Recensione
The Eccentric Family
7.0/10
Recensione di Locke Cole
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Piacevolissima e inattesa speranza nel desolante panorama dell'animazione contemporanea, "Uchōten Kazoku" nasce dalla talentuosa penna del già celebre Tomihiko Morimi, scrittore di "Yojōhan Shinwa Taikei", poi trasposto nell'eccentrico e brillante "The Tatami Galaxy".
Vi sono rare opere che sanno evocare la quotidianità, col tedio che l'attraversa e le sue piccole soddisfazioni, e "Uchōten Kazoku" ci riesce, con squisita delicatezza e dolce malinconia, facendo vivere la mondanità della Kyoto contemporanea sulla scena. In questo luogo prende vita il folklore nipponico e tanuki, tengu e uomini camminano gli uni a fianco agli altri, per quanto questi ultimi siano, al contempo, inconsapevoli di ciò eppure incomparabilmente superiori agli altri (sebbene di ciò non si dia una ragione né un significato), impenetrabili ai loro pensieri e destinati ad essere solo ammirati e null'altro.
Proprio con i piccoli occhi dei tanuki si vedrà la vicenda, punto d'osservazione di questo universo. Questo permette d'istituire l'analogia che fa della vita di Yasaburō, primo protagonista dell'opera, il parallelo dell'umanità dispersa nella quotidianità, tutta intenta ad affogarsi nel divertissement e, infine, a scampare al pensiero della propria morte.
Proprio la distruzione della vita incombe come un monito costante sull'esistenza dei tanuki, col rischio annuale d'essere divorati dagli umani nelle loro ricorrenze, inconcepibili nella loro distanza dai tanuki, i quali ultimi non possono che seguitare la loro vita dimenticando tale minaccia, ossessionandosi sulla quale anzi non potrebbero affatto vivere.
Questa lettura mitica della contemporaneità s'incentrerà sulla famiglia Shimogamo e i suoi piccoli ma essenziali dilemmi, allargandosi a seguire le conflittualità proprie delle maglie sociali nelle quali è imbrigliata.
Nondimeno lo sguardo talvolta si solleva e precisamente nel contatto con l'umanità, nell'incontro col predatore e con la possibilità ultima della propria distruzione, dove la sicurezza della quotidianità sembra scuotersi e dalla rottura dell'inautenticità emerge la riflessione sulla morte. Neanche questa viene portata ai suoi limiti estremi e la speculazione resta sospesa con lievità nell'ambiguità. In questo modo, muovendosi sul bordo sottile di una quotidianità che è sempre sul punto di squarciarsi, "Uchōten Kazoku" viene accompagnato da un'insopprimibile istanza tragica sempre più impellente, che, ahimè, sfuma sino a dissiparsi nella chiusura, con l'inappropriata e inattesa svolta spensierata che la serie prende nell'avvicinarsi all'epilogo.
Nonostante tale grave caduta, l'opera merita non pochi elogi, dalla calibratissima sceneggiatura alla finissima regia, in un mosaico d'emozioni tenui ma non flebili, che sa muovere a commozione senza scadere nel patetismo, costituendo un'immensa allegoria dove l'umanità vede con gli occhi dei tanuki e nel loro rapporto con l'umanità in scena le possibilità della propria esistenza e della fuga dall'orrore della noia e dal pensiero della propria morte, il tutto letto secondo la prospettiva dei piccoli tanuki.
In tutto questo v'è Benten, la più affascinante figura della vicenda, la cui presenza è giocata nei grandi silenzi e il cui impenetrabile dubbio non riceve mai soluzione, donde cagiona il suo irresistibile magnetismo. Emblema dell'insaziabile avidità, irraggiungibile e mortale oggetto del desiderio di Yasaburō, primo e ultimo dilemma per lo spettatore, il suo utilizzo nell'opera è talmente efficace da risultare insufficiente e indebita una sua trattazione in questa sede.
In conclusione, siamo accompagnati in tali visione da scenari dalla bellezza estasiante e dalla cura impeccabile, che guidano lo spettatore tra spazi urbani e vedute naturali di Kyoto, sui quali si stagliano le sagome minimamente sbozzate dei personaggi, felice giustapposizione capace d'esaltare ancor più sfondi ed ambienti.
"Uchōten Kazoku" è un'opera lodevole, che sa osare entro i severi limiti imposti dal grande pubblico senza sconfinare nello sperimentalismo da quest'ultimo tanto esecrato, una piccola speranza nei tempi terribili che l'animazione vive, una visione dell'unico rimedio per sopportare l'esistenza, la spensieratezza della quotidianità, e trovare in essa la felicità, fasulla o meno che sia.
Vi sono rare opere che sanno evocare la quotidianità, col tedio che l'attraversa e le sue piccole soddisfazioni, e "Uchōten Kazoku" ci riesce, con squisita delicatezza e dolce malinconia, facendo vivere la mondanità della Kyoto contemporanea sulla scena. In questo luogo prende vita il folklore nipponico e tanuki, tengu e uomini camminano gli uni a fianco agli altri, per quanto questi ultimi siano, al contempo, inconsapevoli di ciò eppure incomparabilmente superiori agli altri (sebbene di ciò non si dia una ragione né un significato), impenetrabili ai loro pensieri e destinati ad essere solo ammirati e null'altro.
Proprio con i piccoli occhi dei tanuki si vedrà la vicenda, punto d'osservazione di questo universo. Questo permette d'istituire l'analogia che fa della vita di Yasaburō, primo protagonista dell'opera, il parallelo dell'umanità dispersa nella quotidianità, tutta intenta ad affogarsi nel divertissement e, infine, a scampare al pensiero della propria morte.
Proprio la distruzione della vita incombe come un monito costante sull'esistenza dei tanuki, col rischio annuale d'essere divorati dagli umani nelle loro ricorrenze, inconcepibili nella loro distanza dai tanuki, i quali ultimi non possono che seguitare la loro vita dimenticando tale minaccia, ossessionandosi sulla quale anzi non potrebbero affatto vivere.
Questa lettura mitica della contemporaneità s'incentrerà sulla famiglia Shimogamo e i suoi piccoli ma essenziali dilemmi, allargandosi a seguire le conflittualità proprie delle maglie sociali nelle quali è imbrigliata.
Nondimeno lo sguardo talvolta si solleva e precisamente nel contatto con l'umanità, nell'incontro col predatore e con la possibilità ultima della propria distruzione, dove la sicurezza della quotidianità sembra scuotersi e dalla rottura dell'inautenticità emerge la riflessione sulla morte. Neanche questa viene portata ai suoi limiti estremi e la speculazione resta sospesa con lievità nell'ambiguità. In questo modo, muovendosi sul bordo sottile di una quotidianità che è sempre sul punto di squarciarsi, "Uchōten Kazoku" viene accompagnato da un'insopprimibile istanza tragica sempre più impellente, che, ahimè, sfuma sino a dissiparsi nella chiusura, con l'inappropriata e inattesa svolta spensierata che la serie prende nell'avvicinarsi all'epilogo.
Nonostante tale grave caduta, l'opera merita non pochi elogi, dalla calibratissima sceneggiatura alla finissima regia, in un mosaico d'emozioni tenui ma non flebili, che sa muovere a commozione senza scadere nel patetismo, costituendo un'immensa allegoria dove l'umanità vede con gli occhi dei tanuki e nel loro rapporto con l'umanità in scena le possibilità della propria esistenza e della fuga dall'orrore della noia e dal pensiero della propria morte, il tutto letto secondo la prospettiva dei piccoli tanuki.
In tutto questo v'è Benten, la più affascinante figura della vicenda, la cui presenza è giocata nei grandi silenzi e il cui impenetrabile dubbio non riceve mai soluzione, donde cagiona il suo irresistibile magnetismo. Emblema dell'insaziabile avidità, irraggiungibile e mortale oggetto del desiderio di Yasaburō, primo e ultimo dilemma per lo spettatore, il suo utilizzo nell'opera è talmente efficace da risultare insufficiente e indebita una sua trattazione in questa sede.
In conclusione, siamo accompagnati in tali visione da scenari dalla bellezza estasiante e dalla cura impeccabile, che guidano lo spettatore tra spazi urbani e vedute naturali di Kyoto, sui quali si stagliano le sagome minimamente sbozzate dei personaggi, felice giustapposizione capace d'esaltare ancor più sfondi ed ambienti.
"Uchōten Kazoku" è un'opera lodevole, che sa osare entro i severi limiti imposti dal grande pubblico senza sconfinare nello sperimentalismo da quest'ultimo tanto esecrato, una piccola speranza nei tempi terribili che l'animazione vive, una visione dell'unico rimedio per sopportare l'esistenza, la spensieratezza della quotidianità, e trovare in essa la felicità, fasulla o meno che sia.