Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Nami yo kiitekure
8.5/10
"Nami yo kiitekure" o "Wave, Liste to me!" l'ho scoperto per puro caso su nota piattaforma streaming on line e al termine della visione dei 12 episodi posso solo scrivere che ne sono rimasto affascinato.
Trama e sceneggiatura originalissime, fuori dagli schemi e dal mainstream imperante, "Nami yo kiitekure" ha soddisfatto quasi appieno quel mio desiderio di un anime "maturo", vero, diretto, senza fronzoli e forzature romantiche a lieto fine, senza quel gusto tutto nipponico di raccontare la vita per metafore (che apprezzo tanto, ma che ogni tanto diventa troppo astratto e non sempre facilmente accettabile dagli occidentali)...
Fatte le debite proporzioni, l'anime che narra le vicissitudini di Minare Koda, personaggio femminile protagonista impossibile da chiudere in una semplice definizione, sembra assimilabile al film dedicato alla "mitica" Bridget Jones "de noantri"... ossia il simbolo di tutte le donne alla soglia dei trenta, single ("per scelta... degli altri" come scriverebbe il buon Massimo Gramellini) e in perenne crisi esistenziale, goffe, frustrate, che non riescono a trovare il loro posto nel mondo e il loro equilibrio.
Pur non essendo un anime romantico, come in Bridget Jones, per Minare saranno determinanti nella sua evoluzione due uomini: il primo, in negativo, è Mitsuo Suga, l'ex donnaiolo truffatore di cui resta comunque invaghita quasi fino alla fine, l’altro, in positivo, è Kanetsugu Matō, il direttore di una radio di Sapporo che scopre e crede nel talento di Minare tanto da diventare il suo pigmalione e mentore, lanciandola nel mondo radiofonico sfruttando la sua incredibile capacità di improvvisare con le parole e cavarsela in ogni circostanza.
Tutta la storia si basa sulla difficoltà di Minare di "metabolizzare" la truffa economica e d'amore subita da Mitsuo. In questo, si vede il parallelismo con Bridget Jones: Minare è come lei, imbranata, insicura, un po' infantile e sognatrice, impacciata, abituata a banalizzare e maltrattare ogni cosa e persona, una sorta di anti-eroina contro lo stereotipo delle ragazze nei manga e anime giapponesi. Abituati a ben altro, Minare è come uno tsunami: nell'anime, complice una doppiatrice di livello, sembra una mitragliatrice che spara raffiche di parole senza prendersi una pausa, con intonazioni e pause che fanno spaccare dalle risate con una ironia "adulta" che non trova molti pari nel panorama degli anime che ho potuto visionare. Un personaggio del genere non può lasciare indifferenti: con le sue incursioni verbali pialla tutti i personaggi (tranne uno, Kanetsugu Matō, che riesce con poche parole dette al momento giusto a inibirla o, almeno, a contenerla) e può risultare "molesta", anche allo spettatore. Ed è un personaggio che spicca sugli altri personaggi femminili comprimari che rientrano a vario titolo nella "normalità" e stereotipi delle ragazze e donne giapponesi: Mizuho Nanba, Madoka Chishiro e Makie Tachibana.
Altro punto di forza dell'anime è l'ambientazione in una stazione radiofonica. E qui è un altro atto di coraggio: ambientare la trama in una radio è a dir poco originale, sebbene coerente con il talento di Minare, l'arte oratoria.
E allora si potrebbe scrivere che "Video (didn't) kill the radio star": significativi gli spiegoni di Mato in cui illustra i punti della forza comunicativa della radio e come sfruttarla al meglio da parte di Minare.
Dal punto di vista grafico, a me il chara design è piaciuto, nonostante la sua essenzialità e l'ombra grigia negli occhi dei personaggi, che francamente non ho compreso. Ogni tanto l'animazione non è sempre stata all'altezza...
A livello musicale, apprezzabile l'ending...
Tratto da "Born to be on air" di Hiroaki Samura (che è autore di altri best sellers, ad esempio, "L'immortale"), "Wave, listen to me" sembra un anime di difficile collocazione di genere. E questo limite potrebbe rappresentare la sua croce e la sua delizia. Ma il suo realismo scanzonato e privo di eccessi di "poesia" diventa il ritratto di una generazione di donne e uomini in cui ognuno di noi può identificarsi.
Trama e sceneggiatura originalissime, fuori dagli schemi e dal mainstream imperante, "Nami yo kiitekure" ha soddisfatto quasi appieno quel mio desiderio di un anime "maturo", vero, diretto, senza fronzoli e forzature romantiche a lieto fine, senza quel gusto tutto nipponico di raccontare la vita per metafore (che apprezzo tanto, ma che ogni tanto diventa troppo astratto e non sempre facilmente accettabile dagli occidentali)...
Fatte le debite proporzioni, l'anime che narra le vicissitudini di Minare Koda, personaggio femminile protagonista impossibile da chiudere in una semplice definizione, sembra assimilabile al film dedicato alla "mitica" Bridget Jones "de noantri"... ossia il simbolo di tutte le donne alla soglia dei trenta, single ("per scelta... degli altri" come scriverebbe il buon Massimo Gramellini) e in perenne crisi esistenziale, goffe, frustrate, che non riescono a trovare il loro posto nel mondo e il loro equilibrio.
Pur non essendo un anime romantico, come in Bridget Jones, per Minare saranno determinanti nella sua evoluzione due uomini: il primo, in negativo, è Mitsuo Suga, l'ex donnaiolo truffatore di cui resta comunque invaghita quasi fino alla fine, l’altro, in positivo, è Kanetsugu Matō, il direttore di una radio di Sapporo che scopre e crede nel talento di Minare tanto da diventare il suo pigmalione e mentore, lanciandola nel mondo radiofonico sfruttando la sua incredibile capacità di improvvisare con le parole e cavarsela in ogni circostanza.
Tutta la storia si basa sulla difficoltà di Minare di "metabolizzare" la truffa economica e d'amore subita da Mitsuo. In questo, si vede il parallelismo con Bridget Jones: Minare è come lei, imbranata, insicura, un po' infantile e sognatrice, impacciata, abituata a banalizzare e maltrattare ogni cosa e persona, una sorta di anti-eroina contro lo stereotipo delle ragazze nei manga e anime giapponesi. Abituati a ben altro, Minare è come uno tsunami: nell'anime, complice una doppiatrice di livello, sembra una mitragliatrice che spara raffiche di parole senza prendersi una pausa, con intonazioni e pause che fanno spaccare dalle risate con una ironia "adulta" che non trova molti pari nel panorama degli anime che ho potuto visionare. Un personaggio del genere non può lasciare indifferenti: con le sue incursioni verbali pialla tutti i personaggi (tranne uno, Kanetsugu Matō, che riesce con poche parole dette al momento giusto a inibirla o, almeno, a contenerla) e può risultare "molesta", anche allo spettatore. Ed è un personaggio che spicca sugli altri personaggi femminili comprimari che rientrano a vario titolo nella "normalità" e stereotipi delle ragazze e donne giapponesi: Mizuho Nanba, Madoka Chishiro e Makie Tachibana.
Altro punto di forza dell'anime è l'ambientazione in una stazione radiofonica. E qui è un altro atto di coraggio: ambientare la trama in una radio è a dir poco originale, sebbene coerente con il talento di Minare, l'arte oratoria.
E allora si potrebbe scrivere che "Video (didn't) kill the radio star": significativi gli spiegoni di Mato in cui illustra i punti della forza comunicativa della radio e come sfruttarla al meglio da parte di Minare.
Dal punto di vista grafico, a me il chara design è piaciuto, nonostante la sua essenzialità e l'ombra grigia negli occhi dei personaggi, che francamente non ho compreso. Ogni tanto l'animazione non è sempre stata all'altezza...
A livello musicale, apprezzabile l'ending...
Tratto da "Born to be on air" di Hiroaki Samura (che è autore di altri best sellers, ad esempio, "L'immortale"), "Wave, listen to me" sembra un anime di difficile collocazione di genere. E questo limite potrebbe rappresentare la sua croce e la sua delizia. Ma il suo realismo scanzonato e privo di eccessi di "poesia" diventa il ritratto di una generazione di donne e uomini in cui ognuno di noi può identificarsi.
Recensione di Irene Tempesta
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Come nei suoi lavori precedenti "La mia prima volta, My Lesbian Experience with Loneliness" e "Lettere a me stessa", Kabi Nagata torna a raccontare di sè attraverso l'ennesimo volume autoconclusivo col suo stile inconfondibile.
"La mia fuga Alcolica" è l'ennesima dimostrazione di un talento nascente.
In questo manga l'autrice parla della sua esperienza di ospedalizzazione, durata un paio di mesi, per un ricovero urgente dovuto a una pancreatite acuta causata da un consumo eccessivo di alcol.
Oltre al periodo di degenza in ospedale vengono narrate le vicende che l'hanno portata a diventare un'alcolista: il blocco creativo, la depressione, il senso di inadeguatezza, la solitudine, la vitale esigenza di bere per perdonarsi e dimenticare le brutte esperienze, sono alcune delle intense tematiche trattate, la cui drammaticità stride con il tratto caricaturale dell'autrice e il colore chiaro e positivo del bianco e arancio fluo presente in tutte le pagine, suo segno distintivo (con "Lettere a me stessa" il colore era il rosa chiaro).
In "La mia fuga alcolica" Nagata spiega che coi precedenti lavori autobiografici pubblicati aveva fatto piangere i suoi genitori e non in senso buono perciò, durante la degenza in ospedale, cercò di portare avanti un progetto legato a una fiction totalmente inventata decidendo inizialmente di non puntare più sulle autobiografie. La cosa interessante è che, nonostante il suo impegno (dovuto ai sensi di colpa) e alle numerose revisioni da parte del suo editor, nessuna casa editrice è convinta della pubblicazione. Presto Nagata capirà che raccontare di se stessa non solo porta a pubblicazioni e vendite, ma soprattutto l'aiuterà a prendere maggiore consapevolezza di quanto le è accaduto e che non c'è nulla di imbarazzante o vergognoso nel mostrarsi per come si è, cosa che inizialmente la tormentava.
Infatti i suoi lavori hanno ricevuto numerosi premi internazionali, come lei stessa scrive, quando era in ospedale il suo editor le comunicò che l'edizione inglese de "La mia prima volta" aveva vinto il premio come miglior manga al "Harvey Awards".
Devo dire che infatti tutte le opere di Nagata, in quanto autobiografiche, sono incredibili per profondità psicologica, estrema sincerità nel narrare la solitudine e la depressione, e un lieve tratto di ironia in una lettura spesso straziante e triste.
Per molti versi mi ha ricordato il magnifico "Diario della mia scomparsa" del compianto Hideo Azuma.
La J-Pop ha fatto un'ottima edizione di grande qualità, come sempre.
Specifico che non è una lettura per tutti: se si riesce ad empatizzare anche poco con le sue esperienze di vita la lettura può diventare pesante e difficile da continuare, soprattutto con la precedente opera "Lettere a me stessa".
Tuttavia io consiglio assolutamente questo manga a tutti perché è un pezzo di vita interessante e intenso.
Chiarisco anche che questo volume per me è tra i più leggeri da lei pubblicati, quindi a mio parere può essere letto come prima lettura per tastare questa autrice, quindi compratelo!
E se vi piacerà, consiglio di leggete le precedenti opere di Kabi Nagata, non ve ne pentirete.
"La mia fuga Alcolica" è l'ennesima dimostrazione di un talento nascente.
In questo manga l'autrice parla della sua esperienza di ospedalizzazione, durata un paio di mesi, per un ricovero urgente dovuto a una pancreatite acuta causata da un consumo eccessivo di alcol.
Oltre al periodo di degenza in ospedale vengono narrate le vicende che l'hanno portata a diventare un'alcolista: il blocco creativo, la depressione, il senso di inadeguatezza, la solitudine, la vitale esigenza di bere per perdonarsi e dimenticare le brutte esperienze, sono alcune delle intense tematiche trattate, la cui drammaticità stride con il tratto caricaturale dell'autrice e il colore chiaro e positivo del bianco e arancio fluo presente in tutte le pagine, suo segno distintivo (con "Lettere a me stessa" il colore era il rosa chiaro).
In "La mia fuga alcolica" Nagata spiega che coi precedenti lavori autobiografici pubblicati aveva fatto piangere i suoi genitori e non in senso buono perciò, durante la degenza in ospedale, cercò di portare avanti un progetto legato a una fiction totalmente inventata decidendo inizialmente di non puntare più sulle autobiografie. La cosa interessante è che, nonostante il suo impegno (dovuto ai sensi di colpa) e alle numerose revisioni da parte del suo editor, nessuna casa editrice è convinta della pubblicazione. Presto Nagata capirà che raccontare di se stessa non solo porta a pubblicazioni e vendite, ma soprattutto l'aiuterà a prendere maggiore consapevolezza di quanto le è accaduto e che non c'è nulla di imbarazzante o vergognoso nel mostrarsi per come si è, cosa che inizialmente la tormentava.
Infatti i suoi lavori hanno ricevuto numerosi premi internazionali, come lei stessa scrive, quando era in ospedale il suo editor le comunicò che l'edizione inglese de "La mia prima volta" aveva vinto il premio come miglior manga al "Harvey Awards".
Devo dire che infatti tutte le opere di Nagata, in quanto autobiografiche, sono incredibili per profondità psicologica, estrema sincerità nel narrare la solitudine e la depressione, e un lieve tratto di ironia in una lettura spesso straziante e triste.
Per molti versi mi ha ricordato il magnifico "Diario della mia scomparsa" del compianto Hideo Azuma.
La J-Pop ha fatto un'ottima edizione di grande qualità, come sempre.
Specifico che non è una lettura per tutti: se si riesce ad empatizzare anche poco con le sue esperienze di vita la lettura può diventare pesante e difficile da continuare, soprattutto con la precedente opera "Lettere a me stessa".
Tuttavia io consiglio assolutamente questo manga a tutti perché è un pezzo di vita interessante e intenso.
Chiarisco anche che questo volume per me è tra i più leggeri da lei pubblicati, quindi a mio parere può essere letto come prima lettura per tastare questa autrice, quindi compratelo!
E se vi piacerà, consiglio di leggete le precedenti opere di Kabi Nagata, non ve ne pentirete.
"In quel salone nel carcere quella donna chissà che cielo osserva"
"Deep Sky - La gabbia delle nuvole" è un'opera proposta dalla collana Showcase della Dynit. Già nel suo titolo racchiude un curioso contrasto che richiama alla libertà della profondità del cielo ovattato da una gabbia di nuvole. Le sue autrici sono la scrittrice Mina Sakurai e la mangaka Marco Kohinata, che offre a "Deep Sky" - già nato come romanzo - una rappresentazione grafica.
"Deep Sky" è la storia della detenuta parrucchiera Haru Komatsubara e della sua capacità di fare rinascere le sue clienti. All'interno del carcere, infatti, è stato arrangiato un piccolo salone aperto al pubblico esterno e controllato da una poliziotta che vigila i flussi di ingresso e uscita. Le vere protagoniste di questa storia, infatti, sono proprio le donne che incrociano la vita di Haru.
Il volume è organizzato in quattro capitoli e ciascuno di essi è dedicato alla storia di una cliente. Tormentate, annoiate, irrequiete bisognose di varcare le mura bianche della città con cui si muovono in libertà e sperimentandone la frustrazione che può derivarne. Di fronte a una relazione complicata, ad una malattia che richiede delle cure, alla solitudine di una stanza vuota, le donne di queste storie cercano di reagire attraverso uno dei primi passi a noi tanto caro: andare dal parrucchiere.
Nel salone di Haru le clienti troveranno una presenza professionale, placida e accogliente che saprà accompagnare i loro dolori sforbiciando il passato e rimodellando il loro presente. Tra le mura protette di un luogo dalle pareti del colore del cielo, tra i profumi di uno shampoo e un balsamo, le protagoniste di queste storie troveranno compagnia, conforto e nuove prospettive.
Haru Komatsubara è una donna silenziosa, che sceglie le parole per le sue clienti e lo fa con gentilezza. Misteriosa e padrona del mestiere, è presente nelle scene raccontate dal punto di vista delle sue clienti e osservata dai loro occhi curiosi
"Chissà quanto pesano i capelli di Komatsubara"
Impariamo poco per volta a conoscere questa donna con i capelli raccolti a chignon dal suo comportamento ossequioso e discreto. Il desiderio di entrare nella sua vita e conoscerne il passato aumenta con l'avanzare della lettura. La natura ordinata e dolce che emerge dai racconti di chi la incrocia entra in contrasto con il profilo di un consueto detenuto. Chi è la timida Haru Komatsubara?
È stata una bella lettura, scorrevole e allo stesso tempo ricca di momenti per fermarsi a riflettere. Ciascun capitolo regala al lettore frammenti di consapevolezza attraverso la vita di donne che attraversano tutte le età e dilemmi del loro tempo. Il ruolo maieutico di Haru è affascinante e allo stesso tempo appare paradossale visto il regime restrittivo in cui si trova ad operare. Ho visto profondità umana e capacità di saperla rappresentare attraverso le tavole morbide di Marco Kohinata.
L'epilogo trasmette un bel messaggio e completa con onore la bellezza di quest'opera sicuramente consigliata.
"Deep Sky - La gabbia delle nuvole" è un'opera proposta dalla collana Showcase della Dynit. Già nel suo titolo racchiude un curioso contrasto che richiama alla libertà della profondità del cielo ovattato da una gabbia di nuvole. Le sue autrici sono la scrittrice Mina Sakurai e la mangaka Marco Kohinata, che offre a "Deep Sky" - già nato come romanzo - una rappresentazione grafica.
"Deep Sky" è la storia della detenuta parrucchiera Haru Komatsubara e della sua capacità di fare rinascere le sue clienti. All'interno del carcere, infatti, è stato arrangiato un piccolo salone aperto al pubblico esterno e controllato da una poliziotta che vigila i flussi di ingresso e uscita. Le vere protagoniste di questa storia, infatti, sono proprio le donne che incrociano la vita di Haru.
Il volume è organizzato in quattro capitoli e ciascuno di essi è dedicato alla storia di una cliente. Tormentate, annoiate, irrequiete bisognose di varcare le mura bianche della città con cui si muovono in libertà e sperimentandone la frustrazione che può derivarne. Di fronte a una relazione complicata, ad una malattia che richiede delle cure, alla solitudine di una stanza vuota, le donne di queste storie cercano di reagire attraverso uno dei primi passi a noi tanto caro: andare dal parrucchiere.
Nel salone di Haru le clienti troveranno una presenza professionale, placida e accogliente che saprà accompagnare i loro dolori sforbiciando il passato e rimodellando il loro presente. Tra le mura protette di un luogo dalle pareti del colore del cielo, tra i profumi di uno shampoo e un balsamo, le protagoniste di queste storie troveranno compagnia, conforto e nuove prospettive.
Haru Komatsubara è una donna silenziosa, che sceglie le parole per le sue clienti e lo fa con gentilezza. Misteriosa e padrona del mestiere, è presente nelle scene raccontate dal punto di vista delle sue clienti e osservata dai loro occhi curiosi
"Chissà quanto pesano i capelli di Komatsubara"
Impariamo poco per volta a conoscere questa donna con i capelli raccolti a chignon dal suo comportamento ossequioso e discreto. Il desiderio di entrare nella sua vita e conoscerne il passato aumenta con l'avanzare della lettura. La natura ordinata e dolce che emerge dai racconti di chi la incrocia entra in contrasto con il profilo di un consueto detenuto. Chi è la timida Haru Komatsubara?
È stata una bella lettura, scorrevole e allo stesso tempo ricca di momenti per fermarsi a riflettere. Ciascun capitolo regala al lettore frammenti di consapevolezza attraverso la vita di donne che attraversano tutte le età e dilemmi del loro tempo. Il ruolo maieutico di Haru è affascinante e allo stesso tempo appare paradossale visto il regime restrittivo in cui si trova ad operare. Ho visto profondità umana e capacità di saperla rappresentare attraverso le tavole morbide di Marco Kohinata.
L'epilogo trasmette un bel messaggio e completa con onore la bellezza di quest'opera sicuramente consigliata.
Idem.
Di Nami yo kiitekure volevo provare il manga, ma ho letto pareri contrastanti, quindi l’ho in lista recupero per più avanti… magari potrei dare un’occhiata all’anime intanto.
Della nagata invece ho preso il primo volume, particolare, anche come disegni, ma molto intenso, mi è piaciuto… proseguirò con gli altri poi.
L'anime a me era piaciuto parecchio, soprattutto perché tratta un argomento particolare e lo fa davvero bene. Dopo l'anime ho iniziato a recuperare il manga, che graficamente è ottimo visto che è disegnato da Samura, il problema è che esce davvero col contagocce
Eh si ho visto, la frequenza di uscita è un altro dei motivi per cui non l’ho preso subito…
A Nami yo Kitekure ho dato 7. Una serie interessante, adulta e diversa dal solito, ma gli manca quel nonsoche in grado di entusiasmarmi. Sarà anche che Hiroaki Samura non è troppo nelle mie corde.
Gli altri due non li conosco.
La mia fuga alcolica - scappando dalla realtà non lo conosco sinceramente.
Deep Sky invece è stata una piacevolissima lettura!
Sono invece super curiosa di leggere la mia fuga alcolica, la recensione mi ha convinta.
Decisamente: le ho amate tutte e tre!
Deep Sky è per me proprio perfetto, non uno sbavo, non un'incertezza...
La mia fuga alcolica, come tutto quanto uscito dalle mani di Kabi Nagata, mi mette ansia per lei, ma mi emoziona sempre!
Nami yo kiitekure è una serie che mi ha rapito, ho amato molto Minare con i suoi marcati difetti, con la sua complessa umanità, prima o poi recupererò il manga, il tratto di Samura è un'altra cosa che amo moltissimo.
sidvicious sinceramente penso di si.
I temi trattati dall'autrice sono abbastanza universali, penso ci si possa identificare per entrambi i sessi.
Io ho letto solo il primo, che teoricamente sarebbe anche quello che più guarda a cose femminili, e secondo me va bene per chiunque… sono più spaccati di vita di una persona che mette a nudo se stessa e i suoi problemi…
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