Recensione
Metropolis
6.0/10
Recensione di Caniderrimo
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Penso che ai giorni nostri l'unica ragione in grado di spingere qualcuno nell'impresa di riesumare un fumetto come "Metropolis" sia la curiosità di leggere la storia il cui nome è stato reso noto dal più celebre film del 2001 di Rintaro e, forse, anche dal lungometraggio di Fritz Lang del 1927, da cui Tezuka prese spunto per la creazione del suo essere umano artificiale Michi. E tuttavia la verità è che questo manga non ha alcuna attinenza con i due titoli sopracitati, né loro si avvicina minimamente per qualità artistica. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel lontano 1949, in cui "Metropolis" venne pubblicato per la prima volta, e l'arte di Osamushi è notevolmente migliorata da allora, tanto da arrivare a regalarci opere immortali come "La Fenice" e relegando di fatto i suoi primi lavori nel vasto mare delle sue produzioni minori.
Il punto dolente è uno e uno solo: questo fumetto è fin troppo legato al tempo in cui fu scritto, insomma è vecchio. Prendiamo ad esempio trama e sceneggiatura: in un futuro non troppo lontano gli uomini, giunti all'apice del loro splendore tecnologico, vivono in enormi megalopoli e affidano incondizionatamente il loro futuro alla guida della tecnica e della scienza. Le menti più brillanti del pianeta si riuniscono a Metropolis per discutere le loro nuove scoperte, ma durante il congresso accade qualcosa di terribile. Misteriose macchie cominciano ad apparire sul sole destabilizzando il suo campo gravitazionale, strane creature appaiono nei sobborghi della città e come se non bastasse il dottor Lawton, impegnato da anni in studi sulle cellule sintetiche, viene rapito da un gruppo terroristico chiamato Red Party e costretto a creare per loro un essere umano artificiale dalle capacità prodigiose che li assista nei loro loschi affari. Nel contempo arriva dal Giappone un investigatore privato con l'incarico di arrestare proprio Duke Red, il leader di quell'organizzazione.
L'intreccio corre veloce e accumula trovate su trovate senza mai preoccuparsi di farsi da parte un momento per dar spazio all'approfondimento di personaggi e ambientazioni, rendendoli di fatto superficiali e stereotipati. Tutto questo, unito a cambi di scena molto spesso troppo rapidi, contribuisce a rendere l'intera avventura decisamente più discontinua e frammentaria di quanto avrebbe dovuto essere.
Non che ciò fosse un problema per il pubblico a cui "Metroplis" si rivolgeva. Un pubblico che spaziava essenzialmente dall'infanzia all'adolescenza e per il quale la fantascienza rappresentava in effetti una novità. Anche l'uso di stereotipi era a tutti gli effetti un vantaggio, un modo semplice con cui trasmettere degli ideali ben precisi in maniera immediata, in modo che chi leggeva potesse immediatamente identificarli in un determinato personaggio.
Kenichi, per esempio, presente come protagonista anche in "Metropolis", era il simbolo del ragazzino puro e onesto ad ogni costo, l'incarnazione di un eroe popolare cui non è difficile pensare i bambini volessero assomigliare durante gli anni successivi alla guerra. Eppure oggi un personaggio del genere risulta piuttosto seccante, piatto e poco interessante nella migliore delle ipotesi. Non è certo un caso che le sue apparizioni nelle storie di Tezuka siano andate sempre più diminuendo nel corso degli anni, proprio mentre il suo alter ego spirituale, Rock, stava subendo quella trasformazione che lo avrebbe portato a diventare uno dei più complessi e amati attori dello star system dell'autore.
Come se non bastasse, i disegni sono ancora molto cartooneschi (basti vedere il cameo del Mickimaus Waltdisneus), molto distanti dal gusto dei lettori moderni che generalmente preferiscono rappresentazioni più realistiche e volte a esaltare la spettacolarità dell'azione. Non che questo sia un problema, visto che i principali fruitori di "Metropolis" saranno probabilmente fan di lunga data di Tezuka, e in effetti è solamente a loro che mi sentirei di consigliare questo manga o, eventualmente, a chi si senta un po' archeologo del fumetto.
Il punto dolente è uno e uno solo: questo fumetto è fin troppo legato al tempo in cui fu scritto, insomma è vecchio. Prendiamo ad esempio trama e sceneggiatura: in un futuro non troppo lontano gli uomini, giunti all'apice del loro splendore tecnologico, vivono in enormi megalopoli e affidano incondizionatamente il loro futuro alla guida della tecnica e della scienza. Le menti più brillanti del pianeta si riuniscono a Metropolis per discutere le loro nuove scoperte, ma durante il congresso accade qualcosa di terribile. Misteriose macchie cominciano ad apparire sul sole destabilizzando il suo campo gravitazionale, strane creature appaiono nei sobborghi della città e come se non bastasse il dottor Lawton, impegnato da anni in studi sulle cellule sintetiche, viene rapito da un gruppo terroristico chiamato Red Party e costretto a creare per loro un essere umano artificiale dalle capacità prodigiose che li assista nei loro loschi affari. Nel contempo arriva dal Giappone un investigatore privato con l'incarico di arrestare proprio Duke Red, il leader di quell'organizzazione.
L'intreccio corre veloce e accumula trovate su trovate senza mai preoccuparsi di farsi da parte un momento per dar spazio all'approfondimento di personaggi e ambientazioni, rendendoli di fatto superficiali e stereotipati. Tutto questo, unito a cambi di scena molto spesso troppo rapidi, contribuisce a rendere l'intera avventura decisamente più discontinua e frammentaria di quanto avrebbe dovuto essere.
Non che ciò fosse un problema per il pubblico a cui "Metroplis" si rivolgeva. Un pubblico che spaziava essenzialmente dall'infanzia all'adolescenza e per il quale la fantascienza rappresentava in effetti una novità. Anche l'uso di stereotipi era a tutti gli effetti un vantaggio, un modo semplice con cui trasmettere degli ideali ben precisi in maniera immediata, in modo che chi leggeva potesse immediatamente identificarli in un determinato personaggio.
Kenichi, per esempio, presente come protagonista anche in "Metropolis", era il simbolo del ragazzino puro e onesto ad ogni costo, l'incarnazione di un eroe popolare cui non è difficile pensare i bambini volessero assomigliare durante gli anni successivi alla guerra. Eppure oggi un personaggio del genere risulta piuttosto seccante, piatto e poco interessante nella migliore delle ipotesi. Non è certo un caso che le sue apparizioni nelle storie di Tezuka siano andate sempre più diminuendo nel corso degli anni, proprio mentre il suo alter ego spirituale, Rock, stava subendo quella trasformazione che lo avrebbe portato a diventare uno dei più complessi e amati attori dello star system dell'autore.
Come se non bastasse, i disegni sono ancora molto cartooneschi (basti vedere il cameo del Mickimaus Waltdisneus), molto distanti dal gusto dei lettori moderni che generalmente preferiscono rappresentazioni più realistiche e volte a esaltare la spettacolarità dell'azione. Non che questo sia un problema, visto che i principali fruitori di "Metropolis" saranno probabilmente fan di lunga data di Tezuka, e in effetti è solamente a loro che mi sentirei di consigliare questo manga o, eventualmente, a chi si senta un po' archeologo del fumetto.