rivolte di piazza, idi cui non si capiscono bene le motivazioni sociali, è tenuta in scacco da gang di motociclisti di cui i protagonisti della storia sono degli esponenti; ricorda molto i film americani degli anni ottanta: con scuole sporche e semi distrutte, muri imbrattati, ragazzi sbandati dal look punk (anche se effettivamente la bande di motociclisti teppisti, sono state anche un fenomeno tipico del Giappone di quegli anni) e il tutto stride con le strade deserte e asettiche della Tokio dei lock-down, dei nostri tempi.

Se è piuttosto chiaro chi sono i protagonisti di tale avventura, i quali si potrebbero tranquillamente inserire nella categoria degli “anti” eroi, lo è molto meno il mondo nel quale si muovono, perché in "Akira" convivono due anime: quella d’azione, narrata con un ritmo serrato (come una corsa su una potente moto) e una politico-sociale, tanto colloquiale quanto debole nelle spiegazioni. Gli amanti del genere action sci-fi, rimarranno sicuramente soddisfatti dalle tante scene dal ritmo incalzante ricche di: duelli tra centauri, inseguimenti, risse, scontri di piazza, sparatorie e saccheggi. Mentre chi è più interessato a conoscere il mondo in cui si muovono i protagonisti, rimarrà molto probabilmente deluso: le domande inevitabili sulle cause della decadenza di Neo Tokyo, sugli obiettivi dei vari personaggi “politici”, le finalità del progetto “AKIRA”, trovano delle risposte labili e poco esaurienti, che bisogna saper cogliere tra i veloci dialoghi dei personaggi di contorno e anche il finale rimane, in qualche modo, aperto.
C’è poi una certa incongruenza narrativa per cui, un ragazzo disposto a mettere a rischio la vita per salvare un amico, in poche passaggi e senza tanti scrupoli, cerchi poi di farlo fuori, e infine tenti di nuovo di salvarlo.

Il comparto sonoro, che viene considerato uno dei punti di forza di “Akira”, onestamente non mi ha lasciato molto, anche se devo dire che hanno avuto il coraggio di sperimentare diversi generi.
Il lato visivo invece è semplicemente fenomenale. La prima cosa che mi ha colpito sono le ombre: questo è il primo anime che vedo, dove la sorgente di luce non è allo zenit. Qui le ombre dei personaggi vengono proiettate perfettamente sui muri (anche se si stanno spostando), e addirittura se le sorgenti di luce sono molteplici, altrettanti lo sono i profili che si stagliano sulle pareti (ok, ogni tanto anche loro se le perdono, però ci sta).

Le espressioni dei volti rendono molto bene lo stato emotivo dei personaggi; ad ogni spostamento del corpo, è associata una complessa fluttuazione dei vestiti; vividi sono i colori, mentre i movimenti dei protagonisti sono ben articolati, anche se non sempre fluidissimi. Ottimi sono i fondali, soprattutto se pensiamo all’età dell’opera, anche se ci sono alcune panoramiche della città quasi prive di prospettiva, ma sono così pacchiane, da sembrare volute. Cercandola si può notare un po’ di CGI e sottolineo “cercandola”, perché si integra perfettamente con il resto dei disegni e questo contrasta in modo incredibile con le moderne animazioni, dove la computer grafica è visibile come un pugno, che ti arriva in faccia. Ciò mostra anche come i lavori moderni, siano creati frettolosamente e con poca cura.

Se per certi versi il finale ricorda “Il bambino dello spazio” di “2001 Odissea nello spazio”, mi sembra invece che Hideaki Anno abbia preso molti spunti per il suo “Evangelion”: “il Central Dogma”, “il diagramma d’onda”, gli angeli che vanno per istinto verso Adam, “il third impact”.

Per concludere, “Akira” è un film sicuramente da vedere, con una regia che ha fatto scuola e un comparto grafico ammaliante, ma con una sceneggiatura imperfetta, che crea molte sotto trame, senza avere il tempo materiale per svilupparle, e lascia una profonda sensazione di incompiutezza (da quello che ho letto, il manga sembra essere molto più esauriente) .

Una curiosità: c’è anche una profezia (stile Simpson) azzeccata: nell’anno successivo agli eventi narrati, sono previste le olimpiadi di (Neo) Tokyo 2020!

4.0/10
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Avevo letto le recensioni di Animeclick perciò sapevo bene o male cosa aspettarmi, leggo manga da decenni e ho letto di tutto, spinta dalla curiosità di provare un manga diverso dal solito, assolutamente non commerciale, acquistai l'ultima prestigiosa Master edition, 18€ ogni volume, formato grandissimo, copertina olografica, ottima qualità, e in box da collezione.
Mai buttato i soldi in modo peggiore.

È certamente un prodotto di nicchia, non adatto a tutti. A suo modo si può definire originale.

Secondo me l'approccio migliore per questo manga è il più inusuale: bisogna lasciarsi andare alle emozioni che trasmettono le creature e soprattutto gli sfondi, davvero molto suggestivi e immersivi, come se si ascoltasse una melodia o una poesia; L'ambientazione ipnotica, oscura, inumana ti porta a seguire il protagonista con la sua arma potentissima quasi leggendaria nel suo cammino e a perderti in quegli sfondi abbandonati, vertiginosi, lugubri, claustrofobici che sembrano anche estendersi all'infinito, in lunghe camminate in ogni direzione, ammirando creature artificiali mutevoli, oscure, inespressive, inquietanti e allo stesso tempo affascinanti.
Mi dicevano che la bellezza (e la genialità) di "Blame!" stava proprio in questo, il lasciarsi cullare dal fascino che emana questo mondo così particolare senza pretendere spiegazioni, accettando tutti i suoi misteri.
Quindi ci ho provato, con tutta me stessa.
Ma per quanto l'ambientazione sia avvolgente, le creature ipnotiche e lo stile dell'autore interessante, per me non sono sufficienti a colmare le tantissime, troppe lacune di "Blame!" (motivo del mio voto).
I dialoghi, già ridotti, hanno spesso una terminologia inventata che non viene spiegata al lettore, perciò non ha alcun significato, questo fa di "Blame!" una lettura molto scorrevole e assolutamente confusionaria. Non sappiamo dove ci troviamo e in che anno; gli scontri a fuoco iniziano spesso senza preavviso e senza capire, a volte, chi ha avuto la meglio. Inespressivi sono quasi tutti i personaggi specialmente il protagonista Killy (e questo a volte infastidisce), alla costante ricerca di umani in possesso di cosiddetti "geni terminali", ma perché il cerca? Non si saprà mai; Qual è il suo passato, da dove viene? Non si saprà mai. La mancanza di introspezione psicologica rende i personaggi anonimi e piatti.
La trama è assolutamente incomprensibile! Stessa cosa per il finale.

La forza di quest'opera per me è la poetica legata a questo mondo così oscuro, ipnotico e misterioso, questa poetica rispecchia l'intimità personale dell'autore Tsutomu Nihei, e quindi il lettore non può che dare una valutazione altamente soggettiva, a seconda della sua sensibilità tenendo conto anche dei suoi gusti personali, e quindi del suo cogliere quella poetica o meno.
Penso che ogni parere sia valido, sia positivo che negativo, perchè "Blame!" non ha mezze misure.

Lo consiglierei solo agli amanti delle opere di matrice cyberpunk preavvisando però che si deve essere disposti ad immergersi nella poetica dell'autore senza riferimenti o trama.

7.5/10
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"Kyashan Sins" è un anime che suscita sentimenti molto contrastanti.
Si può dire che sia una fabbrica di emozioni, ma purtroppo non tutte quelle che stimola sono positive, e non solo perché è profondamente cupo e malinconico, oserei quasi dire tragico.

In primis occorre specificare che non ho mai visto la serie originale del 1973, anche se non è escluso che non lo faccia in seguito, per cui non ci saranno paragoni con l’opera madre. Come è forse giusto che sia, perché quella di cui parlo è questa opera, e nessun’altra.

Kyashan si risveglia senza alcun ricordo, ci dicono dopo un sonno di cent’anni, in un mondo in completo decadimento, caratterizzato quasi ovunque da distese desertiche, vento incessante, città fantasma e robot in rovina. La maggior parte di questi automi è di tipo apparentemente molto primitivo e porta segni più o meno pesanti di ruggine e disfacimento. Ci sono poi alcuni robot, come lo stesso Kyashan e una mezza dozzina d’altri, che hanno un aspetto molto più rifinito, più o meno completamente umano. Col tempo, anche questi altri subiscono l’effetto della rovina imperante, disfacendosi in ruggine e, quindi, morendo. Gli esseri umani sono pochissimi e hanno scarsa importanza ai fini della storia.
Quello che ci dicono subito è che Kyashan avrebbe un tempo ucciso Luna, il Sole che dava salvezza a speranza a tutti, e da quel momento la rovina si sarebbe abbattuta sul mondo. Qualcuno ha messo in giro la voce che chi divora Kyashan sarà al sicuro dalla onnipresente morte per l’incessante deterioramento, per cui il nostro è costantemente aggredito da stuoli di automi più o meno in forze, al mantra di 'uccidere Kyashan, divorare Kyashan'.

E’ con una certa meraviglia che lo vediamo autoripararsi dopo ogni battaglia, rimettendosi completamente a nuovo, qualunque fosse la gravità delle ferite. In pratica, dopo aver ucciso Luna, Kyashan sarebbe diventato immortale, unico essere in grado di vivere in eterno. E questa sua immortalità, unita al senso di colpa che comincia a provare per la convinzione di essere la causa della rovina del mondo, diviene uno dei leitmotiv dell’anime. Che sia accompagnato dal cane robotico Flender, o dalla piccola Ringo, o da Lyuze, una giovane dell’entourage di Luna inizialmente in cerca di vendetta, alla fine le battaglie reali e interiori del nostro eroe sempre su questi concetti vertono: la morte ovunque imperante, contrapposta alla sua immortalità, e il senso di colpa per essere la causa del disfacimento del mondo.

Si tratta di 24 episodi il che, per un anime incentrato su temi così cupi e ripetitivi, agli occhi di chi scrive si è rivelata una lunghezza eccessiva. Nella prima dozzina di puntate accade ben poco, trattandosi più che altro di una serie di episodi autoconclusivi in cui viene pian piano sviscerato il concetto della colpa di Kyashan, della decadenza del mondo, della sua immortalità, e in cui si conoscono diversi personaggi di contorno, alcuni dei quali lo accompagneranno fino alla fine. Ci sono vicende che sottolineano l’importanza del non morire da soli, o di coltivare i propri sogni e convinzioni anche guardando in faccia il proprio infausto destino.

Ogni episodio, preso in sé, è un piccolo e solenne gioiello ma, messi tutti in fila, finiscono per irritare lo spettatore superficiale di scarsa pazienza, quale può essere la sottoscritta. Più di una volta ci si domanda esasperati: sì, ok, tutto bellissimo, ma la trama dov’è?

La trama arriva passata la boa della metà della serie, e non si può nemmeno dire che tutte le puntate precedenti siano servite per un efficace world building: l’esistenza dei vari tipi di robot va presa con un atto di fede, non sappiamo come vivano e funzionino, molti piangono e paiono provare emozioni, necessitano di riposo, alcuni si baciano, ce ne sono addirittura di bambini, e che crescono. Insomma: non ci viene detto assolutamente nulla di come sia nato e funzioni questo mondo in rovina. È così e basta.

Se il personaggio di Kyashan viene sviluppato molto bene, una discreta attenzione viene riservata anche ai comprimari: le già citate Lyuze e Ringo, e gli antagonisti Dio e Leda, che sono apparentemente dello stesso tipo di Kyashan, ma con la importante differenza di non essere immortali. E se Dio soffre di un pesante senso di inferiorità verso Kyashan, di cui dice di aver visto sempre solo le spalle, Leda non si fa scrupolo di irretirlo e sfruttarlo per i suoi scopi. Ma, purtroppo, quello che forse veramente manca a questa serie è un buon villain. Dio e Leda sono quasi imbarazzanti e Braiking Boss, il capintesta di cent’anni prima, è completamente non pervenuto.

Parlando dei disegni, il chara mi è piaciuto parecchio nonostante il gusto molto retro, vista la somiglianza con Saint Seya, e gli occhi enormi che si mangiano mezza faccia. Buoni, anche se non eccelsi, i fondali. Sulle animazioni, personalmente le ho trovate incostanti: ci sono stati alcuni episodi in cui c’era un’abbondanza di quadri fissi e l’inquadratura rifuggiva l’azione, altri in cui erano una gioia per gli occhi.

I doppiatori giapponesi hanno fatto un ottimo lavoro, almeno al mio orecchio, e alcune musiche di sottofondo le ho trovate particolarmente struggenti e azzeccate, anche se forse non molto varie. Le ending non mi hanno lasciato ricordi nel bene o nel male, mentre l’unica opening, dal testo azzeccatissimo, era molto bella in sé, ma ho trovato la parte musicale, per quanto orecchiabile, poco adatta all’anime: pareva di ascoltare una canzone brasiliana!

Sorvolando, come è giusto che sia, sul finale, in conclusione "Kyashan Sins" è un’opera che, a mio parere, avrebbe guadagnato molto con una mezza dozzina di episodi in meno. È vero, è un anime introspettivo e filosofico, certamente non adatto a spettatori di ogni tipo. I drammi, i simbolismi, i ragionamenti che lo permeano sono molto profondi, a volte anche troppo. Una certa ripetitività e, a tratti, un evidente intento didascalico, lo rendono sicuramente meno fruibile di quanto avrebbe potuto essere. Vedere i due antagonisti maschi in continua lordosi può essere visto come simbolico, o essere irritante. Mai come in questo caso, la bellezza sta nell’occhio di chi guarda.