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Terza opera da regista del talentuoso animatore Sunao Katabuchi (già assistente di Hayao Miyazaki in “Kiki: Consegne a domicilio”), “In questo angolo di mondo” è un film di ambientazione bellica che si inserisce a pieno titolo in quella tradizione del cinema di animazione che rielabora il trauma subito dal Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, e che vede come punti fermi imprescindibili le opere “Gen di Hiroshima” di Masaki Mori e “Una tomba per le lucciole” di Isao Takahata.
La vicenda umanissima della giovane e coraggiosa Suzu si affianca quindi a quelle di Seita, Setsuko e Gen nel raccontare la Grande Storia attraverso un microscopio puntato sulle piccole storie e sulla vita quotidiana della gente comune. Katabuchi getta lo sguardo un po’ più indietro nel tempo, partendo dagli anni ‘30, per fotografare un angolo di Giappone che ormai non c’è più.

Partendo dall'omonima opera a fumetti di Fumiyo Kōno del 2007, adattata cinematograficamente grazie a una campagna di crowdfunding, “In questo angolo di mondo” ha riscosso un incredibile successo di pubblico in patria, dove ha vinto il premio “Animation of the Year” a Japan Academy Prize. Il film si è distinto anche all’estero aggiudicandosi premi al Toronto Japanese Film Festival e al prestigioso Annecy International Animated Film Festival. Recentemente è stato distribuito nei cinema italiani per un evento speciale di due giorni (il 19 e il 20 settembre) organizzato da Nexo Digital e Dynit.

La storia narra le vicende di Suzu Urano, ragazza di umile estrazione, sognatrice “con la testa fra le nuvole” e con una spiccata sensibilità artistica, che nel 1944, dopo un matrimonio combinato, si trasferisce da Hiroshima nella vicina Kure, città portuale dove si concentra il grosso della flotta nipponica. Qui è impegnata a governare la casa della famiglia di suo marito, Shusaku Hojo, funzionario della marina imperiale. Con la militarizzazione del Paese ai massimi livelli e il nemico alle porte, Suzu deve imparare l’arte della sopravvivenza nelle difficili condizioni di vita in tempo di guerra. I continui bombardamenti dell’aeronautica statunitense rendono quasi impossibile l’esistenza per gli abitanti di Kure, impotenti e costretti a rintanarsi nel sottosuolo a ogni richiamo delle sirene antiaeree. Anche la vita di Suzu è sconvolta, ma con tenacia, perseveranza, un pizzico di creatività e tanto coraggio, riesce sempre a ottenere il massimo con gli scarsi mezzi a sua disposizione.

La messa in scena è allestita con precisione storica e il regista supera sé stesso quando si sofferma sulla vita domestica e sulle dinamiche interpersonali. Il racconto di formazione gli consente di tratteggiare con estrema naturalezza la personalità di Suzu, e anche le figure che le vivono accanto sono caratterizzate meticolosamente, con particolare attenzione ai personaggi femminili. Il tono generale è nostalgico e un po’ sentimentale, con la sotto-trama romantica che esalta l’umanità della protagonista.

Nella prima parte il film riesce a essere delicato come la tavolozza dai toni pastello a cui attinge. Vibranti pennellate infondono vita alle scene con un gusto squisitamente pittorico, romantiche e sognanti come la protagonista, ci rivelano un’artigianalità (forse debitrice verso le ultime opere di Takahata) in netto contrasto con le tendenze foto-realistiche di certa animazione contemporanea. I raffinati disegni ci restituiscono la luce del sole, gli aghi di pino agitati dalla brezza primaverile e le nuvole fluttuanti, con un calore che l'azione dal vivo non potrebbe mai rappresentare.

Il Giappone pre-bellico di Suzu è un luogo idilliaco, un posto dove le persone vivono in armonia con la natura sulle soavi note dell’Adeste Fideles, e questo Paese così accogliente risplende di ancor più fulgida bellezza agli occhi della giovane artista.
Utilizzando migliaia di fotografie d’epoca, Katabuchi ricrea i contesti urbani e rurali degli anni '30 e '40 e cattura con sorprendente realismo la vita di quel mondo lontano. La ricostruzione è affettuosamente curata e si sofferma sulla meraviglia del paesaggio naturale in una maniera ancora una volta vicina all'estetica ghibliana. In questo scenario si muovono i vari personaggi, caratterizzati da un design pulito, morbido ed essenziale che ne esalta l’espressività.

Il ritmo del racconto è cadenzato da didascalie che ci ricordano puntualmente a che punto siamo della Grande Storia, quasi come un diario che, inesorabilmente, funge da terribile conto alla rovescia per quello che succederà in quel fatidico 6 agosto 1945. La struttura frammentata in brevi episodi ci permette di sedimentare la crescita di Suzu e lo sviluppo della sua personalità, grazie anche al sapiente uso dei flashback, spesso dispiegati attraverso i suoi stessi schizzi a matita che ci trasmettono la sua poetica visione del mondo.
Le scene domestiche, teneramente intimiste, racchiudono aneddoti che hanno il sapore dei ricordi, come se una donna matura raccontasse ai suoi nipoti di come abbia imparato a disegnare, a cucinare, a cucire un kimono in quei tempi lontani. Questo ritmo erratico di contemplativa lentezza ben presto subisce una svolta, quando i raid aerei diventano la normalità e la parabola di Suzu si fa più intensa e drammatica.

Il film mantiene sempre un registro emozionale pacato, senza plateali slanci patetici. L’eroismo con cui Suzu affronta la vita è dimesso e silenzioso: "Sei così ordinaria!", le viene rimproverato bonariamente dal suo compagno che sta per partire soldato. Il suo cuore d’artista è come un diaframma che le permette non solo di sopravvivere all'ombra della morte, ma di vivere in essa. L'esperienza di testimoniare la distruzione attraverso gli occhi di Suzu ha un impatto soffuso e quasi attenuato per lo spettatore. Il suo modo quasi stoico di interiorizzare gli orrori la fa apparire, nelle scene seguenti, appena scalfita da ciò che le succede.

Le atrocità mettono a dura prova la fervida immaginazione della nostra eroina, ma non bastano a spezzare i suoi sogni e a spegnere la sua innata capacità di assaporare la vita per quello che semplicemente è: "Anche in guerra, le cicale friniscono e le farfalle volano!". Talvolta la limpida purezza di Suzu si riflette nella luminosa innocenza della piccola Harumi che in un’occasione, sulle note di “Moonlight Serenade”, ingenuamente le chiede: "È questa la musica del nemico?".

Nel momento più buio e dolente del film è sufficiente un lugubre sfondo nero squarciato da caotici segni bianchi immersi in un silenzio stordente per toccarci nel profondo e farci rimanere abbacinati dall’oblìo. In questa seconda parte il racconto diventa sempre più straziante e troppo spesso Suzu si ritrova a fare i conti con la tragedia. Sperimenta a sue spese un grave incidente e si fa essa stessa triste metafora delle condizioni del suo Paese, che non sarà mai più come prima.

Nel terzo atto l’abisso di devastazione arriva puntuale, inevitabile. Il disastro atomico non di meno viene trattato con misurata distanza e preannunciato una sola volta, quando Suzu e Harumi osservano dalla collina un nuvolone carico di pioggia, come un cupo presagio di morte. La stessa detonazione di Little Boy non accade in maniera brutale (come in Gen) ma lontano e fuori campo. I personaggi avvertono solo un lampo fugace, uno stormire di foglie al vento e una nube dalla forma più strana di qualsiasi altra mai vista prima (ma noi la conosciamo bene e fa immancabilmente correre brividi inaspettati lungo la schiena).

Eppure Katabuchi non perde mai di vista la bellezza visiva del film. In questo senso è esemplare la sorprendente sequenza in cui Suzu, durante un raid, si sorprende ad osservare con incanto le terribili esplosioni, trasfigurando le bombe in immagini pittoriche, come poetiche macchie di colore che cadono su una tela blu come il cielo. Questa intuizione è funzionale per descrivere la sensibilità artistica di Suzu ed è al contempo un meta-commento sull’idea stessa di film, che arditamente mescola insieme arte e implacabile cronaca storica.

Nell’epilogo, con il conflitto ormai alle spalle, a differenza della disillusione spietata e senza via d’uscita di Seita in “Una tomba per le lucciole”, alla dolce Suzu non resta che accettare le barrette di cioccolato dei soldati americani e, in ultima analisi, farsi personificazione stessa della speranza per un nuovo orizzonte nel Giappone del domani.

Il fungo atomico che fiorì sopra Hiroshima è da tempo dissipato, ma in un certo senso incombe ancora sopra la città giapponese come un’oscura coltre di fuliggine. Ogni anno, la sera del 6 agosto, gli abitanti di Hiroshima si riuniscono lungo le rive del fiume Ota per rilasciare una moltitudine di lanterne a conclusione di una cerimonia commemorativa. È un giorno dedicato alla memoria in cui gli Hibakusha - i sopravvissuti alle esplosioni nucleari - si raccolgono intorno alla Genbaku Dōmu (Cupola della Bomba) per elaborare il loro dolore e anelare un futuro di pace. La guerra priva le persone della capacità di sognare, rendendo la realtà troppo opprimente perché la luce dell'immaginazione possa ancora risplendere attraverso le tenebre. “In questo angolo di mondo” lascia in tal senso un segno indelebile e ci offre un’ottima occasione per riflettere.

In un’epoca come la nostra, in cui leader nazionali dibattono ancora sulle dimensioni dei loro arsenali nucleari e sulla loro disponibilità a utilizzarli, è quanto mai opportuno che “In questo angolo del mondo” venga proiettato nei cinema e nelle scuole di tutto il mondo, perché questa pellicola ci ricorda, con la sua raffinata eleganza stilistica, che non si può mai dimenticare l’orrore, e ci para davanti agli occhi ciò che la guerra è capace di fare all'animo umano.