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9.0/10
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"Non appena un uomo riconobbe un altro uomo come un essere che sente, che pensa e che è simile a lui, il desiderio o il bisogno di comunicargli i propri sentimenti e i propri pensieri gliene fece cercare i mezzi."
[Jean-Jacques Rousseau]

Una canzone (la cosiddetta opening) dal tono malinconico sembra già dirci qualcosa, e poi silenzio. Un silenzio che circonda il primo personaggio con il quale abbiamo a che fare in questa serie: è Warp, protagonista di una straordinaria vicenda alla ricerca di sé stessi. Warp infatti si trova all'improvviso in un luogo che riconosce, non sapendo nemmeno chi è. Tutto ciò che appare come evidente è un medaglione che contiene la foto di una ragazza e un misterioso (e simbolico) buco sul petto. Eppure, questa situazione silenziosa (e perciò evocativa) viene subito spezzata: Warp viene catapultato in un inseguimento, e a cercarlo sono strani macchinari capaci di sottrarre la coscienza agli individui, lasciando un semplice corpo privo di vita. Riuscito temporaneamente a salvarsi, fa la conoscenza del luogo in cui si trova e delle persone che lo abitano, aiutato dal carismatico quanto misterioso Popo. Egli introduce l'insolito protagonista (e noi con lui) al mondo di Kaiba: ci troviamo in un futuro indefinito, nel quale è stato inventato un sistema capace di convertire i ricordi dei singoli individui in dati informatici. Tali dati, dunque, sono facilmente inseribili all'interno di chip. Tutto ciò fa sì che la vita sia modificabile in ogni suo aspetto: è possibile modificare la propria memoria, eliminando i ricordi negativi e inserendone di positivi. Ovviamente, poi, è possibile trasportare l'insieme dei ricordi in altri corpi, eliminando di fatto la morte. Ma tutto ciò, ci informa Popo, non è alla portata di tutti: inizialmente è stato possibile convertire i propri ricordi in dati informatici, ma poi, consolidata questa tecnologia, gli individui dotati di potere politico ed economico hanno creato delle piattaforme al di sopra del pianeta, inaccessibili per via di una nube elettromagnetica che per di più danneggia i chip, eliminando i ricordi. Separati in modo irreparabile, i deboli vivono in comunità segnate dalla miseria, impossibilitati ad acquistare corpi migliori e spesso anche costretti anche a vendere il proprio per sopravvivere. Con una punta di amarezza e disprezzo, Popo ci mette al corrente del fatto che "com'è sempre accaduto, i ricchi vivono alle spalle dei poveri", ma non tutto è finito: egli, assieme ad altri, appartiene a una organizzazione terroristica che ha lo scopo di rovesciare l'ordine politico, che ha il suo principale responsabile nel re. Ma Warp non ha tempo nemmeno per decidere se aiutare Popo: qualcuno riconosce un simbolo che ha sulla pancia (un triangolo rovesciato. Non sappiamo però che cosa venga riconosciuto precisamente in ciò, per ora), e Popo lo aiuta a fuggire di nuovo, non potendo però accompagnarlo.
Inizia, in questo modo, il grande viaggio solitario del protagonista alla ricerca della propria identità, iniziando come clandestino su una lussuosa nave spaziale. Nel suo percorso, Warp conoscerà diverse persone, sia ricche che povere, entrerà nelle loro vite e ne conoscerà le difficoltà e i trascorsi.

Riguardo a ciò, è facile pensare che il protagonista interagisca con le persone perché in cerca di una traccia del proprio passato, di una pista da seguire. Warp ritroverà i propri ricordi, ma esternamente (ovviamente le modalità non sono qui trattate, per evitare spoiler). Lui stesso sa che entrare nelle vite delle persone in questione non lo porterà a scoprire di più su suoi ricordi. E allora perché interagire con loro? Forse per uno "spirito di scoperta", per una curiosità insita nel personaggio? Oppure per altruismo, per un desiderio di aiutare gli altri? Nulla di tutto questo: Warp è un personaggio taciturno, introverso e poco incline ad aiutare gli altri. Kaiba non è né una Odissea "postmoderna" né un manifesto della pietà.
Ma allora perché queste interazioni, che portano spesso il protagonista a rischiare anche la vita? Cosa spinge il nostro "eroe" all'altro?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo prestare attenzione alla genesi di queste vicende: ci si accorge che la decisione di Warp non è mai determinante, egli è trascinato dalla situazione, agisce quasi passivamente. Perché questo? La risposta è che egli si sente richiamato dall'altro: nel cercare sé stesso attraverso lo spazio, finisce inevitabilmente per esigere l'altro. È cioè la sua stessa coscienza a richiedere la presenza dell'altro, ma non in un senso astratto: Warp non si "immischia" in modo irresistibile nelle vite altrui, non c'è una forza estrinseca alla quale egli inconsapevolmente obbedisce. Non c'è nulla di inconscio di tutto ciò: è inutile aspettarsi delle componenti psicoanalitiche o "escatologiche" in questo anime. Il fatto è semplicemente questo: Warp, nel cercare i propri ricordi, finisce per "cercare" l'altro. Più precisamente: nel momento in cui si ripercorrono i passaggi della costruzione di quello che si è, si finisce inevitabilmente nel cercare proprio ciò che, apparentemente, non è implicato in tale costruzione: gli altri soggetti. Più avanti, ritrovando i propri ricordi, Warp passerà da questa intuizione iniziale alla consapevolezza che l'identità richiede l'alterità, ma non nel senso (da noi spesso ingenuamente pensato) che prima c'è un'identità e poi c'è una alterità che arricchisce le nostre prospettive: per questo, originariamente, l'altro non è un voluto, un desiderato. E non è nemmeno un bisogno. Questo lo diventerà soltanto in seguito: all'inizio, l'altro è una necessità all'interno della genesi dell'identità, è un elemento costitutivo della nostra soggettività. L'identità si ha proprio quando l'Io si "guarda da fuori" e si riconosce (quando diciamo questo sono io), ma questa è una azione impossibile a farsi da soli la prima volta: deve esserci un elemento che ci "chiama", che, appunto, ci fa "uscire", che, facendo attenzione a noi, proprio a noi, ci dice "tu ci sei". E questo elemento non può che essere uno come noi, un qualcuno, un altro. La "traccia dell'altro" ci rimane per tutta la vita, e questo perché essa viene col costruirsi dell'identità. È questo che succede quando desideriamo o abbiamo bisogno delle altre persone al di fuori di contesti utilitaristici: più precisamente, noi ne sentiamo il desiderio, ne sentiamo il bisogno. L'altro non è un fenomeno come gli altri, perché viene prima di ogni esperienza. Per questo, l'altro non è un ricordo, ma affiora sempre da esso: l'esperienza è difatti sempre qualcosa di comunicabile. Ed è proprio questo che succede quando Warp incontra i vari personaggi: questi ultimi sentono la necessità di raccontare la propria esperienza, non semplicemente di trasferirla attraverso il chip. Si può trasferire ricordi quanto si vuole, ma, se non li si può raccontare, essi sono niente: questo perché raccontare è sempre anche un raccontarsi, un dialogo nel quale c'è sia un Io che un Tu. E l'Io richiede il Tu, non può farne a meno: in questo dialogo, chi più consapevole chi meno, chi serenamente chi con dolore, tutti i personaggi che incontriamo, ricchi o poveri, buoni o cattivi, riscoprono ciò che, nella ricerca spasmodica di una felicità senza dolori data dalla modificazione dei ricordi, avevano dimenticato. Ritrovando la presenza dell'altro, si rendono conto che l'identità non è soltanto un contenitore di ricordi, ma una struttura di rapporto col mondo che viene costruita dalle altre persone, sin da quando nasciamo. Ma queste persone non sono casuali: sono quelle che ci lasciano lo spazio, quelle che ci chiamano. Sono insomma le persone amate, quelle che ci amano, e che noi, in fondo, finiremo sempre per ricambiare.

Tutto il percorso di Warp è all'insegna di questo discorso, e la sua decisione finale (nell'ultimo episodio) è motivata da questo viaggio alla scoperta del Sé. All'inizio della nostra esistenza c'è l'altro, nel suo amarci. Cioè c'è qualcuno che, fra tutte le persone del mondo, ha scelto proprio noi. All'inizio non c'è l'odio, non c'è il conflitto. C'è l'amore: è solo perché siamo stati amati che possiamo disprezzare. È un rapporto purtroppo sempre in bilico, dobbiamo sempre avere a che fare col conflitto, perché l'amore non è unitario: nell'andare incontro all'altro rischiamo anche sempre di ferirlo. Eppure, non possiamo farne a meno. E per questo, non ne vale la pena?

Un grande racconto sull'identità e il suo inevitabile rapporto con l'alterità, che ci insegna che senza l'altro non solo non si può vivere, ma non si può nemmeno morire.